XXXVIII. La verità è che tutto è un inganno.

Kronos

Carri armati e macchine blindate ovunque. Iapetus si stringe forte a me in questa giornata che definirei fin troppo cupa per essere quella del mio trionfo.

Mi guardo intorno e un'amara ventata di consapevolezza mi travolge. Mio padre avrebbe dovuto essere qui con me, con noi.

Invece la Grande Città ci attende e non ho assolutamente idea di cosa dovermi aspettare.

Rhea ha deciso di accompagnarci, prendendo il posto di mio padre, spacciandosi come nuovo Console, anche se al momento non lo sarebbe.

Tecnicamente quel ruolo aspetta solo il mio ritorno. Le guardie si osservano tra loro, tenendo forti a sé i fucili imbracati. Uno di loro me lo punta contro. Me lo ricordo, quando mi prese in giro al mio arrivo.

È invecchiato abbastanza male.

Nel suo sguardo leggo lo stesso sdegno dell'epoca.

Non importa quanto dimostreremo di meritare una seconda chance nella Grande Città. Loro ci vedranno sempre come dei reietti, degli scarti da riutilizzare in qualche modo. Il Torneo non serve a noi, non serve per riabilitarci, rimarremo pur sempre giocattoli rotti. Serve a loro per credere di essere migliori, per convincerli che sanno perdonare i loro concittadini peccatori. Serve per far credere agli idioti, che si lasciano abbindolare, che il Governo è giusto.

«Kronos Hell. Chi hai deciso che ti accompagnerà?» Mi domanda. Tutti tengono i fucili puntati su di noi, mentre un autista si trova accanto a una berlina blindata. Ne osservo le ruote, i cerchi in lega e intravedo, attraverso lo sportello aperto, i sedili in pelle.

Stringo la presa sul braccio di mio fratello, come d'istinto. Non sopporto l'idea che puntino delle armi contro di lui. Ho voglia di sparare ai loro crani, così smettono di guardarci in quel modo.

Prendo un grosso respiro. «Mio fratello: Iapetus Hell.»

Rhea si affianca a noi e mi accarezza il dorso della mano. Riuscirebbe a portare la calma anche in una tempesta. «Ad accompagnarli ci sono io. Tornerò a casa tra due settimane: Rhea Hell.»

Una delle guardie le si avvicina. Le passa una specie di cavigliera elettronica. Punta i suoi occhi chiari su di lei, osservandola come se fosse un bellissimo oggetto. Non mi piace. Detesto quelle occhiate. Mi sono fin troppo familiari.

«Posso aiutarti a indossarla, tesoro.» Lo sento sussurrare all'orecchio di mia sorella.

Un brivido di freddo mi raggela il sangue nelle vene. Mi accorgo di essere talmente nervoso solo quando sento Iapetus mugolare dal dolore sotto la mia presa.

Torno a osservarlo e mi mordo un labbro, in colpa. «Scusa.»

Sono pronto a spaccare la faccia a quell'uomo, ma Rhea gli strappa dalle mani la cavigliera e se la sistema. Gli lancia un'occhiataccia e assottiglia lo sguardo. «Attento. Io non ho nulla da perdere. Dovrò tornare qui per forza. Non mi dispiacerebbe sgozzarti.»

Sale in auto e la seguo, trascinandomi Iapetus. L'autista ci guarda, dopo che ha sistemato le nostre valigie nel portabagagli. La verità è che solo Iapetus aveva con sé almeno due borse cariche di roba. A me basta uno zaino, tanto non prevedo una lunga permanenza nella Grande Città.

Continuo a ripetermi che dovrò piazzare la bomba tra poche ore, non appena arrivato. Domani è giovedì e i miei obiettivi saranno nella biblioteca. Sarà tutto più veloce del previsto. Avrò solo poco tempo per dire addio al mio fratellino insopportabile.

«Tutto bene lì dietro?» L'autista della vettura continua a lanciarci occhiate attraverso lo specchietto retrovisore.

Iapetus annuisce. Si allunga dai sedili e si muove eccitato come un piccolo fuoco d'artificio. Riesce a strapparmi un sorriso. «Adesso dove andiamo? È vero che avremo un appartamento tutto nostro? E sarà carino? Che colore è il palazzo? Anche qui gli alberi sono verdi? Perché il cielo da noi è sempre grigio e qui azzurro. Sembra diverso.»

L'uomo ridacchia e si aggiusta il cappello della divisa sul capo. «Frena, ragazzino. Una domanda alla volta.» Varca le mura che ci separano dalla città dei reietti.

Mia sorella ha il volto appiccicato ai finestrini per tutto il tragitto. Guarda le alte ville e i palazzi monumentali con uno sguardo confuso e sognante. A me non interessa. La Grande Città e la sua perfezione sono solo fumo negli occhi.

Anche qui è presente il degrado, ma lo nascondono bene. Come un po' di polvere sotto il tappeto, lo abbandonano e credono che, dimenticandosene, è come se non fosse mai esistito.

Dovrebbero raccontare la storia della grandezza e magnificenza a tutti i poveri che hanno fatto trasferire in un quartiere isolato e abbandonato, come fossero un ghetto. Lì noi non credevamo neanche di essere ancora vivi, ogni giorno eravamo indecisi se pensare che il risveglio fosse una benedizione o una maledizione.

L'uomo tossicchia, riprendendo a parlare. «Il governo vi ha assegnati all'anello C. Lì ci sono tutti i parchi per i meno agiati o coloro che hanno vinto i Tornei negli anni precedenti. Troverete nel vostro appartamento assegnato una lista di richieste di lavoro a cui proporvi per iniziare ad ambientarvi e fare carriera. È assicurato farla qui, anche per voi.»

Certo, come no. Continueremo ad essere visti come degli oggetti rotti che hanno avuto anche troppo con una seconda possibilità. Non saremo mai ai livelli di chiunque viva qui. Dobbiamo fingerci sudditi di un governo che non ammette repliche.

Leggere libri è importante solo se sono stronzate che non hanno idee vagamente diverse alle loro.

Iapetus, però, è troppo su di giri. Non ho voglia di distruggere i suoi sogni di gloria. Mi limito a storcere il naso, anche se incrocio lo sguardo dell'autista, abbastanza incuriosito.

«E come funziona? Perché l'anello C? Cosa c'è negli altri?!» Iapetus strepita, battendo i piedi.

Rhea ridacchia e lo tira indietro, facendolo tornare a stare seduto composto. «Lo stai tartassando.»

L'uomo scrolla le spalle. «Oh no. Mi piace conoscere i nuovi arrivati. Credo che tutti debbano meritare un'altra possibilità. Non penso che essere dimenticati nella città dei reietti sia la soluzione.»

E poi ci sono le perle rare. Quelle poche persone che non sono d'accordo col governo.

Ci sono due tipi: i codardi, che tengono per sé le proprie idee -e non me la sento di giudicarli, d'altronde preferiscono vivere piuttosto che sperimentare le leggi del governo- e quelli che si ribellano a gran voce. Se non muoiono nei modi più misteriosi e disparati, probabilmente finiscono nel distretto di Athena, in qualche modo. E lì si incattiviscono, realizzando che forse per quelli come me non c'è davvero salvezza o redenzione che tenga.

«La città è divisa in diversi anelli. Il Governo col suo palazzo, il tribunale e la piazza centrale sono nell'anello A. Al mattino in piazza c'è sempre un gran via vai, tra esponenti del Tribunale e piccoli negozi aperti.» L'uomo, il cui nome mi è ancora sconosciuto, svolta lungo la strada principale.

Osservo la Fontana nella piazza centrale e sbuffo. Mi ero rintanato lì, il giorno del mio processo. Avevo lanciato una mollica di pane -perché di monetine non ne avevo- pregando qualsiasi Dio di salvarmi e lasciare che mi credessero.

Ma a quanto pare, se anche Dio esistesse, si era dimenticato di me da parecchio tempo. Dubito anche che abbia mai saputo della mia esistenza, in realtà.

Iapetus si fa sfuggire un gridolino eccitato.

«Nell'anello C verrete sistemati voi, come nuovi arrivati. C'è poi l'anello B con alcuni negozi per shopping e il nuovissimo anello D in ristrutturazione. Dato che comunque la popolazione aumenta, è importante avere spazi per accogliere tutti. C'è un piccolo torrente lì, stanno bonificando l'area, prima era completamente abbandonata. Lì costruiranno nuovi parchi per i reietti. Nel frattempo stanno già nascendo diversi negozi e locali per trascorrere le serate tra amici.»

Ho smesso di ascoltarlo. Ricordo bene il torrente. Era dove eravamo tutti noi accampati.

Hanno cancellato ogni traccia del nostro passato.

Mi chiedo dove abbiano deciso di gettare i barboni e i poveri che vivevano lì con noi.

L'auto si arresta, proprio davanti a un grande parco. Una serie di palazzi colorati si susseguono uno accanto all'altro, alternando tinte pastello sobrie ma accoglienti. Mi sembra tutto così finto, così costruito. Non riesco a sopportarlo.

Stringo le mani a pugno e sospiro piano. «Bene, grazie del passaggio.» Bofonchio, ma prima di uscire l'autista mi passa una chiave elettronica.

«Terzo palazzo. Quello azzurro. Quinto piano, scala F. Benvenuti, ragazzi. Qualsiasi cosa, non esitate a contattarmi. Organizzo con mia moglie delle piccole sedute di scrittura creativa in un appartamento in affitto. Ci sono anche bevande e cibo gratis.» Mi allunga un bigliettino, col suo numero e il suo nome, ma Iapetus me lo strappa da mano.

«Sarà divertente!»

Roteo gli occhi. Ho letto di sfuggita il suo nome: Dante. «Bene. C'è altro?»

Lui annuisce e mi passa infine una busta con del denaro. «Finché non trovate lavoro, il Governo vi dà un piccolo sostentamento per un paio di mesi. Ti consegno i soldi, campione.» Mi ammicca.

Mi irrigidisco appena e sfilo la busta dalle sue dita, mugugnando un grazie.

Una volta fuori dall'auto, con i nostri bagagli in mano, mi allungo a osservare i palazzi di fronte, distratto dal rumore delle gomme che strisciano sull'asfalto, lasciandoci soli.

🫀🫀🫀

Ci siamo appena sistemati e Iapetus sta già saltando su ogni letto.

Non mi posso distrarre, ho da fare. Ho notato che nel mio appartamento hanno lasciato una bicicletta per muovermi per la città. E anche uno stupido abbonamento per i mezzi. Ho più la sensazione che sia un modo per controllarmi.

Ricordo bene che Zeus mi ha detto che avrei dovuto stare attento. Nella Grande Città non mi vogliono. E per quanto io abbia cambiato nome, loro sanno bene chi sono.

Farò in modo che non lo dimentichino. Voglio sentirli implorare il mio nome, ma questa volta mentre muoiono.

Riverso tutto il materiale sulla scrivania all'ingresso.

Iapetus sta urlando come un forsennato, saltando felice sul letto. Rhea, invece, mi osserva con attenzione. «Già ti metti all'opera?»

«Non resterò qui molto, sorellina. Domani i miei obiettivi saranno lì e devo muovermi. Devo nascondere questo gioiellino nella biblioteca.» Le indico la scatola che avevo ben messo in sicurezza nel mio zaino.

Mi rigiro tra le mani il telecomando, anzi il pulsante che premerò a distanza domani. Mi sembra quasi di sentire le loro urla in testa; mi deliziano. Manca davvero poco e sto morendo dalla frenesia.

Rhea mi accarezza la schiena. Mi irrigidisco per un attimo, non è colpa mia, mi viene naturale. Riconosco poi il suo tocco, non è crudele. Non mi strapperà la pelle da dosso. Non sono loro. È mia sorella. «Sono solo preoccupata che ti succeda qualcosa.»

Mi sistemo lo zaino in spalla, dopo aver preso la scatola. «Andrà tutto bene.»

Quando raggiungo la piazza centrale, in bici, sono abbastanza confuso dal via vai generale delle persone. Sistemo il mio piccolo mezzo di trasporto, attaccandolo a una catena e mi guardo attorno. Il vociare della gente mi stordisce quasi. Si muovono come piccole formiche fuori dal formicaio. I loro passi ticchettano contro il pavimento battuto e il fragore dell'acqua della fontana si mescola a quei rumori, in una melodia di vita vera che avevo dimenticato.

Forse non ho mai vissuto davvero. La mia intera esistenza mi è apparsa più una lotta di sopravvivenza, fin da quando sono nato. Lo stomaco mi brontola di colpo e mi rendo conto solo adesso di aver fame, quando il profumo di pane caldo, proveniente da una piccola bottega, mi invade la mente.

Ne porterò un po' ai miei fratelli a casa. Mangeremo almeno un'ultima volta tutti insieme con Iapetus.

Osservo la biblioteca da lontano. È attigua a un'enorme villa, con un giardino verde e rigoglioso. Mi chiedo quale famiglia possa essere così ricca da abitare nella zona centrale, accanto al palazzo del governo e il tribunale, al punto da rendere pubblica la propria biblioteca privata e aprirla a chiunque.

Tranne domani, quando i miei obiettivi saranno qui.

Mi infilo insieme ad un gruppo di studenti al suo interno. Una miriade di corridoi si susseguono l'un l'altro. Ci sono così tanti scaffali, ricolmi e pieni di romanzi, che resto per un po' affascinato, perdendomi tra i tomi e l'odore di pagine vecchie. Ne apro qualcuno, accarezzando l'inchiostro, e sorrido appena. Noto che sono raccolti pochi romanzi qui, in realtà. La maggior parte sono libri sulle leggi e sull'educazione del perfetto cittadino. Altri sulla storia importante e centenaria della Grande Città, dopo che una guerra e un'epidemia dimezzarono la popolazione mondiale.

La giustizia è di tutti.

Ho voglia di scagliare contro le vetrate questo mattone. Stronzate.

La giustizia è di chi è abbastanza ricco da permettersela. Dov'era la loro giustizia quando sono stato rapito? Ah, già, a violentarmi.

Mi muovo svelto verso l'ufficio principale. Devo cercare un punto abbastanza vicino alla finestra per piazzare la bomba e farle arrivare il mio segnale. Mi avvicino a uno scaffale. Guardandomi intorno, sfilo dalla scatola il mio aggeggio. Sono orgoglioso del fatto che a ucciderli sarà una bomba di mia produzione. Lo nascondo dietro una pila di libri e mi sistemo di nuovo lo zaino in spalla.

Una volta fuori dalla biblioteca, decido di comprare un po' di pane e delle focacce. Almeno questa sera, la cena sarà piacevole.

Mi giro un'ultima volta a osservare la biblioteca. Il sole sta tramontando, alle spalle del palazzo del governo. Tracce di inchiostro arancio si mescolano al rosa del cielo.

Poetico come tra poche ore anche quella dinastia dei Walker sarà destinata a tramontare definitivamente.

🫀🫀🫀

Non ho dormito tutta la notte. Le immagini del mio passato si ripercorrevano nella testa come un vecchio film. Ho anche vomitato, quando ho sentito il loro tocco ancora una volta sfiorarmi da sotto i vestiti. Non ho idea se siano allucinazioni o meno, ma inizio a essere stanco.

Quando decido di tirarmi in piedi, ormai è mattino inoltrato. Mi preparo fin troppo velocemente, ma Rhea non si lamenta, anzi, è già pronta e mi sta aspettando.

Mi avvicino a Iapetus, che se ne sta in piedi vicino alla porta, come a non volermi far andare via. «Perché non resti ancora un po' qui?» Sbuffa.

Ha uno strano broncio e mi strappa un sorriso.

Gli accarezzo i capelli e lo tiro a me, abbracciandolo. Probabilmente sentirò sempre la sua mancanza. Anche quando mi ha reso la vita impossibile. È il mio fratellino. Ma per lui desidero solo il meglio. E la città dei reietti non potrà mai darglielo. «Devo farlo, lo sai. Ti voglio bene.»

«Te ne voglio anche io.» Tira su col naso e mi stringe di nuovo.

Anche adesso che mi allontano, scendendo le scale per abbandonare il palazzo, sento un vuoto dentro. Probabilmente parte della mia anima -supponendo di averne davvero una- resterà per sempre sua. Ma va bene, so che tra le sue mani sarebbe al sicuro.

Cerco di reprimere le lacrime. Noi non piangiamo più. Mentre cammino in silenzio, accanto a Rhea, riesco a vedere Javier di fronte a me. Si guarda intorno, riconoscendo quel posto che una volta era casa nostra.

Sì, te l'ho promesso, Javi. Noi li uccideremo. E forse allora sarai libero di lasciarmi stare.

Quando arriviamo, osservo ancora la Biblioteca da fuori. I cancelli sono sbarrati. Mi rigiro il pulsante tra le mani.

Voglio che sappiano che sono stato io.

Ormai la piazza è quasi vuota, sono tutti rinchiusi nei loro stupidi uffici a lavorare. Mi avvicino quanto basta e prendo un grosso respiro. Avrei preferito sentirli morire sotto le mie mani, ma un attacco al Tribunale sarebbe stato impossibile.

Troppe persone e troppa sorveglianza da superare.

Lancio un'occhiata a Rhea e sento il cuore battermi in gola, quando annuisce nella mia direzione.

Posso farcela. Premo premo quel pulsante.

Mi allontano con mia sorella quanto basta e pochi secondi dopo una deflagrazione scoppia nella Villa. Delle urla riempiono la tranquillità di quel momento, lacerandola.

Una luce accecante ci illumina e, d'istinto, afferro Rhea, costringendola a voltarsi insieme a me.

Detriti di pareti, di mura, volano per tutta la piazza e le fiamme divampano, inghiottendo ciò che resta. Si ergono sui resti come avvoltoi su carcasse ancora sanguinanti. Una densa cortina di fumo risale su per il cielo, che, finalmente, adesso sembra così simile a quello a cui sono abituato nella città dei reietti.

Presto delle sirene iniziano a risuonare per tutta la piazza, mentre si cerca di spegnere l'incendio. Me ne resto lì a osservare quella devastazione col cuore più leggero.

È davvero finita.

Delle mani mi agguantano, facendomi scivolare il telecomando a terra. Una fitta violenta riverbera lungo la schiena e mi ritrovo in ginocchio. Li sento mentre mi legano le mani.

Rhea urla di lasciarmi stare, ma riprendono a montarmi quella fottuta museruola. Una delle guardie si abbassa alla mia altezza e sorride, sghignazzando divertito. È sempre lui. Mi chiedo quando abbia intenzione di ritirarsi in pensione, ma non riesco a parlare.

«Sapevo che saresti durato poco qui, brutto psicopatico del cazzo.» Mi assesta un calcio allo stomaco. Riesco soltanto a mugugnare un rantolo, mentre appoggio la fronte contro il pavimento.

Lo osservo di sbieco, mentre si porta un auricolare all'orecchio. «Sì, ce l'abbiamo. Morti?»

Sento il cuore schizzarmi in gola, quando una triste verità mi si abbatte come un macigno addosso. «Cinque?»

Un'altra delle guardie gli si avvicina e annuisce. «Tre insegnanti e il Signor Williams. E poi, purtroppo sarà lutto nazionale. La Signora Walker era lì dentro con loro per comprare dei libri.»

Faccio per tirarmi in piedi, ma il capo delle guardie poggia il piede sulla mia schiena, spingendomi ancora a terra.

Noi non piangiamo.

Ma ho fallito.

Ti ho deluso, Javier.

Adonis mi ha fornito un indirizzo del cazzo. Non volevo uccidere innocenti. Io volevo soltanto loro.

Ancora una volta mi convinco del fatto che per quelli come me non ci sarà mai giustizia.

Javier osserva il palazzo distrutto. Ha le lacrime agli occhi. E sento anche le mie guance bagnarsi.

La mia vita rimarrà sempre un grande inganno. Non importa quante volte cerchi di fidarmi di qualcuno, verrò sempre sfruttato. Sono nato per essere preda, forse.

Serro la mascella così forte da sentire dolore.

Non mi interessa nient'altro.

Adonis Williams è un mio problema adesso.

E io uccido i problemi.

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