XXX. Non posso proteggere tutti per sempre
Uranus
Ho sempre saputo che, in fondo, non avrei mai potuto proteggere tutti.
Eppure, mi sentivo al sicuro, coi miei amici, la mia famiglia.
Adesso perdere quasi tutti, all'improvviso, mi lascia senza fiato.
Non riesco a metabolizzare l'idea che Artemis e Hades non siano più qui.
E come diavolo è possibile?
Mi sento vuoto.
Sento che qualcosa mi manca, è come avere un buco nero nell'anima e non poter rattoppare il dolore.
Devo restare qui, a pensare che prima o poi ci rivedremo.
Mi mancano.
Mi mancano come l'aria.
Ho bisogno di loro, di averli ancora qui con me. Non ero pronto a restare solo.
Sono stato uno stupido, quando morì mia moglie, a credere che il mio cuore non si sarebbe più risanato.
I miei amici hanno curato le mie ferite, il mio dolore. Si sono imposti nella mia vita, senza neanche che lo chiedessi.
Anzi, all'inizio non volevo nessuno attorno a me. Avevo i miei figli e mi bastavano. Dovevo proteggerli perché nessun altro li avrebbe amati incondizionatamente.
E invece quei due idioti si erano scavati un posto nella nostra famiglia, con pazienza, rosicchiando ogni piccolo gesto di fiducia e conservandolo con cura, aspettando il successivo.
Avevo sempre avvertito Hades di essere troppo buono.
Né io né Artemis trovavamo Hephestus un amico sincero.
E poi ho dovuto sopportare anche il suo corpo ricoperto di sangue.
Non dormo da settimane. Già dalla morte di Artemis era difficile, ma ora mi è praticamente impossibile.
Mi risveglio ancora una volta completamente sudato nel letto. Ho bisogno d'aria. Mi sembra che mi abbiano squarciato il petto, strizzato e tritato il cuore e poi rimesso al suo posto, con la pretesa che torni a funzionare bene come prima.
Mi passo una mano tra i capelli, poi sul collo, appiccicaticcio di sudore.
«Pa', tutto okay?» Hyperion mi fissa dal divano di fronte al mio letto. Non ho idea da quanto stia dormendo lì, ma sembra essersi preso la briga di controllare tutti.
Ho notato come segue Rhea in ogni spostamento. Fa lo stesso anche con Iapetus, che negli ultimi giorni non fa altro che lamentarsi di sentirsi pedinato e senza alcun tipo di libertà. Hyperion lo ignora, continua a stargli dietro come una zecca.
E in fondo apprezzo il suo aiuto.
Sembra che all'improvviso abbia deciso di lasciar perdere il divertimento, le feste e il gioco d'azzardo.
Senza Kronos deve prendersi cura di tutti noi.
Quasi non gli interessa che sono suo padre e a occuparmene dovrei essere io.
«Cosa ci fai qui?» Scalcio le coperte e poi do un paio di pacche sul materasso, invitandolo a raggiungermi.
Hyperion mi guarda confuso. Poi, mordicchiandosi il labbro, si siede sul letto al mio fianco.
«Controllo sia tutto okay. Giro un po' tra le stanze.»
«Tesoro.» Lo tiro a me in un abbraccio. Lo sento sospirare contro il mio petto, rilassando i muscoli in tensione. Gli accarezzo i capelli scuri, affondando le dita tra le ciocche.
«Kronos ti avrebbe tranciato le mani solo per questo.» Mi fa notare.
Mi scappa una risata e annuisco. «Hai ragione.» Mi allontano un po' e inclino il capo, per osservarlo meglio. Ha un paio di occhiaie violacee a contornargli lo sguardo stanco. Da quanto tempo ha smesso di dormire?
Forse dall'inizio del torneo?
«Devi riposare. Come credi di riuscire ad andare avanti, così?»
Hyperion si stringe nelle spalle. «Voglio esserti d'aiuto, ora che Kronos non c'è. Certo, se la sta cavando alla grande, anche senza alcun aiuto, ma voglio comunque che qui sia tutto okay.» Si gratta le mani. «Ho paura che, se scoprisse che qualcosa non va, non esiterebbe un momento a rinunciare al torneo.»
Non posso dargli torto. Le stesse paure mi attanagliano ogni giorno. «Andrà tutto bene. Perché non ti riposi un po'? Faccio io il giro delle stanze.»
Hyperion si lascia sfuggire uno sbadiglio. Poi mi osserva con sguardo colpevole. «Sei sicuro? Tanto non sono stanco-»
Mi tiro giù dal letto, lasciando che si stenda, spalmandosi su tutto il materasso, comunque abbastanza grande da poter ospitare entrambi. Gli poso un bacio sulla fronte. «Andrà tutto bene. Buonanotte.»
«Notte. Svegliami per qualsiasi cosa. Capito?» Lui mi afferra la mano, prima che me ne vada. Annuisco.
Mi allontano e mi richiudo la porta della camera alle spalle.
Ho sempre amato la notte. Credo che abbracci ognuno di noi come dei figli che ha perso da tempo e vuole tenere più stretti a sé. Le ombre fanno parte di noi Hell. Amiamo viverci e siamo eredi della sua sofferenza, nascondendo il nostro dolore nella sua coltre scura.
Spingo appena in avanti la porta della camera di Iapetus e non riesco a trattenere un sorriso. Se ne sta spaparanzato sul letto. Una gamba ondeggia nel vuoto e dorme con la bocca aperta, russando appena, mentre alcuni lenzuoli sono attorcigliati attorno al corpo. Mi chiedo come faccia a non svegliarsi mai con un mal di schiena o dolori diffusi.
Anzi, com'è possibile che riesca a dormire in quella posizione? Non gli fanno male, che so, tutte le ossa?
Non ho idea da chi abbia preso. Sua madre era allegra, certo, ma non così quanto lui. Iapetus è il mio piccolo raggio di sole. Quando ho completato il labirinto, disperato, è venuto da me a chiedermi perché ci fossero due strade come soluzioni, il cui percorso formava le iniziali di Kronos e Hyperion.
«Non è giusto... forse a me vuoi meno bene?»
Gli accarezzai i capelli e sorrisi buono. «No, tesoro. Le loro lettere sono unite da una siepe completamente verticale, che forma una I. Tu sei il loro collante.»
Vederlo emozionato mi ha stretto il cuore. Rhea è da sempre la principessa di casa, non lo posso negare. E anche i fratelli la trattano come se fosse il diamante più prezioso. Certo, Hyperion ama discuterci, ma è perché è un provocatore.
Iapetus, forse, si è sempre sentito la loro ombra. E voglio che sappia sempre che la sua allegria, i suoi sorrisi, illuminano le mie giornate.
Vorrei conservarli in un portagioie, così da tirarli fuori quando ne sento l'esigenza.
Kronos ha ragione. Non è uno di noi. È speciale e merita una seconda possibilità.
Non sarà mai un reietto.
Faccio scivolare appena in avanti la porta della camera di Rhea. Ne fisso il profilo, così terribilmente simile a sua madre, con quei capelli rossicci e ondulati. Lei è il mio orgoglio.
Con una sigaretta penzolante tra le labbra, esco dalla Villa, muovendomi verso il giardino sul retro. Il labirinto si estende davanti a noi. Kronos dice che lo useremo come prova per testare i nostri futuri campioni.
Mi piace la sua idea.
Eppure ho timore che cerchi di perdersi da solo nel Labirinto, per sfuggire a quello che abita nella sua testa. Proprio per questo ho deciso di demolire l'Arena.
Non gli permetterò ancora di farsi così tanto male. Non dopo aver rischiato di perderlo nello scontro con Zeus.
Esalo un respiro profondo. Quando avremo un po' di pace, noi Hell?
Alzo lo sguardo verso il cielo, verso la Luna. Vorrei chiederlo a lei, silenziosa spettatrice delle nostre notti solitarie.
«Mi mancate.» Mormoro con un filo di voce. So che da qualche parte mi stanno guardando e si prendono gioco di me.
Magari Hades ha portato qualche bottiglia di vino, ovunque sia, e se la sta ridendo perché mi comporto come un cucciolo abbandonato, così come direbbe lui.
E poi sicuramente Artemis lo prenderebbe in giro, ricordandogli di lasciarmi stare.
«Fanculo.» Sospiro piano, asciugando le lacrime.
Una sferzata di vento mi fa sussultare. Rabbrividisco dal freddo e mi stringo nella giacca calda.
Qualcosa non va.
Sento il rumore di alcuni passi in vicinanza.
Chi valicherebbe il nostro cancello con la certezza di morire?
Sfilo il pugnale dalla tasca interna della giacca e lo punto in avanti.
Medea mi corre incontro. Sanguinante.
È ricoperta di sangue. Si tiene una ferita allo stomaco.
Mi avvicino a lei.
Non anche lei. Non lei. Non ora.
Si accascia tra le mie braccia, ansimando. È pallida, così tanto che mi sembra di rivivere la stessa immagine.
Lo stesso incubo che mi tormenta da giorni. Rivedo il corpo di Hades perdere i sensi a terra. Lo raccolgo tra le mie braccia. Lo imploro di non morire, di non chiudere gli occhi. Ma ormai sono semichiusi e mi regala un ultimo sorriso malinconico. Mi dice di non preoccuparmi, che forse così ritroverà almeno la giustizia nella morte, perché nella vita non l'ha mai avuta.
«Ehi. Ehi, guardami.» Accarezzo i capelli chiari di Medea, sperando di poterla stringere a me ancora per così tanto tempo. «Che cazzo succede? Chi è stato?»
Lei singhiozza piano, toccandosi lo stomaco lacerato. Trema e la abbraccio. «Chiamo qualc-» Lei mi tira la giacca e scuote il capo.
«Volevo-volevo venire da te.» Tossisce dolorante. Socchiude gli occhi, mentre le accarezzo la guancia. «Mi hanno inseguit-» un singhiozzo le strozza la voce.
«Non te ne andare.» Poso la fronte contro la sua. «Non anche tu, ti prego.» Le bacio la fronte. «Ho bisogno ancora di te. Noi abbiamo bisogno.»
Lei fa un sorriso dolce. Uno dei suoi. Uno di quelli che mi hanno fatto riscoprire di poter provare ancora qualcosa di così forte. Alzo lo sguardo di fronte a me. Se vedo quei bastardi li ammazzo con le mie mani, ma sono così codardi da non essersi spinti fin qui.
Li troverò tutti e li ucciderò. Medea allunga la mano sulla mia guancia, costringendomi a fissarla. Non riesco a sopportare di perderla tra le mie braccia, impotente, ma la ferita è profonda. Troppo. E lei è agonizzante. Voglio solo restarle accanto tutto il tempo di cui ha bisogno.
Non voglio se ne vada.
Non voglio.
«Dimmi qualcosa di bello.»
Mi scappa un singhiozzo. Sento una lacrima salata bagnarmi le labbra e mi mordo l'interno guancia. «Ci siamo noi in spiaggia. I ragazzi anche. Stanno facendo un bagno e sono felici.» Le sposto una ciocca di capelli dal volto, come ho sempre fatto. I suoi occhi scuri mi guardano con amore, devozione. Non so quanto male Zeus le abbia fatto, ma ho sempre cercato di strapparglielo via in ogni modo possibile.
«E poi sei libera, amore mio. Puoi fare quello che vuoi e nessuno penserà tu sia strana o pazza.» Le accarezzo delicatamente il viso.
Medea annuisce e guarda il cielo stellato. Poi mi fissa un'ultima volta. «Ti ho amato. Ti amo e ti amerò in un'altra vita ancora, va bene?»
La aspetterei anche per cento anni se fosse necessario. «Va bene.» La stringo a me forte, mentre si affloscia tra le mie braccia.
Lo so che Athena ha ordinato a quei bastardi di ucciderla e farle del male. So che tutto ciò che le è successo è a causa sua.
Ma forse anche mia.
«Mi dispiace.» Mormoro tra le lacrime, singhiozzando di nuovo come un bambino. L'ennesimo pezzo della mia anima si è dissolto, come polvere al vento, e non tornerà indietro.
La cullo per qualche momento che mi sembra infinito.
«È tutta colpa mia, amore mio. Perdonami.» Poso le labbra sulle sue per diversi secondi. Poi torno a fissarla. «M-mi dispiace-»
Man mano che restiamo così abbracciati sotto le stelle, mi rendo conto che le lacrime non smettono di scalfirmi le guance. Non so quanto ho pianto così l'ultima volta, ma sento di star perdendo tutto me stesso.
Ogni minuto che passa, la vista mi si annebbia sempre di più.
Il respiro si fa pesante.
Mi manca il fiato e sento la gola andare a fuoco. Perdo la presa sul corpo di Medea, provando a portare le mani al collo per respirare. Cerco di gridare, ma la voce resta prigioniera in gola.
Mi distendo a terra, sperando che questo dolore finisca presto.
Fisso la Luna.
Forse sto morendo.
Forse è giusto così.
Ma chi penserà ai miei ragazzi? Provo a tirarmi in piedi, ma scivolo di nuovo a terra, con uno spasmo.
Dicono che negli ultimi istanti si ripercorra tutta la propria vita. Forse è così. Io vedo solo i miei figli.
E vorrei tanto poter dire un'ultima volta a Kronos che non è colpa sua.
🫀🫀🫀
Angolino
Allora chiedo venia per la brevità.
Chi ha letto SoF sapeva che saremmo arrivati a questo punto.
Spero che la storia vi stia piacendo. Ho un po' di paranoie.
Vi ringrazio per esserci, nonostante siate i miei quattro gattini, il vostro amore è impagabile 🫀
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