XIV. Organizzo un appuntamento stupido
Kronos
«Sei impazzito? Potevi morire!» Mio padre mi gira attorno come una belva.
Ha aspettato che trascorresse la notte prima della ramanzina, come a metabolizzare quello che avrebbe voluto dirmi.
Me ne sto seduto sulla poltrona in salotto. Accanto a me è seduto Hyperion. Entrambi siamo pronti alla sfuriata. D'altro canto non potevamo aspettarci nient'altro.
Iapetus ci guarda dal lato opposto del salone, seduto sul divano, con un evidente gesso a tenergli il braccio bloccato.
«È andata bene. Vedrai che non ci darà altri problemi.» Avvicino la sigaretta alle labbra, ma mio padre me la strappa di mano e si abbassa alla mia altezza.
«Potevate morire.»
«Ma siamo vivi.» Hyperion gli fa notare l'ovvio, ma in effetti a volte la rabbia acceca mio padre, quindi meglio essere specifici.
Mio padre si fa sfuggire un gridolino isterico. Si passa le mani tra i capelli neri come la pece, tirando alcuni ciuffi all'indietro. Si osserva alle vetrate delle finestre, «mi verranno i capelli bianchi precocemente a causa vostra.» Si volta infine verso Rhea, che se ne sta a sorseggiare una cioccolata calda vicino al camino. «Tu invece? Ne sapevi qualcosa?»
Sogghigno. L'unica capace di mentirgli senza avere alcuna conseguenza ed essere mai scoperta è proprio mia sorella. Non solo ha un'abilità innata per le bugie, ma nostro padre non la crederebbe colpevole nemmeno se la trovasse sul luogo del delitto.
Rhea si porta una mano al petto, indossando un'espressione indignata. «Io? Papi, ti sembro il tipo che possa mai approvare una cosa simile? Se l'avessi saputo, sarei corsa subito da te.»
Hyperion mi lancia un'occhiata e trattiene una risata, portandosi una mano davanti alla bocca, chiudendola a pugno.
Mio padre torna a guardare me e mio fratello. Poi i suoi occhi calamitano ancora su Rhea.
Di nuovo su di noi.
È un gioco di sguardi, su chi cederà prima.
Alza le mani in segno di resa. «Va bene. E cos'hai fatto per l'esattezza?»
Mi liscio i pantaloni con tre gesti secchi delle mani. Ho ancora del sangue incrostato sui vestiti e inclino appena il capo. «Gli ho tagliato una falange. Credo fosse l'indice.» Sorrido sfrontato e un'ondata di calore mi avvolge, quando incontro lo sguardo orgoglioso di mio padre. «Gli ho detto di aver nascosto delle bombe nel suo distretto. Credo ci impiegherà tempo a trovarle, dato che non esistono. Glio ho detto di avere un pulsante per azionarle da lontano, nel caso decidesse di attaccarci di nuovo.» Scrollo le spalle. «Immagino che non ci darà problemi per un bel po', almeno finché non troverà queste inesistenti bombe.»
Hyperion scoppia a ridere divertito e si passa una mano in faccia. «Sei un fottuto genio del male.»
Mi volto a guardarlo e sfilo di nuovo una sigaretta dal pacchetto. Me l'accendo sotto lo sguardo compiaciuto di mio padre.
«Ti è andata bene... ma la prossima volta gradirei che mi coinvolgessi nei tuoi piani.»
«Dovevi restare accanto a Iapetus.» Espiro il fumo a fiotti e formo degli anelli. Mi diverte incantarmi a guardarli, mentre si mescolano all'aria, svanendo poco dopo nel nulla, dimenticati nell'oblio del silenzio di casa. Mi tiro in piedi. «Vado a riposare. Ho mal di testa.»
Quest'ultima frase, forse, avrei dovuto tenerla per me. In pochi secondi l'aria si trasforma: dalla tranquillità al caos. Iniziano tutti a osservarmi con sguardo preoccupato. Sanno benissimo delle mie emicranie. Da bambino piangevo quasi dal dolore, rigirandomi nelle coperte, sperando di trovar pace.
Col tempo mi ci sono abituato, non ricordo un giorno in cui la mia testa fosse sgombra dai problemi. Non riesco a fermare i pensieri, gli scenari pronti a darmi il tormento. Tutto vortica vertiginosamente e mi viene da urlare, strappare i capelli e stringere le meningi.
Hyperion mi si avvicina. «Ti accompagno in camera.»
«No-»
«Non era una domanda.» Stringe la presa attorno al mio braccio e mi affianca, imponendosi con la forza. Lo seguo lungo le scale. Sento gli sguardi dei miei fratelli addosso.
Mi volto a guardarli un'ultima volta e incrocio gli occhi neri di mio padre. Mi osserva finché non sparisco dalla sua vista.
Hyperion spalanca la porta della nostra camera e mi accompagna fino al letto. Mi lascio cadere sul materasso e mi siedo. «Ti prendo la tuta.» Va alla ricerca dei miei vestiti e me li lancia contro. Mi osserva per qualche istante, un po' titubante, prima di riprendere a parlare: «Vuoi che ti aiuti a indossarla?»
«Ho mal di testa, mica sono bloccato a letto.» Sbuffo e mi libero del maglione. Mi spoglio e mi rivesto. All'inizio era difficile farlo davanti a mio fratello, mi vergognava mostrarmi vulnerabile a lui. Eppure, ha sempre atteso i miei passi, non mi ha mai fatto pressioni. «Scusa. Sono stanco.» Mi distendo sul letto e mi accuccio. Ho la sensazione che i pensieri mi stiano dilaniando, strappando pezzi di mente che non saprei come ricucire insieme ancora una volta.
Socchiudo gli occhi e affondo il capo nel cuscino, stringendo i pugni. Sento il materasso cedere e apro un occhio soltanto, osservando mio fratello, che si è seduto sul letto e mi scruta preoccupato. «Posso portarti qualcosa? Magari Hades può darci qualche medicina per i mal di testa.»
«Una lobotomia per cancellare i ricordi sarebbe meglio.» Mi lascio sfuggire. Mi mordo la lingua nello stesso istante in cui le parole mi escono da bocca. Lo sguardo di Hyperion si addolcisce e si stende accanto a me. Gli faccio spazio, lasciandolo fare. Di solito non è espansivo quanto Rhea, nonostante lo sia decisamente più di me.
Tendiamo più a supportarci in qualsiasi folle decisione, a litigare come due bambini e farci dispetti. Non sono mai stato bravo con le parole e ho paura di non riuscire mai a dire a mio fratello quanto sia essenziale per me. Averlo vicino in questo momento mi fa sentire al sicuro e trovo sia un paradosso, se dovrò essere io quello che proteggerà la famiglia.
«Facciamo che ora provi a riposare. Resto accanto a te finché non prendi sonno. Quando i tuoi pensieri sono più forti della stanchezza, mi stringi il braccio.»
Lo guardo di sbieco. «Hai deciso di riempirti di lividi o cosa?»
Hyperion sorride sconsolato. «Voglio solo che tu condivida un po' del peso che senti addosso.»
Emetto un verso strozzato e deglutisco. Mando giù il groppone, trattenendo le lacrime, e sospiro piano.
Non posso piangere ancora.
Non sono debole.
Devo essere il punto di riferimento per questa famiglia.
Mi acquatto nel letto e tiro su il lenzuolo, avvicinandomi a lui. Mi sembra di sentire ancora le loro voci e vorrei urlare. Hyperion mi afferra la mano e d'istinto la stringo forte. Lui mi osserva, non si lamenta, né dice una parola. Si limita ad accarezzarmi il braccio, quando la presa è così forte da fargli impallidire le mani.
Mi sento stanco. Provo a socchiudere gli occhi e tra una stretta e l'altra, il sonno ha la meglio.
🫀🫀🫀
Mi riprendo nel tardo pomeriggio. Una gelida folata di vento mi accarezza la schiena, riverberando lungo tutto il corpo, e i brividi mi risvegliano.
Mi stropiccio gli occhi e mi metto seduto nel letto. Sono da solo. Affino l'udito e mi rendo conto di dover essere solo con Iapetus in casa, perché sento le voci provenire dal televisore in salotto. Mio padre a quest'ora è con Hades a discutere del progetto, di solito. Rhea e Hyperion sono spesso in giro, vicino la spiaggia.
Mi lascio cadere di nuovo contro il materasso e fisso il soffitto. Intreccio le braccia dietro il capo, ripercorrendo mentalmente tutto ciò che è successo negli ultimi giorni.
A partire dal cinema con Adonis, alla morte di Narciso e Minosse, passando per l'infortunio del mio fratellino, fino al mio attacco a Zeus e al suo distretto.
Mi gratto la punta del naso e mi muovo nervoso nel letto, quando ripenso ad Adonis. Eravamo di nuovo da soli. Mi darei dell'idiota per aver ceduto di nuovo a quell'istinto. È come se quelle sensazioni mi avessero reso loro schiavo. Ho assaggiato quel nettare, che so essere sbagliato, e ora ne sono dipendente. Il solo pensiero mi provoca di nuovo un'ondata di caldo e mi ritrovo a volermi sforzare di pensare a ogni possibile peggior scenario, pur di scrollarmi da dosso quegli istanti. Mi sento un pazzo a desiderare di nuovo quelle labbra sulla mia pelle e a voler sentire ancora i suoi sospiri affannati.
Mi passo le mani in volto, lasciandomi sfuggire un gridolino frustrato, quando alcuni rumori attirano la mia attenzione.
Mi metto immediatamente seduto e osservo comparire dalla finestra una chioma di ricci biondi.
Inizio a pensare che Adonis mi legga nella mente o che abbia lo straordinario talento di comparire nei momenti meno opportuni. Inarco un sopracciglio, quando ormai Adonis entra in camera, ripulendosi i pantaloni dalla polvere.
«Che cazzo ci fai qui?»
Sorride sfrontato e tranquillo. Allarga le braccia e mi indica. «Ho interrotto qualcosa?»
«No, ma non hai risposto alla domanda.» Mi tiro in piedi e lo osservo da capo a piedi, perdendomi per qualche istante lungo gli addominali, lasciati in vista da quella stupida camicia.
Una serie di pensieri ben poco puri mi attraversa la mente.
Adonis ghigna. «Volevo vedere se fosse tutto okay e avevo una proposta.»
Inclino il capo. «E sarebbe?»
«Andiamo a fare un giro insieme! Solo noi due, sia chiaro.» Adonis mi porta un dito sotto il mento e mi costringe a fissarlo. Deglutisco. I miei muscoli si paralizzano di colpo, quando mi guarda in quel modo. Mi libero dalla sua presa e prendo una felpa.
«Va bene. Devo andare alla discarica a cercare alcuni pezzi da riparare. Quindi al massimo mi accompagni.» Mi sistemo le scarpe da ginnastica.
Adonis mi guarda confuso e rotea gli occhi. «Hai una strana concezione di appuntamento, ma non mi lamento. Pensavo sarebbe stato più difficile convincerti.»
Lo ignoro. Non è un appuntamento, quelli come me non possono averne. Mi tiro in piedi e mi sistemo i capelli con fare smanioso. Sento gli occhi blu elettrizzati di quell'idiota bruciarmi la pelle e cerco di evitare con attenzione di incrociarli.
Mi calo dalla finestra e scendo giù. Adonis mi imita, ma lo afferro prima che ruzzoli a terra, schiantandosi come un insetto.
Lo sento ridacchiare divertito. «Come mai non abbiamo preso l'uscita normale?»
«Vuoi che andiamo da soli o che il mio fratellino col braccio rotto si unisca a noi?» Gli scocco un'occhiataccia.
Adonis si stringe nelle spalle. Sfodera un sorriso malizioso e si avvicina al mio orecchio. «Allora volevi anche tu che stessimo soli l'altra volta.»
Gli assesto una gomitata nel fianco e mi avvio verso la discarica. Ghigno soddisfatto quando lo sento lamentarsi, lasciandosi sfuggire un rantolo di dolore.
Ormai è pomeriggio inoltrato. Il sole è pronto a calare, rifugiandosi tra le montagne. Ogni volta credo che ci detesti. Trova sempre un modo per nascondersi dalla città dei reietti. Le nuvole, di solito, sono le sue più grandi compagne. È raro che riesca a illuminarle, ma non si separano mai, nonostante tutto.
Lancio una breve occhiata ad Adonis, che cammina al mio fianco, fischiettando allegro. A volte mi domando come faccia a tenere sempre un sorrisetto insopportabile stampato sulla faccia, ma poi penso che, in fondo, è più simile a me di quanto pensi, per trovarsi qui. Non so da dove proviene, né ho intenzione di chiederglielo. Non riuscirei mai a raccontargli del mio passato e meno persone conoscono la mia vulnerabilità meglio è. Non mi fido più di nessuno, per quanto mi piacerebbe farlo.
Arriviamo davanti alla discarica, poco distante dai cancelli che ci separano dalla Grande Città.
D'altronde, noi reietti siamo esattamente come questo posto: uno scarico da nascondere.
La discarica è ormai un luogo decadente e in disuso. L'atmosfera è cupa e desolata e l'aria è intrisa di tristezza e abbandono.
Ci incamminiamo all'interno, passando tra le strade lasciate libere. A ogni lato ci sono oggetti dimenticati.
«Un posto davvero carino.» Adonis storce il naso e dà un calcio a una lattina. Si guarda attorno.
«Puoi non lagnarti?»
«Non chiedevo la cena a lume di candela, tesoro, ma nemmeno una discarica.»
Roteo gli occhi. «Non chiamarmi così.»
Lo sento sghignazzare. Mi avvolge le spalle con un braccio e mi si avvicina. Il suo profumo è inebriante, mi confonde i sensi. «Lo so che tanto ti piace.» Mi sussurra a bassa voce all'orecchio.
Il mio corpo viene travolto da un'ondata di brividi. Mi libero dalla sua presa e lo guardo male.
La discarica è disseminata di rifiuti e detriti, con mucchi di oggetti rotti e inutilizzabili. Tuttavia, scrutando attentamente tra le macerie, si può scorgere qualche pezzo funzionante, un raro tesoro nascosto tra la desolazione. Forse un vecchio elettrodomestico che ancora emette un debole bagliore, o un giocattolo dimenticato che emana un suono flebile.
Assottiglio lo sguardo. Il ronzio di un televisore attira la mia attenzione. Abbasso gli occhi e individuo un pupazzo di peluche a forma di orso. Lo prendo e lo passo ad Adonis. «Magari a Hydra può piacere.»
Adonis lo acciuffa e se lo rigira tra le mani. Sorride come un bambino e annuisce. «Mi piace. Sono d'accordo.»
Questi resti di un tempo passato mi provocano sentimenti contrastanti, tra la tristezza dell'abbandono e la curiosità per ciò che potrebbe ancora essere recuperato. A volte mi sento a casa in questo posto. Sono esattamente come uno di quegli scarti, ma sono stato salvato e recuperato da Uranus, che forse ha visto che non ero un vecchio giocattolo rotto. Non so quanto possa aver avuto ragione, col tempo, ma gli sono grato per non avermi abbandonato qui, nella discarica.
Inclino il capo, attirato da due vecchi telefoni. Mi abbasso sulle gambe e li prendo. Li studio. I fili sembrano ancora intatti e con un po' di fortuna potrei farli funzionare. D'altronde abbiamo ancora qualche vecchio palo della linea telefonica, ultimi baluardi di ciò che resta della Grande Città prima che si separasse dai reietti.
Adonis mi osserva, mentre me li sistemo nello zaino. «A cosa ti servono?»
«Possono sempre tornare utili.» Mi tiro in piedi e lo fisso.
«Così puoi telefonarmi quando ti va, magari.» Inizia a giocherellare con i lacci della mia felpa e lo osservo con attenzione.
«E perché dovrebbe andarmi?»
«Perché mi sembri solo, tesoro.» Adonis mi bacia delicatamente le labbra. «E io posso rimediare a questa cosa.»
Le gambe sembrano cedere sotto il mio peso, ho la sensazione di poter cadere di colpo, come se fossero diventate di gelatina. Gli do un altro bacio con foga e lo sento sorridere. Le sue mani mi accarezzano i capelli e rabbrividisco. Mi allontano da lui per prendere fiato.
«Possiamo andare da me? Non c'è nessuno.» Mi guarda.
Annuisco. Lascio che mi afferri la mano e lo seguo intontito. Non mi rendo conto di quanto tempo impieghiamo prima di arrivare al The Sinners Club. So solo che passiamo per il retro. Spinge in avanti una porta di ferro e mi osserva. «Puoi passare di qui ogni volta che vuoi vedermi.»
Ci muoviamo lungo il corridoio, fino ad arrivare all'ascensore. Adonis pigia nervosamente il tasto. Il sudore mi sta appiccicando le mani. Me le asciugo contro la felpa. Il cuore mi galoppa in gola. Sono terrorizzato ed eccitato al tempo stesso. Forse sto impazzendo.
Ne approfitto per sfilare dalla tasca del giubbotto la fiaschetta. La sola idea che le voci di Paul ed Erik rimbombino ancora nella mia testa mi fa venire la nausea. Rabbrividisco e inizio a mandare giù alcuni sorsi di whiskey. L'alcol mi manda la gola in fiamme ma tracanna i ricordi, li stordisce fino a farli diventare annebbiati. I pensieri si zittiscono ed è così strano sentirsi completamente vuoti, non più in balìa del dolore.
Quando le ante dell'ascensore si aprono, entriamo nel cubicolo. Adonis mi spinge contro la parete e inizia a baciarmi. Schiudo le labbra e gli porto le mani alle guance. Lo stomaco fa più capriole e getto appena il capo all'indietro, mentre mi bacia il collo e la spalla.
Una volta arrivati, mi sento davvero sollevato che non ci sia nessuno. Non ho il tempo di osservare l'appartamento, perché mi trascina in camera e richiude la porta alle sue spalle.
Mi guardo intorno. Non so cosa fare, in verità. Bevo un altro sorso di whisky e riposo la fiaschetta. Torno a baciarlo e le mani si muovono da sole, frenetiche, verso la cintura dei suoi pantaloni. Sento le sue labbra sorridere sotto le mie, mentre afferra i lembi della felpa per sfilarmela. D'istinto lo spingo contro il letto e mi posiziono a cavalcioni su di lui, senza smettere di baciargli il collo. Passo poi alla spalla, fino agli addominali e mi fermo a fissarlo.
Adonis mi fissa con le guance arrossate e puntella i gomiti sul materasso. «Essendo la tua prima volta, magari preferisci tu-»
Annuisco. Decisamente. Non sono pronto per altro, non mi va. Preferisco essere io a tenere il controllo della situazione.
Adonis mi sorride e torna a baciarmi con foga.
🫀🫀🫀
Siamo distesi da circa mezz'ora uno accanto all'altro. Fisso il soffitto e accendo una sigaretta, emettendo il fumo come solite spirali di anelli.
Adonis sorride e si posiziona sul fianco, osservandomi. Mi posa un bacio sul collo e si passa poi una mano tra i ricci biondi. «Posso dire una cosa?»
Lo guardo di sbieco e annuisco. Ho una strana sensazione che mi attanaglia il petto. Pesa così tanto da impedirmi di respirare come vorrei.
«A me piacciono sia i ragazzi sia le ragazze, l'ho capito quando ero nella Grande Città a una festa.» Mi rivela. Si accuccia accanto, «A te piacciono solo i ragazzi?»
Tossisco. Mi tiro subito in piedi e mi rivesto. Lo guardo male.
Non mi piacciono i ragazzi.
Non possono piacermi.
Non sono come loro.
Le mani mi tremano nervose, mentre mi abbottono i pantaloni. Le lacrime premono ai lati degli occhi. «Non mi piacciono i ragazzi.» Sibilo.
Adonis sgrana gli occhi e si mette seduto. «Scusa e io cosa sarei? Un alieno?!»
Prendo lo zaino e mi avvio alla porta. «Non sono frocio.» Scuoto il capo. Lo osservo nauseato. «È stato un errore.»
Me ne vado, sbattendo la porta alle mie spalle.
Non ho intenzione di vederlo mai più.
🫀🫀🫀
Angolino
Ora ci sposteremo dai prossimi capitoli a sei anni dopo, così da avvicinarci al loro torneo.
Mi dispiace, ma Kronos è così da giovane. Le gioie sono sempre accompagnate da altro.
Alla prossima💜🖤
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