XV. Mi distraggo come un idiota



Kronos

Sei anni dopo.

Non mi piacciono le persone.
Né io piaccio a loro.

E ne ho avuto l'assoluta conferma quando ho iniziato a vincere ogni incontro nell'Arena di mio padre. Presto si è sparsa la voce: nessuno riesce a battere il mostro. Adesso sento i loro bisbigli, le loro storie e tutti i racconti falsi e mitizzati sulle mie origini.

Per alcuni sono un pazzo, per altri una bestia, per altri ancora un demone.

Non mi dispiace l'ultima definizione, perché solo chi è cresciuto tra le fiamme dell'Inferno e ne è scappato può sentire tutto ciò che ho dentro.

Me ne sto nei corridoi sotterranei dell'Arena di mio padre. Ci hanno impiegato poco tempo a costruirlo, alla fine. I loro affari vanno alla grande. Ci sono quasi sempre tantissimi spettatori e capitano giornate così piene che bisogna stilare un calendario.

Mi fascio i pugni con delle bende bianche e schiocco lentamente il collo. Ho indosso una canotta e dei pantaloni del mio solito completo elegante.

Ho iniziato ad apprezzarli, in verità. Mi fanno sentire più adulto e, soprattutto, riescono a coprire così bene ogni lembo della pelle. Non ho nulla in mostra, nulla che possa essere sfiorato e riportare a galla i ricordi, che cerco ogni giorno di affogare.

Mancano un paio di mesi al torneo. Sarò io a partecipare per il distretto Cenere. L'idea di poter mettere di nuovo piede nella Grande Città mi esalta. Mi sembra di poter assaporare già il sapore metallico del sangue di Erik e Paul. Vorrei farli soffrire almeno la metà di quanto ho sofferto io.

«Kronos?» La voce di Hyperion riverbera nel corridoio, perdendosi come un'eco lontana.

Mi volto verso di lui, facendomi sfuggire un borbottio scontroso. Inarco un sopracciglio. «Che c'è? Non vedi che sono impegnato?»

Sono consapevole che mio fratello sia qui per portarmi la solita notizia. Hyperion rotea gli occhi annoiato, ignorando il mio tono. Mi scruta con attenzione. Ogni volta ha lo stesso sguardo preoccupato. «Nostro padre non vuole che entri nell'Arena.» Bofonchia. Aggrotta la fronte. «Di nuovo.»

Ghigno e inclino il capo. Lo guardo divertito. «E come ha intenzione di fermare il suo futuro campione, se non suo figlio? Mutilandolo, forse?»

Hyperion mi afferra per il collo della maglia e mi tira verso di lui. «Forse non ti è chiaro che non vogliamo che ti succeda qualcosa.» Mi spinge all'indietro, ma lo lascio fare. Se avessi voluto, avrei potuto liberarmi dalla sua presa subito e anche rompergli un braccio.

Controllo la rabbia, incanalandola nel profondo, all'altezza quasi dello stomaco, pronto a farla scoppiare contro il mio avversario. «Tanto lo farò comunque. Se morissi, allora evidentemente non sarei all'altezza del Torneo.»

In parte è vero.

Ma nel profondo so bene cosa desidero. Vorrei trovare qualcuno che riuscisse a farmi così male da farmi dimenticare ogni pensiero, ogni ricordo.

Vorrei che il sangue mi ricoprisse completamente, mentre qualcuno si accanisce su di me così tanto da farmi perdere i sensi.

Vorrei trovare un avversario all'altezza. Qualcuno che finalmente metta fine a tutte le voci che mi attanagliano, alla rabbia di Javier.

Vorrei trovare un po' di pace e sono consapevole che solo nella Morte potrei essere tranquillo.

Mi crogiolo e consolo nella speranza di una vendetta che mi depuri, ma a volte percepisco la carezza della Morte vicino. Mi sussurra all'orecchio e mi sento libero. Mi sento sereno.

E forse nell'Arena incontrerò quell'amica silenziosa che mi corteggia da tempo.

Javier raschia le pareti della mia mente.

Uccidiamo.
Uccidilo.
Ha attaccato.
Colpiscilo.

Mi dà il tormento e indietreggio, prima di poter fare del male a mio fratello. Hyperion fa per avvicinarsi preoccupato, la rabbia dissipata in pochi secondi dal suo sguardo, come neve al sole. Alzo una mano per fermarlo e scuoto il capo.

Mi dirigo verso l'ingresso dell'Arena. La voce di Hyperion mi chiama, ma la ignoro. Si fa sempre più lontana, venendo sovrastata dalle urla degli spettatori. Li sento ridere, chiamare a squarciagola il nome del mio avversario.

Ovviamente non c'è mai nessuno che tifa per me.
Guarda caso, però, tutti scommettono sulla mia vittoria.
La loro incoerenza mi fa ancora più rabbia.

Raggiungo il campo dell'Arena, ricoperto dalla ghiaia, e osservo il mio avversario, che si pavoneggia al centro, alzando i pugni al cielo, acclamando i suoi pseudo tifosi traditori.

Non ci sono regole. Ognuno può utilizzare le armi che preferisce, tranne quelle da fuoco.

Vince quello che resta in vita.

Osservo le sue braccia muscolose e il corpo massiccio. Si muove sicuro della propria statura e ghigna soddisfatto nella mia direzione, stringendo tra le mani una mazza chiodata. «Sarà molto divertente spappolarti il cranio.» Ghigna nella mia direzione. «Sono Castore e sarò il nuovo campione.»

Scrollo le spalle. Tutta quella spavalderia non lo porterà da nessuna parte, ne sono sicuro. Alzo lo sguardo verso i posti in alto. Individuo mio padre al centro tra Hades e Hyperion. Rhea si rifiuta categoricamente di assistere agli incontri. Dice che non riuscirebbe a sopportare l'idea di vedermi.

C'è un momento di assoluto silenzio, prima che suoni il corno che dà il via alla gara. Io e Castore ci muoviamo in cerchio, studiandoci con attenzione. Ha decisamente una mole maggiore della mia, sebbene io non abbia più il fisico asciutto da sedicenne. So di non potermela giocare sulla forza, ma sulla sua lentezza. Tutto quell'ammasso di muscoli non lo rende poi così veloce.

Mio padre si tira in piedi. Ci scambiamo un'occhiata. Credo sia troppo melodrammatico perché ogni volta ha quasi il sapore di un addio e non è mai così, alla fine.

Il suono del corno riverbera per tutta l'Arena. Subito dopo le urla degli spettatori riprendono a ululare. Castore non aspetta un momento. Si lancia contro di me, tenendo la mazza chiodata a mezz'aria.

Mi sposto lateralmente e lo colpisco con una gomitata al fianco, facendogli perdere l'equilibrio.

Attorno a noi, tutti ci guardano e ci incitano al sangue, aggrappandosi alle reti di acciaio che impediscono agli spettatori di saltare all'interno dell'Arena.

Aspetto la sua prossima mossa, restando a osservarlo con un ghigno divertito. Castore poggia la mazza a terra, facendo leva su di essa per tirarsi in piedi. Mi guarda con odio. «Non vedo l'ora di toglierti quel sorrisetto del cazzo dalla faccia.»

Allargo le braccia. «Accomodati.»

Corre di nuovo nella mia direzione. Alza la mazza e devio il colpo. Gli assesto un pugno in pieno volto e il sangue mi sporca le nocche.

Il pubblico urla un oooh in coro.

Gli sfilo la mazza dalle mani, approfittando del suo stato confusionale, e gliela scaglio sul piede. Il sangue schizza e l'urlo di dolore riverbera in tutta l'Arena. La lancio lontana da noi e mi metto in posizione di difesa, tenendo i pugni alzati davanti al volto. «Mi stai annoiando.»

Uccidilo.
Fracassagli il cranio.

Javier raschia contro le pareti della mente. Mi urla contro ed è difficile tenerlo a bada.

Castore affonda un pugno, che scanso abbassandomi e gli assesto un calcio allo stomaco, allontanandolo.

Si accascia su se stesso, toccandosi i punti indolenziti.

Mi schiocco il collo e mi guardo attorno, cerco volti nella folla. La mia mente si annebbia per un istante, quando individuo Iapetus entrare nell'Arena, utilizzando i corridoi principali e raggiungendo il settore speciale, dove si accomoda mio padre.

Mi paralizzo perché è in compagnia di Adonis.

So che sono ottimi amici da tempo, evidentemente i loro neuroni sono in condivisione. Mi soffermo a fissare i suoi ricci biondi e per un momento ho l'impressione che anche lui stia guardando me in quell'esatto istante.

Un dolore lancinante mi riverbera in pieno volto e arretro. Mi porto le mani al naso sanguinante. Non ho il tempo di realizzare che un altro colpo alla pancia mi percuote e crollo sulle ginocchia.

Sento le voci esaltate degli spettatori. Tutti urlano e inneggiano al nome di Castore.

Lui mi afferra i capelli e mi costringe ad alzare lo sguardo su di lui. Ha la faccia mutilata dai miei pugni. «Mi dispiace, Kronos. È stato divertente però. Resti uno stupido e arrogante demone.»

Fa per colpirmi ancora, ma sono più veloce. Sfilo il pugnale, che tenevo nascosto dietro la schiena, e gli infilzo il piede, incastrandolo al terreno. Castore urla dal dolore. Mi tiro in piedi e gli assesto un pugno in volto.

Uccidiamolo.
Un altro.
Finiscilo.
Un altro ancora.
Più forte.

Inizio ad accanirmi sul suo volto martoriato. Un gancio destro. Uno sinistro. Ancora. E ancora.

Non ha più fiato.

Individuo la mazza chiodata poco distante e mi allungo per prenderla. Castore è senza forze in ginocchio. Ghigno cattivo, mentre il sangue mi bagna le nocche delle mani, scorticate dai pugni. Ma non sento dolore.

«È stato molto noioso.» Alzo la mazza. «Addio.» Gli sfracasso il cranio con un colpo secco e il sangue schizza ovunque, sporcando la ghiaia e mescolandosi ad essa. Pezzi di cervello mi grattano le scarpe e storco il naso e lascio cadere la mazza ai miei piedi.

Alzo per un'ultima volta lo sguardo verso mio padre e faccio un breve saluto militare e me ne vado, abbandonando il campo dell'Arena.

Raggiungo lo spogliatoio del seminterrato e mi libero della maglia sporca di sangue. Lancio una breve occhiata allo specchio. Brutta mossa. Il mio riflesso maligno brilla al centro del vetro e rabbrividisco. Inclino il capo, osservando il naso gonfio e arrossato per il pugno ricevuto e il sangue -sia mio sia di Castore- che mi dipinge iL viso, in una specie di ritratto crudele di un pazzo violento.

Sento dei passi alle mie spalle. Dapprima mi irrigidisco, ma pian piano riconosco l'andatura quasi ballonzolante di Adonis. Mi volto già verso di lui.

Mi osserva, standosene poggiato contro lo stipite a braccia incrociate. Il petto è lasciato libero dalla solita e inutile camicia semi aperta. «E ancora oggi siamo campioni, eh?»

Prendo un asciugamano e me lo passo tra i ricci, tamponando il sudore. «Quanto hai scommesso questa volta? Immagino di starti facendo arricchire in manierA spropositata.»

Non parliamo molto. Non credo, in realtà, che abbiamo mai cercato di parlare o capirci. Non cerco la comprensione di Adonis, né quella di nessun altro. Ormai discutiamo di continuo e ci incontriamo di rado. Senza dirci nulla finiamo a letto o in qualsiasi angolo abbastanza appartato per poterci assaporare quando ne abbiamo una voglia così matta da toglierci il fiato e la ragione -quest'ultima vale solo per me, dubito che Adonis abbia davvero un cervello funzionante.

Adonis cammina nella mia direzione, osservandomi di sbieco e con interesse. Si avvicina fino a che sento il suo profumo invadermi la mente, devastandomi i pensieri e scacciandoli via con prepotenza, per lasciar spazio a tutta una serie di immagini in cui posso sentire i suoi sospiri bruciarmi la pelle.

Passa l'indice sull'orlo insanguinato della mia maglietta e alza lo sguardo su di me. «Potrei riuscire a guadagnarmi una serie di informazioni per te. Se vuoi, questa sera possiamo parlarne insieme.» Mi sussurra all'orecchio e il mio corpo viene di colpo tempestato dai brividi.

Le gambe vorrebbero cedere sotto il mio stesso peso e gli lascerei fare tutto ciò che desidera. Se non fosse che i ricordi riprendono a torreggiare con crudeltà nella mia testa, facendomi indietreggiare nauseato.

Ignoro i suoi sguardi indagatori e mi libero della maglia. Adonis adesso è ancora più distratto di prima e sembra aver perso il filo del discorso.

«Sei venuto fin qui solo per dirmi che questa sera mi fornirai informazioni?»

Scrolla le spalle mentre il suo sguardo indugia più volte sul mio addome. «Sei o no il campione del distretto Cenere?» Ghigna. «Oggi dovrei avere conferma delle informazioni e, dato che non rispondi mai ai miei inviti, sono venuto a cercarti di persona, tesoro.»

Individuo la mia giacca e sfilo la fiaschetta di whisky, cominciando a bere. Ho alcune strane notizie -fornitemi distrattamente da Iapetus- sulla sua relazione sentimentale, ma da come mi fissa, non mi sembra propenso a un rapporto monogamo. Mi siedo sulla panchina e mi libero delle scarpe. «A che ora dovrei venire?»

Adonis mi si avvicina di scatto e poggia le mani sulle mie ginocchia, abbassandosi alla mia altezza. «Anche alle nove. Dovrei riuscire ad avere almeno informazioni su una delle prove, tesoro.» Soffia sulle mie labbra e pendo letteralmente da lui.

Sorride sfrontato e si allontana, avviandosi verso la porta.

🫀🫀🫀

È sera tardi. La notte sembra opaca, le stelle non sono altro che minuscoli puntini luminosi. L'aria è fredda e così mi stringo nella giacca. Mi sistemo nervosamente la cravatta bordeaux e prendo ad aggiustarmi anche i capelli in modo smanioso. Tengo al mio ciuffo e sospiro stanco.

Individuo il solito ingresso dal retro e tiro in avanti la porta. Quando la spalanco, una ragazza esce fuori e mi guarda.

Ha gli occhi simili a quelli di un cerbiatto e i capelli biondi raccolti in uno chignon alto. Mi osserva con attenzione e mi studia. Resto per qualche secondo ad aspettare, credo voglia dirmi qualcosa.

«Ti sta aspettando.» Mi porge la mano e la afferro, stringendola appena. Credo sia Sybilla, la nuova conquista di quell'idiota. Iapetus me ne ha parlato. A quanto pare sembrano funzionare da almeno un mese, il che mi sconvolge quasi.

Una morsa fastidiosa mi attraversa le viscere e sforzo un sorriso. «Grazie.» Entro dentro e mi richiudo la porta alle spalle. Mi dà fastidio il pensiero che quella stupida ragazzina usi i nostri corridoi. Mi sfrigolano le mani e prenderei volentieri Adonis a pugni.

Resta il solito ciarlatano, che fa stupide promesse che non sa mantenere.

Pigio il tasto dell'ascensore e raggiungo l'appartamento. Artemis non è in casa, ho saputo da mio padre che si sarebbero incontrati per progettare le loro prove. Una scarica nervosa mi percorre la spina dorsale, ma entra in cortocircuito quando Adonis mi raggiunge, con indosso solo una vestaglia e l'intimo. «Oh, eccoti, tesoro. Ti stavo aspettando. Sei in perfetto orario.»

Deglutisco e cerco di non distrarmi. Mi sistemo la cravatta. «Ho fatto un piacevole incontro con la tua fidanzatina.»

Adonis sogghigna e mi porge un bicchiere di whisky. Lo osservo. È sempre il solito e non capisco perché continui a fingere un trattamento riservato solo per me. «Bellissima, vero?» Mi fa cenno di accomodarmi sul divano e obbedisco, deviando il discorso.

Sinceramente non ho mai trovato nessuno bellissimo almeno la metà di Adonis. Mi gratto dietro il collo e ingurgito in un solo sorso il contenuto. Riposo il bicchiere sul tavolo e lo guardo. «Allora? Sono qui per le informazioni.»

Adonis si sporge appena verso di me. «Sei sicuro di essere qui solo per quelle?» Mi sussurra all'orecchio e i brividi mi avvolgono ogni centimetro del corpo. Lascio scivolare una mano sulla sua gamba e lo allontano a malincuore. Non posso permettermi di essere già in balìa della sua voce e del suo corpo.

Pendo dalle sue labbra e scuoto il capo, trovando non so dove un'enorme forza di volontà. «Le informazioni, Adonis.» Gli poggio una mano sul petto e lo spingo dall'altro lato del divano. Lo sguardo malizioso che mi lancia mi provoca una serie di sensazioni così strane che di colpo ogni vestito mi sembra più stretto di quanto lo sia realmente.

Adonis sorride e annuisce. Alza le mani in segno di resa. «Allora, una delle prove sarà una sorta di caccia alla Bandiera. È quella di Mirah. Ognuno dovrà tenere una fiaccola da nascondere e tutti gli altri andranno a caccia delle fiaccole avversarie. Vince chi ne ruba di più.»

Mi sembra interessante. È una forza fisica e d'astuzia, credo di potermela giocare tranquillamente e vincerla. Mi verso altro whisky e annuisco. «I partecipanti?»

«Per Zeus dovrebbe essere un ex professore.» Adonis sembra incupirsi per qualche istante. «Quello di Mirah sto cercando di informarmi. Non è facile farsi dare informazioni da quella vecchia cieca. È davvero insopportabile a volte.»

Mi tiro in piedi. «Allora grazie.» Faccio per alzarmi, ma Adonis mi acciuffa per il polso. Sono mesi che non ci sfioriamo, a stento parliamo. Quando la sua pelle calamita sulla mia, non riesco più a controllare i miei sensi.

«Vai di fretta?» Adonis si inumidisce le labbra e il mio stomaco fa una capriola.

Scuoto il capo. «No, ma qualcuno qui è impegnato.» La voce mi esce più rauca e infastidita di quanto vorrei.

Adonis sogghigna e mi tira accanto a sé. Imprime le labbra sulle mie e presto i nostri baci diventano sempre più famelici e approfonditi. Lo costringo a distendersi sotto di me e gli bacio gli addominali. Lo sento emettere versetti di piacere e sorrido soddisfatto. Mi tira di nuovo sulle sue labbra e le sue mani esplorano i miei ricci, mettendomi i capelli in disordine. I nostri corpi collidono, si cercano e si incastrano, desiderosi di liberarsi di ogni strato che li separa. Sospiro sulle labbra di Adonis, mentre le sue mani armeggiano con i bottoni del pantalone, ma sento dei rumori e mi tiro subito in piedi, ricomponendomi.

Hydra è in casa. Adonis mi guarda deluso e vorrebbe fermarmi, ma faccio un passo indietro e mi avvio all'ascensore, chiamandolo nervosamente. Lo guardo un'ultima volta prima di sparire nel cubicolo. «Ci vediamo.»

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