✧ Red and green ✧
Il grande specchio senza bordi del bagno riflette lo sguardo vacuo e lucido di Chūya, che nella mano destra stringe uno spazzolino di plastica rosso.
L'alba sta sorgendo colorando il cielo di curcuma e di fuoco, la sveglia, nella camera dal letto sfatto del mafioso, segna le cinque del mattino, ma per lui l'orario non fa differenza poiché non ha chiuso occhio durante la notte.
Il muro di mattonelle beige è tinto appena d'oro per via di un timido raggio di sole che taglia il viso stanco del giovane, incapace di guardare il proprio riflesso.
Il suo volto è pallido, bianco come quello di una bambola di porcellana, sotto le occhiaie scure si vede un reticolato di vene bluastre ed i capelli sciolti gli ricadono sulla schiena, due sottili ciuffi solleticano le sue gote appena rosate per via dell'aria fredda proveniente dalla finestra aperta.
Il collo lungo e niveo è cinto da una collana di lividi frutto di baci e morsi orrendamente caldi.
La pelle chiara cozza con il rosso accesso dei suoi lunghi e morbidi capelli, quell'abbinamento di colori gli provoca una forte repulsione e fastidio nei propri confronti:
ma Dazai non è mai stato del suo stesso parere.
" -Chūya, vivrei ogni mio insulso giorno passandoti le dita tra i capelli, spenderei ogni mio vuoto minuto a vezzeggiare la tua candida pelle, solo per adorarti un po' di più.-
Pronuncia Dazai sotto voce, osservando le sue dita affusolate perdersi in quella setosa massa fulva.
Si fa scorrere una ciocca sul palmo della mano, l'accompagna sino alla clavicola dell'altro dove la lascia cadere per poi passare le dita sull'osso sporgente, con flemma.
Chūya chiude gli occhi colto dalla stanchezza e cullato dai movimenti lenti, meticolosi, di Dazai.
Freme nel sentire i suoi calli ruvidi sulla propria epidermide liscia:
-Quante stronzate, ma ti senti quando parli?-
Il suo tono doveva essere aggressivo ma il sonno lo rende solo rassegnato:
-Alle ragazze piacciono queste cose.-
-Ti sembro una ragazza?-
-Sei minuto, longilineo e totalmente dipendente dal petto caldo di un uomo imponente.
Quindi direi di si ma, d'altronde, io amo le donne.-"
Il ragazzo chiude gli occhi e si prende i capelli tra le mani, li stringe con forza tirandoli rabbiosamente, se li vorrebbe strappare tutti, desidera farsi lo scalpo a mani nude pur di far sparire dalla propria memoria la sensazione delle dita del castano tra di essi.
Darebbe fuoco a quegli orrendi fili arancionati solo per dimenticarsi di come Dazai ci giocava, li toccava e li tirava tutte le notti che si ritrovano orrendamente nudi su delle lenzuola disgustosamente umide.
Perché tutto diventa infimo se c'è di mezzo Dazai.
Mugola di sofferenza e frustrazione strappandosi un ciocca, lacrimando per il dolore in un sospiro rassegnato.
Ogni volta che Dazai gli si presenta dentro casa vorrebbe cacciarlo, mandarlo via urlandogli dietro a pieni polmoni tutto il disprezzo che prova nei suoi confronti mostrandogli quanto il suo essere un mostro gli abbia corroso il cuore, picchiandolo con l'odio che cova ogni attimo della sua esistenza da quando è incorso nella disgrazia d'incontrarlo.
Ma si ritrova sempre, ogni ridicola volta, steso tra le braccia fasciate dell'altro uomo, affondandogli le unghie nella schiena e capace di urlargli null'altro che il suo nome e quanto gli sia grato d'essere con lui in quel momento.
"Chūya rientra nel suo modesto appartamento quando fuori la luna è già padrona del cielo.
Tutti i lampadari sono spenti e l'unica fonte d'illuminazione è la finestra aperta in cucina.
Il rosso si chiude la porta davanti al volto, sospirando sottomesso al suo efferato destino, e poggiando la fronte sul metallo chiaro dello stipite pronuncia a denti stretti:
-Come hai fatto ad entrare?
Devo cambiare di nuovo la serratura? Mi stai costando una marea di soldi.
Comunque ora vattene: oggi non sono in vena di farmi prendere in giro da te, Dazai.-
Il castano sorride alzandosi sinuoso, silenzioso, dalla fodera corvina del morbido divano a tre posti.
Poggia sul basso tavolino di legno chiaro davanti a lui una bottiglia di vetro aperta mentre nella mano sinistra tiene saldo un calice di vino rosso, scuro al punto da sembrare ebano.
Le scarpe di buona fattura e cuoio morbido ticchettano sul pavimento riempiendo il silenzio frastornante del monolocale.
Ad ogni suo passo il liquido sciaborda nel bicchiere di cristallo dallo stelo lungo e lavorato, dondola in maniera ipnotica diffondendo il suo aroma aspro nell'aria.
Chūya si gira e lo guarda, facendo aderire la schiena alla porta di ferro, non distoglie lo sguardo dall'altro nemmeno un attimo mentre questo gli viene incontro:
-Quando mai io ti avrei preso in giro?-
-Ogni singola volta che sei venuto qui giurandomi che la mattina dopo mi sarei svegliato tra le tue braccia.-
-Touché.-
Sorride Dazai, alzando la mano libera e scuotendola nell'aria come per sminuire le sue parole:
-Però sai benissimo che sei la cosa che io più desidero in questo mondo.
Non c'è luce che agogni più di te, non c'è droga che mi abbia assuefatto più dei tuoi singulti.-
Ridacchia appena allungando la mano destra verso il volto dell'altro, prendendo tra le dita un suo boccolo e rigirandoselo tra di esse.
Il fulvo l'allontana schiaffeggiandola, provocando un risolino da parte dell'altro:
-Le mie giornate sembrano vuote senza la consapevolezza che la notte ti avrò con me.
Bramo ardentemente la tua voce ed ancor più i tuoi fianchi caldi, così differenti dal tuo interno gelido.-
Chūya distoglie lo sguardo da quello di Dazai che brilla ricolmo di scherno e furbizia.
Il castano è alla fase iniziale della sua trappola: l'adulazione.
Il giovane mefistofelico si riempie le invitanti labbra, macchiate di vino, di parole altisonanti e vezzeggiatorie nei suoi confronti, consapevole di quanto ogni complimento strida intorno ai polsi di Chūya legandolo ad una colpa inespiabile:
-Questa roba ha perso il suo effetto anni fa.
Dovrai inventarti qualche nuovo delirio per portarmi a letto.-
Ghigna ostentando indifferenza nei confronti dell'altro, che sembra essere avvezzo a tutti i vizi tranne che al demordere:
-Non necessito di paroloni per portarti al letto Chūya, questo lo faccio solo per il piacere di vederti arrossire.
Più precisamente lo faccio per vederti alzare la guardia nei miei confronti.-
Avanza verso di lui puntando le sue banali iridi nocciola in quelle, atipicamente, cerulee dell'altro.
Questa è la seconda fase: Dazai sa d'avere il coltello dalla parte del manico e non spreca nemmeno un attimo in inutili dilungamenti, perché ormai ha visto come lo sguardo del rosso tremi al suo cospetto:
-Mi piace quando mi rispondi, controbatti ed alzi i toni con me.-
Si ferma davanti a lui dovendo abbassare lo sguardo per via della notevole differenza d'altezza che intercorre tra di loro, sorridendo in maniera diabolica e facendo così tremare ogni cellula del corpo di Chūya, in preda alla più forte infatuazione poichè lui ama l'animo arido e spregevole del giovane.
Niente fa breccia in lui come la pura malvagità che muove ogni decisione del suo "compagno", arrivando ad abituarsi al dolore che gli provoca fino a renderlo qualcosa di piacevole.
Dazai avvicina il bicchiere di cristallo sottile alle labbra morbide dell'altro, intimandogli d'aprire la bocca, e trasforma il suo sorriso in una ghigno quando lo inclina appena facendogli scorrere il vino tiepido lungo la gola.
Il fulvo non può far altro che sottostare ai suoi ordini socchiudendo gli occhi, dissetandosi con quel delizioso liquido scuro che però non riesce davvero a godersi, incontrando difficoltà nel respirare per via del moto continuo con cui Dazai lo versa.
Un po' come tutta la loro storia per Chuya: troppo frentica ed incapace di controllarla.
Dal canto suo, il moro si imbambola a fissare l'espressione estatica del fulvo: le sue dita affusolate che gli stringono l'orlo beige del polsino, indeciso se respingerlo o portarlo sul suo corpo intossicandosene del tutto, gli occhi socchiusi che lo guardano da sotto le ciglia lunghe, la bocca semi aperta e lucida, il pomo d'adamo che oscilla ben visibile sul collo magro.
Allontana il calice dal volto dell'altro che, privato all'improvviso del suo unico piacere, boccheggia leggermente supplicando l'uomo con lo sguardo.
Dazai ride schernendo quella sua espressione:
-Per favore odiami: perché i palazzi imponenti sono i migliori da veder crollare.-
E con questo unisce le labbra del compagno alle sue, passando la lingua sul suo palato per gustare l'alcol amaro, suggellando un'altra notte di strazio per il cuore di Chūya.
Perché ogni signola volta che Dazai lo ama Chūya celebra la morte del suo spirito."
A quel ricordo la sua schiena ricurva sul lavandino, come tutta la sua minuta figura, trema scossa da un pianto isterico.
Contrae il viso in un espressione sofferente mentre si porta il pugno chiuso al volto, bagnandoselo di lacrime e cercando di coprire la sua faccia colpevole ad un mondo che non ha interesse in lui.
Quel ricordo viene susseguito da altri, diversi eppure uguali, che alimentano il suo strazio come la benzina fa divampare il fuoco.
Sembra assurdo che un tipo come Chūya, fumantino, brusco e cinico, pianga per un cuore spezzato, ma non può farne a meno.
I suoi fianchi posso ricordare delle mani dure, il suo collo può essere macchiato da lividi roventi e le sue labbra possono bramarne un paio più sottili e secche: ma resta comunque solo.
Sono anni che il suo corpo viene usato come divertimento dal quel bastardo donnaiolo per poi essere lasciato solo in un letto troppo grande per lui.
Ogni singola volta viene imbastito di complimenti, promesse, ma alla fine delle danze è sempre abbandonato dall'uomo che più ama.
Nella sua mano destra continua a tenere stretto lo spazzolino rosso: un banale, economico, spazzolino di plastica che si trova sempre accanto al suo, di un verde brillante.
Il palmo della mano percepisce come opprimente la presenza di quel oggetto, vorrebbe farlo cadere al suolo rifuggendone inorridito mentre le sue dita si stringono ad esso con tutta la loro tenacia, colorando di bianco le nocche, disegnando con le unghie vistose mezze lune sulla propria carne.
Si era ripromesso di buttarlo, crede che solo quando lo avrà gettato via potrà dimenticarsi di tutto.
Gli sembra un'idiozia da strizza-cervelli, eppure buttarlo è diventata la sfida che ogni mattina affronta fallendo da un mese.
Dopo attimi interminabili, con le guance umide ed il respiro corto, abbassa lo sguardo su quello spazzolino riportandosi alla memoria l'unico momento in cui una luce di speranza lo aveva accecato, facendogli credere che le cose potevano cambiare:
"Nella penombra della camera da letto Chūya finge di dormire.
Il suo petto glabro è coperto solamente da un leggero lenzuolo bianco tirato su alla meno peggio, in mezzo a quel caos di coperte che i due giovani hanno fatto.
Apre appena gli occhi, senza farsi scoprire, per guardare l'altro uomo nella stanza.
Dazai è seduto sul davanzale della finestra aperta, la schiena nuda è poggiata al montante di essa ed i raggi di luna ne definiscono la muscolatura in un sadico gioco di luci ed ombre, il suo corpo sembra disegnato con grafite e carta ruvida.
Una sua gamba dondola nel vuoto,
indossa i pantaloni che aveva quando era arrivato, già pronto ad andarsene.
Il volto è girato verso la città che pullula di gente, lascia che il suo sguardo si perda fin dove può tra le antenne e le nuvole plumbee, tra le labbra tiene pigramente una sigaretta accesa e l'estremità bruciata brilla nel buio come la più luminosa delle luci.
Dagli angoli della sua bocca fa uscire sbuffi di fumo grigio che si librano nell'aria danzandoci, creando spirali pallide ed impalpabili che per pochi istanti gli coprono il volto corrucciato.
Chūya riconosce negli occhi dell'altro lo stesso sguardo serio che ha lui ogni mattina, quando viene abbandonato.
Dazai prende tra le dita la sigaretta poggiandosi il palmo della mano sulla fronte, sospira rumorosamente chiudendo le palpebre e scuotendo la testa.
Si rimette dritto a fatica per poi voltare lo sguardo verso il fulvo e può vedere i suoi occhi che riflettono la fioca luce della luna, stanchi persino di fingere di non vederlo mentre se ne va, vitrei e privi d'emozione, specchio di un animo reso glaciale:
-Vai pure.
Non avrebbe senso restare, domani sarò ancora qui, il mio corpo sarà ancora qui: tanto è questo che conta, no?-
La voce di Chūya trema appena mentre, per la prima volta, dice ciò che pensa all'altro e la verità a se stesso.
Dazai vorrebbe ribattere, apre la bocca per convincerlo del contrario,
ma subito viene fermato:
-Non dire nulla, non rendere il tutto ancora più patetico.
Vuoi davvero farmi credere a tutte quelle puttanate che dici?
Cristosanto Dazai, abbiamo ventidue anni, smettiamola di prenderci in giro: io ti odio e tu mi odi, ma io ho almeno la pietà di farti male solo fisicamente.
Sei un mostro.-
Chūya distoglie lo sguardo da quello indecifrabile di Dazai, sentendosi gli occhi lucidi:
-Eppure io riesco a dare la colpa solo a me di tutto questo, dimmi perché non è colpa tua?
Perché devo tenermi tutto questo peso sulle spalle?
Me lo merito?-
Stringe il lenzuolo tra le dita, tirandolo più vicino al suo corpo.
Trattiene i singhiozzi affondando i denti nel suo carnoso labbro inferiore e si passa una mano sul volto per coprire la propria miseria agli occhi del castano.
L'altro lo vede davvero, per un solo istante, un giovane distrutto, indifeso, privato di ogni cosa e lasciato a se stesso ad impolverarsi nell'angolo più remoto della propria casa, come un vecchio soprammobile che nessuno ha voglia di pulire:
-Chūya, resto.-
Quelle parole fermano il tempo, sospese nell'aria come il fumo della sua sigaretta, impalpabili ed inafferrabili:
-Sono venuto qui per restare, e non parlo di questa notte.
Voglio stare con te, che sia qui o dove vuoi tu ma desidero restare.
Non ti lascerò solo, non ancora.
Non vedo l'ora che sia domani per osservarti alla luce del giorno, per abbracciarti quando la gente fuori fa casino, per dirti che ti amo tra il frastuono dei clacson.
Sono un mostro, è vero, ma d'ora in poi sarò qui per te: questo mi rende un po' meno terrificante?-
Chūya lo guarda incredulo e tra le sue lacrime passa la notte.
La mattina dopo, come da promessa, Dazai è lì, in una mano ha una tazza di caffè e nell'altra il volto di Chūya, lo accarezza e si china sulle sue labbra sussurrandoci sopra una parola che sembra impossibile per entrambi
-Buongiorno.-
Passarono dei giorni stupendi, dove nessuna notte insieme era susseguita da una mattina solitaria.
Chūya gli diede degli asciugamani, delle federe ed uno spazzolino, uno stupendo spazzolino rosso.
Dazai lo ha usò per tre settimane, poi non tornò più: ne per una notte ne per un giorno."
Chūya si riprende dal suo torpore grazie alla sveglia che suona perforando la densa coltre delle sue elucubrazioni: sono le sei e deve prepararsi per vivere.
Si rimette dritto a fatica e sospira, asciugandosi le lacrime con il palmo della mano libera, guarda lo spazzolino un'ultima volta e lo poggia esattamente accanto al suo, dove è sempre stato e dove forse deve stare.
"Lo butterò domani"
Si dice tra se e se andandosi a vestire per affrontare un'altra giornata di solitudine.
Angolo autrice
Per fare questa robaccia ho impiegato un sacco di tempo.
Comunque, ho cercato di essere il più fedele possibile alla caratterizzazione dei personaggi presentata nell'anime, purtroppo credo di aver sgarrato in alcuni punti ma d'altronde è una fanfiction.
Perdonatemi se non sono riuscita a descrivere bene la sofferenza di questo povero cristo, lol.
Dato che questo strazio è già abbastanza lungo non scriverò molto qui.
Votate e commentate se vi è piaciuto♡
Teddyhuman
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