XXI. Cadranno tutti
Athena
Mio padre sottovaluta i problemi. Non riesco a concepire come possa ignorare che ancora una volta Uranus abbia la vittoria in tasca, grazie alla sua ridicola alleanza.
Ho appena concluso una giornata di test in laboratorio. Il mio quoziente intellettivo è alto, ma non quanto si sarebbero aspettati i miei nonni da quell'unione combinata tra Zeus e Medea.
Mi libero dei cavi appiccicati alla fronte e sbuffo.
Frustrata.
Ecco come mi sento. Non sono mai abbastanza all'altezza, eppure sono sicura che potrei gestire meglio questo torneo.
Vedo oltre.
Mio padre non ne è capace. Per distruggere Uranus e vincere il torneo, bisogna sradicare le radici.
E le sue radici hanno nomi: Hades e Artemis.
Mi guardo intorno. Mi piace trascorrere il tempo qui, nel laboratorio. Tutte le voci dei nostri collaboratori sono lontane, gli infermieri mi lasciano sola mentre cerco ogni giorno di perfezionarmi. Le pareti bianche, il lucido pavimento del medesimo colore mi rilassano. A interrompere quella semplicità monocromatica c'è solo qualche bip dei macchinari, rumore che si disperde nel vuoto.
Ticchetto con la matita sulla scrivania, immersa nei pensieri. Posso avere la soluzione. Se Zeus mi ascoltasse... forse dovrei parlarne con Medea.
Non provo nessun sentimento nei loro confronti, siamo come macchine, non ci interessa di altro. Nutro profonda stima per Zeus; lo trovo un uomo intelligente e attento. Non concepisco come Medea sia così emotiva rispetto a noi. A volte credo che il suo quoziente intellettivo sia una farsa, è impossibile che sia una di noi.
Poi mi ricordo dell'esistenza di Kronos Hell. Come può un essere venuto dal nulla, senza nessun aiuto o formazione, essere così brillante? Non riesco a sopportarlo. È sempre un passo avanti a tutti noi. Stringo così forte la matita da spezzarla.
Non lo sopporto.
Non gli permetterò di vincere il torneo.
Gli porterò via ogni cosa.
Mi schizza il cuore in gola, quando sento la porta della stanza del laboratorio aprirsi. Zeus fa il suo ingresso e mi osserva con i suoi occhi glaciali. Non credo di aver mai visto nessun tipo di sentimento nel suo sguardo, forse solo tanta rabbia, come quando Kronos gli ha tagliato l'indice.
Affonda le mani nelle tasche e mi si avvicina. «I test di oggi?»
Si avvicina a uno schermo e inizia a digitare il mio nome sulla tastiera. Storce poi il naso. «Nella media, come ieri.»
E come una settimana fa.
Come il mese prima.
Come tutti gli anni precedenti. Piccoli miglioramenti.
Nella media.
«Sono stanca, Zeus. Vado via.» Mi tiro in piedi. Ho provato a parlare a Zeus della mia idea, ma non mi ha mai permesso di parlare troppo. Per lui sono ancora troppo piccola per poter sedere al tavolo dei consoli, per potergli offrire i miei suggerimenti.
Ma so di aver ragione, non mi fermerò per questo. Lascio in fretta il laboratorio. Non ho alcuna intenzione di tornare a casa, non subito per lo meno.
Ormai è quasi sera e il sole inizia a tramontare, lasciandosi ingurgitare dalle montagne della Grande Città. A volte mi manca quel posto, ma alla fine questa è casa mia.
Il Laboratorio e le nostre analisi sono ciò a cui sono più devota.
Qui marciscono i peggiori criminali. Tramandano i loro geni malati nei figli e l'unica cosa in cui possono essere utili è fornire i loro corpi per le nostre ricerche. Non sono nient'altro che scarti.
Feccia.
E c'è un motivo se la Grande Città, nonostante tutto, crede nel nostro distretto. Collaboriamo e forniamo loro informazioni, miglioriamo il loro standard di vita. Meritiamo di governare la città dei reietti e questo torneo è la nostra occasione.
Mio padre deve lasciarmi il trono. E se non ha intenzione di ascoltarmi, dovrà arrendersi davanti al fatto compiuto. Manderò in frantumi la supremazia di Uranus e del distretto Cenere.
Così potrò fermarmi a osservare le loro macerie, come polvere al vento.
Col tramonto alle spalle che avvolge l'orizzonte, mi dirigo verso la spiaggia. Mirah mi sta aspettando. Il calar del sole crea uno spettacolo di luce e ombra che dipinge il cielo con pennellate dorate e arancioni, Le nuvole si tingono di sfumature calde, danzando con grazia mentre il sole si ritira dietro l'orizzonte.
Per una volta le nuvole non ingurgitano il cielo, nascondendo ogni sorta di luce.
L'atmosfera si raccoglie, un sussurro di serenità si diffonde nell'aria, come se il mondo intero trattenesse il respiro per ammirare questo spettacolo fugace. Nel silenzio, si avverte una magia sospesa, un senso di meraviglia e contemplazione che si fonde con l'animo di chi osserva. In quel momento, tutto sembra possibile, e si resta incantati dalla bellezza eterea del tramonto, un'opera d'arte creata dal cosmo per regalarci un attimo di pura poesia. Un attimo di speranza, anche per quelli come noi.
La brezza marina si fa sempre più vicina, man mano che i miei piedi affondano nella sabbia. Il vento mi accarezza i capelli e l'odore del sale è pregnante. Lancio un'occhiata distaccata al mare. Ho sempre trovato quella distesa infinita quasi fastidiosa. Non c'è razionalità, solo puro caos. Un capriccioso pericolo all'orizzonte.
Mi avvicino alla baita di Mirah, bussando contro la porta di legno. La donna cieca viene ad aprirmi, accogliendomi con un sorrisetto buono a incresparle le labbra e il solito sguardo cieco che punta dritto su di me. «Athena, prego. Siamo già tutti qui ora.»
Mi fa accomodare. Mi guardo intorno nel piccolo salotto, attraversando una tendina fatta di conchiglie. Il tintinnio mi risveglia i sensi e mi ritrovo a sorridere quasi senza accorgermene.
Avanzo nel salotto e stringo la mano ad Hephestus.Lui sembra felice di vedermi. So bene quali punti sfruttare. Ho capito fin dall'inizio che Hephestus aspirasse a qualcosa di più. Riconosco le persone ambiziose quanto me, come fossimo collegate. Posso solo immaginare quanto il ruolo di braccio destro di Hades gli vada stretto, dopo tutto questo tempo.
A volte l'amicizia non basta, anzi.
Se il risentimento cresce, l'amicizia sparisce.
«Sono felice di vedervi qui. Ho delle proposte allettanti e so che tutti state aspettando il vostro momento, credetemi.» Mi accomodo su una poltrona, accettando di buon grado il the caldo che Mirah mi porge.
Hephestus mi osserva. È un uomo adulto. I suoi occhi scuri mi scrutano con attenzione, bramosi di sapere quale sia il piano. «E cos'hai intenzione di proporci, allora?»
Mi sistemo i capelli neri in uno chignon alto. «So bene che l'alleanza di Uranus abbia stancato tutti. Per questo voglio il vostro aiuto. Se collaboreremo, potremmo rovesciare questo pseudo governo e manovrare il torneo e i futuri come vorremo.»
Mirah sospira stanca. Sorseggia la bevanda calda e si accuccia sulla propria sedia a dondolo. Non ho mai capito perché anche gli anziani e i malati siano qui. Capisco che la grande città li trovi inutili, però. Sono lenti. Fastidiosi. Pedine sacrificabili. «Qual è la tua soluzione, allora?»
Aggrotto la fronte. So bene che anche loro ragionano come me. Quando vivi in un mondo di criminali, impari a pensare come loro. Siamo tutti cacciatori in questo posto. E io voglio la testa di Kronos Hell tra le mie mani.
E l'unico modo per farlo è eliminare la sua patetica alleanza dai giochi.
«Ucciderli. Ucciderli tutti.»
Mi scambio un'occhiata con Hephestus che annuisce. Si passa una mano tra la barba grigiastra e fissa un punto indefinito davanti a sé.
«Tu devi solo essere dalla nostra parte in questa alleanza.» Accarezza la mano di Mirah, che sembra essersi irrigidita. «Non dovrai uccidere nessuno. Penseremo noi a tutto. Io ucciderò Hades, quando sarà il momento.»
Annuisco. «Falsificherò la scrittura di Uranus, so come fare. Invierò una lettera ad Artemis, chiedendole di incontrarsi nel loro solito posto nel bosco. Ad attenderla ci sarà un'imboscata.» Mi avvicino alla scacchiera sul tavolino di vimini. Prendo la pedina della regina e butto a terra il cavallo. «Fuori il primo, passeremo all'alfiere e arriveremo al re.»
🫀🫀🫀
So che è un piano difficile, ma possiamo riuscirci.
Mi incammino verso la Villa, ripensando al nostro incontro.
Inizio a sentire l'ebbrezza della vittoria. Mi scalda il cuore, rinvigorendomi i muscoli.
Una volta arrivata, la casa è silenziosa. Storco il naso. Zeus dev'essere ancora rintanato in laboratorio. Ormai è anche piuttosto tardi.
Ho cenato con i miei due nuovi alleati ed Hephestus ha stappato una bottiglia di vino, portata appositamente per l'occasione.
Sistemo il cappotto sull'attaccapanni e salgo le scale di marmo. Vorrei sapere cosa sta facendo Medea, è tutto il giorno che non ci vediamo, mi piacerebbe sapere come anche oggi ha deciso di sprecare la propria intelligenza. Non riesco a capirla. Ha un quoziente intellettivo anche più alto di quello di Zeus, eppure sembra essersi completamente disinteressata ai nostri progetti.
Mi guardo intorno. In salotto non l'ho incrociata e immagino sia in camera.
Mentre mi muovo tra i corridoi, sento delle voci provenire dalla sua stanza, appunto. Mi sfilo le scarpe e cammino silenziosamente fino al bagno attiguo. Apro appena la porta per poter osservare meglio la scena e mi acquatto così da non farmi notare. Ho una visuale abbastanza buona della stanza.
Medea è affacciata alla finestra. I capelli biondi le ricadono sulle spalle e scuote il capo, senza riuscire a nascondere un sorriso.
«Mi spieghi che ci fai qui? È pericoloso.»
Uranus scavalca il balcone ed entra in camera. Si sistema i pantaloni, colpendoli con un paio di schiaffetti, liberandosi della polvere. Si sistema la cravatta e ghigna: i baffi si storcono appena, insieme alle sue labbra, increspate da un sorriso. «Volevo farti una sorpresa.» Le posa un bacio sulla guancia e si guarda intorno. Si lascia cadere sul letto e ho una visuale perfetta. Le afferra la mano e la trascina verso di sé.
«Dovevamo vederci domani. Non potevi aspettare?»
«Non riuscivo ad aspettare. Mi mancavi. Ma ora eccomi qui, a recuperare questi piccoli istanti insieme.» Lui le ammicca, sfiorandole la guancia con delicatezza.
Medea se ne sta in piedi, tra le sue gambe, e gli accarezza i capelli. «È pericoloso, lo sai. Se Zeus-»
«Se Zeus ha problemi, allora gli staccherò il resto delle dita che si ritrova.» Uranus le bacia la mano e la tira a sedere accanto a sé. «Lo uccideremo. Ti ho promesso la libertà, Medea. E intendo onorare la mia promessa e portarti via da questo posto di merda.»
«E credi che i tuoi figli mi accetteranno? Vorranno mai un sostituto della loro madre?» Medea sospira piano e socchiude gli occhi. «E poi c'è Athena... anche se non mi vede come tale, resto sua madre. Le voglio bene, non la lascerò sola. Non con lui. Continua a non starle vicin-»
Uranus le afferra il mento, costringendola a guardarlo. Le accarezza la guancia con il pollice. «Medea, io ti amo. I miei figli ti adoreranno e, se proprio vuoi, porteremo Athena con noi. Le insegneremo cos'è una famiglia.»
Mi paralizzo.
Non immaginavo che Medea avesse una sorta di relazione con Uranus. Non avevo idea che stesse tramando contro Zeus e me.
Contro la nostra storia.
Contro la nostra tradizione.
Contro la scienza.
Assottiglio lo sguardo e stringo così forte i pugni da accorgermene solo quando sento i palmi bruciare.
«Ti uccideranno.» Medea si tira in piedi e lo costringe a fare lo stesso. «Devi andartene. Athena e Zeus potrebbero essere qui a momenti e non vorrei che ti succeda qualcosa.»
Uranus si guarda intorno e sghignazza. «Dovrebbero avere loro paura di me, tesoro mio.» Le dà un bacio sulle labbra. Quando Medea ricambia il bacio, fa scivolare le mani sui suoi fianchi e la tira a sé. Lei ridacchia, mentre Uranus le lascia una scia di baci sul collo, solleticandole la pelle. Medea si stacca e scuote il capo, nascondendo un sorrisetto. «Ci vediamo domani. Ora vai.»
Uranus annuisce e si mette a cavalcioni dalla finestra, prima di tirarsi giù.
Mi ritiro come scottata. Mi massaggio il petto con nervosismo. Mi tremano le mani. Non riesco a credere che Medea sia una sporca traditrice. Si è lasciata inquinare dalla città dei reietti.
Stringo i pugni.
Non merita di stare tra noi. Credevo che fosse più intelligente, che la sua sensibilità nei miei confronti fosse solo una stupida forma di ricerca di empatia, uno studio di emozioni.
Non mi interessa.
Resta una persona fin troppo debole.
E i deboli in questa famiglia non possono esserci. Le cavie deboli sono le prime a morire.
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