𝙴𝚌𝚕𝚒𝚜𝚜𝚒 {𝟚/𝟝}


«Come stai?» gli chiese la ragazza, con tono di voce soffice - mentre teneva salda tra le mani, la cornetta del telefono.
Il cantante rimase per qualche secondo, in assoluto silenzio - aspirando a pieni polmoni e schioccando poi la lingua al palato. «Molto indaffarato, tra i miei figli ed il lavoro.» iniziò a parlare - successivamente, scandendo bene ogni singola parola. «Ho da poco iniziato a lavorare al nuovo album.»

«Capisco» rispose di rimando la ragazza, leggermente interdetta.
«E te invece..» continuava l'altro, facendo una pausa. «Come stai?»
«Beh, sono molto impegnata anch'io.»
L'uomo non le rispose - rimase nuovamente in un tombale e fastidioso silenzio, tanto da far perdere la pazienza a chiunque.

«Mike» prese nuovamente parola, quest'ultima.
«Mh?»

«Davvero mi hai chiamata per parlare di questo?»
«Pardon, Nat?» le chiese nuovamente, rimanendo vago e stizzito. «Non ti seguo.»

«Non ci sentiamo da più di dieci giorni e tutto quello che sai dirmi è un semplice - come stai?» gli spiegava lei, agitandosi un poco sul posto. Tuttavia sapeva che il comportamento al quanto bizzarro della celebrità, delle volte poteva diventare esasperante - sopratutto quando era infastidito, agitato - in collera per qualcosa a lei però ignota.

«Cosa vorresti che ti dicessi Natalie?» le domandò di rimando, percependo l'umore della ragazza, leggermente alterato.
Quest'ultimo captò un leggero frastuono e un forte vociferare alle spalle della fanciulla, udendo anche - la presenza di un uomo nella sua medesima stanza.
«A quanto pare, ho sbagliato momento.» le disse, serrando la mandibola con fare mesto. «Anzi, forse ho sbagliato a chiamarti.» aggiunse, sbuffando sommessamente.

«No Mike, aspetta.» lo interruppe, virando lo sguardo sbigottito, verso Klaus - che con fare dilettato, le aveva porta del gelato da poter gustare insieme.

«Non preoccuparti Nat, ho del lavoro da fare. Perdonami.» concluse, congedando la ragazza con poca eleganza, chiudendo poi - quella dolente ed al quanto bizzarra telefonata.
Protese le mani in avanti, appoggiando entrambi i palmi su una sedia, mentre lentamente socchiuse le palpebre, ancora leggermente sbigottito da quanto aveva udito.
Aveva compreso che quella ragazza, invece di riflettere su quanto avevano trascorso insieme e la sua modesta ma presente confusione, era nuovamente corsa tra le braccia del suo fidanzato, abbandonando così - alla totale solitudine, lui stesso - la celebrità di fama mondiale, troppo distante e per niente meritevole di un amore normale, vivo - passionale.
Si malediceva di essersi permesso ancora una volta, di credere a quel sentimento, di credere che - ci fosse ancora speranza, tempo per tornare ad amare, a vivere - a respirare ma - tuttavia, era rimasto illuso, completamente illuso.

«Michael» lo aveva richiamato Emily, facendo capolino nella sua stanza, trovandolo di spalle - leggermente turbato, con gli occhi rossi come due profondi e scottanti bracieri.
«Emily..» le rispose di rimando, captando la sua esile presenza nella grande camera da letto, percependo il leggero tocco delle sue mani, sulla sua schiena.
«È tutto okay?» gli aveva chiesto lei, in un sussurro.

«Dimmi come fai?» le domandò, rimanendo nella medesima posizione, alludendo al fatto che la sua governante - era sposata con un dolce uomo ed era divenuta così, madre.
Dopotutto aveva deciso di assumerla nel suo grande ranch, appunto perché ella - era l'unica, nella sua modesta semplicità - a farlo sentire normale.
«A fare cosa?»

«A fidarti delle persone.» mormorò con voce flebile, prima di abbandonarsi ad un pianto sommesso e silenzioso, tra le braccia di quella dolcissima donna, ormai una delle sue poche ma reali presenze amiche - capaci da placare il suo animo, tormentato ed angusto.

❀ ❀

«Dovresti chiamarla e dirle quali sono i tuoi pensieri.» ammise Emily, una volta ascoltato l'intero racconto del cantante - riguardante quella ragazza, i suoi tormenti, le sue paure più remote ed ignote persino a lui stesso.
«Ha la sua vita, questo non cambierà di certo le cose.»
«Ma può sempre migliorarle, Mike.» continuava l'altra, accarezzando una guancia arrossata del cantante. «Magari lei - vive le situazioni in maniera più cauta e lenta di come faresti tu, non ponendosi la domanda, di come ti senta veramente a riguardo - in questo momento.»
«Magari hai ragiona ma - prova a capirmi, sono abituato così - fin da quando sono piccolo, vivo le situazioni di fretta e furia - con la costante paura di perderle nel mentre.»

«Immagino.» e fece una pausa, virando lo sguardo in quello torvo e mesto del suo amico. «Ma non potresti - provare a cambiare?» aggiunse, agitando le mani in aria. «Mi spiego meglio: noi donne riflettiamo a lungo prima di prendere una decisione definitiva ed in questo momento, Natalie si sentirà confusa e sopraffatta dalla tua persona..»

«Sopraffatta?» la interruppe, alzando un sopracciglio.
«Non fraintendermi Mike, ma sei una persona molto importante - e vuoi o non vuoi, la cosa un po' - spaventa a chi non è abituato ad avere i riflettori sempre puntati.» 

«Forse hai ragione - non so davvero, come ringraziarti Emily.» sospirò l'altro, avvolgendo il corpo esile e minuto di quella donna, tra le sue braccia.
«Oh, non c'è bisogno» gli rispose cordiale, posando il viso sul suo petto. «Permetti a mio marito ed a mio figlio di vivere qui, ed in più mi hai offerto questo lavoro. Fidati, fai già fin troppo.» concluse, schioccando un casto e dolce bacio, sulla sua guancia leggermente accaldata.

[...]

«Tesoro, è tutto okay?» le aveva domandato Klaus, una volta terminato il gelato che aveva acquistato per entrambi. «Ti vedo assente..» aggiunse, accarezzandole una guancia con il dorso della sua mano.

«Mh-mmh» mugolò la ragazza, con la chioma sbarazzina e leggermente spettinata. «Sono solo molto stanca..» mentí, virando lo sguardo altrove - incapace di sostenere quello del fanciullo dinnanzi a lei.

«Ne sei sicura?»
«Si, Klaus.» rispose, ammiccando un leggero sorriso.
«Sai che per qualsiasi cosa..»
«Posso contare su di te» lo interruppe, posando una mano sul suo braccio destro. «Si lo so e te ne sono grata.» concluse.

«Nat, amore - » prese nuovamente parola il ragazzo. «Mi dispiace lasciarti sola prima del previsto - ma ho un impegno di lavoro a cui non posso rinunciare.»

«Alle dieci di sera?»

«Beh sai..» si spiegò, inclinando lievemente il volto verso destra. «Vorrei davvero poter rinunciare per rimanere qui con te..»
«Tranquillo, non ce ne bisogno - va!» lo interruppe l'altra - leggermente interdetta ma tentando di assumere un'espressione comprensiva. «Non c'è problema.» concluse.

«Ehy» la richiamò, avvolgendola con fare dolce, tra le sue braccia. «Ti amo e questo non cambierà mai.» aggiunse, soffiando leggermente sulle sue labbra - prima di sfiorarle con dolcezza, per un casto e sonoro bacio.
Natalie gli sorrise di rimando, rimanendo impassibile mentre egli, con passi lenti - uscì dalla sua stanza e chiuse la porta alle sue spalle, lasciandola sola e leggermente scossa.

Si abbandonò al morbido materasso, con lo sguardo un poco adirato, rivolto verso il soffitto - mentre rimuginava sulla motivazione per cui, la celebrità - dopo giorni e giorni di silenzio e di totale assenza, si fosse comportato in quel modo così bizzarro e stizzito nei suoi confronti.
Nonostante la sua testa avesse scelto di darsi una secondo chance con quel ragazzo, il suo cuore scalpitava ad un ritmo risoluto, ogni qual volta - l'immagine di quell'uomo ormai lontano, si faceva sempre più nitida nei suoi ricordi.
Protese le mani verso il telefono, stringendolo tra di esse - mentre pensava alla cosa giusta da fare.

"Chiamarlo o non chiamarlo?" pensava, socchiudendo le palpebre ed emanando così, un sospiro turbato.
E se davvero - era impegnato, o aveva del lavoro da sbrigare? O peggio, se davvero - era adirato e non voleva così, proferire parola con ella?
Ma dopotutto, perché? La ragazza non riusciva a spiegarsi la plausibile motivazione per cui quell'uomo - non volesse parlarle, sopratutto per come si erano lasciati quella sera - con la promessa di sentirsi, ogni tal volta fosse stato possibile per entrambi.

❀ ❀

«Deb, Prince è con te?» le aveva domandato, facendo irruzione nella stanza, dopo quello sfogo segreto - con la sua cara amica, per gli altri - una semplice governante.
«Si» rispose la donna, accarezzando la testolina bionda del bambino, mentre cullava tra le braccia - la minuta e tenera sorellina. «E Paris si è svegliata poco fa ed ora, le sto dando da mangiare.» aggiunse, sorridendo appena.

Michael prese posto di fianco alla moglie, avvolgendo tra le braccia suo figlio, posizionandolo per bene sulle sue ginocchia. Nonostante la loro situazione al quanto bizzarra ed i loro continui litigi, Debbie virò la sua attenzione nei confronti del marito, studiando ogni capo egli avesse addosso: dai classici e conosciuti mocassini, ad un pantalone nero e morbido che gli cadeva perfettamente lungo i fianchi - al suo capello fedora del medesino colore ed infine - ad una normale camicia rossa, larga - con alcuni scacchi che si intonavano sul blu spento.
«Pa-Papà» balbettó il piccolo, dimenandosi tra le sue braccia.
«Fà il bravo, Prince.» lo canzonò il padre, con un'espressione dipinta sul volto, tutt'altro che severa - bensí, trattenne un risolino sommesso.

Debbie posó il volto sulla spalla dell'uomo, mentre con la mano ancora teneva saldo, il biberon con cui stava nutrendo la più piccola - che sorridente ed affamata, era intenta a reggerlo con le minute e paffute mani.
«Ma-Mangia!» esordí il piccolo, storpiando un poco quella parola, mentre cercava tutti i modi di avere le attenzioni del moro - il quale ridendo appena, gli schioccò un bacio sonoro tra i capelli. «Si, la tua sorellina sta mangiando - è molto affamata.» gli spiego poi, ammiccando uno sguardo complice alla moglie, la quale alzò gli occhi al cielo, soffocando una risata.

«Devi rispondere?» gli chiese poi, udendo il telefono del marito, squillare.
«Può sempre aspettare, dopotutto loro..»
«Se è importante Mike, và!» lo interruppe. «Grace mi darà una mano.»
«Fino a quando resti?»

«Non molto in realtà, ma hanno già mangiato entrambi - tornerò tra tre giorni, se per te non è un problema.»

«Lo sai che puoi venire quando vuoi Deb. Questa rimane pur sempre - anche casa tua.» le rispose, congedandola con un cenno di capo, mentre si recò nel suo ufficio, con ancora in braccio Prince.

«Pronto» esordí, con voce leggermente tremolante - sorridendo al piccolo, che lo scrutava con i suoi enormi occhioni dolci.
«Michael -» mormorò una voce soave e soffice, la sua voce.

«Natalie»
Dopotutto non si aspettava che lei, lo cercasse nuovamente dopo quella mini discussione, avvenuta poche ore prima.
«Mi dispiace per prima.» si affrettò a dirle, sedendosi sul morbido sofà - mentre cullava suo figlio, ormai quasi dormiente tra le sue braccia.

«Mike, spiegami - cosa è successo?» gli chiese, con aria torva e confusa. «Ti sento distante, adirato - triste..»
«Solo?» la interruppe, sospirando appena.

La ragazza non rispose - non sapeva con cosa ribattere, bensì percepiva che il cantante, era intento a parlare, a buttare fuori i suoi pensieri - ma che un qualcosa, non glielo stava permettendo.
Percepiva in lui - un'estrema ed assordante tristezza, che se vissuta a distanza, era veramente complicato da mandar giù - come se il prezzo da pagare a causa della sua fama, a cui era abituato ormai da anni - lo stesse mano a mano, demolendo sempre di più.
«Si, nonostante le tante persone che ho intorno ogni giorno, mi sento molto solo - ma a questo, sono abituato.» prese nuovamente parola lui, per tentare di mettere un punto a quel silenzio al quanto imbarazzante - e quasi pesante che si era venuto a creare tra di loro.

«Eh - Nat» aggiunse, contraendo la mascella e serrando le labbra in una linea dura - tesa. «Ho davvero temuto - di essermi nuovamente aperto, con la ragazza sbagliata.»

«Cosa intendi? Spiegati meglio, per favore.» gli rispose, alzandosi col busto e mangiucchiando le pellicine, intorno alle sue dita affusolate.

«Una parte di me era consapevole che - una volta tornati alle proprie vite, il rapporto che era nato tra di noi - fosse destinato a svanire» iniziò a spiegare, con voce bassa. «Ma nonostante questo, mi sono spinto - e buttato in questa conoscenza con tutte le buone intenzioni di poterla portare avanti, anche dinnanzi ad ogni difficoltà che la vita ci avrebbe posto - come ad esempio, la distanza - il mio mondo, la fama, me stesso.» riprese, enfatizzando l'ultima parola con un sussurro poco udibile. «Ma temo davvero di essermi illuso e di aver desiderato arduamente tutto questo - solamente io.» concluse, virando lo sguardo verso il suo bambino ormai dormiente.

«Mike»
«Ovviamente mi sono reso conto di averti sopraffatta - con il mio modo di essere, la mia velocità, il mio volere tutto e subito - ma sono fatto così» la interruppe, nuovamente. «Mi è sempre stato insegnato così»

«Michael» lo richiamò, ancora.

«E l'idea di legarmi nuovamente a qualcuno che di me non le importa, che mi usa..» la precedette ancora.

«Mike, cazzo.» imprecò la ragazza, alzando la voce. «Mi fai parlare?» aggiunse, con tono più sommesso.

L'uomo sospirò, rimanendo in silenzio - mordendosi il labbro inferiore, mentre non lasciava la presa dalla cornetta - avvampando leggermente sulle gote a causa del suo estremo imbarazzo. «Lo stavo facendo ancora, vero?» chiese poi.

«Cosa?»
«Sopraffarti.»

«Beh, leggermente - si.» gli rispose, stizzita. «Dammi modo di spiegare, di parlare - dopotutto sono più di due settimane che non ci sentiamo - e come hai detto tu: entrambi abbiamo ripreso le nostre normali vite.» continuava, iniziando a camminare per la stanza. «Ma ciò non significa che ti ho dimenticato o peggio, abbandonato.»

«Perché non mi hai mai chiamato?» le chiese, con tono angosciato. «Ogni sera, dopo aver letto una fiaba ai miei figli - attendevo scalpitante una tua chiamata.» ammise.

«Potrei chiederti la stessa cosa.» esordí lei.
«Lo sai, perché.»
«Perché..» fece una pausa, scompigliando la sua chioma bionda. «Perché sono fidanzata?»

Il moro non rispose, rimase in silenzio.
«Mike» aggiunse Natalie, con tono esasperato. «Ogni volta che vuoi sentirmi, che hai bisogno di parlare - di sfogarti, di non..» e fece ancora una pausa, schioccando la lingua al palato. «Di non voler star da solo - puoi chiamarmi tranquillamente, ho sempre modo e tempo di ascoltare un amico.» proferì, con tono sommesso. «Avrò sempre tempo per te, popstar.» lo prese in giro, tentando di stemperare un po' - quell'aria tesa che si era venuta a creare.

«Amico, Nat?» la interruppe. «Mh, amico..» ripeté, analizzando bene quel concetto - che per lui fu come una lama tagliente - pronta a strappare il suo cuore e ridurlo così, in piccoli pezzi. «Davvero pensi che io voglia esserti solamente - un amico?»

Natalie non rispose a quella domanda, schietta e lampante del cantante - che con una nota di puro disprezzo, si era solamente soffermato sul quella dannata ma al medesimo tempo, dolce parola - perché dopotutto non era in grado, di descrivere la natura del loro rapporto.
Non era ancora - capace, di leggersi dentro e di capire cosa davvero volesse e desiderasse portare avanti con egli - era decisamente troppo presto e non voleva entrare in quel circolo vizioso a cui si sarebbero sottoposti, se solo avesse acconsentito a quella corsa contro il tempo e la ragione.

«Natalie»

«Michael»

L'uomo sospirò, sentendosi un emerito idiota - nonostante la sua età e le sue esperienze, iniziando a riflettere che - forse Frank aveva ragione - non ci sapeva davvero fare, con le ragazze.

«Vacci piano con lei, playboy - se corri come sei solito fare, la spaventi e rischierai di perderla.» le aveva detto poche sere prime, mentre erano intenti a cambiare i pannolini ad entrambi i suoi figli.

«Nat perdonami, ho sbagliato - io..»
«Michael - ho bisogno di tempo, tutto qui.» si spiegò, con estrema pacatezza. «Due settimane non bastano per capire se tra di noi, ci possa essere davvero qualcosa.» continuava. «Non voglio buttarmi in una storia destinata a finire prima di nascere - solo perché magari ti desidero.» e fece una pausa. «Non voglio ferire - ne me, ne te. Ti voglio bene e penso che meritiamo più di una corsa contro il tempo.» concluse, abbandonando il suo peso, sulla poltrona in pelle - percependo le sue gambe cederle.
«Ti prego, cerca di capirmi.»

«Hai ragione, bambina - Hai ragione su tutto.» le rispose, con voce roca e sensuale. «È meglio rimanere amici, finché non abbiamo modo di capire - cosa il destino riserverà per noi.»

«Non voglio rovinare questa conoscenza Mike, non voglio davvero.»

«Nemmeno io» mormorò, scattando in piedi. «Ma davvero mi desideri?» aggiunse, ridendo sommessamente.

«Sei proprio un cretino, popstar.» gli rispose, scoppiando anche lei, in una fragorosa risata - nel cuore della notte.
I due rimasero a parlare, ancora e ancora e il moro - aveva iniziato a descriverle le sue giornate insieme ai suoi figli e - a quanto ci tenesse ad essere un buon padre per loro.

«Ed ora Prince, dorme?» gli chiese lei, lunga sul suo letto.
«Si, tra le mie braccia.» rispose, accarezzando la piccola testolina del suo pargolo.
«Parlami di lui»

«Umh, vediamo bambina» mormorò l'altro, osservando suo figlio. «Ora riposa tenendo la bocca leggermente schiusa, con il pollice tra le sue labbra - ha tutta la chioma scompigliata ed è avvinghiato al mio braccio sinistro.»

«Immagino lo spettacolo» gli rispose. «Già da questo, si intuisce che sei un ottimo padre - da come ne parli, da come li descrivi.»

«Sono davvero il mio mondo, vivo per loro.»

Il moro potè percepire il sorriso della ragazza, da dietro il telefono - e di rimando, anch'egli alzò di poco gli angoli delle labbra, perché ogni tal volta raccontava dei suoi bambini - il suo petto si gonfiava di orgoglio.
«Pensa Natalie - delle volte per farlo addormentare, sono costretto a ballare e ballare - finché lui non cade in un profondo sonno.» aggiunse, ridendo sommessamente.
«Allora sei costretto a ballare molto.» gli rispose, posizionandosi a pancia in giù, con il mento appoggiato sulla mano libera. «Loro sono il tuo miglior pubblico.»

«Altroché - a fine giornata ho i muscoli intorpiditi.» esordí, schioccando la lingua al palato. «Ma la mia arte - dopotutto è ben apprezzata.»

«Beh, fossi in te - non ne sarei così sicuro.» gli disse, fingendosi seria. «Se Prince dopo un po' che ti vede ballare, si addormenta - forse..» e fece una pausa. «È perché ti trova noioso.» concluse, con tono colmo di ilarità.

«Ehy - piccola monella, attenta a te - a come parli.» la prese in giro, fingendosi offeso.
«Ah giusto, delle volte dimentico di parlare con un uomo, decisamente anziano, e con poco senso dell'umorismo.» gli rispose, prendendolo in giro per la seconda volta ed il moro, ridacchiò - riuscendo a percepire l'aria di intesa che si era venuta a creare.

«Pardon?» sospirò lui. «Mi stai dando del vecchio?»

«Si, nonnino.»

«Natalie» le disse, con tono di voce alto - da eterno bambino, il quale egli era. «Io sono giovane - dentro, io sono...» e rimase in silenzio.

«Continua»

«I'm Peter Pan.» concluse, con tono di voce buffo e delicato, mentre con passo svelto raggiunse la camera dei suoi bambini - che era comunicante con la sua, per mettere Prince nel suo minuto letto.

I due parlarono ancora e ancora - fino a tarda notte, prendendosi in giro come erano soliti fare quando erano insieme, fisicamente. Natalie ogni tal volta l'uomo parlasse, percepiva il battito andare sempre più in crescendo, dentro la sua sonora cassa toracica.
Dopotutto non si vergognava ad ammettere a se stessa che le era mancato - le era mancato quel dolce parlare e raccontarsi, e sentire l'affetto nutrito verso l'altro - crescere mano a mano che i minuti passavano.
Da quella sera i due, si chiamarono spesso - ad orari improponibili, specialmente la notte tarda e Natalie si raccontava, si apriva come non faceva da tempo.

«Bambina, oggi con Frank abbiamo cambiato i pannolini ai bambini e Prince ha fatto la pipì» iniziò a raccontare, ridendo sommessamente. «Ha fatto un vero e proprio lago e ci ha bagnati completamente - entrambi correvamo per la stanza, con destinazioni ignote» concluse, allungandosi sul materasso ed accavallando le gambe una sopra l'altra.

Natalie non si trattenne dal sorridere e rabbrividire al medesimo tempo, ogni tal volta udiva quel dolce nomignolo fuoriuscire dalle labbra del cantante, per chiamarla o raccontarle qualcosa. «Oh beh, te e Frank siete una coppia di sventurati.» mormorò poi, con la mano destra davanti alle labbra e la sinistra impegnata a reggerla la cornetta.

«Puoi dirlo forte» rispose il cantante, scalpitante come non mai.

[...]

Neverland Ranch, California
- 25 Luglio 1999

«Dannazione Frank, ho male - ho tantissimo male.» si lamentò il cantante, portando le gambe al petto. «La schiena mi va in fiamme, ti prego - fai venire il dottore.» aggiunse, con le labbra serrate in una linea dura.

Il fanciullo non rispose, dopotutto sapeva che dopo quella caduta a Monaco, il forte male alla schiena - non gli era mai passato ma al medesimo tempo, non sopportava vedere il suo amico - assumere tutti quegli antidolorifici. 
«Mike, amico - non ti fa bene quella roba.» lo canzonò, agitando l'indice in sua direzione.

«Frank, davvero - non te lo chiederei se non stessi davvero male. Mi sta uccidendo, il dolore mi va alla testa e non riesco a muovermi, porca puttana!» imprecò, portando entrambi le mani sul viso a mo' di esasperazione.

«L'hai detto anche l'ultima volta, popstar.»
«Frank, sto male - cazzo!» continuava il cantante, alzando la voce e contorcendosi dal dolore. «Ti prego Frank, ti prego..» continuava, iniziando a singhiozzare sommessamente.

«Mike, se vuoi chiamare il dottore e prendere quella merda - fallo!» rispose l'altro, con voce rude e le iridi fisse sull'uomo dalla folta chioma corvina. «Ma io non voglio essere partecipe della tua distruzione.»

«Ne ho abbastanza Frank, delle tue dannate prediche.» lo interruppe l'altro, virando lo sguardo altrove. «Io sono il tuo capo e come tale, devi fare ciò che ti dico. Quindi, chiama quel cazzo di dottore!» urló infine, con fare esaltato.

«Mike, popstar» prese parola il fanciullo, facendo dei passi in sua direzione. «È vero, sei il mio capo - ma ricorda che prima di essere tale, sei il mio migliore amico.» e fece una pausa, posizionando una sua grande mano sulla spalla del cantante. «E io non voglio farti del male - non voglio vederti drogato ed assuefatto da quella merda, nonostante sono consapevole che provi dolore - ma non è detto che la strada più facile sia anche quella più giusta.» continuava. «Ti voglio troppo bene per vederti annegare in quel tunnel buio ed angusto - quindi, se vuoi davvero chiamare quel cazzo di dottore - lo farai da solo.» concluse, posizionando il telefono vicino al suo corpo per poi voltarsi ed uscire a passo spedito dalla stanza, sbattendo la porta alle sue spalle.

«Frank!» urló l'uomo, in preda ad un esaurimento nervoso.
«Frank!» continuava, scoppiando poi - in un pianto sommesso, con entrambe le mani sul volto. «Frank!» continuava, vedendo il volto del fanciullo - fare capolino nuovamente.
«Che vuoi, Jackson?» gli disse, visibilmente adirato in volto.

«Pe-perdonami» mormorò l'altro. «So che ti-tieni a me più di qualsiasi altro..»
«Più di qualsiasi altro che - invece di pensare al tuo bene, sfrutta la situazione per compiacere i bisogni ed i desideri di Michael Jackson» lo interruppe, portando le braccia al petto.

«Lo so..»

Il piccolo Cascio, con sguardo torvo - raggiunse nuovamente il corpo del cantante, sedendosi sul morbido materasso, al suo fianco. Esasperato nel vedere l'amico in quelle misere e disastrose situazioni, prese il telefono - digitando il numero di Bonnie.

«Bon, tesoro» le disse, sospirando. «Michael non sta bene, so che è tarda notte - ma ha davvero bisogno te.» si spiegò - alzando gli angoli della bocca in un sorriso, appena udí la ragazza leggermente assonata - rispondere.
«Oh certo, dammi cinque minuti e sono lì.» concluse.

«Grazie Frank..» sospirò il moro, con voce sottile.
«Tra poco, ti sentirai meglio popstar.»

Continua-

Spazio Autrice:

Macigno pesante, lo so.
Ditemi qua sotto, cosa ne pensate.
I love u all.

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