Prologo. Grober, il Redivivo


Musica consigliata: ‟Moonlight Sonata" di Lucas King (composta da Ludwig Van Beethoven)

https://youtu.be/Y1KZ2XzTTIo

Lontano, sui Monti delle Mille Albe, nel cuore di Palazzo d'Alba, Tredar sedeva sul proprio scranno dorato e osservava, insolitamente silenzioso, i fratelli divini parlare fra di loro. Un brusio che al momento lo infastidiva profondamente, ma non poteva farci granché. Era sempre la stessa storia ogni qual volta era costretto dagli eventi a indire la Giunta dei Nove.

Passò in rassegna, uno dopo l'altro, i fratelli, le sorelle e i genitori che dai propri regni o residenze si erano recati fin lassù, nella casa che in fin dei conti sempre li avrebbe accolti nei momenti di difficoltà. Tutti gli scranni, assieme, davano vita a un cerchio e tutti erano occupati, eccetto uno.

Palazzo d'Alba, come sempre, era inondato di luce, eppure Tredar dentro di sé percepiva l'arrivo di qualcosa che nulla aveva a che vedere con la luce che splendeva in quella sala attraversata da una leggera, calda e piacevole brezza, o quella che scorreva nelle vene di tutti loro, eredità di Vesmanir, colui che non molto tempo addietro aveva rinunciato al Trono per permettere a Tredar di governare.

Stava arrivando qualcosa, per questo aveva richiamato l'attenzione dei propri fratelli. Il fatto che uno di loro ancora non si fosse presentato, né avesse risposto all'appello in sé per sé, non faceva ben sperare il resto dei presenti.

Strinse con più forza il lungo scettro d'oro splendente sulla cui sommità brillava una sfera bianca, fluttuante e luminosa. Ironico che un potere così grande qual era il suo fosse racchiuso in una cosa così piccola e in apparenza fragile. 

Fino ad allora le cose erano andate sostanzialmente bene, nessuno aveva avuto il pessimo gusto di contestare la decisione finale di Vesmanir su chi avrebbe dovuto succedergli, ma Tredar sapeva che prima o poi sarebbe stato costretto a raccontare a tutti loro la verità su cos'era davvero accaduto, sul perché alla fine il loro amato padre avesse scelto lui, anziché il figlio che — malgrado non fosse il primogenito — sin dai primi giorni dalla nascita era risultato essere il suo prediletto, il figlio più amato e coccolato.

Grober non verrà. Forse... forse alla fine davvero l'ho ucciso. 

L'ultima volta che aveva visto il fratello, lui stesso lo aveva spintonato violentemente e fatto cadere nella Fonte; sempre lui, animato da una rabbia improvvisa, incontenibile e inspiegabile, quasi estranea, lo aveva forzato a restare immerso in quelle dense e putride acque nere.

Tredar mai avrebbe voluto una cosa del genere, mai avrebbe voluto fare del male a suo fratello, ma era successo e tutto solo perché si erano presi la responsabilità di affrontare l'Oscurità originata dalla Fonte. Si erano infatti recati entrambi laggiù per dare un'occhiata e sì, trovare una soluzione a un problema divenuto sempre più molesto, poi però Tredar aveva cominciato a parlare, ancora e ancora, finché la verità — senza che lui lo volesse — non era venuta fuori.

Ammetteva di esser stato per molto tempo geloso del fratello minore, almeno con se stesso ammetteva di aver spesso bramato le sue capacità e la sua reputazione.

I loro genitori, il resto dei loro fratelli, sin da subito avevano amato Grober. Lui era sempre stato quello a non sbagliare mai, a non dire mai niente di orribile al prossimo, neppure nei momenti di rabbia. Grober l'Amato, il Luminoso e forse, ormai, l'Assassinato e Perduto. 

Non l'aveva volutamente aggredito a parole e poi non solo tramite quelle; non aveva appositamente cominciato a dirgli che lo odiava perché si sarebbe preso anche il trono e così l'approvazione di padre Vesmanir; mai avrebbe voluto spingerlo e farlo cadere nella Fonte, eppure era successo e da allora, di Grober, si erano perse le tracce. Tutti erano in pena per lui, specialmente i loro genitori.

Tredar, colto dalla paura e dalla vergogna, aveva negato di esser andato con lui, aveva detto di averci alla fine ripensato, che era stato proprio suo fratello minore a consigliargli di restare al sicuro, perché Grober era buono e tendeva a proteggere chi aveva accanto.

Eppure alle sue spalle, su uno degli scalini della bianca gradinata circolare che avvolgeva la base in pietra chiara sulla quale poggiavano gli scranni, base che andava via via alzandosi verso l'esterno, c'era Larysia, sposa di Grober e madre di due figli ancora nel fiore della fanciullezza.

Larysia era bellissima, ma malinconica e in ansia dopo la scomparsa così strana e sospetta del suo amato sposo. Tredar, naturalmente, neanche alla cognata aveva avuto il coraggio di raccontare la verità.

Cosa mai avrebbe potuto dirle? Le voleva bene, l'ultima cosa che desiderava era esser odiato da lei.

Tredar si alzò e a passi cadenzati, salendo i pochi gradini lentamente, si sedé al suo fianco e posò accanto a sé lo scettro.

«Vedrai che verrà. Sta bene, ne sono certo. La Fonte non è un nemico così semplice da battere, ci vuole sicuramente del tempo. Non appena verrà a risapere della Giunta, Grober tornerà.»

Continuava spudoratamente a mentirle, a ingozzarla di false speranze, quando sapeva in cuor proprio che suo fratello giaceva sepolto dalle acque della Fonte. Si sentiva in colpa, ma cosa avrebbero pensato tutti loro se la verità fosse di colpo venuta a galla? Avrebbe perso tutto!

Larysia  spostò lo sguardo malinconico su di lui. «Te lo chiedo di nuovo: c'è forse qualcosa che non mi hai detto, riguardo il giorno in cui mio marito è partito alla volta della Fonte? Se sta bene, perché non è qui con me? Perché non far sapere più niente per giorni e giorni? Sei sicuro di averlo cercato per bene?»

Tredar si chinò in avanti, gli avambracci abbandonati sulle ginocchia, il viso così basso che i capelli chiari finirono per coprirlo in parte; lunghe volute dello stesso colore della luce del giorno celavano un volto colpevole, sul quale una verità giaceva in ansiosa attesa di essere rivelata.

Si pentiva di aver fatto quello che aveva fatto, di esser stato geloso e aver provocato quello scompiglio. Si pentiva del male che aveva fatto a suo fratello, ma ormai era troppo tardi e stava accadendo qualcosa di grave laggiù, sulle terre emerse e gli abissi sui quali tutti loro vegliavano dall'alba dei tempi remoti. Era come se dopo l'orribile incidente la Fonte si fosse fortificata; un'oscurità diversa da quella padroneggiata da sua sorella Deralya, custode della notte e dei sogni dei mortali, madre di Veras e sua guardiana, lentamente stava iniziando a serpeggiare, a divorare tutto.

Nessuno di loro conosceva l'origine della Fonte, ma ormai era chiaro che da lì scaturivano le tenebre venefiche e dilaganti. Tutto era peggiorato, casualmente, dopo la caduta di Grober nelle sue scure e dense acque, simili a fanghiglia e dalle esalazioni soffocanti.

La speranza che Grober, una creatura benevola e pura come lui, fosse riuscito a sopravvivere, era davvero blanda e sciocca. Vesmanir, parlando da solo con il primogenito, era stato chiaro riguardo il figlio prediletto: gli aveva detto di guardargli le spalle sempre, di non abbandonarlo, perché era sì dotato di forza, del dono di creare vita rigogliosa ovunque il suo tocco riuscisse a posarsi, ma anche facile da distruggere, della stessa consistenza del respiro di una vita appena germogliata. Grober era il più fragile fra tutti loro e Tredar aveva giurato di mantenere la promessa, ma non ci era riuscito, si era lasciato corrompere da sentimenti che sarebbero dovuti rimanere estranei ai suoi occhi, e Grober se n'era andato per sempre.

Larysia non avrebbe più rivisto il suo sposo, la verità era quella.

«Io... c'è una cosa che devi sapere» cominciò Tredar, deciso a raccontare almeno a lei la verità, quella autentica, impossibile da soffocare per sempre, ma Vardes il Messaggero lo interruppe, entrando nella sala e schiarendo la voce, dopo aver fatto un rispettoso cenno ai presenti.

La divinità minore, che Tredar stesso aveva creato plasmando il suono delle parole e dando ad esse un supremo custode, un corpo e una voce, sembrava affaticato, come se fosse arrivato davvero di volata fin là. Raggiunse rapidamente il Signore delle Albe e gli sussurrò all'orecchio: «Vostra Luminosità, vostro fratello è qui, ma...», pareva incapace di articolare nel modo giusto il resto della frase.

Il Messaggero, il guardiano della parola scritta e pronunciata per eccellenza, stava temporeggiando.

Tredar recuperò lo scettro e si rimise in piedi con movenze eleganti, la sua lunga e chiara veste — di consistenza leggera come l'aria — emise un lieve fruscio a contatto con la pietra al di sotto. 

Fece un profondo e tremante sospiro di sollievo: Grober era vivo, a quanto pareva, ma qualcosa non gli tornava. C'era una ragione se Vardes stava esitando e Tredar temeva che presto tutti loro avrebbero capito il motivo di tanto indugiare.

«Che entri pure. Non dimenticare che è mio fratello: i miei fratelli saranno sempre i benvenuti qui a Palazzo d'Alba» disse, la voce profonda intrisa di solennità, ma il suo cuore di luce pulsante tremava e palpitava dalla paura.

Si chiese cosa avrebbe visto, una volta che il fratello avesse varcato la soglia di quella sala e superato le alte colonne che attorniavano tutti loro.

«Cosa succede?» chiese Larysia, tornando a sua volta in piedi.

«Grober è qui. È tornato» rispose laconico il Signore delle Albe, gli occhi profondi e chiari intrisi di ansia e preoccupazione.

Percepiva qualcosa di ben poco piacevole, qualcosa che era in avvicinamento e avanzava attraverso le sale del Palazzo; qualcosa che alla fine avvertì con chiarezza e vide poi incarnarsi in una figura avvolta da una veste scura, sobria e in contrasto con le delicate tonalità di quei luoghi.

Tredar osservò quella figura avvicinarsi lentamente: la pelle era priva di colore, ma in sé celava una luce evanescente e divina; la lunga chioma nera scendeva sulla schiena e le spalle in morbide volute.

Anche i fratelli di Tredar si alzarono, profondamente turbati e confusi da cosa, o chi, stavano guardando avvicinarsi.

I passi non facevano il minimo rumore, erano silenziosi e solenni.

Nessuno fra di loro era solito adottare abiti del genere, né recare un aspetto così provato, per quanto restasse comunque dignitoso, in un certo senso.

Quella creatura era totalmente l'opposto di tutti loro, un incubo che era riuscito a penetrare nella volta dorata dei dolci e limpidi sogni di Palazzo d'Alba.

«Chi è costui?» esalò sottovoce Larysia, portandosi una mano al petto.

Tredar deglutì a vuoto. «Non lo so, io... non credo di averlo mai visto o conosciuto. Non è niente di buono, questo è certo» rispose sincero, turbato dall'opprimente pesantezza di colpo piombata su tutti loro.

Ora che lo guardava più da vicino, aveva un'aria molto familiare e il suo passo non era fino in fondo stabile; pareva affaticato, soffrire a ogni piè sospinto e si lasciava dietro una strana e nera scia: era come se lingue di fiamme nere originassero dalla lunga veste del medesimo colore; un tutt'uno con quegli abiti che mettevano a disagio e quasi offendevano il resto della Giunta.

«Per la Luce di mio Padre», mormorò Tredar, «i suoi occhi...!».

Qualcosa in quell'essere davvero non andava. Pareva quasi aver bisogno di immediato aiuto.

Tredar raccolse un po' di coraggio e si avvicinò cauto alla creatura che procedeva lentamente e continuava a tenere lo sguardo puntato verso il basso. Ciò, però, non impedì ai presenti di osservare con orrore quei suoi strani occhi: dove sarebbe dovuto trovarsi il bianco c'era il nero, in netto contrasto con le iridi di un acceso ambra; una corona luminosa e color oro racchiudeva le pupille. Quegli occhi sembravano due voragini oscure che nelle profondità custodivano delle fiamme.

Quell'essere bizzarro e terrificante a un certo punto si fermò, lo fece quando giunse accanto allo scranno rimasto vuoto fino ad allora. Vi posò una mano dalle dita affusolate e magre, anch'esse incolori ed evanescenti. 

Come si fu avvicinato abbastanza, Tredar ebbe modo di percepire il suo respiro affaticato.

Dagli occhi del Signore delle Albe cominciarono a sgorgare lacrime iridescenti e trasparenti, lacrime di gioia e dolore allo stesso tempo.

«Fratello» singhiozzò.

Non l'aveva riconosciuto, anche se si conoscevano sin dagli albori. Non subito aveva riconosciuto in quella creatura sofferente e silenziosa l'ombra di chi un tempo era stato Grober.

Il minore non rispose direttamente a quella parola accorata. «Confesso», disse rauco, la voce appena udibile e flebile, scossa da un tremore di fondo involontario, «che mi aspettavo un'accoglienza molto diversa da quella ricevuta. Non credevo di essere fino a tal punto irriconoscibile».

Neppure Tredar ce la fece a replicare, così il nuovo arrivato si limitò a sedersi sullo scranno e ad aggiungere: «Non importa. A tutti voi mai ho mancato di perdonare qualcosa, se la memoria ancora mi assiste».

Dal modo in cui si lasciò sì e no cadere sullo scranno, diede l'impressione di essere reduce da un lungo e faticoso viaggio ed essere momentaneamente privo di forze.

Quel che era certo, era che di Grober era rimasto davvero poco; i tratti del viso erano come li ricordavano, sì, ma il resto era diverso. Lui stesso lo era. Qualcosa in lui non andava, se si tralasciava l'apparenza fisica.

Larysia deglutì e piano piano si avvicinò, per poi superare Tredar e fermarsi di fronte al suo sposo che finalmente aveva fatto ritorno.

«Stai... stai bene, mio diletto?» domandò esitante. «Ti vedo provato.»

Dall'aspetto che Grober aveva, tuttavia, era chiaro che fosse il contrario: le sue labbra piene erano prive di colore, le orbite violacee e niente lasciava trasparire quel che provava al momento. In lui, oltretutto, nessuno dei presenti percepiva più la presenza della Scintilla. 

 «Ho visto giorni migliori, mia cara» replicò laconico l'interpellato, per poi spostare quegli strani e inusuali occhi sul fratello nato per primo, Tredar. I loro sguardi a lungo si scrutarono a vicenda.

«Sono lieto di vedere che stai bene, fratello» aggiunse Grober con un lieve e affaticato sorriso. Sembrava sincero, dimentico di quanto accaduto vicino alla Fonte.

Possibile che lo avesse perdonato? O forse non ricordava più niente?

Tredar deglutì a fatica, senza riuscire a ricambiare il sorriso. «Mi addolora vedere che tu, invece, soffri terribilmente.»

L'altro posò altrove gli occhi e si incupì. «Non so cosa sia accaduto. Ricordo solo di essere forse caduto per sbaglio nella Fonte e...»

Tutti nella grande sala trattennero il fiato e fissarono interdetti Grober.

Deralya, sorella e compagna di Tredar, si avvicinò al fratello minore. «Com'è potuto accadere?» esalò, per poi lanciare un'occhiata furibonda al Signore di Palazzo d'Alba. «E tu gli hai persino permesso di proseguire da solo! Ti avevamo detto di guardargli le spalle!»

Tredar per un attimo attese, immaginando che il fratello a sua volta presto lo avrebbe sbugiardato, fatto o detto qualcosa che avrebbe annientato la sua giustificazione, ma nulla di tutto questo accadde.

Grober guardò di nuovo il primogenito e fu chiaro che non ricordava neppure gli istanti prima dell'incidente.

Non posso dire la verità, non di fronte ai nostri fratelli — pensò Tredar, sentendosi però un vero vigliacco.

«Grober pensava di farcela da solo e io ho riposto fiducia nelle sue capacità. Non è stata colpa di nessuno e per fortuna è riuscito lo stesso a tornare da noi.»

«Davvero sono stato così arrogante?» chiese pensieroso l'altro.

Tredar forzò un sorriso storto. «Non sei stato arrogante, ma valoroso. Non volevi che corressi dei rischi. Sei stato un bravo fratello, forse fin troppo, come al solito.»

Spinto non solo dai sensi di colpa, ma anche dalla preoccupazione, lo aiutò a rimettersi su e gli strinse delicatamente ambedue le spalle.

«Ora, però, credo sia meglio che tu riposi per un po'. Sei esausto. Ci racconterai tutto il resto quando avrai recuperato le forze.»

Forse era un bene che Grober non ricordasse nulla, ma in cuor proprio Tredar sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dirgli la verità e sperare nel suo perdono, nella sua misericordia.

L'aspetto esteriore era cambiato, ma dentro suo fratello sembrava esser rimasto intatto.

Uscirono dalla sala e non appena furono nello spazioso e arioso corridoio inondato di luce, Tredar abbracciò forte il fratello minore, quello che aveva quasi ucciso ed era finalmente tornato.

Non so come io possa aver fatto una cosa così orribile proprio a te, ma giuro che non oserò mai più farti del male.

«Sei tornato. Il resto non conta» sussurrò, posando un bacio sui suoi capelli neri.

Il peggio era passato e suo fratello aveva fatto ritorno. Forse presto sarebbero tornati tutti quanti alla normalità.

Sorrise percependo le braccia di Grober ricambiare in maniera malferma, ma sincera, la stretta affettuosa.

Tredar intensificò l'abbraccio quando però sentì il minore piangere sommessamente.

Sarei dovuto restare e aspettare, invece di abbandonarti. Credevo di averti perso e ho avuto paura, ma ora sei qui e farò di tutto per rimediare.

«Ora sei al sicuro, fratellino.»




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