XVIII. Nella vita ci sono cacciatori e prede

Kronos

Ho imparato a mie spese che nella vita esistono due tipi di persone: i cacciatori e le prede. Al contrario di ciò che crede la natura, però, sono fermamente convinto che si possa passare da un mondo all'altro e io ne sono la chiara dimostrazione.

Quando ero piccolo, il mondo mi affascinava, mi incuriosiva e avrei trascorso ore a chiedermi il perché delle più semplici cose. Javier si sarebbe chiesto anche se era necessario soffrire così tanto lungo il percorso, ma, a quanto pare, chiunque governasse l'universo si era dimenticato di lui. Si era dimenticato di noi da molto tempo.

Non so in quale categoria sono stato stipato alla nascita, ma so per certo che a un certo punto mi sono ritrovato a vivere come una preda. Inchiodato in un mondo che non mi apparteneva, ero costretto a inginocchiarmi quasi ogni giorno ai loro piedi, accontentando ogni singola richiesta. Non importava se stessi male, se avessi la febbre o volessi vomitare così forte da dimenticare anche quale fosse il mio nome.

Ero una preda.

Ero la loro preda e dovevo sottostare a quella brutale legge dell'uomo.

Uccidere è stata la mia forma di sopravvivenza. Il mio impulso da cacciatore ha preso il sopravvento e ha divorato quella stupida preda spaventata come un agnellino.

Non mi pento delle scelte prese, sono il frutto del Male. Una volta avrei detto che ero il bambino scappato dal Male, ma la verità, a conti fatti, è che gli ho permesso di corrodermi.

Ancora oggi devo dimostrare a Javier quanto sangue posso versare. Devo mantenere il mio status quo da cacciatore, non posso permettermi di regredire di nuovo.

Ogni giorno vorrei solo metter fine a quell'agonia che mi sta prosciugando lentamente, distruggendo con una calma esasperante tutto ciò che resta della mia anima.

Combatto nell'Arena per assaporare ancora quelle sensazioni. Più mi sembra di essere sul punto di cedere, più ritorno a respirare.

Lo scontro è stato violento. Ero circondato, quasi come un animale in trappola, ma i miei sensi erano stati in allerta per tutto il tempo. Certo, ero in netta inferiorità ma non ne ero spaventato, tutt'altro. Ero eccitato all'idea di potermi imporre come un leone sulle loro carcasse.

Ne sono uscito dolorante, sanguinante, ma loro stavano decisamente peggio. Peccato quasi che non possano parlare per dare una conferma alle mie parole.

Ho strangolato a mani nude il primo.

Poi pugnalato diciotto volte, a intervalli di tre, il secondo.

Col terzo non sono stato altrettanto gentile. Ero stanco, i loro colpi avevano iniziato a indebolirmi. Il sangue ormai mi sporcava i capelli e tutti i vestiti, insieme alla ghiaia dell'Arena. L'ho pugnalato alla giugulare. Con un taglio netto e attento gli ho sventrato la pancia, sotto le urla divertite degli spettatori. Gli stessi spettatori che all'inizio dello scontro inneggiavano alla mia morte sputandomi addosso.

Ho abbandonato l'Arena zoppicante. Una ferita allo stomaco mi stava quasi condannando, ma sono riuscito a impedire a uno dei miei avversari di affondare completamente la lama. Si rimarginerà, ma fa male.

Mi mantengo la pancia, mentre mi incammino lungo i corridoi per raggiungere gli spogliatoi.

Non c'è una parte di me che non brucia in questo momento. Spingo in avanti la porta e mi accascio a terra. Gattono stanco verso la parete e mi appoggio a essa, spalmando la schiena contro il freddo muro. Socchiudo gli occhi e prendo grossi respiri, cercando di ignorare le stilettate al fianco.

Sento dei passi fin troppo familiari e le labbra mi si piegano all'insù senza che nemmeno me ne renda conto.

Adonis entra a grandi falcate e mi guarda torvo. I suoi occhi blu saettano immediatamente su di me, attratti come un metallo da una calamita. «Sei un pazzo idiota!» Mi si inginocchia accanto.

Socchiudo gli occhi, nel frattempo che il suo profumo mi inonda le narici, fino a invadere la mia mente e farmi credere che forse potrei avere un po' di pace anche da vivo, almeno fino a che resta al mio fianco. Perché quando non è qui con me, il mio mondo torna a essere grigio e nuvoloso. «Non sono pazzo...» storco il naso, forse solo un po', «e l'idiota qui sei tu.»

Emette uno sbuffo frustrato. «Beh, io non accetto uno scontro con tre psicopatici per il puro gusto di testare la mia mortalità.» Il suo tono è un tantino nervoso, ma non ne capisco il motivo. Io e lui non siamo niente, nemmeno amici. Anzi mi chiedo perché non sia in giro a ficcare la lingua in gola a quella stupida biondina di cui non ricordo il nome, né è nel mio interesse cercare di recuperarlo dalla memoria.

«Mi sembra di essere vivo e stare bene, non vedi anche tu?» alzo appena lo sguardo su di lui.

Adonis scuote il capo e si avvicina ancora di più a me, dopo aver preso un kit di primo soccorso da uno degli armadietti. Si siede al mio fianco e mi prende una mano; le nocche sono completamente sporche di sangue incrostato. Inizia a pulirle col disinfettante e un sibilo di dolore mi sfugge dalla gola.

«Sul serio? Ti stai davvero lamentando del disinfettante?»

Lo guardo torvo. «Non sono un esperto, ma credo che se vuoi farmi da infermiere, ti converrà stare zitto.»

Un sorrisetto sfrontato gli increspa le labbra. «Vuoi che mi vesta da infermiere per te questa sera? Non sapevo avessi gusti così strani.»

Gli darei volentieri una testata sul naso. Lo agguanto per quella ridicola camicia gialla e lo avvicino a me a muso duro, facendo scontrare le nostre fronti. «Smettila di fare l'idiota», lo mollo con rabbia, «e questi giochini del cazzo riservateli per Sabrina.»

«Sybilla.»

«Sì, lei.»

Lo sento ridacchiare sommessamente, mentre si prende cura delle mie ferite. Fisso le sue mani accarezzare le mie, la nostra pelle che si sfiora senza farsi male. Una strana sensazione di bruciore mi avvolge lo stomaco. Non riesco a parlare, un nodo mi attorciglia la gola. Vorrei soltanto che restasse qui con me ancora un po' perché i pensieri sembrano smettere di braccarmi.

«Lo sai? Credo che un giorno ti farai ammazzare.» Adonis mi sta curando le nocche sporche di sangue.

Storco il naso e lo guardo di sottecchi. Spesso mi perdo a fissare i suoi occhi chiari e profondi come le acque dell'oceano. Mi sembrano sempre simili a un mare pericoloso, dove il fondo non si vede ma che affronterei comunque, come un folle marinaio.

I miei, invece, sono neri, come le macchie di liquame che potrebbero inquinare quel mare. Sono soli, malinconici e devastati come buchi neri.

Quando ero in Arena, ho visto Adonis tra gli spalti. L'idea che fosse lì, che sia presente a ogni mio scontro, mi lascia una strana sensazione. Cerco spesso il suo sguardo nel pubblico, ma spero sempre che nessuno se ne accorga, soprattutto lui. Prendo un grosso respiro, tossendo poi. «E tu farai da spettatore come oggi?»

«Non mi piacerebbe vederti morire, in verità.» Adonis mi posa un bacio leggero sulla guancia, ma le sue labbra bruciano sulla mia pelle. Cerco di mandare giù un conato che mi risale su per la gola. Non sono con loro, Erik e Paul sono un ricordo lontano e le loro mani, i loro sospiri, non mi stanno circondando.

«Io credo che ci uccideremo da soli, Adonis. Quando morirò io, morirai con me.» Sorrido appena. Non riesco a immaginare, in verità, una fine diversa per entrambi.

Adonis mi sistema la benda e sospira frustrato. «Perché dovresti morire tu per primo?»

«Perché mi detestano tutti.»

E questo credo sia un dato di fatto. Da quando sono qui sento i sussurri delle persone. Mi chiamano mostro, anche demone. Il loro odio non mi fa male, non più. Ma ogni giorno so che c'è qualcuno disposto ad affrontarmi in Arena per uccidermi, per liberare il mio corpo dal Male. Mi detestano tutti e a me sta bene.

Mi detesto anche io.

«Non è vero.» Adonis poggia il capo contro la mia spalla.

Faccio un leggero sussurro. Socchiudo gli occhi. Vorrei imprimere per sempre questo momento nella mia testa, ho paura che sfugga via. Mi fa male ogni parte del corpo e inizio ad avere la vista annebbiata.

Fisso il vuoto davanti a me e scalcio l'aria, standomene accucciato accanto a lui, la schiena aderisce contro la fredda parete di questa sottospecie di spogliatoio. Mi beo dei suoi respiri regolari. Vorrei accarezzargli i ricci biondi, ma non ho le forze per fare nulla.

«Allora moriremo insieme. Va bene?» Mormora, alzando lo sguardo su di me, come al solito quegli occhi blu mi penetrano nella pelle, scavando tra gli organi, arrivando al cuore e affacciandosi su di esso, sempre che io ne abbia ancora uno.

«Va bene. Moriremo insieme. Ci sto.»

La porta sbatte all'improvviso. Mio padre piomba nella stanza e ci osserva. I suoi occhi neri scorrono prima su Adonis e poi su di me.

Quando mi corre incontro e mi abbraccia, i sensi si rilassano di colpo. Ora che c'è lui non ho bisogno di essere forte. Premo il capo contro il suo petto e prendo due grossi respiri. Il mondo mi sembra meno pesante da sorreggere ora che, finalmente, mio padre è di nuovo qui con me.


🫀🫀🫀


Dopo il confronto con mio padre mi sento strano. Non so descriverlo.

Non sono bravo a parlare di come mi sento. Le emozioni mi sfuggono dal controllo, di solito. Credo davvero che senza di me starebbero tutti meglio, ho creato così tanti problemi da quando sono qui, che ho smesso di contarli.

Eppure, tengono a me. Nonostante tutto.

La porta della camera cigola e mi tiro a sedere. Mi sistemo le coperte con tre gesti secchi. Mi fa male ancora il fianco, ogni singolo muscolo del corpo, ma non voglio si preoccupino ulteriormente per me.

Il ciuffo di Hyperion fa capolino. Mi viene da sorridere, mentre lo osservo avanzare verso di me. Senza dire nulla si piazza di fronte e mi scruta. Osserva i lividi sul volto e storce il naso. «Ti sei fatto conciare per bene, eh?»

Mi stringo nelle spalle. «Quei tre idioti stanno decisamente peggio, sottoterra.»

Sghignazza e mi colpisce con un pugnetto sulla spalla. Mi tira a sé e mi abbraccia. «Non farlo mai più.»

Roteo gli occhi e mi libero dalla sua presa. «Non vorrai aggiungerti anche tu?»

«In realtà tutti abbiamo qualcosa da ridire sulle tue scelte del cazzo.» Rhea sbatte la porta e si precipita in camera.

Quando si avvicina, tendo a ritrarmi indietro, terrorizzato dalla sua possibile reazione. Mi afferra per la maglia e mi assesta uno scappellotto dietro il collo. Infine mi abbraccia, lasciandosi poi cadere sul letto al mio fianco. La osservo e sospiro piano, poggiando il capo contro la sua spalla.

«Ehi! Manco io in questo super enorme abbraccio di gruppo!» Iapetus ci corre incontro, ignorando le nostre urla di fare piano, e si lancia contro di noi, a peso morto.

Mi viene da ridere. La vita non mi ha mai dato nulla, non è mai stata clemente con me, anzi. Piuttosto, ogni volta che ne ha avuto la possibilità, mi ha tolto qualcosa.

Mi ha privato di un sorriso sincero, di un momento felice.

Mi ha privato di una vita normale nella Grande Città.

Mi ha privato della mia infanzia.

Mi ha privato di una famiglia in cui crescere e un posto dove dormire.

Mi ha privato infine della mia anima.

Accettare di avere qualcuno che mi ama, mi terrorizza. Ogni giorno ho paura di svegliarmi e accorgermi che Hyperion, Rhea, Iapetus e Uranus siano tutti un sogno. Che sia tutta una fantasia della mia mente, per tenermi compagnia nelle notti in cui sono ancora imprigionato nello scantinato. Ho paura di risvegliarmi ancora lì ed essere solo.

Non voglio perderli, non riuscirei a sopportare di nuovo quel vuoto che mi raschia la mente. È da egoisti ma ho bisogno di loro. Mi lascio cullare dal loro abbraccio e socchiudo gli occhi, chissà se ho davvero fatto qualcosa di buono per meritarmeli.


🫀🫀🫀


È trascorsa una settimana. Sto indagando sugli altri campioni e sulle loro prove. Mi incammino nervoso fuori dalla Villa, ma sento i passi di Iapetus saltellarmi dietro.

Dopo l'ultimo scontro in Arena, la mia famiglia ha applicato una buona strategia di stalking avanzato.

In pratica, il piano di mio padre consiste nel non lasciarmi mai solo.

Anche quando devo solo pisciare. Non ho un minimo di spazio personale. Ogni volta mi ritrovo un membro della famiglia alle calcagna.

A quanto pare, inoltre, Iapetus sembra molto divertito da questa novità, perché la maggior parte delle volte è lui l'incaricato.

Forse hanno tutti capito che gli permetterei di fare qualsiasi cosa. È pur sempre il mio stupido fratellino, che accontenterei sempre.

«Allora, dove ci dirigiamo oggi?» Iapetus cammina in avanti impettito. Sembra rilassato.

Scuoto il capo e storco il naso. La giornata è uggiosa, quasi come al solito. Il cielo plumbeo all'orizzonte torreggia sulle nostre teste, in un manto di nuvole.

Affondo le mani nelle tasche dei pantaloni e mi stringo nelle spalle. «Nel bosco c'è una baita di Zeus. Voglio vedere se ci sono novità e spiare nei dintorni... cerco le informazioni per la sua prova, mi serve scoprire almeno qualcosa.»

Iapetus annuisce e trotterella al mio fianco. Mi ruba la sigaretta dalle mani e se l'accende. Gli scoccò un'occhiataccia, che però ignora beatamente.

«Ad Artemis è piaciuto molto il nostro progetto, sai? Dovremmo lavorare più spesso noi tre insieme.» Mi ammicca.

Lo guardo confuso. «Cioè la droga che mi hai chiesto di produrre?»

Iapetus incespica nei propri piedi, spalmandosi contro un letto di foglie e scoppia a ridere. Lo aiuto a tirarsi in piedi e sbuffo. A volte è così infantile che mi chiedo se il suo cervello sia rimasto bloccato in qualche sabbia mobile, impedendogli lo sviluppo.

Iapetus sghignazza tranquillo. «Beh, sì. Era un'idea mia e di Adonis, ma dato che ultimamente vi parlate poco, ti ho chiesto io di produrla.»

Dei brividi mi percorrono la schiena, quando sento il nome di Adonis. Per lui avrei fatto di tutto, in verità. Se quell'idiota mi avesse chiesto di prendergli la Luna, avrei trovato un modo per tirarla giù dal cielo, assieme a tutte le cazzo di stelle.

Mi stringo nelle spalle e lo ignoro.

Lo sento ridacchiare. In realtà non so perché, ma sembra sempre che sappia qualcosa. Eppure, io non gli ho mai parlato di me e Adonis, né tantomeno lui. O almeno lo spero, anche se Adonis ha una certa parlantina insopportabile.

Sbuffo scocciato. «Mi hai fatto preparare una droga per quell'idiota?»

Iapetus ghigna. «Quindi mi stai dicendo che non ti interessa assolutamente nulla?»

Mi volto di scatto a guardarlo. «Dovrebbe?»

«Non so, io vi ho visti andare abbastanza d'accordo... lui può toccarti i capelli, curarti le ferite. Mi sembravate abbastanza intimi.»

Stringo i pugni. «Non lo siamo. Lo detesto. Siamo nemici per natura, non vedi quanto è idiota?»

Iapetus sghignazza. Sono consapevole di sembrare patetico, ma devo conservare la mia apparenza. Quello che sento per Adonis è così dannatamente sbagliato che ammetterlo mi scatena conati di vomito, che risalgono lungo la gola.

Arrivati all'altezza della collinetta, mi acquatto, affacciandomi sulla valle sotto di noi e osservo la casa in legno. Mi accuccio e il mio sguardo è attratto dalla figura di Athena. Siamo abbastanza vicini da sentire la sua voce. Mi sporgo appena un po', individuando la ragazza con cui sta parlando.

Riconosco subito il volto di Sybilla e la rabbia prende a ribollirmi nelle vene.

Iapetus fa per parlare, ma gli porto una mano alla bocca, facendolo sussultare. Gli mormoro all'orecchio di stare in silenzio e lui annuisce.

Sybilla sorride in direzione di Athena. «Non preoccuparti... ci penso io a Kronos. Ormai Adonis cade ai miei piedi.»

Le vedo scambiarsi un pugnale e un brivido di freddo mi attraversa la spina dorsale come una scarica elettrica. Osservo Iapetus, che mormora appena: «Ho sempre odiato quella stronza.»

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