XII. Faccio a pugni con mio fratello
Kronos
Guardo Adonis allontanarsi. Non so perché abbia deciso di prendere le sue difese e assumermi colpe che non mi competono.
Forse perché sono abituato a sentirmi un mostro. Un omicidio in più o uno in meno non mi cambiano l'esistenza. Ho costruito una certa corazza. So cosa significhino gli sguardi carichi d'odio.
So cosa vuol dire essere visti come delle bestie. L'ho provato sulla mia pelle fin dall'inizio.
A volte mi sveglio nel cuore della notte coi brividi e il sudore che mi appiccica i capelli in fronte. Mi porto le mani in volto, assicurandomi di non avere ancora quella museruola addosso. Mi sembra di essere di nuovo nell'aula del tribunale, completamente bloccato da una camicia di forza e intorno a me tutti che mi accusano, nessuno mi crede.
Paul ed Erik mi guardano soddisfatti, mentre piangono il loro amico, che ho ucciso.
Non menzionano di certo quello che tutti e tre mi costringevano a fare.
Non menzionano come mi toccavano.
Non menzionano di avermi ucciso definitivamente.
Sono cresciuto come un mostro. Sono il Male incarnato, adesso, e gli sguardi nauseati delle persone non mi sfiorano nemmeno.
L'abitudine mi ha reso apatico al loro disprezzo.
Non esiste l'innocenza qui.
E posso sopportare il peso dell'odio, ancora.
Mi rigiro la mazza da baseball tra le mani e abbasso lo sguardo sui corpi dei due ragazzi. So bene che Zeus non sarà affatto felice di tutto questo e dovremo aspettarci una sua contromossa da un momento all'altro.
Sento dei passi e mi volto a guardare alle mie spalle.
Hades mi scruta e si passa entrambe le mani in volto. «Sei stato tu?»
Mi sistemo la mazza, ancora insanguinata, in spalla e gli sorrido beffardo. «Volevano aggredirci.» Scrollo il capo, «Adonis se n'è andato.»
Hades non sembra convinto. Tiene le mani intrecciate al petto e mi osserva. Si libera del paio di occhiali da sole e mi scruta con quegli occhi ambrati. «Non prenderti colpe che non sono tue, Kronos. Per esperienza, nessuno farà lo stesso con te.»
Lo guardo serio. Non voglio aiutare Adonis. Semplicemente so le conseguenze che portano quell'omicidio e non voglio sia il distretto di Artemis a pagarne lo scotto. Ha pur sempre una bambina piccola a cui badare. «Sono stato io.» Alzo la mazza e sfracello il cranio di Minosse. Il sangue mi schizza in volto e guardo ancora Hades con un ghigno cattivo. «Vuoi un'altra dimostrazione, forse?»
🫀🫀🫀
Hades mi ha scortato a casa. Lungo il cammino cercava di parlarmi, tentando di distrarmi. Tengo le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e sospiro frustrato. Mio padre è stato avvisato per telefono e so già che non sarà felice della notizia.
In un certo senso ho paura di averlo deluso. Forse è una delle uniche persone di cui mi importa. Non mi ha mai visto come il mostro che sono e ho timore possa rendersene conto da un momento all'altro.
Se dovessi avere un figlio, un giorno, sarei felice se tenesse a me anche solo la metà di quanto io tenga a mio padre.
La sola idea di vedere sul suo volto uno sguardo di delusione a causa mia mi paralizza. Mi blocco davanti al cancello di casa e non riesco a muovermi.
Hades si volta a guardarmi, una volta resosi conto di non avermi al suo fianco. Torna indietro e mi si avvicina, poggiandomi poi una mano sulla spalla. «Ehi, campione, che succede?»
Scuoto il capo. Non mi piace essere prevedibile. Odio essere debole, mi sono ripromesso di non farlo mai più. Ma mio padre è tutto ciò che vorrei essere. Non voglio mi guardi sotto una luce diversa adesso. «Mi odierà.» Suona più come un'affermazione sicura, ormai, che come una domanda, una richiesta di conforto.
Lo sguardo di Hades si addolcisce e mi passa una mano tra i capelli. Blocco il suo polso prima che possa scompigliarmi l'acconciatura. Hades ridacchia, «mi avevano detto che avessi una strana fissa per i tuoi capelli... comunque, non ti odierà. Adesso andiamo.»
Lo seguo e ritrovarsi a casa mi sembra di colpo strano. Sono un po' spaventato e mi tremano le mani. D'istinto le nascondo nella tasche dei pantaloni e mi guardo intorno.
Hyperion mi viene incontro e abbassa lo sguardo sulla mazza da baseball. Mi porta le mani sulle guance e inizia ad analizzarmi con attenzione. Dev'essere preoccupato per il mio sguardo perso nel vuoto.
La verità è che i pensieri mi stanno divorando. Si infiltrano nelle fessure della mente, scorrono e grondano come il sangue dal cranio di Minosse. Mi inseguono, in una galleria al buio e non so dove ripararmi per trovare un po' di pace. Mi sembra sempre di cadere all'infinito, cercando di aggrapparmi invano a una speranza di serenità che forse nemmeno merito.
«Ti sei fatto male? Ti è successo qualcosa?» Mi studia.
Prendo un grosso respiro e torno alla realtà. Scuoto il capo. «No, sto bene...»
Mio padre piomba all'improvviso, facendoci sussultare. Non so come faccia, ma è sempre silenzioso, sembra abbia lo stesso passo felpato di un felino. Non a caso spesso ho sentito che molti lo definiscono come il silenzio della Morte e non posso dar loro torto.
Un nuovo groppone mi si forma in gola, ripensando che sto per deludere mio padre, ma soprattutto il mio modello.
«Che gli prende?» Mio padre si rivolge ad Hades. Nel suo tono c'è un velo di preoccupazione.
«Ho ucciso Minosse e Narciso.» Annuncio.
Cala un silenzio tombale in casa e mi faccio coraggio. Guardo mio padre e lo vedo fissare il vuoto, mentre si massaggia la barba. Contrae la mandibola e si fa sfuggire un leggero sospiro. «Capisco... sarà un po' problematico ora...»
«Mi dispiace, ma voleva ammazzarci-»
Hyperion si allunga nella mia direzione. «Te e chi?»
Gli scoccò un'occhiataccia, «secondo te? Quell'idiota di Adonis.» Mi passo una mano in volto e osservo mio padre, di nuovo. «Mi dispiace-»
Lui mi guarda e scuote il capo. «Non preoccuparti. Troveremo una soluzione.» Mi sfila la mazza dalle mani e mi sorride tranquillo, cercando di incoraggiarmi. Si allontana poco dopo e sale le scale, rintanandosi in ufficio.
Hyperion mi dà una pacca sonora sulla spalla. «Vedi? Meglio del previsto.» No. Non mi basta.
È colpa mia. È sempre colpa mia. Ogni problema in questa casa è legato a me.
"Se non ci fossi, starebbero tutti meglio."
Non posso fare a meno di pensarci, quasi ogni giorno. Quando chiudo gli occhi per provare a dormire -sempre nella speranza di non dovermi risvegliare il giorno dopo-, quel pensiero mi assilla.
Mi torturo le mani. Le stringo tre volte. Allontano il collo a giro del maglione, come se avesse iniziato a pungermi la pelle. Lo strattono tre volte.
Incrocio lo sguardo di Rhea dall'altro lato del salotto. Sto per avere una crisi. La sento. Le mani mi sfrigolano.
Mia sorella si alza, pronta ad avvicinarsi, ma scappo prima che possa fare qualcosa. Mi lancio su per le scale, salendole due a due, scappando. Non mi va di parlare con lei, né con mio fratello.
Tiro la porta dell'ufficio di mio padre e mi nascondo al suo interno. Me la richiudo alle spalle e mi poggio contro la parete e prendo un grosso respiro.
Tre grossi respiri, sto impazzendo. Lo so bene.
Mio padre è seduto alla scrivania e alza lo sguardo su di me. «Che succede?»
«Parliamo?»
Lo vedo irrigidirsi. Capisco di non essere mai stato un campione nella comunicazione, tutt'altro. Mi sistemo il maglione addosso, lisciandomelo tre volte.
«Uhm, va bene. Di cosa vuoi parlare esattamente?» Aggrotta la fronte e deglutisco.
Lo vedo un po' in tensione e non capisco a cosa stia pensando. Forse sta immaginando tutti i possibili scenari di una nostra conversazione e, viste le mie ultime affermazioni, non mi stupirebbe se credesse che gli voglia parlare degli orsi polari.
«Di Narciso. Mi dispiace. Ho perso di nuovo il controllo. Forse non dovrei-»
«Non ti azzardare.» Mio padre mi guarda severo. «Se mi dicessi che risolveresti un problema senza ammazzare qualcuno, crederei che qualcosa non andasse davvero in te. Kronos, sei mio figlio. Prendi decisioni avventate perché sei giovane. E io sono tuo padre. Io riparerò sempre ai vostri danni. Anche ai tuoi. Non dovrai mai fare nulla da solo.»
Storco il naso. Avere bisogno di qualcuno mi renderebbe debole. Ma credo anche che vivere senza mio padre significherebbe essere ancora più vulnerabile. «Mi dispiace solo averti deluso.» Mi sfugge a bassa voce e abbasso lo sguardo sulla punta dei piedi.
Mio padre si alza e indica la scrivania. «Siediti qui.»
Lo assecondo. Mi costringo di mala voglia ad accomodarmi sulla sua poltrona girevole. Stringo forte le mani, affondando le unghie nella carne, e poggio i pugni chiusi sulle ginocchia.
Mio padre si china sulle ginocchia, mettendosi di fronte a me. «Sei mio figlio-»
Alzo un dito, «tecnicamente non lo sono-»
Lui me lo abbassa e mi guarda male. «Ignorerò questa stronzata.» Mi sorride buono. «Sei un Hell, sebbene i tuoi neuroni siano migliori di tutti i nostri messi insieme.» Mi accarezza la guancia. Non tremo. So che le sue mani non mi farebbero mai del male. «E ci sarò sempre per te, in ogni istante e fino al mio ultimo respiro. E quando non ci sarò, dovrai badare tu a tutti. Questo ufficio sarà tuo e mi dispiace doverti lasciare il peso di questa famiglia, ma so che ne sarai più che capace.»
Aggrotto la fronte. «E Hyperion?»
Mi sorride e si tira in piedi. Guarda fuori dalla finestra e sospira piano. «È stato il primo a proporlo.»
Mi sento stordito. Tra me e Hyperion non è mai stata semplice, tutt'altro. All'inizio vivevamo molto in competizione e mai avrei creduto che potesse lasciarmi lo scettro del potere. Sono confuso. Devo avere un'espressione da ebete perché sento mio padre ridacchiare.
Mi dà una pacca sulla spalla e mi indica la porta. «Ora puoi andare. Avviserò Artemis e insieme ad Hades penseremo al da farsi.»
Scendo giù dalla sedia e mi dondolo sui talloni. Mi volto a guardare mio padre prima di uscire. «Grazie.» Esco senza dargli tempo di replicare.
🫀🫀🫀
Il giorno seguente trascorre normalmente. Me ne sto in salotto a giocare a scacchi con Hyperion, davanti al tepore caldo delle fiamme del camino. Questa mattina Iapetus è uscito per giocare con alcuni amici. Mi sembra strano che ancora non ritorni e inizio a sentirmi in apprensione. Alzo lo sguardo sull'orologio a parete del salotto e mi imbroncio.
«Stai vincendo. Non puoi lamentarti anche di questo ora.»
Hyperion sembra essere nato stressato. Secondo me avrebbe bisogno di camomille un giorno sì e l'altro pure.
«Iapetus non è ancora tornato.» Mi acciglio.
Rhea, che se ne stava a leggere un libro sulla poltrona, sembra attratta dalle mie parole e mi guarda confusa. «Sarà in spiaggia. Ha detto che voleva fare il castello più grande del mondo.»
Hyperion scrolla le spalle, «ottimo, un nuovo obiettivo. Ieri voleva scavare fino a trovare le profondità del mare.»
Mi scappa un sorriso. Iapetus ha dodici anni, ma sembra sempre più immaturo. Più cresce e più si comporta da bambino. A volte mi piacerebbe poter vedere il mondo coi suoi stessi occhi. Sarebbe bello poterlo apprezzare diversamente, analizzare sfumature colorate che possano dipingere di luce il mio mondo bianco e nero.
«Sì, ma non è tardi comunque?» Insisto. Guardo di nuovo la scacchiera e sorrido. Muovo l'alfiere e ghigno verso mio fratello. «Scacco matto.»
Hyperion bofonchia qualche imprecazione e si passa le mani in volto. «Non ti sopporto.»
Rhea ride, tornando a prestare attenzione alle pagine del libro. «Forse il tuo microcefalo non riesce a pensare troppo.»
Sorrido. Ora ricominciano.
«E tu invece lo fai riposare molto, eh principessina?» Hyperion arriccia una ciocca rossa di capelli di Rhea attorno all'indice. Mia sorella si acciglia e sembra pronta a divorarselo in un solo boccone come una vipera.
«Ti spacco la faccia e te la riduco in poltiglia.»
Ridacchio e mi tiro in piedi. Vado in cucina e apro il frigorifero alla ricerca di qualcosa di poco sano da mangiare. Mi si sta risvegliando una strana fame, quando sento la porta di casa e sussulto.
Raggiungo il salone e vedo mio padre. Ha le mani sporche di sangue e sospira piano. «Hanno cercato di uccidere Iapetus.»
Mi irrigidisco di colpo.
Succede tutto così in fretta che non so descriverlo. So soltanto che io e i miei fratelli seguiamo nostro padre fino al distretto di Hades, dov'è ricoverato Iapetus in una piccola infermeria.
Hyperion tartassa di domande papà e non posso dargli torto, farei lo stesso se non fossi impelagato a torturarmi mentalmente e ad assumermi la colpa di tutto quello che è successo. «Chi è stato? Perché? Cos'è successo? Quando?!»
Mio padre cammina a passo svelto in avanti. Riconosco quello sguardo carico di rabbia e so che non se ne starà fermo a subire. Vorrei poterlo aiutare e dire qualcosa, ma ho paura di peggiorare la situazione. «Zeus. Credeva di poter uccidere uno dei miei figli a causa della morte di Narciso.»
Mi chiudo nelle spalle.
È colpa mia se Iapetus è quasi morto.
Se non avessi dato ascolto alle mie sensazioni e non avessi fatto l'egoista, non sarei mai entrato in quel cinema e non sarebbe successo nulla.
La sola idea che il mio fratellino insopportabile potesse morire mi sta lacerando l'anima, o quel che ne resta. Mi sembra che infiniti artigli mi perforino la schiena, lasciandomi sanguinante e agonizzante.
Incrocio lo sguardo di mio padre. Mi prende la mano e la stringe. «Non è colpa tua.»
Storco il naso. Difficile pensarla diversamente, in verità.
Non commento. Ho solo tanta rabbia addosso. Stringo i pugni e serro i denti, al punto di farli stridere tra loro. Troverò una soluzione e, quando sarà, Zeus la pagherà in ogni modo.
Arriviamo all'infermeria: una piccola struttura adibita per il primo soccorso necessario. Le pareti bianche ricordano quelle degli ospedali della Grande Città.
Nostro padre ci fa segno di aspettare nel salottino fuori. Apre la porta della sala ed entra.
Per circa tre minuti ce ne stiamo tutti in silenzio. Ma essere pazienti non è una dote della nostra famiglia. Il primo a bussare è Hyperion, che si dondola nervoso sui piedi.
Lo guardo e mi sento in colpa. Non so come faccia a non accusarmi di essere il motivo per cui questa storia è esplosa. Inarca un sopracciglio e mi guarda. «Che c'è?»
«È colpa mia... mi dispiace.»
Hyperion mi tira a sé e mi abbraccia. «Non dire stronzate. Non è colpa di nessuno di noi. Ora spero ci facciano entrare.»
Un'infermiera abbastanza anziana apre la porta poco dopo e ci scruta. «Ditemi.» Si sistema gli occhiali sul naso aguzzo e strizza gli occhi neri.
«Vogliamo vedere nostro fratello. Iapetus Hell.» Le dico.
«Mi dispiace, ma l'infermiera è aperta solo per i malati e i feriti. E io qui non ne vedo. Dovrete aspettare.» Ci richiude la porta in faccia.
Resto destabilizzato a fissare la porta. Sento Rhea sbuffare frustrata. Ci dice di tornare a sederci al suo fianco, ma io e mio fratello non siamo dello stesso parere.
Ci scambiamo un'occhiata complice e Hyperion ghigna.
Alza le maniche del maglione e lo imito.
«Niente faccia.»
«Niente capelli.» Gli assesto un pugno sul naso e lo sento imprecare.
«MA SIETE DEFICIENTI?» Rhea ci urla contro, ma Hyperion è pronto per partire alla carica e mi colpisce con un gancio destro in pieno volto.
Sputo a terra il sangue e mi tocco il labbro spaccato. Il suo naso è messo peggio. Carico l'ennesimo pugno e gli colpisco l'occhio destro e poi di nuovo il naso, che riprende a grondare sangue come una cascata.
«Sei un brutto bastardo.» Hyperion mi dà una testata in pieno volto e mi porto le mani al naso. Mi scoppia la testa e non riesco nemmeno a riaprire gli occhi dal dolore. Mi brucia tutto e forse non è stata una brillante idea.
Hyperion mi osserva e bussa di nuovo contro la porta.
L'infermiera apre e ci guarda sconvolta.
Le sorrido e mi appoggio a mio fratello. «Adesso possiamo entrare, vero?»
Mio padre ci guarda in cagnesco, mentre siamo seduti su due barelle e la vecchia infermiera ci sistema i punti nevralgici più dolorosi. Rhea se ne sta vicino a Iapetus.
Non è messo benissimo. Ha un braccio rotto e un paio di lividi in volto. È riuscito a scappare dall'assalto e si è rifugiato dolorante da Artemis, che subito si è messa all'opera per portarlo lì in infermeria e avvisare mio padre.
«Avete deciso di morire tutti oggi? Volete farmi risparmiare sui funerali o cosa?» Mio padre è esasperato e ci osserva preoccupato.
«Volevamo vedere Iapetus.» Scrollo le spalle. Ammicco in direzione del mio fratellino e riesco a strappargli un sorriso. Nessuno può toccarlo o fargli del male, non lo permetterò mai più.
Un'idea folle inizia a ronzarmi in testa.
Hades sospira frustrato. «Bene. Ora lasciamo il piccolo Hell a riposare. Vi accompagno io a casa.»
Mio padre resta lì con lui, forse per tenerlo al sicuro. Noi seguiamo Hades fuori dalla stanza. Prima di andarmene mi avvicino a Iapetus. Sfilo dalla tasca del giubbotto un pacchetto di caramelle gommose e glielo lascio. Lui mi sorride e mi abbraccia. Aspiro il suo profumo e gli accarezzo la mano. «Mi dispiace...»
«Ti voglio bene.»
Iapetus riesce sempre a farmi stringere il cuore, quando non è impegnato a farmi impazzire, ovviamente. «Anche io.» Lo saluto e raggiungo i miei fratelli nel corridoio deserto.
Artemis ci viene incontro. Dietro di lei c'è Adonis. Pootrebbe essere un pensiero stupido, ma quando incontro le sue iridi blu, di colpo mi sembra di sentirmi più leggero.
Mentre i due adulti parlano tra loro, Adonis mi si avvicina piano, testando le distanze tra noi. «Come sta?»
«È stato meglio, ma sta bene.»
Lui mi guarda e si morde l'interno guancia. «È colpa-»
Lo fermo. «Mia.» Gli scocco un'occhiata eloquente e lui ritorna in silenzio, pur muovendosi nervoso sul posto.
Mi volto verso mio fratello, facendo anche cenno ad Adonis di ascoltarmi. «Ho un'idea. Questa sera c'è la festa del Minotauro del distretto di Zeus... ho una piccola sorpresa per loro.»
Mio fratello e Adonis sorridono. Guardo Rhea come a cercare la sua approvazione. Lei annuisce e guarda Artemis e Hades. «Li distraggo io. Voi andate.»
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