𝙿𝚊𝚞𝚛𝚊 {𝟙/𝟝}

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Tutti hanno paura, sai
Di quello che sarà, certezze io non ho
Non so più difendermi, troverò una via

- Marco Mengoni

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15 Maggio 2001-

«Grazie Alex, è molto buono-»
Inspirava.
La vita andava avanti velocemente, forse troppo. Un giorno era in America, quello dopo in Italia e quello dopo ancora non lo sapeva.

«Ricordi tre mesi fa, quando sono capitato nella tua scuola per puro caso?» continuava quel ragazzo di bell'aspetto dinnanzi a lei, mentre finiva la sua portata boccone dopo boccone.

«Mh?» era distratta.
«Non mi stavi ascoltando, vero?» sorrise l'altro, con fare gentile. «Tre volte in mezz'ora, un nuovo record ragazzina-»

«Non chiamarmi in quel modo-» rinsavì, fulminandolo. Una fitta al petto ed un colpo di tosse. «N-non m-» sbuffò, stropicciando il tovagliolo. «Non mi piace-» mentí.

[...]

20 Maggio, 2001
Neverland Valley Ranch

Non ricordava quanto tempo fosse passato, dall'ultima volta. Era fermo, immobile ad osservare il volto del suo bambino riposare sul lettone accanto a lui. Gli stringeva l'anulare con la piccola manina, mentre riposava a bocca semi-aperta.

Michael sorrise nel vedere quella scena angelica; Prince era un vero terremoto quasi per tutto il tempo della giornata ma- in quella veste era l'essere più dolce e pacato al mondo. Se non era per il colore dei capelli chiaro, era simile al papà in tutto.

Paris era con la tata Grace dall'altra parte della casa, nel grande salone. Era una femminuccia e ogni tanto desiderava giocare con le altre bambine o semplicemente dormire tra le braccia di una donna dolce.
Non c'era una giornata dove però, non correva tra le braccia del padre- ne era innamorata e desiderava sposarlo una volta grande.

Michael sorrise a quel ricordo. Quanto era buffa quando fingeva di camminare in maniera goffa fino ad un immaginario altare, prendergli la mano con la sua e riempirla poi di baci. Lui era solito afferrarla in braccio e stamparle un bacino sulle labbra.

La vita scorreva veloce anche per lui, si sentiva sul punto di vacillare se non fosse per i suoi mocciosi che crescevano a vista d'occhio giorno dopo giorno.

Emily lavorava ancora per lui e lo ascoltava; gli accarezzava il viso e lo sentiva piangere di nascosto. Era solo, dannato in quella vita sognante e ingannatrice che non gli lasciava scampo.
Lo vedeva fuggire durante la notte e rifugiarsi tra gambe di donne avide e perfette esteticamente; nessuna domandava nulla ne tantomeno lo trovavano bello. A loro importava solamente di andare a letto con Michael Jackson e vivere una notte da sogno.
Era solo un bisogno recondito di un uomo vuoto, sul punto di cadere ancora e ancora.

«Perché non la chiami?» gli domandò la governante. «Non puoi continuare così, quelle donne non sono lei. Non lo saranno mai»

«Smettila Emily, non voglio parlare di lei-»
«Dì il suo nome-»

Egli sbuffò, odiava quei discorsi perché poi ci rimuginava sopra per ore. Era accaduto poco prima. Lasciò il tenero Prince riposare nella sua stanza e lui raggiunse Emily nella sua piccola dimora all'interno del ranch. Ella era con il suo bambino e suo marito.

Michael sorrise a quell'ultimo e rivolgendosi alla donna prese parola. «Hai ragione, nessuna donna è lei. Nessuna donna è capace di entrarmi dentro e scavare tra la merda che mi circonda per salvarmi. Nessuna può salvarmi, solo lei aveva quella magia-» singhiozzò, guardando altrove. «Ma ho promesso che non l'avrei più cercata e così farò. Non importa quanto farà male, non importa nulla. Quindi per favore, non chiedermi più di dire il suo nome-».

[...]

25 Maggio, 2001

Vi era una giornata soleggiata ed ella non poteva che esserne più felice. Si sentiva meglio e finalmente era tornata a fare ciò per cui era nata: ovvero- ballare. Abel le sorrise mentre la strinse a sé per farla poi girare tre volte. Erano stanchi ma soddisfatti; la stessa Amanda batteva le mani in segno di vittoria per quella coreografia bella per quanto difficile.
«Siete stati bravissimi-» disse la donna, prendendo la mano destra della fanciulla. «Sono così felice di vederti in forma!»
«Sono felice di essere tornata a fare ciò che amo. Ciò per cui sono nata-»

Abel rise. «Nat- finita la lezione voglio presentarti un mio amico se non ti dispiace. Sarà nuovo qua da noi e Amanda ne è entusiasta, vorrei che anche tu lo conoscessi.."

Ella inspirò sommessa. Virò lo sguardo nei confronti della sua insegnante leggermente confusa. «D'accordo ma..non capisco perché presentarlo a me quando Amanda-»
«Oh cara, perché tu sei mia erede e come insegnante è giusto che anche tu conosca le nuove leve dell'accademia» si intromise l'altra.

Sorrise al ricordo ma non biasimava Alex di essersi invaghito. Del resto ci aveva provato a dargli una possibilità, si era concessa ma poi? Era vuota come il medesimo istante prima di averlo amato con anima e corpo. Quelle mani non la toccavano con ardore, quelle labbra non baciavano ogni centimetro scoperto della sua pelle. E gli occhi erano assorti nell'ambire le sue curve preziose piuttosto che adorarla come era abituata.

Ma perché lo colpevolizzava dopotutto?
Ella virò lo sguardo altrove. «Come ti senti oggi?» le domandò invece Abel, vedendola assorta.

«Bene, hai finito di chiedermelo ogni giorno da quasi due mesi?» rise beata. Lui si preoccupava e aveva paura che lei non stesse effettivamente bene; ma la ginecologa le aveva curato la leggera infezione che le recava così tanto dolore ed era tornata a stare in forma da molte settimane ormai.

«Sono rimasto traumatizzato, provavi così tanto dolore Nat!»
«È passato parecchio tempo ormai, ora sto bene Abel!»
«Sono contento»

La strinse al suo petto e le baciò la fronte. «Ma che casino hai combinato con Alex?» le pizzicò una guancia.

«Non ho voluto mentirgli. È stata un errore e basta. Non meritava che io fingessi di essere coinvolta quando-»

«Andarci a letto poi fuggire via la mattina dopo con un biglietto di scuse, non lo definisci un po' crudele?»
«Sei qui per farmi la morale?» era tagliente. Lo spinse via dal suo corpo. «Non ti è mai successo di voler vivere il momento e poi renderti conto di star sbagliando?»

Abel sorrise. «Si, molte volte»

[...]

«Guardami in faccia bambina mia?» riprese Ava. «Sei così triste e magra..» e le prese il volto tra le mani. «Cosa ti succede?»

Era stanca per il continuo fuso orario, per la scuola di danza e le responsabilità. Non immaginava che dopo l'opportunità del suo primo film, la sua vita cambiasse così tanto. Era caotica e stressante: non vi era un momento in cui poteva prendere respiro e agire. Non era molto famosa, non aveva una vita sotto i riflettori come quella del suo cantante.

Non più suo. Le si strinse il petto al pensiero.
Ora riusciva a comprenderlo in piccola parte e si sentiva egoista, piccola e stupida.

«Diamine, se solo avessi saputo mamma-»
«Cosa?» le domandò, triste. «Cosa ti succede?» ripeté.
«Non lo so, mamma. Sono persa»

Ava inspirò al suo pensiero di quelle parole dette qualche giorno prima: fu proprio per quelle medesime sillabe che lei scelse di rimanere con sua figlia per qualche giorno. La obbligò a fermarsi, a dormire e mangiare. Le accarezzava i capelli mentre riposava, osservando al di fuori della grande vetrata in quella casa così immensa e silenziosa.
Scelse di aiutarla e la condusse da una terapista; doveva vomitare la radice di quel malessere se voleva salvarsi.
Nessuna madre desiderava vedere la sua bambina depressa e così sperduta.
Forse era troppo tardi o forse era giunto il momento di raccontare la verità a se stessa: aveva rimandato sempre la reale motivazione del suo dolore astratto ma concreto. Del suo bianco e nero e la punta del colore della sua esistenza. Non era calma e non era felice.

«Allora Natalie, raccontami cosa succede-»
le disse quella donna di pelle ombrata, dallo sguardo gentile e gli occhi di chi il dolore lo conosceva bene. I capelli brizzolati e qualche segno del tempo sulla pelle.

Ella iniziò a parlare: della sua passione, dei suoi amici, delle sue delusioni, dell'incidente del padre, delle sue opportunità colte e non, della sua casa e della sua carriera. Dei viaggi e del mondo. E cosa mancava? In un'ora riuscì a riassumere tutto ma quel vuoto era ancora intenso, nonostante le lacrime scese durante il suo racconto.

Ah, l'amore. Si il suo amore o il loro. Più suo che loro. Forse lo aveva represso, forse dimenticato o forse si era avvelenata del suo stesso sentimento per quell'uomo.

«E dove è lui ora?» le domandò.
«Non lo so, ma lo vedo ovunque» rispose, senza pensarci due volte.
«E perché quando parli, parli come se non fosse mai esistito?»

«Forse non ho accettato il suo ennesimo addio, due mesi fa. Ha detto che sarebbe tornato in qualsiasi momento, ha promesso di esserci e che io racchiudevo il suo desiderio di donna. Ma ho sbagliato-»
«Cosa hai sbagliato, Natalie?»

«Gli detto che ho smesso di amarlo-»
«Ed è cosi?»

Ella non rispose. Pianse e basta.

«Avevo paura del suo bagaglio. Di sentirmi trascurata ancora e ancora. Di non sentirmi alla sua altezza. Lui è magia, è linfa e nettare per la mia persona. Il mondo non mi ha mai toccato mentre eravamo insieme, ma al medesimo tempo era crudele quando eravamo distanti» singhiozzava.

«Non sono le parole di una donna che ha smesso di amare. Ma allora perché se lo ami, lo allontani?»

«La paura mi divora e l'orgoglio mi sovrasta. La notte lo sogno spesso: lo vedo camminare lungo il viale della sua casa, che saltella e sorride come un bambino mentre mi mima di correre incontro a lui. Ed io corro, corro e gli salto al collo ma poi lui inizia a piangere e scompare. Mi sveglio ogni volta in quel punto, mi tocco il petto e-»

«E fai parlare la tua paura. Sai, non sempre la testa e la razionalità sono le vie giuste. Delle volte anche il cuore conosce la chiave, anche se delicato. E se la sfiorassi per un momento e lo lasciassi parlare-»

«Devo dirgli che lo amo ancora?»
«Non posso dirti cosa dire o fare»

Ella si strinse nelle spalle. Virò lo sguardo altrove in attesa di uno spiraglio tra le parole della donna dinnanzi a lei. «E cosa-»
«Ma da donna posso soltanto dirti di rincorrere nuovamente questo amore prima che sia troppo tardi e trovare le risposte con lui-»

10 Giugno, 2001

Il petto si alzava a ritmo lento. Il respiro tenue. Il viso leggermente umido dalle fervide lacrime che avide, lo solcavano. Perché le faceva così male l'idea di averlo perso? Ancora e ancora. Un attimo le mani si stringevano con una promessa solenne e- l'attimo dopo erano fredde. Conosciuti e sconosciuti. Bambini cresciuti in fretta e troppo adulti per rincorrersi come adolescenti.

Natalie si strinse l'addome a mo' di abbraccio mentre il pianto era diventato feroce e scattante: perché le scene di loro due insieme, scorrevano vivide nella sua mente.

E mentre vedeva il suo cuore spezzarsi, ella si spezzò con esso. L'anima bruciava e i dolori le pervasero il corpo. Un coniato, un altro e un altro ancora. In quel momento non riusciva ad immaginare cosa stava succedendo: che sia la delusione o la paura dell'abbandono?

La sua persona era scomparsa e quella casa di un tratto, era fredda e spoglia. Un altro coniato e dovette alzarsi. «Mi-michael-» balbettó confusa. Ma egli non c'era.

Ed è in quel momento che percepì la paura di essere sola. Quando la delusione ti attanaglia l'animo, ti divora dentro e il cuore inizia a palpitare. Sudava freddo e sentiva le sue guance andare in fiamme.

«Non puoi continuare così Nat-» le disse Abel. Erano le prime ore della mattina e lui era solito dormire in casa sua per non farla stare sola. Ella sorseggiava il caffè nervosa. «Ormai ho capito Abel!»
«Cosa?»

«Non esistono più scuse, potrei continuare per settimane forse mesi ma mentirei ancora di più a me stessa. Io lo amo ancora, Abel. Devo dirglielo, abbracciarlo e scusarmi di non averlo detto prima. Di averlo omesso per così tanto tempo e di essere stata una mocciosa-»

Egli sorrise. «E come pensi di fare bimba?»

«L'ho visto piangere e rimanere saldo alle sue parole. Non è più tornato e aspettava una mia decisione. Ha scelto di farsi battere dal mio muro senza più volerlo struggere. L'ho visto andare via e non l'ho fermato. Ora devo fare come nel mio sogno: devo correre Abel, devo correre da lui. Ti prego, mi accompagni a Neverland?»

[...]

«Jackson insomma, ti decidi ad uscire?»
«Frank non ho voglia. Sono io il capo, non stressarmi!» ringhiò egli. Era magro, esageratamente. Le mani gonfie e arrossate. I capelli arruffati e la barba incolta.

«Sai che c'è?» disse l'altro, sbuffando. «Fa come cazzo vuoi, mi hai stancato!» e lo lasciò solo, nel suo studio sbattendo la porta.

Egli sospiró, girando su se stesso. Forse il suo manager aveva ragione: era davvero diventato impossibile. Si massaggiava il mento e il naso. Si aggiustava la camicia con entrambi le mani e raggiungendo l'altro prese parola. «Frank scusami ma-»

Rimase in silenzio aprendo la bocca leggermente. Non ci credeva; vi era il ragazzo, Bonnie e Natalie insieme ad Abel. Ebbe un capogiro. Sembrava una scena dell'anno prima e il cuore per un istante fece una capriola nel petto.

«Natalie?» sussurró poco dopo, con tono viscerale. Deglutì e di avvicinò un poco. Voleva assicurarsi che fosse realmente in quella casa, nella sua casa.

«Michael, possiamo parlare?»

Continua-

Scritto il  10/05/2023

Spazio Autrice:

Mi era mancato tanto scrivere di loro: erano mesi che dicevo che volevo regalarvi un capitolo ma poi non riuscivo a sbloccarmi da un vuoto che tutt'ora mi avvolge. Lavoro e studio tanto, il tempo è poco ma voglio promettermi di concludere questo libro a cui tengo troppo. Rappresenta una parte della mia adolescenza e della mia storia e voglio portarla avanti e regalarle la giusta fine che penso meriti. Voglio correggerla ancora e ancora e concludere questa storia d'amore che sento mia più di qualsiasi altra cosa abbia mai scritto.
Ringrazio Fra_walker01 per supportarmi da ormai dieci anni. Ringrazio Federica_Depp per capirmi sempre. Ringrazio tutte voi, anche se ci siamo un po' perse vi ho conosciute qui e vi porto con me.
Prometto aggiornare una volta ogni mese, massimo due. Mi sono sbloccata.

Grazie e fatemi sapere qua sotto cosa ne pensate.

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