Capitolo XXXV. Amore e Avversità


Musica consigliata: "The Mystic" di Peter Gundry.

https://youtu.be/LUcY_lL54Fo

«Dici che quella roba che ha preparato Petya funzionerà? Quando siamo andati nella stanza di quel vostro amico, Godric, lui pareva messo un bel po' male.»

Gareth prese posto sull'altra poltrona imbottita e rivestita di velluto chiaro con ricami dorati. Di fronte a loro il grande caminetto che sembrava esser stato ricavato dal cristallo più resistente che ci fosse, era ravvivato da allegre e scoppiettanti lingue di fuoco.

La stanza in cui si trovavano non era distante da quella di Godric. Avevano stabilito di aspettare un miglioramento prima di andare a cercare Rodrigo e mettere in atto la prima parte del piano per guadagnare terreno nella sfida contro Grober.

Dario non se la sentiva di partire senza essersi accertato che il rimedio funzionasse, non ne aveva il cuore e di fronte al malessere di un amico persino le questioni urgenti di altra natura finivano in secondo piano, almeno per quel che lo riguardava.

I suoi occhi scuri nei quali si riflettevano le fiamme si trasferirono su Gareth. Strinse le spalle. «Non lo so, spero di sì» rispose con una punta di incertezza e ansia. «Certo, non è necessariamente un bene che stia iniziando a soffrire di allucinazioni, ma la pazienza è la virtù dei forti, giusto?»

Gareth annuì. «Suppongo di sì.» Vedendo l'altro visibilmente preoccupato e scosso, si sporse e gli strinse una mano, abbozzando un sorriso incoraggiante. «Starà bene. Non può andare sempre tutto storto.»

Dario scosse la testa. «Attento a non dirlo troppo forte. La sfortuna è sempre in ascolto, per non parlare di quel serpente a sonagli di Grober.»

«Se è di un serpente che parliamo, allora se la vedrà con me e con i miei spassionati tentativi di annodarlo bello stretto.»

«Parli così perché non ci hai mai avuto a che fare. Con lui non bisogna essere avventati. Se ti prende di mira, poi non ti lascia più andare finché non hai esalato l'ultimo respiro e non l'hai implorato di porre fine a tutto quanto una volta per tutte.»

Herrick trattenne un lungo sospiro. «I prepotenti sono tutti uguali. Stavolta si tratta di uno spaccone con discendenze divine, ma io sono convinto che non siamo stati abbandonati a noi stessi e che alla fine il bene trionfa sempre sul male. Un equilibrio dovrà pur esserci.»

Dario si morse il labbro inferiore, aveva di colpo lo sguardo lucido. «Non venire a parlare di un piano superiore e divino proprio con me, Gareth, né dell'Onnipotente. Credo di avergli ormai voltato per sempre le spalle. Sai cosa feci, quando tornai nei miei appartamenti dopo la tua morte? Afferrai il crocefisso di legno che stava appeso al muro e lo gettai tra fiamme simili a queste. Probabilmente si offese un bel po'.»

Gareth rimase interdetto di fronte a quella sua confessione, poi tuttavia sciolse la loro stretta di mano e solo per far sì che l'altro lo guardasse negli occhi. «Non credo basti così poco per guadagnarsi il suo sfavore. Eri addolorato, è normale che...»

«No, ero arrabbiato, furioso. Quando mi è caduto l'occhio su quel crocefisso... Non lo so, sono esploso come un petardo e ho agito d'impulso. La vita mi aveva condotto a te solo per poi strapparti dalle mie braccia senza riguardo. Suppongo che all'epoca avessi bisogno per forza di prendermela con qualcuno che non fosse Richard, se non altro per evitare una condanna a morte o ai ferri per il resto dei miei giorni.»

Gareth sorrise con un po' di amarezza. «Sono contento che tu non abbia dato ascolto alla rabbia. In fin dei conti Richard a sua volta aveva solo obbedito agli ordini di Arian e Reida.»

«Oh, no, Gareth. Credimi, ha goduto fino alla fine nel massacrare la tua gente, un popolo che almeno in parte era diventato anche il mio. Ho visto morire persone che solo fino a mesi addietro avevo frequentato insieme a te. Ci avevo parlato, scherzato, e ho dovuto guardarli morire uno a uno senza poter far niente per aiutarli, perché ero vincolato da un giuramento a servire Richard fino alla morte. Non si è mai dispiaciuto per aver raso al suolo intere città.»

«Eppure alla fine accettasti di tornare a essere il capo della sua polizia.»

«Non era uno incline al mollare l'osso.»

«Ti eri affezionato a lui, ecco la verità, e anche se ora sai cosa avvenne veramente al sottoscritto, la memoria rispettosa che hai sempre conservato di Richard non deve essere intaccata. Avrebbe potuto uccidermi e non lo fece, mi diede la possibilità di allontanarmi e continuare a vivere. Non era poi così senza cuore. Lo dicevano e dicono ancora tanti di te, ma sappiamo tutti e due che è una sporca menzogna. Un uomo va giudicato in base alle sue azioni complessive e Richard ha fatto tanto per Obyria. Se ha agito in un certo modo, lo ha fatto a mio parere perché pensava di tutelarti, perché eri suo amico. Gli eri più caro di quanto immagini.»

Dario piegò le labbra in un sorriso tremante. «Hai sempre avuto parole gentili e affettuose per me» disse, la voce quasi ridotta a un sussurro. Non gli importava che alcuni non si fidassero ancora di Gareth. Da quando erano tornati in molti gli avevano detto di fare attenzione, di andarci cauto, ma non percepiva alcun pericolo provenire dall'uomo che sedeva accanto a lui.

Con Gareth si sentiva a casa, al sicuro, e malgrado gli argomenti della conversazione fino ad allora protrattasi non fossero stati propriamente allegri, gli piaceva l'atmosfera appena creatasi. Era piacevole e intima come l'abbraccio di una calda coperta nel bel mezzo di un rigido inverno.

Il suo fiero lupo era di nuovo al suo fianco, e tanto gli bastava. Con Gareth aveva sempre avuto la netta sensazione di poter fare qualsiasi cosa e sapeva, sentiva che con lui accanto avrebbe riavuto indietro la forza di un tempo, il coraggio venuto a mancargli negli ultimi tempi, per non parlare della voglia di vivere.

Chiuse gli occhi quando Herrick gli sfiorò una guancia con le nocche. Adorava il suo tocco rimasto invariato nel tempo. Per quanto Gareth fosse stato in passato un uomo rude, a volte piuttosto rozzo, con lui si era mostrato, in maniera sorprendente, sempre delicato.

Lo aveva sempre trattato come una fragile e preziosa reliquia.

«Parole sincere, aggiungerei.»

Dario risollevò le palpebre. Se avesse ancora avuto la facoltà di esternare reazioni fisiche puramente proprie dei vivi, in quel preciso momento sarebbe arrossito come uno scolaretto. Gareth aveva sempre avuto quell'effetto su di lui ed era stato capace sin dall'inizio di scavalcare o abbattere le barriere che lui, all'epoca, aveva innalzato fra sé e il resto del mondo.

Quando aveva conosciuto Gareth Herrick, quest'ultimo aveva avuto a che fare inizialmente con un vampiro dall'atteggiamento indifferente e glaciale; un vampiro altero come un pavone e a volte capace di giocare tiri mancini a chi gli mancava di rispetto o tirava troppo la corda.

Gareth semplicemente si era divertito a provocarlo e a sollecitare quella sua indole puntigliosa, poi ne aveva smussato gli spigoli più appuntiti e ne aveva addolcito i contorni troppo affilati, lo aveva fatto fino al punto da farlo innamorare, anche se era stato l'ex-Capitano dei Lycos a esternare per primo sentimenti ben diversi dalla semplice amicizia.

Una costante di Dario era quella di cadere sempre per ultimo nel tranello chiamato amore. Non era mai stato il primo a muoversi, sempre fin troppo cauto e sospettoso. Era uno di quelli che ci mettevano un bel po' prima di lasciarsi andare e fidarsi del pretendente di turno.

Gareth esalò una specie di fremente sospiro e di nuovo i suoi occhi si diressero alle labbra del vampiro. «Non sai cosa ti farei in questo preciso momento, se solo non avessimo scelto di andarci piano» ammise, diretto come sempre era stato, specie nei momenti in cui la sua indole passionale diventava un'assoluta protagonista.

Se si considerava poi che aveva percepito fin dal primo momento una specie di speciale legame con Dario, persino quando quest'ultimo ancora gli rispondeva con aria annoiata e saccente, anche quando lo aveva sbattuto nelle segrete per averlo stuzzicato un po' più del dovuto, ecco che era ancora meno propenso a rispettare i paletti che tutti e due avevano scelto di imporsi prima di far diventare tutto quanto di nuovo qualcosa di serio.

Il vampiro deglutì a fatica ed ebbe un fremito quando incrociò nuovamente gli occhi azzurri del suo interlocutore e vide in essi lo stesso ardore che percepiva dentro di sé.

«Se vuoi fare qualcosa, fa' pure. Fallo perché lo desideri, non per una mia concessione. Corri il rischio.»

Ricordava di avergli detto già una volta parole molto simili a quelle, ma con un tono di voce più fiero e indomito, più seducente e malizioso.

Herrick non se lo fece ripetere due volte e accostò il viso al suo, fece scontrare le loro labbra in un bacio da mozzare il respiro. Fu come se avesse acceso una miccia e innescato un'esplosione di sensi; un'effusione dopo l'altra, si ritrovò sul soffice e caldo tappeto di fronte al caminetto, sopra il corpo dell'uomo che ancora amava da impazzire e al quale sentiva di esser sempre stato destinato.

Le mani gli tremavano e non smisero certamente di farlo quando alla cieca iniziò a sbottonargli la camicia color cipria, con tanta di quella foga da far saltare infine il resto dei bottoni.

Dario sogghignò fra i sospiri. «Era la mia preferita, razza di animale» esalò, deliziato dalle sue attenzioni.

Gareth rise tra sé mentre torturava la sua pelle glabra e bianca con baci alternati a giocosi e delicati morsi. «Mi farò perdonare, promesso.»

Scivolò fra le gambe del suo adorato Scorpione e disseminò ardenti baci sul torace, lo stomaco, il plesso solare. Ebbe solo un attimo di indecisione quando non poté non notare la magrezza di quel corpo che ricordava meno gracile di quel che appariva al momento.

Avrebbe dovuto essere più delicato che mai, era fuori di dubbio. Dario gli sembrava così fragile da fargli venire in mente, più che uno scorpione, un gattino, uno di quelli appena nati che, se presi in mano, andavano stretti delicatamente.

Scivolò di nuovo su e tornò a baciarlo sulle labbra.

Proprio quando era sul punto di slacciarsi la cintura e i jeans, tuttavia, tutti e due rimasero immobili e volsero lo sguardo in direzione delle porte della stanza: videro un Petya a metà fra l'imbarazzo e l'ilarità scrutarli a turno.

Dario, provando un indicibile e prepotente moto di vergogna e umiliazione, si scostò da Gareth e invano cercò di reindossare almeno la camicia, solo per ricordare poi che ormai era inutilizzabile e da buttare. A Gareth, invece, stava venendo da ridere, era chiaro che si tratteneva a stento dallo sghignazzare.

Petya non si lasciò sfuggire l'occasione e disse, occhieggiando il vampiro con aria da finto marpione: «Non ti ho mai visto con le grazie in bella mostra. Mi chiedo perché nessuno si sia preso la briga di immortalarti nel marmo!»

Dario gli rifilò un'occhiata truce e stizzita e incrociò le gambe come meglio poté pur di non mostrare un centimetro di pelle di troppo all'Efialte. «F-Falla finita» biascicò. 

L'Efialte lo guardò con aria complice e sorniona, poi: «Comunque, volevo comunicarvi che Godric non è ancora del tutto fuori pericolo, ma c'è stato già un miglioramento. La pozione va somministrata un po' alla volta, ma dovrebbe cavarsela e la maledizione verrà annullata progressivamente, trattandosi di un maleficio massiccio e ben radicato».

Gareth sorrise. «Sono felice che il vostro amico sopravvivrà.»

«Non sarei mai riuscito a salvarlo senza il nostro eroico vampiro di quartiere» replicò Petya, accennando a Dario, il quale, balbettando, gli intimò di chiudere il becco.

Era chiaramente di pessimo umore dopo un'interruzione così puntuale e diabolica.

Vedendo che Gareth e Petya avevano iniziato a ciarlare amabilmente, il sangue gli andò dritto al cervello e lo spinse a reagire d'impulso, ovvero dire all'Efialte di sloggiare perché non era il momento adatto per fare salotto a quel modo.

Petya ghignò. «Ah, l'astinenza è proprio brutta bestia!» esclamò con enfasi, per poi decidersi ad abbandonare la stanza, visto che Dario sembrava a un passo dal volerlo strangolare.

Appena furono di nuovo da soli, si resero conto che la passione si era tramutata in disagio e in imbarazzo. Non erano più così ansiosi di proseguire le effusioni.

Gareth tossicchiò e tanto per fare qualcosa, cercò di riparare con la magia la camicia del suo amante. «Uhm... penso che dovremo rimandare certe cose finché non potremo avere un posto tutto per noi dove non ci saranno Efialti pestiferi a interromperci. C-Che ne dici?»

«Motivo in più per sbrigarci a trovare Rodrigo. Almeno avremo un po' di tempo per noi» rispose Dario. «Comunque, Gareth, più che riparando i bottoni, stai abbrustolendo la seta.»

Gareth si rese conto di aver sul serio perso la bussola e bofonchiò un'esclamazione sconcia e buffa. Andò così nel panico da strappare una sincera, cristallina risata al vampiro, il quale di istinto si sporse e gli baciò una guancia. «Sei perdonato. Per stavolta, si intende.»

Erano appena le cinque del mattino quando il valletto di Cynder, non più vecchio di lui, entrò nella camera da letto del sovrano, si avvicinò al baldacchino dalle tende chiare e semitrasparenti e svegliò più delicatamente che poté il giovane re. «Sire, svegliatevi» ritentò, scuotendolo per una spalla. «Maestà!»

Cynder a quel punto si svegliò di soprassalto e si guardò in giro, mezzo assonnato e mezzo spaesato. «C-Cosa c'è? Che succede?» biascicò.

Il valletto esitò e dentro di sé ringraziò che non fosse presente la regina, la quale era stata messa a riposo dopo il quasi aborto spontaneo della sera prima e quindi, in poche parole, era stata confinata nei suoi alloggi che comunicavano, comunque, con quelli del marito.

«Ho provato a far ragionare Sua Grazia, ma...»

«D-Di chi stai parlando?» chiese Cynder, stropicciandosi gli occhi mentre non riusciva a capirci un bel niente.

Il valletto, di nome Hector, si decise a parlar chiaro: «Sua Grazia l'Imperatrice, mio signore».

Cynder lo guardò a bocca aperta, poi si riprese e disse, sbrigativo: «V-Va bene, dille che la raggiungerò nella sala del trono, allora. Un paio di minuti e sarò da lei».

Si domandava perché Samantha avesse scelto un orario del genere per recarsi finalmente a parlare della situazione di stallo di Erik e gli altri.

Scostò le coperte ed esortò Hector a riferire le sue parole alla cognata, poi si sbrigò a cambiarsi e a uscire dalla camera da letto.

I corridoi erano bui, ovviamente, e lo era anche la sala del trono come al solito immersa in una tranquillità quasi irreale e da favola.

Cynder si fermò per alcuni istanti a osservare Samantha starsene seduta sul bordo della fontana: era perfettamente abbigliata, i capelli ben raccolti, come se quella fosse una visita ufficiale in pieno regime.

Si sentì in colpa nel pensare a quanto fosse meravigliosa mentre sua moglie, la povera Nephele, era costretta a letto pur di preservare l'incolumità del loro primo figlio.

Non potè non sentirsi un pessimo marito e un uomo ancora più orribile.

Fece un bel respiro e la raggiunse. «Samantha?»

Lei distolse i grandi occhi scuri dalle acque iridescenti della fontana e li posò su di lui, guardandolo da basso. «Scusa se ti ho tirato giù dal letto a quest'ora, ma non riuscivo a chiuder occhio e avevo bisogno di chiarire la faccenda di Zelda e di suo figlio una volta per tutte» disse, il tono quasi autoritario.

Cynder fece un cenno. «Gli permetterai di soggiornare a Obyria, quindi?»

La giovane Imperatrice contrasse la mascella e ciò rese i suoi tratti, di solito dolci, affilati e di pietra. «Vada per il ragazzo e, naturalmente, per Anthony e gli altri, ma quella donna non la voglio sotto il mio stesso tetto. Questa è la mia condizione, Cynder. O così o il ragazzo rimarrà con te e Nephele e a quel punto, scusa se sono franca, saranno affari vostri e ve la vedrete da soli con Grober. A te la scelta.»

Lui la squadrò con aria incredula. «Scusa se te lo dico, ma credo che tu stia esagerando e ora come ora Zelda ha bisogno di protezione, proprio come suo figlio. È incinta, Samantha! Non può fare gli sforzi che sarebbe costretta a compiere per difendersi da un possibile attacco alla sua incolumità! Rifletti, per favore!»

Samantha gli rivolse un'occhiata indispettita, sembrava sul punto di prenderlo a ceffoni. «Della sua sorte non potrebbe importarmene di meno. Devo tollerare la presenza di Erik in casa mia, ma nessuno mi costringe a sopportare anche la vista di quella donna! Ho mille ragioni valide per non voler permetterle di respirare la mia stessa aria, non credi?»

Cynder avrebbe voluto sbattere la testa contro tutti gli spigoli presenti nel palazzo. «Il passato va messo da parte una volta per tutte, Samantha. Dobbiamo farlo o non ci si salva più. Ci sono questioni più urgenti da affrontare, lo sai meglio di me. Ti prego, Sam, sii buona.»

«Tu, allora, prova a metterti nei miei panni, Cynder.»

Cynder non avrebbe voluto mettere la questione in quei termini, ma non aveva altra scelta, non arrivati a quel punto: «Grober verrà qui lo stesso per lei e non voglio vedere la mia città, la mia gente, venir massacrate con il fuoco e con le armi da quelle schiere malefiche. Io penso anche a mia moglie, Samantha: ora come ora non può spostarsi, non può fare sforzi di alcun tipo, morirebbe nell'assedio e io, a quel punto, morirei al suo fianco. È questo quello che vuoi? Allora fa' pure, resta ferma nella tua presa di posizione. In fin dei conti sei una donna adulta, sei libera di fare le tue scelte, ma non dimenticare mai che hanno e avranno sempre delle conseguenze».

Gli occhi di Samantha dardeggiarono. La giovane Imperatrice si avvicinò di più e disse, quasi ringhiando: «Come osi parlare a me di conseguenze? Come osi mettere in ballo Nephele e farmi sentire in colpa, responsabile del suo futuro?»
La verità era che per quanto quella donna potesse starle simpatica e non avere la benché minima responsabilità verso il rancore che Samantha covava, quest'ultima l'avrebbe lasciata al suo destino, era ciò che le suggeriva la voce insidiosa che le serpeggiava nel cervello da mesi, da quando aveva visto Cynder stringere una mano alla moglie e annunciare che Nephele aspettava un figlio. Dio... Quella volta avrebbe voluto afferrare la cognata e...!
Avrebbe voluto cavarle gli occhi, prenderla a calci, perché a quell'Ondina era stata concessa una libertà che invece, Samantha, sin da subito aveva capito essergli preclusa. Si portava dietro la pesante catena di quel segreto da mesi, da prima che quella perfettina di Nephele si decidesse a dar prova concreta della consumazione del suo matrimonio con Cynder.

Ecco perché non riusciva a guardarla, quando era presente, così come non riusciva a guardare quella pancia ingrossarsi e Nephele sfoggiarla con orgoglio. Avrebbe potuto essere lei a farlo, ma poi come sarebbe riuscita a giustificare quella gravidanza? Tutti sapevano che Skyler non le faceva mai visita né, tantomeno, condivideva con lei il talamo. Il loro era stato un matrimonio bianco sin dal primo giorno. Si sarebbero sollevate troppe chiacchiere fastidiose, più di quelle che già circolavano, e allora, un giorno, si era decisa a versare un po' di quella polvere in un bicchiere e mandar giù quella sostanza che nel giro di mezza giornata aveva ucciso la piccola creatura di soli due mesi che era stato Cynder a lasciarle in dono con tanta goffaggine. Aveva fatto male, fisicamente male, ma si era giustificata dicendo che le era toccato un ciclo mestruale piuttosto violento e debilitante. Skyler, il quale aveva occhi solo per Brian, le aveva creduto senza star troppo a indagare e anche quello, in un certo senso, aveva fatto male.

Odiava Nephele perché sarebbe dovuta trovarsi lei al suo posto. Sarebbe potuto essere quel bambino mai nato e morto per sempre a venir un giorno chiamato Principe delle Ninfe, o Principessa. Lui o lei avrebbe avuto l'orgoglio di chiamare Cynder ‟padre". La sorte invece aveva scelto quella pupattola smorfiosa e melensa di Nephele.

«Non voglio farti sentire in colpa né responsabile di niente» le rispose Cynder con fermezza. «Ti sto solo dicendo di pensare molto bene a ciò che fai e scegli. Più di una vita dipende da te, Samantha, è un dato di fatto e non posso indorarti in alcun modo la pillola.»

Samantha strinse le labbra fino a far loro perdere colore, era una fortuna che ci fosse il rossetto a mascherare tale particolare.

Odiava Zelda in maniera indescrivibile, in primo luogo perché era stata al corrente della prigionia di suo fratello e non aveva fatto niente per aiutarlo, anzi forse aveva persino partecipato alle torture, alle sevizie. La odiava, eppure leggeva negli occhi di Cynder quanto per lui fosse importante tenere al sicuro Zelda. Non c'era da scordare che quella donna, purtroppo, portava in grembo il figlio di Iago e anche se quest'ultimo, sin dal ritorno avvenuto il giorno addietro, non aveva mai affrontato l'argomento né aveva mai chiesto di quella donna, era chiaro che non avrebbe comunque preso bene la notizia di Zelda in pericolo.

Samantha all'inizio avrebbe voluto prenderlo a calci quando lo aveva visto tornare in compagnia unicamente di Frederick, quando poi aveva spiegato a tutti loro che Andrew e Alex avevano scelto di proseguire da soli la missione, ma Iago aveva aiutato tutti quanti loro molte volte in passato e in fin dei conti la scelta era stata di Andrew e Alexander ed era ingiusto criticare quell'Efialte con troppa leggerezza, specie vedendo tanta stanchezza e tanta ansia ribollire nei suoi occhi.

Samantha non ce l'aveva fatta ad arrabbiarsi con lui, non guardandolo con più attenzione. Era rimasta in silenzio di fronte al resoconto degli ultimi eventi su Sverthian e si augurava solo che avvenisse un miracolo dell'ultimo minuto. Lo sperava soprattutto per suo fratello.

Aveva le mani legate sotto molti punti di vista e si sentiva incapace di essere crudele, e gli occhi imploranti, sinceri e limpidi di Cynder non la aiutavano a mantenersi salda nella presa di posizione che aveva sostenuto fino ad allora.

Lo faccio per te e per nessun altro.

«Va bene. Sia, allora. Zelda ha il permesso di tornare a Obyria, ma non soggiornerà a palazzo. Almeno questo ti prego di concedermelo. Mi prenderò la briga di trovarle una sistemazione adeguata e confortevole nei pressi del castello.»

Cynder annuì, quasi stremato. «Va già meglio, decisamente. Glielo dirò appena mi sarà possibile. Non voglio svegliarla.»

Samantha sciabolò le sopracciglia con aria sarcastica. «Tieni al suo sonno di bellezza, a quanto pare.»
«Smettila» la apostrofò lui, implorante. Poteva comprendere la sua stanchezza sotto molti punti di vista, ma lei sapeva essere meglio di così. Trascorse un po' di silenzio, poi le chiese se aveva intenzione di tornare subito a palazzo. Sam si strinse nelle spalle. «Prima o poi dovrò farlo, ma posso permettermi di restare un po'. Sempre che tu lo voglia.»

«Certo che sì» replicò il sovrano, d'impulso.

Lei non resisté e sorrise, ma lo fece con malinconia. «Sai... Jonathan sente parecchio la tua mancanza. Spesso mi chiede quando tornerai a trovarlo. Adora Skyler, però... non lo so, credo si sia affezionato molto di più a te.»

Cynder si sedé sul bordo della fontana, vi si lasciò anzi cadere. «Anche a me manca. Be', penso che domani ci rivedremo. Voglio accompagnare Zelda e gli altri personalmente, sarà una buona occasione per riabbracciare quello scricciolo.»

Sam si accomodò accanto a lui. «Si annoia molto. Io e Skyler non riusciamo quasi mai a ritagliarci un po' di tempo per stare con lui» ammise, con una fitta al cuore. «Ha sette anni, non può ancora capire certe situazioni e non gli piace dover restare sempre fra quelle mura senza mai uscire. Ho provato a parlarne con Skyler, ma è irremovibile: non vuole che Jonathan esca perché ha paura potrebbe accadergli qualcosa, e non me la sento di dargli torto. Vivo nel terrore costante anch'io.»

Cynder si morse il labbro inferiore. «Be', magari con l'arrivo di Dorian ed Anthony potrebbe trovare il modo per svagarsi.» Tacque per qualche istante. «Devo chiederti di tenere d'occhio Anthony, Sam, non solo Dorian. Quel ragazzino sta attraversando un periodo delicato e turbolento, ha visto sua madre morire, è stato imprigionato e risucchiato in una situazione che stenta a comprendere e non smette mai di chiedermi cos'è successo davvero a suo padre.»

Le labbra di Samantha presero a tremare, gli occhi divennero lucidi come specchi. «C-Cosa gli diremo, allora, quando Alex...?»

«Non lo so» ammise Cynder, costernato. «Non la verità. Non la sopporterebbe e comunque io so che c'è speranza e so che alla fine tutto andrà per il meglio. Senza contare che finché Grober non verrà sconfitto, la responsabilità verso il futuro e l'incolumità di Anthony sarà nelle mani di tuo fratello.»

Sam si asciugò le guance in fretta. «L-Lo so, ma mi preoccupa questa questione. Insomma, Cynder... Andrew non è mai stato padre prima d'ora, non sa cosa significa davvero e lui e Anthony non si conoscono.»

«La faccenda è problematica, però questo ha stabilito Alex e comunque, da quel che mi hai raccontato, Andrew ti ha cresciuta, ha spesso fatto le veci del padre che mai hai avuto. È stato un ottimo fratello, sono sicuro che sarà un genitore eccezionale.»
«Sì, ma quando tornerà sarà distrutto» insisté Samantha. «Sappiamo cosa succederà, Cynder, e sappiamo che Andrew potrebbe anche non riprendersi dopo un simile colpo.»

«Dovrà farlo, se vorrà riabracciare Alex e riaverlo indietro. Dovrà fare dei sacrifici, come tutti noi, ma io... io sono certo che ne varrà la pena.»  

Samantha lo guardò dritto negli occhi. «Ne sei sicuro, o ti stai auto-convincendo?»

«Entrambe» rispose Cynder con onestà. «Ma non posso far altro e non voglio fossilizzarmi nell'idea che tutto è perduto.»

Di nuovo calò il silenzio, finché: «Cynder, devi... devi togliermi una curiosità, un tarlo anzi».

«Quale tarlo?» incalzò lui, incerto.

«Tu... tu ami Nephele? La amavi quando...» La giovane Imperatrice non ce la fece a terminare la frase.

Il cuore del re mancò un battito. Di nuovo gli si presentò alla mente il dilemma che già abbastanza lo aveva tormentato in quei mesi. «Io... non lo so. Qualcosa provo per lei, questo sì, ma non so se si tratta di amore o infatuazione. Le voglio bene, questo sì, e la rispetto sotto ogni aspetto: come donna, come moglie, come regina e come compagna di sventure. Non abbiamo scelto noi di stare insieme e di sposarci, ma abbiamo deciso di non odiarci a vicenda e di non provare inutili rancori per qualcosa che sono state le nostre famiglie a imporci. Ci spalleggiamo a vicenda, ci proteggiamo e aiutiamo l'un l'altra.»

«Se non la ami, come hai potuto farlo? Come hai fatto ad avvicinarti a lei per tanti notti di seguito e a darle poi quello che tutti aspettavano sin dal vostro matrimonio? Io da quando ho sposato Skyler neppure una volta ho condiviso con lui il letto, se non durante la prima notte di nozze: ci siamo dati le spalle e abbiamo dormito. Lo abbiamo fatto perché non ci amiamo e non abbiamo niente da condividere, se non un figlio accidentale e la voglia di sbranare Grober a mani nude.»

Cynder non rispose subito, annientato dalle parole di Samantha, da quella sottile e ben celata accusa. «Ho fatto il mio dovere. Lo sai» disse a mezza voce, sfiancato. «Non avevo scelta. Per te e Skyler è diverso solo perché avete già un figlio, una discendenza. Se proprio lo vuoi sapere, Nephele era innamorata di un altro e mi ha confidato che avrebbe voluto strapparsi il cuore quando suo padre le ha detto che avrebbe sposato me, un uomo che non conosceva e che forse sarebbe potuto rivelarsi il peggior marito di sempre. Un uomo che non amava.»

Come aveva fatto? Lo ammetteva, aveva pensato a Samantha, si era immaginato di trovarsi con lei e non con Nephele. Solo così era riuscito a compiere quello che era sì e no un miracolo per un bel po' di ragioni. Probabilmente anche Phel aveva pensato al suo amore perduto, all'uomo che non le era più stato permesso di vedere da quando era stato stabilito che avrebbe sposato lui, il Principe Asher, l'erede al Trono delle Ninfe che era tornato sì e no dalla morte.

Ricordava bene la sera in cui sua moglie era entrata nella sua stanza e, dopo un attimo di esitazione, si era tolta la lunga veste da camera di seta e denudata davanti a lui, negli occhi un messaggio ben preciso e inequivocabile: quello del dovere coniugale, nonché regio, di concepire una discendenza in modo da non far di nuovo sprofondare il regno nel caos.

Era stato l'inizio di molte notti, a volte consecutive, altre no, nelle quali si erano impegnati a realizzare quello che era in fin dei conti un autentico progetto.

Prima di quel periodo Cynder non ce l'aveva mai fatta a consumare il matrimonio con Nephele, non fino in fondo. Si era sempre tirato indietro, sentendosi in colpa, quasi un animale senza un briciolo di decenza nel voler giacere con una donna che non amava, ma alla fine tutti e due avevano dovuto fare uno sforzo e compire il volere di sfere più alte di loro.

«Ogni volta che ero fra le sue braccia, io... io pensavo a te» rivelò infine Cynder. «E come puoi immaginare, mi aiutava molto, mi facilitava il compito.»
Col tempo aveva compreso quel che Skyler gli aveva una volta detto: di cercare altrove l'amore, quel che il matrimonio quasi sicuramente non gli avrebbe mai dato. Gli aveva suggerito di trovarsi un'amante, ma il punto era che già da allora lui aveva iniziato a provare dei forti sentimenti per Samantha, la sua futura cognata.

Il cuore di Samantha, nel frattempo, galoppava, e lei ormai reprimeva a stento l'impulso di afferrare quello scemo per il colletto della camicia e baciarlo fino a sottrargli il fiato nei polmoni.

Era difficile mantenere un minimo di distanza con lui, visto dove si trovavano e le circostanze attuali.

Alla fine, tuttavia, non resse oltre e tornò a guardarlo: «Se domani deciderai di trattenerti un po', ti aspetterò nei miei appartamenti».

Era stanca di restare a guardare mentre suo marito se la spassava con il suo amante, di fare la parte della mogliettina che fingeva che tutto andava bene e di non avere un paio di corna da far invidia a un cervo.

Amava Cynder, anche se nell'ombra, lontano dagli occhi altrui, in silenzio. Lo amava e lo rivoleva con sé, anche se per un'ora al massimo.

Cynder la guardò, gli occhi verdazzurri scintillanti e il viso, di colpo, rosso sulle gote. «Non sarà un'attesa vana, la tua.» Avrebbe voluto rispondere di non poter farlo, di avere una moglie incinta, di dover essere fedele a Nephele e smetterla di desiderare una donna che non poteva avere, ma non ci era riuscito, non ce l'aveva fatta.

Al diavolo, pensò, improvvisamente avvolto in un ardore quasi febbrile che si irradiava dal suo petto. «Ti amo, Samantha. Voglio che tu lo sappia. È giusto fartelo sapere e ora te l'ho detto: sono... sono innamorato di te. A questo mondo c'è qualcuno che ti ama e ti vorrebbe sempre al suo fianco, e ce l'hai davanti. Voglio che lo ricordi sempre, specialmente nei momenti in cui ti senti sola e triste.»

«Oh, Cynder» singhiozzò lei. Lo afferrò per i vestiti e lo baciò d'impeto, e fu bellissimo quando lui non la respinse e anzi la avvicinò a sé e approfondì il bacio. Fu come aver varcato la soglia del paradiso nel momento in cui le affondò una mano fra i capelli e finì per scioglierle l'acconciatura. L'Imperatrice si scostò e gli racchiuse il viso fra le mani. «Ti amo anch'io. So di... di non essere perfetta, di essere una vera egoista, certe volte, anzi una vera stronza, ma ti amo e per te io... io metterei a ferro e fuoco il mondo intero, Cynder, non sto scherzando!»

Lui scosse il capo e la baciò ancora. «Di ferro e fuoco ne ho già visto abbastanza» le sussurrò. «Mi basterebbe riavere indietro i bei pomeriggi trascorsi con te all'aria aperta. Le mattine in cui andavamo ad osservare gli unicorni e ad ammirare la campagna qui attorno. Mi basterebbe quello per essere felice.»

Provava tanta nostalgia per quei giorni che gli sembravano lontani, risalenti a secoli prima, quando erano ancora solo Cynder e Samantha, non un re e un'Imperatrice. Due persone comuni che in silenzio avevano poco a poco costruito una speciale complicità che infine si era tramutata in qualcosa di molto più forte e prezioso.

Avrebbe tanto voluto tornare a quel periodo così felice, quello che aveva preceduto la feroce tempesta, ma si poteva solo andare avanti.

Le prese una mano e ne baciò il palmo, un atto di devozione, il più puro e spontaneo che ci fosse. «Nephele sarà pure mia moglie, ma tu sei il mio cuore, Samantha.»

Aveva il bisogno di dirle tutto questo, perché altrimenti sentiva che se ne sarebbe pentito per sempre, nonostante la situazione priva di una via d'uscita in cui si trovavano.

Samantha sorrise fra le lacrime. Quell'uomo sapeva spezzarle il cuore e ricolmarglielo di gioia allo stesso tempo come nessun altro era mai riuscito a fare. «Siamo due masochisti.»

Cynder sbuffò una mezza risata. «Suppongo di sì, ma almeno siamo in due.» La sua espressione un po' mesta e un po' giocosa, tuttavia, trasfigurò quando i suoi occhi intravidero una figura ferma all'entrata della sala del trono e intenta a fissarli: riconobbe le iridi azzurro-violette di suo fratello, il suo viso che sembrava esser stato scolpito nella pietra. Si separò da Samantha e lei, a sua volta, si accorse di Skyler. Quest'ultimo si avvicinò a passo cadenzato e si fermò di fronte a loro, a soli due metri di distanza.

«Vedo che le condizioni molto delicate di tua moglie ti angosciano particolarmente, Cynder» esordì, la voce stranamente gelida e severa.

Samantha si mise in piedi. «Cosa ci fai qui?» chiese, a sua volta poco accomodante. Come osava proprio Skyler farle quell'implicita predica quando era il primo a spassarsela col suo amante?

Skyler sbatté le palpebre. «Oh, nulla di che. Mi sono svegliato presto, dato che avevo un bel po' di faccende da sbrigare, e mi hanno riferito che sei stata vista andare via sì e no di soppiatto circa un'ora fa. Dato che ci troviamo in tempi pericolosi mi sono preso la briga di venirti a cercare. È stata una delle tue ancelle a dirmi che ti trovavi qui. Dovresti sceglierti con maggior attenzione le tue confidenti.» Trasferì gli occhi glaciali sul fratello. «Onestamente, Cynder, non capisco come la gente possa definirti migliore di me, visto che poi, nel concreto, condividi con il sottoscritto gli stessi, identici vizi. Io vengo lapidato perché passo il tempo con Brian e tu, però, che te la spassi con lei, vieni osannato e guardato da tutti come chissà quale eccelso esempio di integrità morale. Ti fotti la moglie di tuo fratello, ma chi se ne importa, giusto? Obyria lo ha già un bel capro espiatorio.»

Samantha gli si accostò. «Si può sapere che ti prende, ora? Come ti permetti di fare la paternale a lui? Tu che a malapena mi consideri e mi hai umiliata sin dal primo giorno di matrimonio! Te la fai con Brian sotto il naso di tutti e io, invece, devo restare buona e zitta? Scusa se ti mando a fanculo, allora!»
Skyler restrinse gli occhi a fessura. «Io, almeno, non fingo di provare sentimenti per una moglie che mi è stata imposta da altri, come invece fa qualcun altro.» Di nuovo occhieggiò con sguardo fosco il gemello. Cynder si decise a intervenire e li raggiunse entrambi. «Rispetto Nephele, ma non posso farci niente se sono innamorato di Samantha, se amo lei come non potrò mai amare una donna che è stata costretta da suo padre a sposarmi» disse, sincero. «Non riesco a capire perché te la prendi tanto, Skyler. Siamo nella stessa, identica situazione. Come io non giudico le tue scelte, tu non dovresti criticare le mie.» Di colpo si sentiva arrabbiato con il fratello. «E riguardo al fottere tua moglie, come elegantemente hai detto poco fa, ho solo una cosa da dire: qualcuno deve pur farlo, se vogliamo metterla in termini volgari! Se non altro non fingo che non esista e non la ignoro, come invece fai tu! Hai una moglie splendida, intelligente e unica, ma di lei ti importa poco o niente! Sei così indifferente da non capire nemmeno quanto sia infelice!» Lanciò un'occhiata di scuse alla donna, la quale non se l'era presa più di tanto perché aveva compreso il senso di quelle parole e poi, comunque, l'ultima parte del discorso gli aveva fatto riguadagnare un bel po' di punti.

Skyler parve voler dare addosso al fratello e Samantha riuscì a trattenerlo solo per miracolo. Qualcosa aveva mandato in bestia il maggiore dei gemelli Langford, anche se non si riusciva a capire cosa avesse fatto scattare in lui tale irosa scintilla.

Skyler fece spostare la moglie in modo brusco e agguantò per la camicia Cynder. «Non osare venire a parlarmi di infelicità!» sibilò. «Nessuno la conosce meglio di me! Mi senti? Nessuno!»

Cynder, per nulla intimidito, sostenne il suo sguardo feroce. «Allora perché, adesso, stai reagendo così? Magari anche io e Samantha siamo infelici. Solo tu hai il diritto di esserlo, dimmi? È un'esclusiva propria solo e unicamente di Vostra Grazia?»

«Attento a tirare la corda!»

Il minore si divincolò. «Perché? Altrimenti cosa fai? Ancora non hai capito, Skyler? Con me le minacce non servono a niente perché per più di vent'anni della mia vita ho conosciuto solo crudeltà e brutalità! Ci sono abituato e non c'è niente che tu o altri possiate fare per spaventarmi! Devi fare decisamente di meglio, anche se al tuo posto mi vergognerei nel voler gareggiare con una creatura disgustosa qual era Arwin!»

Non riusciva a capire il motivo di una tale sceneggiata da marito geloso, quando era chiaro che fra Skyler e Samantha non c'era niente di niente. Che fosse solo una questione di principio? Un capriccio come un altro?

Quel che era certo, era che Skyler non sembrava voler rispondere.

Cynder sospirò. Riconosceva di aver forse esagerato con le parole, ma era umano e come tutti gli umani aveva un limite di sopportazione. «Io... Io capisco che sei sotto pressione. Lo sei sempre, ogni giorno, e hai paura, proprio come me e tutti gli altri, ma non puoi scaricare la tua frustrazione così. Le persone non sono bersagli, pupazzi da prendere a pugni in un momento di rabbia. Lo sai meglio di me. Non è colpa di nessuno se sei stato forzato a sposare Samantha e non puoi avere una vera relazione con Brian. Non è colpa mia se sono innamorato di lei e a mia volta ho una compagna che non amo quanto dovrei e quanto meriterebbe. Siamo vittime di un destino crudele, Skyler. Tutti noi lo siamo.»

Skyler di nuovo rimase in silenzio.

Non sapeva cosa gli era preso, la verità era quella. Sapeva solo che quando aveva visto suo fratello e Samantha baciarsi, stringersi l'uno all'altra, qualcosa in lui era scattato, qualcosa di fiammeggiante e bestiale. Una belva era sorta dai profondi meandri del suo animo e aveva iniziato a ruggire rabbiosamente, e lui ignorava le sue animalesche motivazioni.

Anche in quel preciso momento si sentiva bruciare in maniera insopportabile.

Samantha lo squadrò con aria sprezzante, poi: «A quanto pare la tua vocazione è rovinarmi la vita fino in fondo, Skyler Langford». Rivolse uno sguardo di scuse a Cynder, poi abbandonò la sala senza una parola in più.

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