XXXVII. Cosa sto facendo?

Adonis

Ormai Kronos ha vinto il torneo. Rientrare è strano. Mi ha chiesto di andare da lui prima che parta domani.

Ad aspettarlo al confine ci saranno tutti i carri armati del governo, pronti a scortarlo nella Grande Città per il suo nuovo inizio. Inconsapevoli che Kronos non cerca una nuova vita, quanto più un rovescio del governo.

Mi sento un mostro, lo ammetto. So di avergli mentito, di avergli dato informazioni sbagliate, ma a farmi accettare ancora questa realtà è la consapevolezza che presto sarò sicuro di essere libero.

Non dovrò più sentire le ingiurie e le parole di mio padre, intrise di odio, tuonare nelle pareti della testa, facendomi rabbrividire dal dolore.

Quando abbandoniamo l'Arena, a venirci incontro sono tutti i fratelli Hell e Hydra. Quest'ultima corre nella mia direzione e mi abbraccia così forte che sento quasi le gambe cedere dalla tenerezza. Nessuno è mai stato così felice di rivedermi, nessun membro della mia famiglia ha mai provato qualcosa di così intenso per me. Le accarezzo i capelli rossi, ormai tanto lunghi, svolazzanti al vento.

La prendo poi in braccio e le sfioro la guancia con un bacio. «Ti sono mancato?!»

Lei mi getta le braccia al collo. «Tanto. Non te ne andare più.»

Kronos ci guarda con la coda dell'occhio. Fa un mezzo sorriso, mentre si lascia abbracciare dai fratelli. Hyperion lo afferra per le guance e lo osserva negli occhi. Lo scruta come se stesse analizzando qualcosa di importante. «Come stai?»

Kronos scrolla le spalle. Da quando Uranus è morto, è come se avesse perso qualcosa, una scintilla che a volte riuscivo a intravedere in quella tempesta buia dei suoi occhi. «Come al solito. Voi? State bene?» Si libera dalla presa del fratello con uno strattone.

«Sì! Mi sei mancato! Hai vinto il torneo! Non è fantastico? Chi porterai con te nella Grande Città? Dai, dimmelo! Ti prego.» Iapetus gli tira il lembo della felpa, saltellando sul posto.

In effetti, ora che ci penso, non ho mai saputo chi Kronos avrebbe portato con sé. Il Torneo permette al vincitore di dirigersi nella Grande Città con un accompagnatore -il Console, che dovrà poi tornare nella città dei reietti dopo che il suo campione si è ambientato- e qualcuno che resterà per sempre lì con loro.

Forse, se decidesse di andare lì con me, avrei l'occasione di uccidere io stesso mio padre. Non mi dispiacerebbe sentire la sua vita abbandonarsi sotto il tatto.

Osservo Kronos. Lo vedo mordersi appena il labbro. Mi lancia un'occhiata e si gratta le mani, nervoso. Sembra in tensione. Poi si scioglie in un piccolo sorriso. «Andremo io e te.» Accarezza i capelli di Iapetus. «Non meriti di vivere un altro giorno in questo posto... e poi papà era d'accordo. Mi sembra giusto mantenere la promessa che gli ho fatto. Avrei cercato di fare il meglio per tutti.»

Iapetus si lascia sfuggire un piccolo gridolino eccitato e lo travolge in un abbraccio.

Sorrido, ma la consapevolezza di restare solo si abbatte di colpo su di me. Non rivedrò più né il mio migliore amico, né Kronos. Le nostre strade non si incroceranno più e tornerò a essere invisibile agli occhi del mondo, se non a essere ancora visto come un bel corpo da offrire e basta.

Non avrò più lo sguardo di Kronos che mi cerca ovunque. Né il suo sorriso malcelato.

A riscuotermi è Hydra, tirandomi appena una ciocca di capelli. «Dovresti rispondere.»

Cazzo. Non ho sentito né mi sono accorto che uno di loro si stesse rivolgendo a me, troppo impegnato a realizzare di essere sul punto di perdere due delle persone più importanti della mia vita. Non sono pronto.

Kronos inarca un sopracciglio e mi osserva. Mi sta studiando come fossi un forziere da aprire. «Ti senti bene?»

«Certo!» Abbozzo un sorriso, il solito. Si va come sempre in scena, non c'è tempo per le pause. «Che stavate dicendo? Mi sono perso nei miei pensieri.»

Kronos aggrotta la fronte. Sembra voler commentare, gonfia il petto e poi lascia perdere, sbuffando. «Rhea ha organizzato un piccolo rinfresco o festa, qualsiasi cosa sia prima che vengano a recuperarmi domani per partire.»

«E quindi dicevo che ovviamente dovete venire anche voi.» Rhea gli lancia un'occhiataccia e Kronos si stringe nelle spalle. Mi guarda quasi supplichevole e annuisco.

«Non so dire di no all'alcol, dovreste conoscermi!»

Mi incammino e Hydra scivola giù dalle mie braccia, per andare a trotterellare davanti a tutti per farci strada.

Mi affianco a Kronos, che ha rallentato il passo affinché lo raggiungessi. Restiamo dietro a tutto il gruppo. Ogni tanto Iapetus si gira a guardarci. Fa un piccolo sorriso e poi ci lascia di nuovo in pace.

Provo a prendergli la mano. D'istinto, Kronos si ritrae. Alza lo sguardo sui fratelli. Deglutisce e poi mi sfiora il mignolo col suo. Mi scappa un sorriso, mentre camminiamo tenendoci semplicemente per le dita. «Qualcosa non va?» Mormoro, per lasciare che si senta al sicuro a parlarne con me.

«Quando saremo a casa, voglio salutare mio padre... anche se devo parlare con un pezzo di pietra.»

Mi si stringe il cuore. «Vuoi che ti lasci solo? Posso anche non venire a casa vostra-»

Kronos scuote il capo meccanicamente. Mi prende per il polso e si ferma, incatenando i suoi occhi ai miei. «No. Resta. Per favore...» biascica a fil di voce. «Vorrei mi facessi compagnia. Alla lapide, intendo. Io-insomma-»

Gli poso le mani sulle spalle. «Va bene. Certo.» Non chiedo altro. Non vorrei far altro che restargli accanto per sempre e sono consapevole che questa sarà la nostra ultima notte insieme.

Sono sicuro che riuscirà comunque ad arrivare ai suoi obiettivi, anche senza le mie informazioni. E quando governerà sulla Grande Città, forse, riusciremo a incontrarci. Voglio crederci, eppure non riesco a far finta di nulla. Sento qualcosa che mi appesantisce il petto, di tanto in tanto.

Soprattutto quando ripenso alle informazioni che gli ho dato. L'ho preso in giro.

Forse mi odierà e non vorrà neanche più vedermi. E non riuscirei nemmeno a dargli torto.

Ma non posso farmi sfuggire quest'occasione.

Quando arriviamo a Villa Hell, ho quasi la sensazione che aleggi ancora il fantasma di Uranus. La casa è impregnata di una strana malinconia e mi sento un elemento di troppo tra loro. Non sarei qui se non fosse per Kronos e non sono nemmeno sicuro che meriti di essere al suo fianco in questo momento.

Resto sull'uscio del salotto, un po' paralizzato. Uranus è morto. Artemis è morta. Hades è morto. Siamo tutti da soli e dovrò occuparmi di Hydra. Non sono nemmeno capace di prendermi cura di me stesso, figuriamoci di questa piccola nanetta, che adoro con tutto il mio cuore.

La signora Manson mi fa cenno di entrare. I suoi occhi scuri mi scrutano con dolcezza, mentre richiude la porta alle nostre spalle. È strano. Sentirsi parte di qualcosa, avere una famiglia. E forse sto per mandare tutto all'aria.

Kronos mi lancia un'occhiata. «Dov'è?» Domanda poi a suo fratello.

Hyperion si drizza, sistemandosi il completo elegante, con dei gesti delle mani abbastanza goffi. Non so quando abbia iniziato a vestirsi in questo modo, ma così somiglia terribilmente a suo padre. «Fuori. Ho preparato la lapide... volevamo aspettarti, ma ho dovuto farlo-».

«Va bene così. Voglio-» Kronos prende fiato, perché la voce gli si incrina appena, come una corda di violino spezzata, «voglio solo salutarlo.»

Si incammina verso la cucina, per raggiungere l'uscita che porta al giardino sul retro.

Dovrei seguirlo? Mi ha chiesto di essergli vicino, ma non so se ha cambiato idea.

Si ferma poi, voltandosi a guardarmi, e ciondola il capo di lato. «Vieni?»

Mi faccio coraggio. Alla fine ho mantenuto la mia promessa. Uranus mi aveva chiesto di prendermi cura di lui e, in un modo o nell'altro, ero intenzionato a farlo per sempre, anche se mi avrebbe allontanato un'infinità di volte. Lo raggiungo e gli sfioro la spalla con la mia, per fargli coraggio. Lui accenna a un sorrisetto forzato, tradito dallo sguardo annebbiato di colpo. Vorrei dirgli che con me può piangere ancora, non è debole ai miei occhi, non lo sarà mai. Ma sono tutte parole che muoiono nella mia gola, incastrate tra le corde vocali, perché sono troppo codardo per voler scoprire davvero cosa pensa di me. Sono certo che non prova le stesse sensazioni, come potrebbe? Ma non voglio scoprirlo, tanto comunque rischierei di perderlo.

Kronos mi accarezza il dorso della mano e prende un grosso respiro; non mi accorgo neanche che ha spalancato la porta che ci conduce all'esterno. Riesco a realizzare solo quando una folata di vento gelida mi sferza il volto, facendomi storcere il naso. Dovrò presentarmi davanti a Uranus coi capelli in disordine.

Cammino al suo fianco, osservando la lapide. Non credo che un pezzo di pietra possa mai rendere giustizia a una persona tanto importante per qualcuno. La cosa che più mi terrorizza della morte è il possibile buio; la consapevolezza di non essere più nulla che una coscienza vuota, che sprofonda in un infinito abisso.

Kronos si abbassa sulle ginocchia, accarezzando la pietra indifferente. Le sue mani tremano, ma sono abbastanza sicuro non sia per il freddo. Avvicina due dita alle labbra, soffiando un bacio debole, e poi le posa sulla lapide. «Mi dispiace di non essere riuscito a salvarti.» Mormora, mentre la sua voce si abbassa di qualche ottava di nuovo, come se fosse colpita da un fremito improvviso. «Mi manchi. Non sono pronto, io non sono come te. E se un giorno non ricordassi più la tua voce? Io non posso-».

Mi avvicino a lui, strisciando con le ginocchia sul prato verde e rigoglioso. Gli accarezzo timidamente i capelli, provando a testare quanto sopporta la mia vicinanza al momento. «È orgoglioso di te. E se non vuoi crederci, sono abbastanza convinto da farlo per entrambi.»

Kronos si appoggia col capo contro il mio petto e sospira. «Vorrei poter essere per qualcuno lo stesso punto di riferimento che lui è stato per me, un giorno.»

Mi scappa un sorriso, ma me ne resto in silenzio, sebbene di solito li detesti. Ma in questo momento so che è l'unica soluzione da adottare. Continuo a far vagare le mie dita tra le sue ciocche e lo vedo socchiudere gli occhi di tanto in tanto. La tensione dei suoi muscoli si rilassa per qualche istante. Poi si allontana da me e si passa le mani sul volto, tamponando con le maniche della camicia gli occhi inumiditi. «Torniamo dagli altri. Rhea ha detto di aver preparato qualcosa da mangiare per tutti.» Si tira in piedi e mi tende la mano.

Annuisco e la afferro. Lui si guarda intorno e non separa le nostre mani. «Resti a dormire qui, questa sera?»

Cosa sto facendo?

Deglutisco e faccio un cenno d'assenso. Il senso di colpa mi brucia lo stomaco, manda in fiamme i polmoni. «Va bene, tesoro. Ti mancherò tanto quando vivrai nella Grande Città?» Gli sfioro la punta del naso col mio. «Mi manderai qualche cartolina?»

Kronos fa una mezza risata e scuote il capo, cercando di nascondere un sorrisetto divertito. «Ma io tornerò. Mi arresteranno, dopo che avrò ucciso quelle persone. E quando sarò di nuovo qui, verrò a cercarti.» Indietreggia appena, dopo aver giocherellato con i lembi della mia camicia.

Lo osservo allontanarsi per raggiungere gli altri in salotto e prendo un grosso respiro.

Cosa sto facendo?

Sto davvero distruggendo tutto?

Lui tornerà. E non mi perdonerà mai, anzi.

Mi sento un mostro. Il senso di colpa mi logora, ma ho bisogno di questa vendetta. Ho bisogno di sapere che mio padre non esiste e non tornerà mai più a darmi il tormento. Ho bisogno di crederci.

E sono crudelmente disposto a sacrificare qualcosa che amo pur di arrivarci.

Me ne pentirò, ne sono sicuro. Eppure non riesco a fare dietrofront.

Raggiungo gli altri all'interno e Hyperion mi passa un bicchiere di champagne. «Dovremmo festeggiare questa vittoria per bene o no?»

Kronos fa un sorriso imbarazzato, quando suo fratello fa un brindisi per lui. E mi perdo a osservarlo ancora una volta, come se fosse la stella più luminosa in una notte scura. Alza il bicchiere nella mia direzione, facendo tintinnare i vetri in un'utopica speranza di normalità.

Fingo un sorriso.

Cosa sto facendo?

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