XXXII. Nessuno può amare uno come me

Kronos

Sapevo, in fondo, che alla fine tutto mi si sarebbe ritorto contro. Nessun essere al mondo simile a me merita amore e la vita non smetterà mai di ricordarmelo.

Non riesco a respirare e ogni volta che provo a dormire è un'agonia. Lo so di aver fatto una promessa, ma adesso non mi importa di niente.

Mi manca mio padre.

E non potrò mai più riabbracciarlo.

Non potrò più sentire il suo profumo.

Non potrò più ricevere le sue carezze, né il suo amore.

Avrei voluto salutarlo.

Io non lo rivedrò più.

Un giorno forse mi dimenticherò il suono della sua voce e della sua risata, ma non voglio farlo. Non posso, non è giusto.

Non gli ho mai detto che gli volevo bene, eppure l'ho sempre pensato.

La realizzazione di non avere mai più l'occasione di rivelargli quanto fosse importante per me mi colpisce come un fiume in piena.

Sto affogando tra le sue correnti, vado giù, andando a sbattere contro ogni roccia e spaccandomi le ossa.

Eppure quel dolore fisico non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello che sento ora.

Mio padre è morto senza sapere quanto lo ammirassi.

Non potrò mai più fargli sapere quanto tenessi a lui.

Dicono che quando perdiamo qualcuno, una parte di noi muore.

E io pensavo di essere già morto dentro, che non ci fosse nient'altro da rompere.

E invece mi sento distrutto in mille pezzi e non ho la forza di raccoglierli per rimettermi insieme.

Io non ce la faccio.

Per una volta non ce la faccio e mio padre non è qui accanto a me, a ricordarmi che invece ne sono capace.

Adonis mi ha convinto a tornare nel piccolo appartamento che abbiamo reclamato come nostro, nella cittadella. Ma non riesco a dormire. Mi rigiro nel letto, sentendo delle fitte all'altezza del petto. Mi gira la testa.

"Saremo sempre soli!" Javier urla contro le pareti della mia testa e le lacrime mi premono agli angoli degli occhi.

"Dobbiamo ucciderli tutti! La devono pagare!" mi guarda dall'angolo della stanza e rabbrividisco. Non riesco a liberarmi ancora di lui, della sua presenza. Urla ogni volta nella mia mente, mi fa male.

E allora i mal di testa iniziano a folgorarmi, lancinanti e violenti, invisibili stilettate dolorose.

«Lasciami stare.» Mi porto le mani alle tempie, massaggiandomi nervoso. Mi manca l'aria e tossisco, cercando di liberare i polmoni. La stanza inizia a restringersi attorno a noi.

Li vedo, stanno scendendo le scale dello scantinato. Mi chiamano. «Javier? Dove sei? Dai, noi ti vogliamo bene, lo sai.»

Erik e Paul mi chiamano. È il loro momento di divertirsi, dovrò solo accontentarli e poi sarò libero.

Ma sono scappato. Io non sono più in quello scantinato, ma loro ci sono. Sempre.

Le loro mani mi sfiorano in ogni istante.

Un sapore acido mi riempie la bocca. Il sudore mi appiccica i capelli sulla fronte. Le pareti mi stanno schiacciando. Ho freddo. Mi guardo le mani: tremano.

Forse morirò e in realtà lo spero. La mia è sempre stata una parvenza di vita, celava una lotta alla sopravvivenza con i fantasmi del passato, più vivi che mai. Il cuore mi galoppa in gola e mi pulsano le tempie.

Voglio alzarmi, ma le gambe sono bloccate. Il mio corpo non reagisce, non si muove, ma il dolore mi sta avvolgendo come un vestito troppo stretto, soffocante.

«Kronos? Kronos? Ehi. Guarda me.» Adonis mi accarezza i capelli e si piazza di fronte a me.

Vorrei mandarlo via. Avere legami mi rende debole e vulnerabile. Tutte le persone che amo muoiono. Mio padre ne è solo l'ennesima dimostrazione. Lui se ne andrà un giorno e farà bene. Non si amano i mostri.

«Guardami, ci sono io e basta. Respira. Respiriamo insieme.» Gonfia il petto e rilascia un grosso fiotto d'aria.

Lo imito più volte, tenendo gli occhi incatenati ai suoi. È la mia ancora di salvezza, adesso. Non riesco a fare altro che aggrapparmici. Una folata di vento mi raggela la pelle, ma sono grato ad Adonis per aver aperto la finestra.

«Un respiro alla volta.» Adonis si stende poi al mio fianco. Mi costringe a poggiare il capo contro il suo petto. Ha il battito un po' accelerato. Lo sento. Mi stringo a lui, lasciandomi cullare dal suo abbraccio.

«Come ti senti ora?» Mi scosta una ciocca di capelli dal volto e mi accarezza la guancia con dolcezza.

Male. Sempre male e andrà solo peggio. «Vuoi- vuoi davvero la risposta?» Mi nascondo contro il suo petto, assaporando il suo profumo, pungente ma dolce.

Lo sento sospirare. «Prova a riposare... so che è difficile ma ci sono io qui ora.»

«Non te ne andrai?» Mi sento un idiota. So già qual è la risposta. Tutti dicono di no, ma tutti se ne vanno. Non riesco nemmeno a recriminarli, insomma. Chi resterebbe accanto a uno come me? Sono un giocattolo rotto già da tempo, il mio posto dovrebbe essere insieme a tutti quegli scarti nella discarica.

Adonis fa un piccolo sorriso. I suoi occhi chiari scintillano nella penombra della stanza come piccole stelle. Ho sempre amato le stelle. Avrei voluto raggiungerle e perdermi con loro, lontano da tutto e tutti. Nessuno avrebbe potuto toccarmi da lassù. E poi erano magiche, ai miei occhi. Così indifferentemente imponenti.

E come col cielo stellato di notte, mi perderei a osservare anche gli occhi di Adonis, analizzando ogni piccola sfumatura.

Mi deposita un bacio tra i capelli. «Non me ne vado. Né ora né mai. Potrai sempre contare su di me. Ti proteggerò sempre, qualsiasi cosa accada.»

Mi stringo a lui, annullando qualsiasi distanza tra i nostri corpi. Socchiudo gli occhi, provando a regolarizzare il respiro. Le sue carezze mi cullano, le sue mani adesso mi salvano. Gli lascerei fare qualsiasi cosa di me, nonostante tutto. Vorrei poterlo sentire senza aver l'esigenza di vomitare ogni volta. Vorrei poter essere solo un po' alla sua altezza. È troppo buono per me.

Non te ne andare.

Anche quando ti mostrerò il mio peggio, tu non scappare.

Ti prego, Adonis.

Al mio risveglio, sono abbastanza sorpreso che Adonis non stia dormendo anche lui.

Mi tiro a sedere e una fitta mi travolge le tempie, così da tanto da farmi strizzare gli occhi per cercare di trattenere il dolore.

«Buongiorno, tesoro. Come ti senti?» Adonis mi studia come se fossi uno strano oggetto.

«Bene.» Mi libero delle coperte e mi inizio a preparare. So che ci sarà la prova di Zeus oggi, a svegliarmi è stato il tonfo di un cannone.

Non ho le forze, sono sincero. Non so come andrà questa prova e ho la sensazione che cercheranno in ogni modo di uccidere anche me. Devo provare a restare lucido, ma mi sembra fin troppo difficile.

Non riesco neanche ad abbottonare una cazzo di camicia, tra l'altro. Le mani mi tremano così tanto che non riesco a inserire i bottoni nelle asole. Digrigno i denti, lasciandomi scappare uno sbuffo rumoroso.

Adonis ridacchia e mi si avvicina. Mi tira a sé, prendendomi per l'orlo della camicia e inizia ad abbottonarmi. «Divertente che per una volta non stia cercando di spogliarti. Non credi, tesoro?»

Mi scappa una risatina roca e sbuffo. Sento la testa pesante, ma lui è la mia luce in fondo al tunnel. «Idiota.»

Adonis mi dà un bacio leggero sulle labbra e mi accarezza il mento. «Andiamo a vincere questa prova.»

Lo seguo fino alla foresta. Non credo che debba fidarsi di me, neanche io lo farei in queste condizioni. Eppure sono egoista, perché non riesco a sopportare l'idea che se ne vada, nonostante tutto. Potrebbe farmi del male in ogni modo e non riuscirei a odiarlo, nemmeno un po'.

Quando arriviamo al centro della foresta, gli altri sono già lì. È una giornata uggiosa, come al solito. La pioggia inizia a battere leggera ma costante sulle nostre teste. Mi piace credere che il cielo stia piangendo con me per la morte di mio padre.

Un uomo avanza nella nostra direzione e scopre un tavolo al centro della foresta. Ci sono cinque boccette diverse tra loro e un'ampolla di vetro con alcuni foglietti all'interno. Aggrotto la fronte, cercando di immaginare la prova.

«Buongiorno, campioni. Sono Elios e oggi vi presenterò i giochi voluti da Zeus e da Athena. Come vedrete davanti a voi ci sono quattro beute e un'altra simile d'aspetto ma non di consistenza.» Allarga le braccia allegro. «Il gioco vi dividerà in quattro cacciatori e una preda. È molto semplice: estrarrò un nome dall'ampolla e il fortunato sarà la preda. Gli altri giocatori dovranno dargli la caccia nel bosco. Tutti voi berrete questo liquido, ma solo i cacciatori verranno drogati, per dare un vantaggio alla preda. Chi riuscirà per primo ad acciuffarla, vincerà la prova. Tutti gli altri cacciatori arriveranno secondi a pari merito e la preda resterà a zero punti. Se non riuscirete ad acciuffarla entro il tempo limite, allora sarà la preda ad avere il massimo dei punti.» Mi lancia un'occhiata divertita e non so come interpretarlo. «È tutto chiaro?»

Annuiamo tutti.

Più vedo Elios più le mani mi sfrigolano. Ho voglia di mandare ad Athena un messaggio. Ucciderò ogni suo collaboratore, guardia, fino ad arrivare a lei. Sarò il suo più grande tormento e incubo. La ucciderò, ma lentamente. Dovrà trascorrere giorni interi in agonia, domandandosi quando sarà lei il mio prossimo obiettivo.

Elios sorride e si avvicina all'ampolla, per sorteggiare i nomi. Scarta il foglietto con tranquillità e sorride appena. Vedo le sue labbra piegarsi all'insù in un movimento quasi impercettibile. Ne ho l'assoluta certezza. Stanno cercando di eliminarmi. «Kronos.»

Me lo aspettavo. Mi muovo verso la sua sinistra e osservo la mia boccetta d'acqua. Anche Adonis fissa i nostri bicchieri. Ha lo sguardo corrugato, ma non parla. Si muove, però, a disagio sui propri piedi, spostando il peso da un piede all'altro. Tutti gli altri si guardano. Vedo che lanciano strane occhiate ad Adonis. Si avvicinano anche loro e beviamo tutti insieme.

Non so perché, alla fine sono loro quelli a dover essere drogati, ma a quanto pare era necessario che facessimo tutti le stesse cose all'inizio del gioco. Predatori e preda sono uguali all'inizio.

Non sono più Javier, non ho più paura. Non riusciranno a catturarmi, non come hanno fatto Paul ed Erik. Interpreterò il ruolo della vittima solo questa volta, ma non mi lascerò prendere. Sono il carnefice, ora.

Annoiato, non appena Elios spara verso l'alto per dar via al gioco, mi avvicino a lui. Con un movimento fulmineo sfilo il pugnale e lo pugnalo alla carotide. Il sangue mi schizza addosso, colpendo anche i presenti. Lui agonizza a terra, provando a tamponare la ferita. Si muove in maniera convulsa, percorso dagli spasmi.

Mi sento potente, quando vedo lo sguardo terrorizzato degli altri. Adonis mi guarda confuso, ma non ho tempo per dare spiegazioni. L'importante è che Athena capisca che ammazzerò tutti quelli a cui tiene o di cui si circonda.

Inizio a correre verso la foresta, approfittando del loro stato di shock. Devo nascondermi. Spingo alcune fronde basse per farmi spazio. Ho il cuore in gola. Non riesco a pensare ad altro se non alla prova.

Mi blocco di colpo. C'è una voragine davanti a me. Devo fare un giro enorme per evitare di finirci dentro. È distorta. Non riesco a vederne il fondo, ma non mi sembra sia rassicurante. Sento dei sussurri provenire dall'interno.

Mi gira la testa. L'aria è violacea. Gli alberi hanno una strana forma. Non ci avevo mai fatto caso prima, si distorcono e aggrovigliano tra loro, con le chiome azzurre a incastrarsi, formando un tappeto di foglie.

Strizzo gli occhi per cercare di mettere a fuoco le immagini.

Provo a tirarmi in piedi, ma la foresta inizia a girare in tondo e cado a terra.

«Dobbiamo andare.» Mio padre mi guarda da un punto lontano. Aggrotto la fronte. È la sua voce, la riconosco. Ma non riesco a vederlo bene in volto.

«Dove?»

Lui si volta e inizia a correre lontano. Rotolo a terra, perdendo l'equilibrio ancora. «No, no! Aspetta-» Gli vado dietro, ma non riesco a tenere il suo passo. Mi scontro più volte con alcuni alberi e inciampo spesso a terra.

C'è qualcosa che non va.

Mi siedo sul terreno e mi lascio cadere, affondando in un letto di foglie viola. Mi ricordano le camicie di Adonis e mi scappa un sorrisetto stupido. Mi accoccolo tra le foglie.

Fisso il cielo rosa e sbuffo. Non credo sia un colore proprio adatto per la mattina. Non è neanche in tema con la prova del torneo.

Sgrano gli occhi.

Il torneo.

La prova.

Mi stanno dando la caccia.

E se avessero drogato me?

Mi tiro a sedere. Sento ancora la voce di mio padre chiamarmi. Rimbomba nella mia testa. Non so di cosa fidarmi. Non ho idea di cosa sia reale e cosa no.

«Kronos, figliolo. Andiamo, dai.» Mi sta chiamando. Ma non ho idea per dove.

Mi sento attratto dal fondo della foresta come se fosse il canto di una Sirena. Mi incammino, seguendola, bisognoso. «Io ti volevo bene-» il mio tono si incrina più di una volta. Mi blocco di colpo, quando mi rendo conto di essere ai confini.

Un altro passo e abbandono il terreno di gioco. Perderei. Il cuore mi schizza in gola.

Ma laggiù c'è casa. C'è mio padre. Mi sta chiamando, sento i suoi sussurri come vento tra le foglie degli alberi distorti.

Mi fanno male la gambe e sospiro. Mi gira la testa.

O è la foresta a girare?

Ho la gola secca.

Ma sento alcuni scricchiolii, poi dei passi in lontananza.

Mi allontano, d'istinto. Inizio ad arrampicarmi su un albero, ma perdo l'equilibrio e cado giù come un frutto maturo. Mi massaggio la schiena. Do un calcio all'aria, frustrato.

Non posso perdere.

Ma non voglio vincere.

Voglio andare a casa.

Voglio mio padre indietro.

Riprovo. Mi tengo saldo al tronco. Prima un piede, poi l'altro. Giusto?

Non ne ho idea.

Forse deve sentirsi così Adonis ogni giorno.

Una cornacchia gialla mi fa sussultare, gracchiandomi contro. Okay, forse non dovrebbe essere gialla, ma vista così non mi intimorisce, anzi. Mi scappa da ridere.

Stringo il mio zaino in spalla e inizio a salire lungo il tronco. Ogni tanto rischio di scivolare, ma ce la faccio. Mi fermo su un ramo abbastanza grosso.

O almeno così mi sembra. Cristo, detesto non potermi fidare della mia mente, proprio ora.

Era l'unica che credevo non mi avrebbe mai tradito.

Sfilo una corda e mi lego con le gambe sul legno, così da non cadere, qualora la foresta tornasse a girare a suo piacimento attorno a me.

«Dove cazzo è andato?» Riconosco la voce di Dedalus. Tiene tra le mani una mazza di legno. Dietro di lui ci sono Teseus e Demeter... e poi Adonis.

«Vi ho già detto che non ha preso questa strada! Siamo ai confini, vi sembra così idiota? Torniamo indietro.» Adonis gesticola nervoso.

Dedalus si avvicina a lui a grandi falcate. Lo agguanta per la camicia e lo strattona.

Ora scendo giù e lo sventro.

«Credi davvero che ci fidiamo di te? Lo sappiamo tutti che ti fai scopare da quello psicopatico.» Lo spinge, lontano.

Adonis carambola a terra. Digrigna i denti, ma si tira in piedi, pulendosi i vestiti. «Sul serio? Va bene, lo ammetto Kronos è davvero sexy, ma chi diavolo vorrebbe stare con uno come lui?»

La tranquillità con cui dice quelle parole mi si abbatte addosso come un macigno. Sento le gambe cedermi e ringrazio di essermi legato, almeno.

Tutti lo guardano confusi, così Adonis rincara la dose. «Ho solo fatto l'alleanza migliore, miei cari. Non starei mai con uno del genere, a meno che non abbia il mio tornaconto. E come avete visto, mi ha fatto vincere la seconda prova come un idiota.» Ghigna divertito.

E in fondo lo sapevo che non avrei mai meritato tutto quell'amore, ma perché mi fa così male? Non posso fidarmi di nessuno, è la verità a cui avrei dovuto essere abituato, invece mi è piaciuto illudermi e crogiolarmi nella speranza che potessi essere felice.

I mostri come me non meritano la felicità. Esserlo è una scelta e io non posso permettermelo. Non ne sarò mai all'altezza. Sono già abbastanza marcio per poter ricevere amore. Non ne sono meritevole. La mia anima corrotta non è adatta a un sentimento tale. È giusto così.

Adonis inclina il capo di lato. «Quindi siamo d'accordo ora? Ve l'ho detto, eliminarlo è la migliore soluzione. È andato dall'altra parte, io l'ho visto!» Scrolla le spalle. «Avete intenzione di seguirmi o vogliamo vincere questa prova?»

Mi odio per non riuscire ad avercela con lui. Alla fine non posso biasimarlo. Davvero mi ero illuso di valere qualcosa per qualcuno?

Sono un giocattolo rotto, presto o tardi tutti se ne rendono conto e tornano a buttarmi.

E Adonis ha fatto lo stesso.

Mi ha usato.

Anche lui.

E forse non riesco a dargli torto. Cos'avrebbe mai potuto volere da me?

Per quanto fosse sbagliato tutto quello che stavo provando, volevo aggrapparmici.

Ma alla fine, tutti vanno via.

E resto solo.

Dimenticabile e mostruoso.

Gli altri si guardano tra loro. Dedalus annuisce e si incammina, in avanti. Dà uno spintone ad Adonis, ma lo guarda in cagnesco, come se volesse ammazzarlo. «Se non vinciamo questa prova, verrò a spaccarti le ossa una ad una.»

Adonis sogghigna e gli indica la strada in avanti. «Dopo di voi, cari.»

Aspetta prima di mettersi alle loro spalle.

Alza lo sguardo verso gli alberi, verso di me. Mi sorride appena e si porta un dito alle labbra, intimandomi di stare in silenzio.

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