Capitolo XXXVIII. Il Labirinto


Musica consigliata: "Unspoken" di Myuu.

https://youtu.be/PvIvXw6gSYA

«CHE COSA?» Godric afferrò Petya per i vestiti e dopo una manovra lo spinse sulla scrivania lì accanto e lo tenne lì bloccato di schiena. «Avete permesso che Iago seguisse quel lestofante di James nell'Oltrespecchio? Lo avete fatto pur sapendo che Grober non aspetta altro che l'occasione per ammazzarlo?» Sembrava un leone inferocito, non lo si era mai visto così furibondo. «Sto per ucciderti, ti avverto!»

Petya rimase immobile per non aizzarlo più del dovuto, sapendo che non era tipo da far minacce a vuoto. «Calmati e lasciami spiegare.» Con cautela lo spinse indietro, si mise su e risistemò gli abiti. «Non ne sapevamo niente. È sgattaiolato sì e no fuori dal palazzo, forse ha usato qualche passaggio segreto. Dio solo sa quanti ce ne siano qui dentro.»

«Dio...!» Godric rise sardonico. «Avrei un bel po' di cosucce da dire sul suo conto ed è meglio che me ne stia zitto!» Mosse la mano come a mandare l'altro a quel paese e andò verso le porte della stanza.

Il re capì immediatamente e lo seguì. «Non ci pensare nemmeno! Non sei nelle condizioni di andare laggiù e fare il diavolo a quattro come tuo solito!»

Godric, il quale aveva già recuperato un pugnale, lo sfilò dal fodero appeso alla cintura, si voltò, lesto come un serpente, e fermò la punta a un centimetro dalla gola di Petya. «Hai dimenticato chi sono io?» ringhiò. «Sono sopravvissuto a qualunque cosa la collera divina mi abbia scagliato contro e non rimarrò a guardare mentre Grober fa scempio di mio figlio! Fatti da parte, non ti riguarda!»

Il sovrano non demorse. «Allora vengo con te. Non mi sogno neppure di mandarti fin laggiù da solo. Ti abbiamo ripreso per un soffio, Godric! Non sei ancora abbastanza in forze per farcela da solo!»

«Non mi importa! Mi interessa solo di riportare indietro per un orecchio quell'irresponsabile! Grober può maledirmi anche cento volte tutte assieme, se lo desidera, ma non deve toccare Iago!»

Godric rinfoderò con destrezza l'arma e poi, quasi colto da un presentimento, decise di recuperare la spada e allacciarne la cinghia come al solito sul torace, in modo da allungare il braccio ed estrarla al volo.

Sentiva che gli sarebbe servita e aveva imparato molto tempo addietro a fidarsi dell'istinto, anche se al momento era annebbiato dall'apprensione, da quella voce che gli ripeteva di sbrigarsi.

«Se è destino che non ci rivediamo, ti dico addio.»

«No, invece. Te l'ho detto: se vai, verrò con te.»

«E io ti dico che il tuo aiuto puoi ficcartelo allegramente su per il culo» cinguettò il mago, per poi tornare serio. «Saluti.»

Il re gli afferrò un braccio e lo fece voltare con decisione. «Lo farò, va bene, ma dopo che avremo riportato qui Iago insieme. Non intendo discuterne oltre e non puoi forzarmi a restare qui.»

«La tua coscienza, se di quella si tratta, può dormire sonni tranquilli. È una mia scelta!»

«Anche la mia lo è, proprio com'è spontanea e dettata dall'amicizia. Per la seconda volta nella tua vita, Godric: lasciati aiutare.»

Godric parve convincersi. Sospirò e mise una mano sulla spalla del sovrano. «Va bene, allora.» Gli sorrise appena, lo guardò negli occhi e nello stesso istante Petya avvertì un dolore penetrante allo stomaco. Il fiato gli si mozzò in gola. Abbassò lo sguardo: il pugnale di qualche minuto addietro era conficcato nelle sue carni, il sangue zampillava dalla ferita e gocciolava a terra. «C-Cosa stai facendo?» esalò, cercando di aggrapparsi a lui per non crollare giù come un castello di carte. «Godric!»

L'altro Efialte ritrasse l'arma e gli diede una spinta, facendolo cadere sulla schiena in modo che il sangue evitasse di scorrere verso la ferita e fuoriuscire. In quel modo si sarebbe dissanguato più lentamente e si sarebbe forse salvato. Non aveva tempo per pensare a futili dettagli. «Non posso rischiare che Grober ti uccida. Se muori tu, quei marmocchi si ritrovano senza una guida e già così stanno facendo un casino. Io sono solo un pedone sulla scacchiera, ma tu sei il re, Petya.»

Ripulì sulla manica della camicia il sangue e rimise a posto il pugnale. «Chiamerò le guardie, così ti troveranno e porteranno a farti dare una rammendata.»

Petya cercò di fermarlo afferrandogli una caviglia. «N-Non andare! Se lo farai, non tornerai!»
«Pazienza» replicò laconico Godric. «In caso succeda, sai già cosa fare e come agire. Vedi di non deludermi e di non costringermi a tornare dalla tomba per fracassarti di botte.» Aprì le porte. «Comunque, grazie per aver cercato di darmi una mano in un momento in cui nessun altro lo avrebbe fatto. È bello sapere che c'è al mondo qualcuno disposto a morire persino per uno come me e per giunta al mio fianco. Tutto sommato credo di poter definirti quasi un amico, Petya.»

Uscì e lasciò aperto, poi giunto in corridoio chiamò a voce alta le guardie. Ormai le si vedeva dappertutto.

Niente.

Sibilò un'imprecazione oscena nella propria lingua, mise le mani a coppa davanti alla bocca e tuonò: «GUARDIE! ASSASSINIO!»

Istanti dopo udì dei veloci scalpiccii avvicinarsi sempre di più.

«E li pagano pure 'sti cialtroni» borbottò seccato. Si sbrigò a correre via nella direzione opposta. Iago non era l'unico a essersi studiato bene la struttura del palazzo e a conoscere un bel po' di passaggi segreti. Non gli serviva Petya per sapere che ve n'erano anche là dentro.

Ne scelse uno nei paraggi. Erano tutti uguali e c'era bisogno di forzare un po' tramite la magia la loro apertura. Dopo un paio di tentativi riuscì a sbloccarlo e la parete scomparve, rivelando un brevissimo corridoio e una lunga scalinata immersa nel buio.

In tal modo non avrebbe avuto tante rotture di scatole.

Fu istintivo per lui pensare al suo Pheryon, ma ricordò nel giro di un secondo di non poter più farne uso. Dunque dovette evocare con qualche magico svolazzo delle mani una sfera di luce color rosa tenue; quest'ultima gli girò attorno e poi volteggiò dentro il passaggio. Godric la seguì spedito e non trasalì minimamente quando alle sue spalle udì un crepitio, il segnale che la parete si era richiusa. Stando ben attento a dove metteva i piedi, scese un gradino dopo l'altro, aiutato dal globo luminoso che sembrava fatto di fumo color malva dalla forma sferica. Terminò una rampa, poi un'altra ancora. Ne contò sette, poi si guardò attorno e individuò l'uscita. 
Il motivo per cui aveva bisogno di uscire fuori dal palazzo era semplice: al suo interno non era consentito aprire portali di alcuna sorta perché Skyler aveva ordinato di porre degli incantesimi che ne neutralizzavano qualsiasi tentativo. Iago e James erano riusciti a crearne uno per andare nell'Oltrespecchio e ciò significava che le protezioni sul resto di Obyria erano attualmente assenti. Una falla nel sistema molto pericolosa in un momento del genere, ma funzionale per ciò che intendeva fare lui.

Si era abituato così tanto al buio che quando aprì la massiccia porta servendosi della magia, dovette coprirsi gli occhi per via della luce che sembrava accecante. Capì di trovarsi nei giardini quasi immediatamente. Dopo l'attacco di mesi addietro erano ancora in fase di ricostruzione, le piante appena nate e l'aspetto in generale non più così maestoso. Nonostante le apparenze, Godric aveva sempre avuto uno sconfinato amore per le piante e i fiori in generale, prova ne era la presenza a casa sua di una serra ben fornita. 
Si chiedeva cosa fosse rimasto di essa in seguito alla sua lunga assenza dalla dimora alla quale sapeva di non poter fare ritorno. 
Meglio non pensarci, si disse. Sarebbe stato controproducente farsi prendere dall'amarezza.

Estrasse dalla tasca dei jeans scuri un piccolo specchio e fece un bel respiro. Sussurrò la formula che di consuetudine apriva il portale e si concentrò con la mente per indirizzare la destinazione verso una meta precisa: il castello di Specula. La luce si propagò dallo specchio, avvolse anche lui e poco dopo era sparito e riapparso nell'ormai inospitale e arido territorio delle colline sulle quali la reggia se ne stava appollaiata, simile a uno scarno e spennacchiato avvoltoio che biecamente osservava i rimasugli della città a valle.

Un tempo quella era stata la dimora del re, ma era acqua passata. Ormai era tra le grinfie di Grober, del vero Demonio.

Il tempo a Specula era inclemente: il cielo più nero che mai, privo del benché minimo spiraglio di chiarore, e da esso si udivano provenire sommessi tuoni e schiocchi di lampi lontani. La pioggia scendeva implacabile, scura come al solito e pungente. In quel mondo, dove tutto era ribaltato, persino la neve era nera e aveva la consistenza della cenere, perciò rappresentava una piaga e non un motivo per festeggiare e restare barricati in casa davanti al fuoco.

L'Oltrespecchio, per coloro che ricordavano i tempi meno recenti e ai quali era stata tramandata l'antica saggezza di Sverthian, non era altro che un'autentica, gigantesca colonia penale dove gli Sverthiani per secoli, millenni, avevano continuato a spedire ogni genere di individuo indesiderato: prigionieri politici, oppositori dell'Impero, semplici ladri e tagliagole, ma anche innocenti, come ad esempio i figli che ragazze troppo giovani non avevano voluto tenere con sé, o proli bastarde di nobili vigliacchi. L'infanticidio a Sverthian era severamente proibito e punibile con la morte, perciò chi in tutti quei secoli aveva necessitato di far assolutamente sparire figlioli la cui esistenza era di per sé uno scomodo punto interrogativo, aveva deciso di abbandonarli spedendoli nell'Oltrespecchio con una balia, quasi sempre una prostituta che aveva partorito da poco e a volte perso il proprio di bambino. Una crudeltà bella e buona mascherata da atto di pietà.

«Che cosa ci fai tu qui?»

Quell'improvviso intervento, sommato al silenzio tombale che regnava ovunque attorno a lui, lo fece sobbalzare. Si girò e vide a qualche metro di distanza un paio di occhi color onice che lo squadravano con fare infastidito e spiacevolmente sorpreso. Accanto ad essi vi era un altro paio di occhi, ma dal colore diverso: rosso scuro, la stessa tonalità del sangue.

Godric ben presto si ricompose e a sua volta assunse un atteggiamento glaciale. «Potrei farti la stessa domanda. Non te ne eri andato per i fatti tuoi, Dante?» Aveva riconosciuto anche l'altro: Kilmar. «Vedo che sei tornato a frequentare le tue vecchie conoscenze.»

Dante rispose con un'occhiata irritata. «Me ne stavo per i fatti miei quando questo stronzo qui è venuto a scocciare e ad esortarmi molto poco garbatamente a presentarmi qui. Mi ha convinto quando ha detto che quel pasticcione di Iago ne aveva combinata un'altra delle sue.» Lo sguardo rancoroso e gelido che rivolse a Kilmar fece capire immediatamente una cosa: non erano più così amici come una volta e Kilmar, in particolare, aveva qualcosa di diverso, lo si percepiva. Godric riusciva a sentire provenire da lui una forte, preoccupante carica di oscura negatività, se non malvagità.

Stava succedendo qualcosa di molto strano e sbagliato. Aveva la sensazione che erano stati attratti lì di proposito, chi con l'inganno e la manipolazione, chi con la forza, prova ne era che Kilmar stava puntando una lama azraelita sulla schiena di quello che una volta era non solo suo amico e compare, ma il capo dei Sette Oscuri, l'uomo che gli aveva insegnato a governare l'Anatema Kladva, che gli aveva restituito un motivo per lottare e risollevarsi dalla polvere.

A quanto pareva, Grober aveva alla fine reclutato Kilmar e quest'ultimo si era lasciato sedurre da chissà quali promesse, tanto da avere il coraggio, e forse la stupidità, di mettersi contro l'Efialte che sapeva bene come sfruttare il Settimo Anatema alla perfezione.

«Sarà interessante vedere come ve la caverete là dentro» esordì Kilmar con un lieve sorriso non molto rassicurante.

Godric ne aveva abbastanza. «Si può sapere cosa sta succedendo? Come sarebbe a dire che Iago...»

«Oh, lo vedrai» lo interruppe l'altro, gli occhi che scintillavano sinistri. «Lo vedrete entrambi.»

«Questa me la paghi, Kilmar. Lo giuro su quel cazzo che ti pare» ringhiò Dante, squadrandolo in tralice come a volerlo sbranare da un momento all'altro.

Kilmar sogghignò. «Non sei più temibile come una volta. Prova ne è che un tempo saresti morto pur di non farti raggirare come è successo poco fa, invece ora è bastato nominare Iago per far sì che obbedissi come un soldatino. Sei uno smidollato.» Si stava approfittando della situazione, del fatto che Dante non potesse reagire, a meno che non desiderasse ritrovarsi con una lama azraelita conficcata nella schiena e i motivi che lo spingevano a restare in vita erano ormai palesi a tutti.

Le porte del castello erano aperte, il ponte levatoio abbassato. Oltre di esse, a un tratto, Godric e Dante udirono entrambi provenire l'eco lontano di un grido, una voce che conoscevano bene.

Un suono straziante.

Persino l'Efialte più anziano non riuscì a mascherare un'espressione atterrita e preoccupata: era stato Iago a gridare, da qualche parte in quella fortezza oscura e inospitale.

Grober lo stava forse torturando?

Kilmar sorrise in modo più evidente. «Fossi in voi mi sbrigherei a trovare il vostro prezioso pupillo. Non posso garantire che reggerà ancora a lungo allo strazio cui viene sottoposto mentre voi ve ne state qui a tremare come una coppia di ingenue scolarette.»

Godric lo guardò, furibondo. «Dov'è James? Che fine ha fatto lui?»

«Vuoi davvero saperlo?» lo provocò Kilmar. La situazione pareva divertirlo.

«Non può essere morto» tagliò corto Dante. «Se lo fosse, lo avremmo capito.»

«Ne sei sicuro? Io trovo che voi due, invece, abbiate la brutta abitudine di non capire un bel niente.» Con il capo accennò alle porte del castello. «Entrate. Il gioco è appena cominciato e l'orologio corre. Potrei anche dirvi le regole, ma perché mai dovrei farlo? È molto più divertente lasciare che le scopriate da soli man mano.»

Non avevano scelta, era più che ovvio. Dante, irritato, decise di andare per primo. «Lui non mi serve a niente. Posso farcela benissimo da solo» disse, riferendosi a Godric.

Kilmar rise appena. «Sei sempre stato borioso e arrogante. Vedo che in questo non sei cambiato di una virgola.»

«Potrei sorprenderti.»

L'altro Oscuro ghignò biecamente. «Ne dubito.» Un istante più tardi, gli altri due Efialti videro qualcosa superare le porte e strisciare sul ponte levatoio, poi sul terreno, in direzione di entrambi: erano due ombre informi e sibilanti le quali, poi, si staccarono da terra e li afferrarono ciascuna per la vita, trascinandoli velocemente, contro la loro volontà, all'interno della fortezza.

Dentro era tutto immerso quasi nella totale oscurità, fatta eccezione per il riverbero sanguigno delle vetrate. Le porte si chiusero con un tonfo quasi assordante, poi calò il silenzio.

Si rimisero in piedi barcollanti e si guardarono attorno. Fu allora che capirono che qualcosa era cambiato in quel posto; sembravano esserci più corridoi, più porte e passaggi. Sembrava di trovarsi in un castello labirintico e intricato dove era facile perdersi. La struttura era stata stravolta completamente. Erano su un campo di battaglia che non riconoscevano ed era estraneo a tutti e due, il che non era un punto a loro vantaggio.

Di nuovo udirono delle grida squarciare il silenzio che faceva sembrare quel posto una cattedrale, o una cripta.

«Be', io vado da quella parte.» Dante indicò un arco di pietra che si affacciava su un grande e buio corridoio.

«Dividerci sarebbe un errore» replicò Godric. «Non guardi spesso i film horror, vero?»

«Non ne avrei neanche la possibilità» lo rimbeccò l'altro, rifacendogli il verso e imitando la sua voce in modo stridulo e ridicolo. «Tu vai dove ti pare. Se ti perdi, meglio ancora.»

«Vaffanculo!» sbottò Godric, che ne aveva sul serio abbastanza. «Neanche di fronte a Iago che si trova in pericolo smetti di fare lo stronzo! Sai che ti dico? Ti auguro lo stesso! Sarò io a trovare per primo Iago! Se non altro, io almeno ho gli occhi che funzionano a meraviglia!»

Dante, già abbastanza arrabbiato per i fatti suoi, a quelle parole perse le staffe e rifilò all'altro un pugno in faccia. Godric, però, dopo un attimo di smarrimento gliene diede a sua volta uno. «Così impari, testa di cazzo!»

Si rivolsero un ultimo, rabbioso sguardo, poi andarono in direzioni sì e no opposte senza guardarsi indietro neppure per sbaglio.

Kilmar, intanto, nascosto nell'ombra li aveva osservati e a stento si era trattenuto dal ridere di gusto. Che idioti! Pensavano davvero di uscire da lì vivi?

Se la sono bevuta fino in fondo.

La verità, pura e semplice, era che in realtà Iago era riuscito a penetrare nel castello e purtroppo a liberare e far evadere quell'incapace di Lorenzo. I due, insieme a James e ad Alice che a quanto pareva era stata sconfitta dal fratello, erano andati via in fretta e furia, riuscendo a scappare.

Grober, però, aveva colto la palla al balzo, grazie anche alle proprie spie. Sapendo che Godric aveva abbandonato il sicuro nido di Obyria con la nobile intenzione di andare ad aiutare il suo adorato Iago, aveva scelto di giocargli un tiro mancino e liberarsi finalmente di lui senza rinunciare a un po' di sano divertimento.

Kilmar era riuscito nel frattempo a individuare Dante e a forzarlo, con l'inganno, a presentarsi al castello.

Sarebbe stato bello vedere quelle due belve scannarsi a vicenda, una volta compreso di essere in trappola e di non avere altra scelta se non di avere l'uno la meglio sull'altro per poter tornare in libertà. Almeno era ciò che Grober avrebbe fatto loro credere. 
Anche se avevano perso un'esca importante, nella rete erano alla fine riusciti ad acchiappare due esemplari di pesci particolarmente pregiati e cruciali. Due pesci eguali che spinti dalla rabbia, dall'odio e dalle incomprensioni passate, da un disperato istinto cannibale, si sarebbero divorati a vicenda.

Intanto, all'interno di quelle mura stregate per l'occasione, un grosso e invisibile orologio aveva iniziato a ticchettare, i suoi lenti e lugubri rintocchi a riecheggiare nei corridoi, nelle stanze, e a seguire passo dopo passo i due Efialti che inavvertitamente si stavano addentrando sempre di più nel labirinto designato come loro futura e imminente tomba.

1704
Sverthian, Mare di 
Græberdan

Non era stato semplice per Richard e Léonard convincere uno dei lupi di mare presenti nella locanda nei pressi del porto di Kiladys.

Per fortuna il Principe della Notte aveva imparato a parlare discretamente la lingua di quelle parti e Léonard era rimasto in silenzio durante la conversazione con il capitano Bryban, un corsaro che, come si evinceva dal termine, aveva preferito servire l'Impero piuttosto che essere braccato dalla Marina Imperiale come un comune tagliagole.

Bryban inizialmente aveva guardato tutti e due con tanto d'occhi non appena Richard aveva espresso chiaramente la volontà di salpare le acque non solo dell'Oceano di Cristallo, ma di voler addirittura superare le famose correnti di Rasya. A quanto pareva quel nome strizzava timorosamente l'occhio all'omonima divinità che Léonard non aveva potuto non accomunare a un autentico psicopompo, forse persino ad Ade stesso che il suo popolo anticamente aveva venerato.

Vi erano alcune similitudini, e le correnti oceaniche che dividevano le acque dell'Oceano di Cristallo dal Mare Græberdan erano state soprannominate ‟di Rasya" perché molto pericolose, turbolente e inclini al distruggere qualsiasi nave osasse tentare di domarle. Non era raro che finissero per spingere indietro con violenza le imbarcazioni, quasi come se volessero proteggere il Continente d'Ombrascura da qualsiasi contatto con gli altri popoli di Sverthian.

Gli abitanti di quei luoghi, secondo i racconti decisamente pittoreschi e infiorettati del capitano Bryban e della sua ciurma, erano molto scontrosi e non vedevano di buon occhio gli stranieri che solevano definire sempre invasori. Popolo di eccellenti cacciatori e guerrieri molto caparbi, maestri della battaglia, da sempre ripudiavano lo sfarzo e l'opulenza dell'Impero e dei Continenti Minori. Se a Dagrerver, la capitale imperiale, poesia, musica, danze e arte di ogni genere erano amate e considerate fondamentali, nel Continente d'Ombrascura erano a malapena tollerate, nonché ritenute una perdita di tempo e di dignità.

Non che i Græber fossero un popolo timorato degli dèi, s'intende. Che diamine! A giudicare dai racconti di Bryban, non v'era gente meno cerimoniosa di loro. A Dagrerver si erano persino guadagnati la nomea di blasfemi, tanto per dirne una.

Le uniche divinità che sembravano venerare e rispettare erano Grober, ovviamente, e Rasya: il dio della guerra e del male, e il Signore dei Morti. Una gran bella accoppiata, quei Græber dovevano proprio essere dei simpaticoni!

Léonard era sempre meno convinto di quel viaggio pericoloso e possibilmente inutile, per non parlare del piano un bel po' folle e a doppio taglio di Richard. A volte avrebbe voluto aprirgli la testa per vedere come funzionava, o almeno per constatare che sotto quella chioma bionda vi fosse davvero un cervello, anziché una pigna rinsecchita.

Quel che era comprovato, era che Richard Esper fosse probabilmente la creatura più vicina al demonio vero e proprio, perché era riuscito a convincere il capitano Bryban a intraprendere quel viaggio malgrado le avversità presentate loro da quando le correnti di Rasya erano state superate per miracolo ed erano entrati ufficialmente nel territorio dei Græber. Bryban era un uomo tenace e adorava le sfide, e Richard questo lo aveva inteso molto bene e aveva deciso di far leva sull'orgoglio del capitano e il suo amore sconfinato per le sfide. Certo, Léonard era però contrariato dal momento in cui aveva scoperto che il Principe della Notte se la intendeva un po' troppo bene con il corsaro. Bryban era senza dubbio un uomo affascinante e carismatico, ma Richard sul serio non perdeva una singola occasione di unire l'utile al dilettevole, il piacere al dovere. Carbenais iniziava decisamente a stufarsi di quella situazione, specie della condotta libertina e disdicevole di Richard.

Forse, però, la verità era che bruciava dalla gelosia e non sopportava di vedere quel vampiro star sempre a ciangottare gaiamente con il bel corsaro, fargli gli occhi dolci e comportarsi da civettuolo come la peggiore delle meretrici, e come se non bastasse lo faceva anche quando lui era presente. Se non altro avrebbe potuto evitare di comportarsi a quel modo in sua presenza. Pareva quasi che quanto accaduto fra di loro prima della partenza non avesse valore alcuno. Una scappatella qualsiasi, un'avventura effimera, non un viaggio che era servito a farli riavvicinare e a rafforzare il legame che nonostante tutto era sopravvissuto fino ad allora, fino all'arrivo del capitano Bryban, che Léonard iniziava sì e no a detestare.

Il Mare di Græberdan quella sera era tranquillo, stranamente. Una liquida e piatta distesa di acque scure e dolci, a dispetto del nome. Nessun segno di mulinelli o creature degli abissi intente a risalire in superficie con l'intenzione di divorarli tutti quanti, nave compresa.

Léonard, come spesso faceva in momenti di pace come quello, se ne stava appoggiato con entrambe le braccia al parapetto, sul ponte di coperta, e osservava con aria assorta il mare ondeggiare all'orizzonte.

Più proseguivano e più il cielo sembrava ricolmarsi di nubi grigie e scure, come se fosse perennemente in uno stato che precedeva la tempesta. Bryban diceva che da quelle parti era sempre così ed era raro che il cielo fosse limpido e rischiarato dalla luce di Vesmanir, che altro non era se non un astro con la medesima vocazione del sole.

Smise di osservare il mare e si voltò, spostò lo sguardo in alto, oltre i gradini della scala che conduceva alla cabina del capitano. Un paio d'ore prima aveva visto Richard e Bryban entrarvi e da allora non erano più usciti. Per un attimo, uno soltanto, avrebbe voluto correre dentro quella cabina e dirne quattro a tutti e due, specialmente a Richard, ma alla fine si era detto che doveva stare calmo e che non doveva lasciarsi scalfire da quell'atteggiamento che sembrava a volte voler provocarlo appositamente.

Più passa il tempo e più diventa volgare, pensò indispettito, rifilando l'ennesima occhiataccia a una delle finestre illuminate della cabina.

Persino la ciurma iniziava a brontolare e a dire che il capitano sembrava molto più interessato a uno dei due passeggeri che alla rotta da seguire.

Non sa darsi un freno!

E va bene, lo ammetteva: provava attualmente qualcosa che si avvicinava di molto alla gelosia. Forse era sbagliato, in fin dei conti era sposato, aveva dei figli, ma era anche vero che non si era sposato per amore, bensì per volere della sua famiglia, della sua defunta zia che lo aveva preso in custodia e aveva poi stabilito, un giorno, che avrebbe dovuto unirsi in matrimonio con una ragazza di due anni più giovane. Quando si era visto costretto a infilare l'anello nuziale alla sua attuale sposa, non aveva neppure compiuto ventun anni. All'epoca la faccenda gli aveva pesato un bel po', perché sotto sotto non si era mai considerato adatto alla vita matrimoniale e mai lo aveva sfiorato il desiderio di avere dei figli, men che meno una consorte che forse sarebbe finita per scialacquargli il patrimonio di famiglia. Sua moglie non era particolarmente frivola e spendacciona, ma ogni tanto lo faceva ancora uscire dai gangheri quando si trattava di presentargli un conto non indifferente generato dalla natura un po' vanesia della donna. Sua moglie era più incline al preoccuparsi delle frivolezze e in quanto a istinto materno, una gatta sarebbe stata una madre migliore di lei. C'erano delle rare volte in cui Léonard apprezzava la sua compagnia, nonché la sua bellezza e il suo innato fascino, ma per il resto erano una coppia che pensava ai fatti propri e in totale separazione. 

E ora eccolo lì, di nuovo alle prese con il suo cugino acquisito, con quello che anni e anni addietro era stato anche il suo amante, durante la permanenza in casa Esper. In quel periodo in cui erano tutti e due molto più giovani, ingenui e spensierati, non era stato raro che lui, prima di ritirarsi, avesse lasciato un messaggio a Richard per dirgli di venire nelle sue stanze. Ciò che era iniziato nella radura fiorita nei dintorni di Villa Esper in realtà si era ripetuto più volte in seguito. Era stato il periodo più bello della sua vita ed era terminato quando lui si era sposato e Richard prima si era innamorato di Evangeline e poi, alla fine, aveva incontrato la morte per mano della matrigna, Elizabeth. Léonard non aveva saputo di quell'orrendo omicidio se non un bel po' di tempo dopo. La sua zia paterna, all'epoca dei fatti, gli aveva detto che Richard era purtroppo morto di malattia, forse una punizione scagliata dalla collera divina in seguito alla sua relazione con Evangeline e la nascita del loro figlio bastardo.

Léonard ci aveva creduto e aveva pianto per la scomparsa della zia, senza capire che in realtà gli aveva mentito spudoratamente. Aveva odiato Richard per aver assassinato insieme ad Arian e Reida Elizabeth, senza sapere che in realtà quella donna si era andata a cercare quella fine.

Ogni cosa che era accaduta li aveva condotti lì, in quel viaggio che li avrebbe portati a cercare l'aiuto di un'autentica divinità che non aveva affatto una bella reputazione ma che, allo stesso tempo, sembrava essere l'unica in grado di aiutarli.

Che cosa gli toccava fare all'età di cinquantasei anni! Benché non li dimostrasse affatto e il sangue di Sileno gli avesse dato la facoltà di invecchiare molto lentamente, al momento sentiva eccome il peso di tutti quegli anni sulle spalle e il pensiero di Richard che intanto se la spassava con quel corsaro non aiutava per niente.

Sobbalzò quando qualcuno gli assestò una gomitata. Volse lo sguardo a sinistra e vide proprio Richard. Sembrava di buon umore, forse persino troppo allegro. 

«Suvvia! Cos'è quella faccia truce?» lo apostrofò Esper, imitando la sua espressione cupa. «Non è ancora morto nessuno, se non sbaglio!»

Léonard, non reggendo proprio di fronte alla sua spensieratezza, chiese a sua volta: «Il tuo nuovo sollazzo ti ha già stancato?»

Richard inarcò un sopracciglio. «Chi, Bryban? No, è solo distrutto dopo che siamo dati di nuovo alla pazza gioia, per la terza volta in una sola serata.»

Il Duca gli rifilò un'occhiata fosca, ma le sue labbra tremavano. «Devi proprio sbattermelo in faccia?»

L'altro sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «Oh, andiamo! Siamo su questa nave da quasi tre settimane, santo Dio! Che dovrei fare tutto il giorno? Non sono adatto alla vita da mozzo, non so se mi spiego! Insomma, guarda che mani! Sono inadatte alle sartie!»

«Ah, dunque io sono già passato di moda.» Léonard sciabolò le sopracciglia. «Ora preferisci gli uomini rozzi e con una spiccata propensione al bere come spugne. Ha ragione il tuo Capo delle Guardie a definirti un libertino.»

Richard restrinse lo sguardo. «Chiedo scusa?» Davvero quel pupattolo lo aveva chiamato in quel modo?

«Se anche lo fossi, non ci vedo nulla di male. Non sono sposato e ho un bel po' di tempo da perdere, quando non sono in guerra. Resto un uomo e come tutti gli uomini ho dei bisogni da soddisfare.»

Léonard contò fino a dieci. Ci provò, almeno, ma al tre sbottò: «Se la mettiamo in questi termini, potrei soddisfarli io, se proprio non riesci a contenerti!»

«Sei troppo sentimentale e delicato per i miei gusti, Carbenais» replicò gelido Richard, squadrandolo. «Quello che c'è stato fra me e te è un errore madornale che non va ripetuto. Ci abbiamo sguazzato fin troppo e guarda come siamo finiti.»

Il Duca non riuscì a celare un'espressione ferita. «Sei un mostro, Richard. Un mostro senza cuore.»

«Io almeno non sono convinto di essere sempre nel giusto e che gli altri siano da biasimare.»

«Stai forse parlando di te?»

«No, parlavo di te.»

«Non sei la persona giusta per farmi la predica!»
Richard restrinse lo sguardo. «Come osi pretendere alcunché? Se Dario e la mia amante non fossero venuti a pregarti in ginocchio di aiutarmi, non saresti mai tornato. Non hai il diritto di fare l'offeso e di esigere certi privilegi da parte mia! Vi hai rinunciato un bel po' di tempo fa, o forse la memoria ti fa difetto, improvvisamente?»

«Oh, no, credimi! Ho una memoria di ferro!»

«Che sta succedendo qui?»

Léonard e Richard si voltarono. Il primo si fece più irritato che mai vedendo il capitano Bryban che li aveva raggiunti e si stava ancora riabbottonando la camicia sul petto ampio e virile. Il suo incarnato era scurito dal sole, la barba a pizzetto ben curata e scura come i capelli. Due occhi cerulei e intelligenti coronavano il tutto. Aveva un che di orientale, quell'uomo.

Richard scosse il capo. «Niente di cui preoccuparsi. Semplici bisticci tra cugini, nient'altro» replicò stringato, scostandosi i lunghi capelli dorati da una spalla e rifilando uno sguardo sì e no altero e assassino a Carbenais. Si avvicinò al corsaro. «Venite. Voglio sapere per filo e per segno quanto manca all'arrivo.» Lo spinse gentilmente con una mano fra le scapole e si allontanò al suo fianco, diretti di nuovo alla cabina.

Léonard, assalito dall'ira, riversò un pugno sul parapetto della nave che all'impatto scricchiolò. Non si era mai sentito così umiliato.

2030
Sverthian, Oceano di Cristallo

Andrew ancora non riusciva a comprendere cosa avesse spinto i loro due nuovi compagni di viaggio ad affiancarli nell'impresa rischiosa di attraversare l'Oceano di Cristallo e poi il famigerato Mare Græberdan per raggiungere il Continente d'Ombrascura.

In un senso molto astruso e bizzarro, gli sembrava di averli già conosciuti da qualche parte, ma più si sforzava di ricordare e meno riusciva a farlo.

Uno di loro, in tutta onestà, lo aveva inizialmente scambiato per una donna, solo per poi scoprire che si trattava di un giovanotto semplicemente molto androgino. Una bella gaffe che aveva indispettito molto l'oggetto di tale fraintendimento. I suoi grandi occhi acquamarina, i lunghi capelli bruni e il fisico che per quanto maschile sembrava meno spigoloso e dalle linee morbide come quelle di un efebico fanciullo, avevano tratto in inganno entrambi i vampiri.

La donna, invece, persino Andrew doveva ammettere che era una delle creature più belle che si fossero mai viste. Sembrava una dea, in un certo senso: slanciata e alta, dalle forme giunoniche e al posto giusto, aveva fluenti capelli biondi e occhi azzurri, nonché un carattere deciso e autoritario.

Quando lui e Alex erano entrati nella locanda del porto di Kiladys, avevano dovuto attendere quasi ben due giorni prima di trovare finalmente qualcuno che avesse il coraggio di scortarli fino alla terra dei Græber: il capitano Myrian Kenna e suo fratello, Nymar. Ben presto si era capito perché non avessero bisogno di un equipaggio, dato che riuscivano a governarla da soli tramite la magia.

Malgrado sembrassero dotati di un forte cameratismo, fino al punto da voler aiutarli, Andrew aveva l'impressione che su alcune cose non fossero affatto sinceri.

Sospirò e si rigirò nel letto situato in una delle cabine per i passeggeri. Alex era ancora addormentato, avvolto in un intrico di lenzuola, i lunghi capelli scuri e dai riflessi ramati scomposti, il corpo nudo, proprio come il suo.

Drew trattenne un sospiro e si sporse, gli baciò la fronte e poi una guancia. Lo strinse a sé gentilmente. Riflettendo meglio, Alex aveva avuto una reazione molto strana alla vista di Myrian e Nymar, come se lui li avesse eccome riconosciuti, eppure quando ne avevano poi parlato in privato aveva ammesso di non sapere a propria volta niente di loro.

Qualcosa decisamente non tornava.

Sentì bussare alla porta della cabina e allora, controvoglia, sgusciò fuori dalle lenzuola, si infilò i vestiti in fretta e aprì. Vide Myrian. «Ti ho svegliato?» chiese la donna.

Andrew deglutì e poi mosse la testa in segno di diniego. «Che succede?»

«C'è una cosa che io e mio fratello dobbiamo dirti. È importante.»

Per quanto misteriosi fossero quei due fratelli, Andy da parte loro non percepiva intenzioni malevole. L'istinto gli diceva di fidarsi di loro e aveva imparato a dargli retta.

«Va bene, allora sveglio Alex e poi...»

«No, lui no. Ciò che ti diremo dovrà restare fra noi tre.»

«Perché?»

Myrian parve trattenersi dal perdere la pazienza. «Perché non è sicuro fargli sapere una cosa del genere.»

«E come mai?» chiese Andrew, il quale a sua volta era diventato meno amichevole.

La donna si avvicinò e disse, a bassa voce: «Noi sappiamo chi siete e cosa siete venuti a fare qui. Cosa avete intenzione di fare una volta che sarete arrivati nella terra dei Græber. Ciò che non immaginate neppure lontanamente, è che se abbiamo ben compreso le intenzioni del tuo amante, queste porteranno allo scoppio di Rasverthen».

Andy si sentì gelare. «Come... come fate a...» Scosse il capo. «Chi siete davvero?»

«È ciò che intendiamo dirti, ma non in presenza di Alexander. Lui e il Padre delle Tenebre ormai sono in simbiosi. È più che evidente.»

Andrew iniziava a essere molto inquieto. Quella donna sapeva di cosa parlava, era così informata da mettergli i brividi.

Si guardò indietro: Alex dormiva ancora. Fece un bel respiro e si decise a seguire Myrian sovraccoperta. Appena furono giunti di sopra, sul ponte della nave, vide che ad attenderli c'era Nymar, seduto sul parapetto in perfetto equilibrio e con una nonchalance da far strabuzzare gli occhi. Sin da subito Andrew lo aveva visto come uno che non aveva paura di niente e di nessuno. Oltre a ciò, Nymar aveva un gran bel caratterino, motivo per il quale non andavano granché d'accordo.
I lunghi capelli scuri del giovane svolazzavano come onde brune nel vento, simili a quelle dell'Oceano che invece parevano in armonia con gli occhi chiari del ragazzo.

In un certo senso, Nymar aveva un'indole che richiamava molto quella dell'oceano: altrettanto incline a dar ascolto a chicchessia, testardo e molto incline a cambiamenti d'umore.

Myrian si fermò e così pure fece il vampiro, il quale lanciò un'occhiata altera a Nymar. La sorella di questi schiarì la voce a mo' di monito e il fratello, roteando gli occhi, con i medesimi movimenti di un gatto svogliato balzò giù dal parapetto e incrociò le braccia, borbottando fra sé e sé qualcosa che neppure Andrew riuscì ad afferrare.

Myrian gli scoccò un'occhiataccia, poi: «È arrivato il momento di giocare a carte scoperte, per cui credo sia meglio fare le dovute e reali presentazioni».

Andrew si accigliò. «Ci avevo giusto, allora.»

«C'è una ragione valida e sacrosanta se abbiamo dovuto mentire a te e a quell'altro» lo apostrofò Nymar, senza tanti giri di parole.

«Non stavo parlando con te, guarda un po'!»

Il giovane restrinse lo sguardo. Andy, a guardarlo bene, doveva ammettere che quegli occhi a mandorla e grandi avevano un che di familiare.

La questione iniziava a farsi sempre più strana.

Myrian strinse una spalla al fratello con forza, come a rimproverarlo, poi: «Non meno oltre il can per l'aia, Terrestre: io sono Aleryn e questo ragazzino bizzoso, invece, è Sardan. Confido ti abbiano parlato di noi due».

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