Chapter| 4
𝓦𝓮'𝓻𝓮 𝓪𝓵𝓵 𝓼𝓽𝓸𝓻𝓲𝓮𝓼, 𝓲𝓷 𝓽𝓱𝓮 𝓮𝓷𝓭.
Ritornai al mio trono ma l'orologio del casinò segnava già le 19.00.
Il tempo era passato velocemente e io dovevo essere a casa per cena.
«Signori, oggi la nostra Kitsune non potrà trattenersi oltre» Jackson mi affiancó di colpo mentre io lo guardai stupita da sotto la maschera. Un boato di disapprovazione arrivò dalla fila che aspettava di giocare mentre il mio autista mi dirigeva verso l'uscita.
Non volevo lasciare quell'atmosfera per tornare a quella che in realtà non dovrebbe neanche essere casa mia.
Appena salita in macchina mi tolsi la maschera sentendomi soffocare dalle parole che quel ragazzo mi aveva rivolto poco prima.
«Allora Jackson, eri con delle donne?»gli chiesi non riuscendo ancora a crederci.
«Il Signorino Kim è riuscito a raggirarmi per bene, mi scuso per averla lasciata sola Signorina»
«No, non ti preoccupare penso di essere comunque abituata a determinate situazioni»
«Le ha fatto del male?» si girò di scatto verso di me corrugando la fronte preoccupato.
Esitai un attimo prima di rispondere. Lui e Izabella erano le uniche persone che consideravo "mie".
«No Jackson, o almeno non penso»
Non sapevo distinguere cosa fosse il male eppure la minaccia di quel ragazzo non faceva male quanto le parole di mia madre.
[...]
«Signorina sua madre vuole che scenda immediatamente»
Annuii e la raggiunsi in salotto, era seduta su una delle tante poltrone a fissare la televisione.
«Areum sai come ti devi comportare vero?» mi chiese ma non distolse gli occhi da ciò che stava guardando
«Certo, la reputazione prima di tutto»
«Si può sapere che vestito hai addosso?» mi guardò con disgusto.
Toccai il mio vestito non capendo la sua espressione. L'abito a tubino, corto e nero, mi fasciava il corpo mettendo in risalto le mie gambe più lunghe a causa dei tacchi enormi che portavo mentre i capelli erano raccolti in un chignon scompigliato mostrando gli orecchini di diamante puro e la sottile collana di oro bianco.
«Avevo detto a Izabela di farti mettere il vestito più bello che avevi, dov'è quella sgualdrina»
Mi accorsi che era più nervosa del solito: forse non aveva preso i suoi calmanti.
Izabela sentendo il suo nome precipitò in salotto, inchinandosi rispettosamente.
«Che cos'è questo? Il figlio dei Kim si deve innamorare di questa ragazza e tu l'hai vestita così, vuoi essere licenziata?»
Non sopportavo vedere le lacrime negli occhi di Izabela: non si meritava quel odio.
«Mamma sono io che ho deciso di vestirmi così» affermai con la voce tremolante.
«Pensavo che fossi cresciuta Areum eppure sembra che tu non abbia capito che in questa casa non puoi fare quello che vuoi, anzi non hai neanche il diritto di parola lo capisci questo?» il suo tono calmo rendeva il salotto più inquietante.
Il cuore mi batteva forte sapevo di dover ribattere ma per abitudine annuii. Come potevo convincerla di non volermi sposare se anche solo guardandola mi tremavano le gambe dal terrore?
«Tesoro, è arrivato quel ragazzo vi prego di discutere dopo» mio padre la fermò senza degnarmi neanche di uno sguardo.
Mia madre si sistemò i vestiti per poi mettere su un sorriso falso e dirigersi verso l'ingresso.
«Stai qua e accoglilo con gentilezza, mi hai capito?»
Annuii nuovamente ma appena uscì dal salotto mi girai verso Izabela. I suoi occhi erano pieni di pianto mentre restava immobile, ancora congelata alle parole di mia madre.
«Izabela per favore vai a riposarti e dopo raggiungimi in camera per favore» le sussurrai e lei accettò per poi correre verso la cucina.
Inspirai profondamente e subito dopi vidi il ragazzo dai capelli neri fare la sua entrata da principe. Era perfetto, non c'era una sola cosa che risultasse fuori posto: i pantaloni neri e la camicia nera con una giacchetta del medesimo colore facevano risaltare la sua carnagione molto più chiara della mia.
«Buonasera» dissi inchinandomi.
Mi sorrise e la stanza si illuminò, quella sensazione di tormento che invadeva il salotto pochi secondi prima sparì.
«Io e mia moglie abbiamo già cenato. La vostra cena sarà servita sul tavolo posto nel giardino dietro alla casa»
Me lo sarei dovuta aspettare dai miei genitori, qualcosa mi diceva che in giro per il giardino fossero presenti anche fotografi professionisti intenti a scattare i momenti più belli della nostra romantica cena.
Taehyung non rispose ma fece finta si stupirsi accarezzandosi la nuca.
«Da questa parte» dissi portandolo verso il giardino e arrivando finalmente al tavolo circolare pieno di candele profumate. Era posto sotto un tetto bianco fatto apposta per non bagnarci a causa della pioggia.
«Vedo che è tutto alta classe» disse guardandosi attorno e sedendosi delicatamente.
«Spero sia all'altezza della famiglia Kim, puoi ordinare quello che vuoi»
Gli mostrai il menu posto vicino alle sue forchette e lui cominciò a dare un'occhiata mentre io sapevo già di voler ordinare le solite cose.
Lo osservai spalancare gli occhi vedendo qualcosa di particolare sul menu per poi annuire contento. I suoi occhi avevano una scintilla diversa, qualcosa che non ho mai provato e sentito nella mia vita.
«Perché mi guardi così?» chiese riponendo il menù sul tavolo.
«Così come?»
Cercai di distogliere lo sguardo ma il suo viso e la sua presenza sembravano quasi una calamita.
«In quel modo apatico, hai gli occhi di ghiaccio, riusciresti a tagliarmi in 30 diversi modi guardandomi così vero?»
Rimasi in silenzio, non sapevo di avere uno sguardo maledetto.
«Scusami, infondo hai lo stesso sguardo di tua madre mi pare ovvio»
Inarcai un sopracciglio. Non era mia madre ma forse vedendo solo quello sguardo ormai l'avevo ereditato di conseguenza.
Il cameriere ci fece ordinare i nostri piatti e non appena arrivarono, Taehyung cominciò a mangiare come se non ci fosse un domani.
«Avevi fame?» dissi sorridendo leggermente.
«Wow quindi sai anche sorridere?»
Fermò di tagliare il pollo e mi guardò piegando la testa di lato.
«Si» dissi continuando a mangiare la mia porzione di cibo.
«Sei tornata ai monosillabi, bhe comunque ti serve un po di divertimento. Magari la prossima volta ti presento la mia ragazza, anche se magari la conosci già»
«Sei molto legato alla tua ragazza?» chiesi curiosa.
«Te l'ho detto l'altra volta ma sembra che tu non capisca, alzati vieni con me» lasciò d'improvviso il suo piatto e protese una mano verso di me.
Lo guardai confusa, non capivo cosa volesse che facessi.
«Prendi la mia mano ti insegno come ci si sente quando ci si innamora» ammiccó soddisfatto.
Esitai un attimo per poi appiggiare la mia mano sulla sua delicatamente. Il suo palmo enorme rispetto al mio sembrava quello di un uomo adulto e maturo. Mi trascinò fuori dal tetto bianco senza che potessi neanche accorgermene.
«Sta piovendo!» mi allarmai cercando di tornare sotto il tetto.
«No no dove vai! Questo giardino è enorme quindi corri con me da quel lato a quell'altro» mi disse mentre mi stringeva forte la mano e con l'altra indicava i due lati estremi del giardino.
«Come faccio a correre se non mi lasci la mano?» chiesi ovvia.
«È parte di quello che si prova, ti accompagno nella tua corsa».
Detto ciò cominciò a correre trascinandomi dietro. La pioggia che bagnava la nostra pelle mi dava sollievo mentre il mio battito cardiaco aumentava a causa della corsa veloce, sentivo l'adrenalina crescere. Accelerati presa dall'entusiasmo e cominciai a trascinarlo dietro di me, finché arrivammo alla fine del giardino.
Le nostre mani si staccarono mentre i nostri petti si muovevano all'unisono.
«Allora? Sembrava più una corsa a ostacoli che l'amore vero? Non penso di saper fare molto il paragone» disse ridendo.
La sua risata mi riempì le orecchie e sentii il cuore leggero, come se finalmente mi fossi liberata dei miei mali.
Cominciai a ridere contagiata da quel suono dolce e lo guardai divertita.
«Allora sai anche ridere?» disse spostando una ciocca di capelli appiccicata al mio viso, a causa della pioggia. Si avvicinò lentamente per poi accarezzarmi una guancia. Il calore delle sue mani mi fecero trasalire di piacere.
Non ridevo da una vita ma quella sensazione, in particolare, non l'avevo mai provata, neanche quando Izabela mi abbracciava cercando di farmi sentire tutto il suo amore.
Si allontanò di colpo alzando la mano con cui mi stava accarezzando e cominciò a indietreggiare.
«E-Ehm scusami, non volevo, penso di dover andare a casa» disse prendendo la sua giacchetta e uscendo direttamente dal giardino.
Il mio sorriso si spense. Forse doveva vedere la sua ragazza, d'altronde se la sensazione era quella chi l'avrebbe più fermato.
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