Chapter| 2
𝓐 𝓼𝓸𝓯𝓽 𝓵𝓸𝓿𝓮𝓻, 𝓪𝓷𝓭 𝓪 𝔀𝓲𝓵𝓭 𝔀𝓪𝓷𝓭𝓮𝓻𝓮𝓻.
Restai immobile, a fissare l'orologio appeso al muro. Il ticchettio dei secondi che passavano pareva il mio cuore che batteva ogni istante più velocemente.
Me l'avevano regalato ad 8 anni quel orologio, vecchio e scadente. Secondo i miei genitori aveva un valore inestimabile e non poteva essere sostituito con niente, in quanto era un oggetto di famiglia. D'altronde, qualsiasi cosa appartenesse ai "Park" era come oro agli occhi della gente.
Seduta sul letto, ben riordinato, grazie a Izabela, la nostra domestica, continuai ad oscillare le gambe avanti e indietro non riuscendo a toccare il pavimento con i piedi. Accarezzai il piumone marrone, con un pizzico di luccichio, e mi guardai in giro per evitare di continuare ad aspettare quell'ora.
Osservare la mia stanza enorme, ormai, mi faceva venire la nausea.
Al letto matrimoniale, che occupava la metà dello spazio disponibile, si aggiungeva la scrivania bianca, dove passai metà della vita a studiare con insegnanti privati, lo specchio gigante era posto vicino alla porta mentre il pavimento di parquet donava a quella camera gelida un tocco di eleganza. Tutto ciò che c'era lì dentro era volere dei miei genitori, io stessa ero come un giocatore in panchina che aspettava il suo turno per mostrare le proprie capacità.
Guardai l'orologio e sospirai sentendo un peso al cuore. Infondo non capivo a cosa fosse dovuta quell'ansia. Mia madre mi aveva spiegato che se mi fossi sposata con il figlio dei Kim mi avrebbe permesso di andare al Casinó: mi sembrava un compresso accettabile.
Forse il fatto che, nonostante conoscessi la Signora e il Signor Kim, non avessi mai visto il volto di loro figlio mi turbava. Sapevo solo che studiava all'estero con Jimin, mio fratello.
Ma in realtà chi fosse o come fosse poco importava in quanto i miei genitori mi stavano, letteralmente, vendendo alla famiglia più ricca di Seoul. Avrebbero fatto di tutto pur di aumentare la loro richezza; la maniera perfetta per raggiungere il loro obiettivo era unire la casata dei Kim e quella dei Park.
Sapevano benissimo che i Kim non avrebbero mai rifiutato di prendere come nuora la ragazza, che veniva considerata, più bella e pura tra tutte le famiglie importanti di Seoul.
Ma a me andava bene tutto ciò: a patto di poter continuare a giocare.
Roteai gli occhi al cielo straiandomi di colpo sul letto.
Jimin mi avrebbe preso per il culo, pensai divertita dalla patetica situazione in cui mi trovavo.
«Sigorina Park, i signori Kim sono arrivati. La Signora richiede la vostra presenza» mi avvisó Izabela con cautela.
I domestici di casa avevano una paura matta di farmi arrabbiare. Alla sua richiesta gentile, ricordai la volta in cui le feci quella domanda: «Si può sapere perché te e i tuoi amici abbassate la voce quando vi rivolgete a me?» chiesi indignata, e Izabela mi rispose: «Signorina non si sa mai di che umore lei possa essere» continuando a lavare i piatti. Mi offesi, a quella affermazione, e ne feci un dramma per un'intera settimana. A dire la verità quella frasi mi aveva fatto capire quanto fossi immatura, viziata e senza principi.
Con il passare del tempo quella rabbia, che talvolta scoppiava, si trasformò in apatia e quasi noncuranza di me stessa.
«Si, arrivo» risposi inspirando profondamente e scendendo dal letto. Mi riguardai allo specchio un'ultima volta: la mia pelle ambrata, quasi abbronzata, contrastava con il colore giallo canarino del vestito, scelto appositamente da mia madre, per questo evento memorabile, mentre i capelli lunghi e castani mi ricadevano sulla schiena delicatamente. Le spalle scoperte davano un effetto sensuale mentre la lunghezza del abito lasciavano molto all'immaginazione.
Chiusi la porta della camera ed attraversai il corridoio fino a raggiungere l'enorme scalinata di marmo. Guardai in alto, l'enorme lampadario di cristalli, e strizzai gli occhi, accecata dalla sua luce. Quelle piccole lampade che formavano esagoni più piccoli dentro un esagono enorme, erano incantevoli, non perdevano di bellezza neanche dopo milioni di volte ad averle osservate.
Ritornai nel mondo reale e raggiunsi il salotto. Sentii gli occhi dei presenti scrutarmi attentamente mentre uno dei ospiti era perso a osservare le piastrelle di marmo del nostro pavimento.
«Buonasera Signor Kim e Signora Kim» dissi cordialmente eseguendo un inchino.
«Ecco la nostra bellissima nuora!» la Signora Kim si alzò di colpo venendomi incontro. Era vestita di qialche marca importante e i gioielli le cadevano da ogni dove; mostrava la sua ricchezza familiare in tutti modi possibili.
«Ci hai messo un po ad arrivare Areum» disse mia madre con un sorriso, palesemente, falso.
«Hai ragione, perdonami mamma» risposi a denti stretti beccandomi un'occhiata di rimprovero da mio padre.
«Carissima, stavamo appunto parlando di una cosa molto importante: il tuo matrimonio con mio figlio...» il Signor. Kim si bloccò un attimo guardando il ragazzo seduto sulla poltrona dietro di lui.
«Taehyung! Presentati... Scusateci, è che Taehyung è molto timido»
Il ragazzo si alzo di colpo e sospirò profondamente, chiudendo gli occhi e scricchiolando il collo.
«No, la verità è che non ti voglio sposare ma farò comunque finta che mi faccia piacere conoscerti» disse aprendo di colpo gli occhi.
La madre gli diede un pizzicotto mentre mia madre fece una risata nervosa.
Inarcai un sopracciglio e d'istinto feci un passo all'indietro, non era ciò che aveva detto a spaventarmi ma il fatto che fosse proprio Lui. Il giocatore di BlackJack, di una settimana prima, era davanti a me nelle vesti del figlio dei Kim.
«Piacere, Kim Taehyung» mi porse la mano.
«Park Areum» ricambiai il gesto e deglutii. Lui piegò la testa di lato e un piccolo ghigno comparve sul sio volto.
Non era possibile che avesse capito che fossi io sotto quella maschera, solo con la voce era impossibile riconoscermi, eppure il sorriso che mi mostrava sembrava dire altro.
Staccai la mano dalla sua e feci un inchino rispettoso prima di sedermi sulla poltrona di fianco a mia madre. Mio padre prese parola per continuare il discorso: «Bene bene, il matrimonio si svolgerà tra trenta giorni. Avrete la possibilità di conoscervi in questo periodo, no?»
«Sa Signor. Park se avesse voluto farci conoscere meglio non avreste organizzato un matrimonio, quindi eviti di dire cagate» disse il ragazzo per poi dirigersi, tranquillamente, verso la porta d'ingresso.
«Taehyung!» lo sgridó sua madre.
Era viziato come tutti i bambocci ricchi che conoscevo. Abituati a ottenere sempre tutto, quando e come volevano.
«Areum, seguilo» mi ordinò mia madre ed io obbedii.
Arrivai alla porta ma guardando fuori notai che il ragazzo dai capelli neri era appoggiato al albero di ciliegio piantato nel nostro giardino. Odiavo quel posto, in quanto ogni minimo dettaglio, dal erba tagliata perfettamente alla posizione dei fiori, era sotto il controllo di mia madre. Quella precisione mi faceva venire il volta stomaco.
«Se ci ribelliamo tutte e due potremmo convincerli ad evitare questo matrimonio, che dici?» il riccio si voltò verso di me inarcando un sopraccoglio.
«Non ho intenzione di ribellarmi» risposi piegandomi per ospitare sulla mia mano una farfalla dalle mille sfumature blu.
«E perché no?»
Osservai la farfalla sbattere velocemente le ali prima di riprendere il volo e sparire dalla mia vista.
«Perché non mi interessi, anzi, puoi fare quello che vuoi dopo il matrimonio» gli dissi ovvia.
«Sai cos'è l'amore?» piegò la testa di lato avvicinandosi a piccoli passi verso di me.
Mi bloccai, non sapevo cosa voleva dire e, saperlo, non era neanche nella lista dei miei desideri.
«No»
«Dovresti provare che cos'è prima di accettare di sposare uno sconosciuto» si abbassò alla mia altezza e socchiuse gli occhi, come se mi stesse analizzando.
Il suo sguardo pareva fuoco, proprio come l'ultima volta.
«Accetto la vita senza troppe pretese»
«Non è una pretesa, l'amore è un diritto» ammiccó.
«Sai la tua voce e il tuo spirito freddo mi ricordano qualcuno...» si ricompose di scatto mentre con una mano si accarezzava il mento confuso.
Il cuore cominciò a battermi velocemente. Se scoprisse che la Regina di Paradise sono io potrebbe rovinare il matrimonio e io non potrei mai più giocare.
«Mio fratello?» cercai di indirizzarlo altrove.
«Direi proprio di no, tu e tuo fratello siete l'uno l'opposto del altro» rispose sorridendo. Un sorriso squadrato e completamente nuovo, non era falso come quelli che vedevo ogni giorno.
«Comunque... Au revoir Signorina Park, spero di non vederla mai più» disse facendo un saluto militare.
Non mi lasciò neanche il tempo di rispondere e, proprio come la farfalla, sparì tra gli alberi e i cespugli mentre io osservavo il suo strano modo di fare.
Ogni cellula del suo corpo emanava libertà, come se il suo cervello riuscisse a farlo viaggiare nella fantasia, ed era curioso quanto entusiasmo mettesse nell'esporre le sue idee, come se la sua vita si basasse su quello. Ma cosa potrebbe mai avere di così importante un misero sentimento.
Amore, eh? Pensai rientrando in casa.
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