Arriverà la fine, ma non sarà la fine.

Passa del tempo e di Clemente no ne so nulla. Vedo spesso la sua famiglia, ma li ho pregati di tenermi all'oscuro di tutto. Questa mattina è proprio con Milena che sto andando a prendere un caffè. 

Siamo in centro, mi sento piuttosto stanca e fatico anche a camminare. Chiacchieriamo del più e del meno, mi mostra la tutina che ha comprato per il mio piccolo, e a pensarci ancora non gli ho scelto un nome. 

Ci alziamo poco dopo aver finito il nostro caffè, mi sento tirare sotto la pancia, strattono lei per un braccio.

«Credo di essermi fatta pipì addosso.» Esordisco, notando le gocce che ancora mi bagnano le gambe. In terra c'è una piccola pozza.

«Oh santo cielo, tesoro.» Urla Milena spaventandomi. «Hai rotto le acque.»

«Cosa ho rotto?» Credo di non aver capito, mi sto agitando. 

«Stai per partorire.» Urla ancora e poi afferra il cellulare. 

«Ma vedi te, tuo fratello rompe le palle ed io rompo le acque.» Sbuffo, lei mi fissa e ride, poi si fa seria e sollecita il 118 a mandare un'ambulanza. Nel tragitto i dolori si intensificano, arrivo in ospedale che quasi non respiro. 

Sono spaventatissima, Milena cerca di calmarmi, fa appena in tempo ad avvertire sua madre, entra poi insieme a me. Le fanno indossare la mascherina e quant' altro, io vedo solo un mucchio di gente intorno che si agita più di me. Ma sono io quella che deve cacciare un bimbo da lì sotto. 

Dicono che sono pronta, che basta un po' di collaborazione e il bimbo sarà fuori. Io mi sento senza forze, impotente e a terra, vorrei ci fosse suo padre ad attenderlo commosso ma suo padre non c'è e non ci sarà mai. 

Provo a spingere e l'unica cosa che escono sono le lacrime. Sento tante voci, ho solo paura e il bambino ancora non si decide a venir fuori. 

Afferro Milena per un braccio. «Voglio Clemente.» Esordisco, lei mi guarda con sorpresa.

«Cosa?» Mi tiene una mano.

«Milena, devi chiamare Clemente.» Urlo e piango, intanto i medici intorno cercano di farmi collaborare. «Non mi interessa cosa sta facendo. Anche se sta scopando, deve lasciare tutto, sta nascendo suo figlio. Non mi interessa se non mi ama, questo è il suo bambino, deve venire qui.» 

Piango, stringo i denti e faccio fatica a parlare. Milena corre fuori, io continuo a spingere ma provo solo dolore e il bambino continua a restare dentro. Forse ha capito che qui fuori è dura e vuole restare un altro pochino al sicuro. 

Tutti intorno mi dicono di rilassarmi ma riesco a farlo solo nel momento in cui la porta si apre e vedo Clemente entrare. Non riesco a credere sia venuto davvero, mi corre incontro e mi bacia la fronte. 

«Tutto bene?» Ha l'aria spaventata.

«Sto solo cercando di far uscire un bimbo dalle parti basse, ma me la cavo.» Scherzo, intanto emetto un urlo.

Clemente mi tiene la testa, mi stringe forte e comincia a parlarmi. 

«Senti, io e te abbiamo fatto cazzate ma questa è la cosa più bella che potevamo fare. Non so tu, ma io non vedo l'ora di vederlo, quindi datti una mossa e fallo uscire o sarò costretto ad andare a prenderlo.» Tutti intorno ridono e le loro risate fanno da sfondo ai miei dolori. Continuo a spingere e sento dire che ci siamo quasi. 

Clemente continua a starsene dietro di me ed io continuo a non credere che lui sia qui. Mi accarezza i capelli, e delle goccioline cominciano a bagnarmi la fronte. No, non è il mio sudore. Sta piangendo, Clemente sta piangendo. Gli rivolgo una veloce occhiata e lui mi stringe forte una mano. 

«Dai piccolino, che papà vuole vederti.» Sussurra appena e tenta di asciugarsi il viso.

Ha detto 'papà'? Non so come andranno le cose fra noi, ma il mio bimbo avrà un papà. 

Trovo la forza di spingere quanto più forte possibile, do un urlo e al mio urlo si unisce un pianto. E' strozzato, ma al suo suono mi rilasso. Tutto intorno si rilassa, anche l'equipe che poco prima intorno a me faceva baccano. 

Clemente sembra sfinito quanto me, poggia la sua fronte sulla mia e sorride. «Ce l'abbiamo fatta, piccerè.» Qualcuno gli dica che l'ho partorito io e non lui. 

«Ci voleva lei per farlo uscire, Clemente.» Un medico scherza, mentre sistema tutto intorno.

«E così qualcuno ha bisogno di me.» Ritorna stronzo, lui proprio non ce la fa.

«Bell'imbusto, io me la cavo benissimo da sola, era tuo figlio ad aver bisogno di te.»Mi metto sulla difensiva.

«Ci sarò sempre per lui.» Abbassa lo sguardo, probabilmente si sente in colpa per non averlo accettato subito. A me basta che lui sia qui e che ci sarà per mio figlio, di me non m'importa.

«Fantastico.» Sorrido appena, sono troppo orgogliosa per chiedere cosa ne sarà di noi.

«...e per te.»Mi alza il viso, mi costringe a guardarlo. «Che ne dici? Vogliamo crescere insieme questo bambino?»Quasi non lo riconosco più, sono tremendamente confusa.

«Il tuo matrimonio?» Chiedo spaventata. 

«E' come ho detto nella canzone, ricordi?» 

Ci ripenso, lui non dice ciò che pensa, devi cogliere ogni cosa. Ripenso alle parole della canzone, io sono stata la sua prima vera volta, io sarò l'unica. E forse ho capito, forse dovevo ascoltare e non solo sentire. Quest'uomo è un disastro ma io lo amo, e a modo suo lui ama me. Lo abbraccio. 

«Se fai del male a mio figlio, ti ammazzo.» Sorrido a denti stretti.

«Nostro figlio, piccerè.» Mi fa capire che è anche intenzione sua proteggerlo. «Farai un po' da mamma anche a me, ma ce la caveremo.» Ride e mi bacia la fronte. 

«Scusate..» Una giovane infermiera ci interrompe. «Ecco il vostro bambino, ma non avete ancora comunicato un nome.» Me lo porge. Resto incantata a guardarlo, nemmeno faccio caso a quanto ha detto, gli sfioro una manina.

«Paolo, si chiama Paolo.» Clemente risponde al posto mio, poi mi guarda, come a volere il mio consenso.

«Sì, Paolo.» Sorrido. 

Continuo a tenere gli occhi fissi sul piccolo, è ancora affaticato, ma chissà a chi somiglierà di più. Quasi mi sento in un altro mondo, nulla sembra toccarmi, nulla sembra esistere all'infuori di questa creaturina che mi sta tra le braccia. 

«Quasi non riuscivo ad amarlo quando ho saputo di portarlo dentro e ora non riesco a fare a meno di guardarlo.» Penso a voce alta, qualche lacrima mi riga il viso. 

«Sono stato uno stronzo e mi dispiace.» Sbuffa. «Non immaginavo che si potessero provare così tante emozioni nel sentirsi definire papà.»

Gli faccio segno di tenerlo in braccio, sembra quasi spaventato, ma poi si sistema meglio per accoglierlo. Glielo sistemo con attenzione, sembriamo due bimbi che giocano a fare famiglia, rido di fronte al nostro impaccio e lui con me. 

«Quando mi hai fatto chiamare da Milena quasi non ci credevo, ha urlato come una matta 'papino, il tuo piccolo sta nascendo, vieni tu o vengo a prenderti e ti trascino qui vivo o morto?' Ho riso come un matto e intanto le sue parole mi hanno traforato la testa.» Sorride, poi continua. «Grazie.» Farfuglia appena, accantonando i suoi modi bruschi.

«Di cosa?» Scrollo le spalle senza capire.

«Mi hai rimesso al mondo mettendo al mondo lui.» Mi accarezza una guancia, poi riprende. «Non sono perfetto, va bene? Penso di saperne sempre una più del diavolo e spesso la mia linguaccia mi mette nei casini. Dovrai portare più pazienza di quanto immagini e oltre ai pannolini sporchi, potrebbe capitare di raccogliere anche i miei calzini sporchi. Ma tutto ciò che desidero fare è crescere con voi due.» Mi bacia le labbra, il nostro primo vero bacio, non da folli, un bacio che non ci metterà in altri casini...forse.

Usciamo non appena i medici mi danno il permesso, Tina cammina avanti e indietro, suo marito sorseggia del caffè e Milena e Paolo se ne stanno su delle sedie a mangiarsi le unghia. Il loro sguardo si illumina, non appena ci vedono venir fuori. Ho Paolo in braccio, Clemente ha una mano sulla mia spalla, sua madre scoppia a piangere non appena ci vede.

«Nonna non piangere, Paolo è sano e bello.» Glielo sistemo in braccio.

«Come hai detto?» Paolo sgrana gli occhi. 

«Paolo, Paolo, e capit buon.»* Clemente gli da uno scappellotto, i due si punzecchiano fin quando non si legano in un abbraccio. Sono felice, ma mi manca qualcosa: la mia famiglia. 

Mia madre e mio padre non sono qui a festeggiare con me, 9 mesi non sono bastati a fargliela passare. E mentre questo pensiero mi sfiora, da lontano scorgo due figure che corrono affannose, Elena e zia Giusy sono qui. 

Mi stringono forte costringendo la mia tristezza a passare, qualche lacrima mi riga il viso, cosi zia Giusy ne blocca il percorso con un dito.

«Ricorda, ogni volta che guarderai tuo figlio capirai che ne è valsa la pena.» Sorride. «A proposito, fatemelo vedere.» Si avvicina al piccolo, Tina glielo porge. 

Zia Giusy lo guarda folgorata. «Mamma mia, è bello comm a te.»* Mi dice con occhi sognanti.

Clemente tossice. «Veramente avrei contribuito anche io a farlo così bello.» Scherza.

«Tu stai zitto.» Mia zia lo ammonisce prendendolo in giro.

«Come non detto.» Lui alza le mani in segno di resa e ride. 

Mi appoggio a lui che subito mi stringe a se e mi bacia la fronte, mia zia segue la scena con lo sguardo. Si avvicina, dopo aver sistemato Paolo nelle braccia di Elena.

«Che ti avevo detto? Quello è tutto fumo e niente arrosto.» Gli colpisce affettuosamente una guancia. 

Così, è andata come non mi sarei mai aspettata, il mio bambino ha un padre e inoltre una famiglia meravigliosa. La stessa famiglia che ho trovato io. 

Tutta Napoli è una famiglia, dalla signora del vico, a quella della porta accanto. Così ho deciso che il mio bambino crescerà qui, tra questa magia e il profumo del mare.


  ശSPAZIO AUTRICEശ   

*hai capito bene;

*come te.


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