Capitolo XXXIV. Lo Specchio di Giuda
Musica consigliata: "I meet my shadow" di Peter Gundry.
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Petya accelerò il passo e raggiunse Dario. «Quanto ancora dovremo scendere, per l'esattezza?» gli chiese. Stavano percorrendo le ennesime scale dopo aver solcato corridoi su corridoi simili di più a un dedalo che alle arterie strutturali di una reggia.
Richard si era impegnato davvero tanto per far perdere la bussola a chiunque non fosse pratico di quel posto.
Dario scese gli ultimi gradini. Più scendevano e più le scalinate si facevano tetre e buie, sempre più di pietra antica e a tratti rozza, in contrasto con il resto del palazzo. «Siamo quasi arrivati, mi sembra. Siamo allo stesso livello delle segrete, solo che ci troviamo nell'ala opposta. A separarle, proprio nel mezzo, c'è invece il cimitero sotterraneo.» Faceva freddo laggiù. Sembrava quasi di stare in una cella frigorifera, o in una costruzione interamente ricavata nel ghiaccio perenne.
Petya esitò, poi estrasse da una tasca qualcosa e la porse al vampiro. «Virginia mi ha detto che ti sarebbe servito questo per accedere a quella camera in particolare.» Nella sua mano era visibile in modo distinto una luce scarlatta e fremente, splendeva a intermittenza, come se un cuore luminescente palpitasse nel pugno: il medaglione. Dario, non appena lo vide, non si disturbò a celare una brutta smorfia. «Gira che ti rigira quel malefico affare me lo ritrovo sempre fra capo e collo. Ora sì che sono sicuro di avere Satana alle calcagna.»
«Lo tengo io, se a te non va.»
«Sì, è meglio così. Meno l'ho vicino e meglio mi sento.»
«Comunque in apparenza sembra leggero, ma diamine se è pesante!» continuò l'Efialte, soppesando il prezioso e letale ninnolo con la mano. «Senti che roba!»
«È il peso del suo potere malvagio, e anche quello di tutte le anime che ha reclamato nei secoli. Suppongo brami ancora la mia. Gli è andata male con me, almeno fino ad ora.»
Sia Petya che Gareth si fermarono e lo guardarono confusi. «Come sarebbe a dire?» incalzò il secondo.
Dario li squadrò a turno, recalcitrante. «Anche se Virginia ha preso il mio posto, è ovvio che una cosa sia rimasta in sospeso: il medaglione, sapendomi ancora vivo, sfuggito alla mia sorte, non ha designato né lei né nessun altro come mio successore. Attende, suppongo. Proprio come un coccodrillo sott'acqua che aspetta la preda. La sua volontà malvagia non si è ancora placata, forse mai lo farà. Temo che Orfeo abbia sguinzagliato migliaia di anni fa una forza primordiale e terribile che ormai neppure Azrael sa come controllare o fermare. La sua sete di sangue non avrà mai fine.»
«E quando pensavi di dircelo, scusami?» Petya era sul punto di strangolarlo, specie vedendo la sua espressione impassibile e insopportabilmente tipica di chi stava dicendo la cosa più ovvia e banale del mondo.
«È bello non essere me, vero?» disse Dario, sarcastico, e sbatté le ciglia in maniera civettuola. «Sveglia! È chiaro che io sia ancora il suo possessore! Ci sarebbe arrivato persino un bambino! Senza contare che tu, Petya, sei a conoscenza di tutta la storia!»
«Non era ovvio per niente, invece! Avresti dovuto dirlo apertamente! Nel caso te ne fossi dimenticato, negli ultimi tempi ho un bel po' di pensieri per la testa!»
«Non credevo ci fosse il bisogno di specificare! Sarebbe bastato fermarsi e usare per un attimo un minimo di logica, o almeno il senno con cui si è nati!»
Petya gli si accostò. «Vedi di fare poco lo stronzo, mi senti?»
«Altrimenti cosa, dimmi?» lo provocò il vampiro, il quale, al momento, volentieri avrebbe spezzato in ordine alfabetico le ossa all'Efialte. Petya stava scherzando col fuoco.
Gareth era allibito. «Ragazze, siete davvero carine, ma vorrei ricordarvi che siamo qui per salvare il vostro amico che ha i giorni contati.»
Petya ignorò l'altro vampiro. «Dov'era tutta questa grinta nei mesi passati, di' un po'? Se era sufficiente far tornare tuo padre nella tua vita e rivelarti la verità su chi sei davvero, lo avremmo fatto un bel po' prima! Sarebbe davvero ora che tu tornassi a essere la belva che tutti una volta temevano!»
Gli occhi del vampiro dardeggiarono pericolosamente. «Vuoi una belva?» sibilò. «Ti accontento subito! L'hai voluto tu!» Herrick all'ultimo riuscì a fermarlo dal caricare un pugno in faccia al re dell'Oltrespecchio. Lo sguardo di Dario aveva la stessa espressione di un leone inferocito e pronto a sbranare la preda. «La volete smettere?» li riprese entrambi Gareth. «Vi state comportando come due bambini!»
Il sovrano si decise a darsi una calmata quando scorse, solo per un istante, un guizzo arancione, anzi quasi scarlatto, nelle iridi scure del non-morto a trenta centimetri da lui. Sono proprio un idiota, pensò, odiandosi per essersi fatto prendere dal nervosismo. Sospirò e si passò due dita sugli occhi. «Va bene, va bene» esalò. «Scusa. Stavolta sono stato io a fare lo stronzo.»
Dario si liberò con uno strattone dalla presa di Gareth. «Vaffanculo» disse a denti stretti, sprezzante, strappandogli di mano il medaglione e proseguendo il cammino.
Gareth sospirò. «Sai, Petya...» disse a bassa voce. «Di questo passo, sapendo cosa è successo e potrebbe ancora accadere, credo che Grober non avrà bisogno di muovere un muscolo per portarlo al limite, perché ci stiamo riuscendo benissimo noialtri.» Lo guardò, aveva gli occhi lucidi. «È giusto che tu sia scettico nei miei confronti, ma io so solo che non voglio perderlo un'altra volta. Spero solo ci sia un modo per scacciare una volta per tutte i demoni che lo tormentano, perché altrimenti ho paura che finiranno per ucciderlo sul serio. Non credo di aver mai sentito in lui tutta questa rabbia.»
Sentiva quell'ira crescente e distruttiva come se fosse la sua, ed era logorante. Non immaginava neanche quanto fosse difficile per il reale possessore di quella furia cercare costantemente di contenerla, senza poi riuscirci fino in fondo.
C'era anche da considerare un'altra cosa: nessuna creatura esistente poteva tollerare all'infinito un simile vortice di dolore, rabbia, male e sensi di colpa. C'era chi impazziva e poi c'erano quelli come Dario. Non era poi cambiato così tanto, in fondo era rimasto lo stesso vampiro che aveva visto quell'ultima fatidica notte di secoli addietro. Quelli come lui continuavano a sotterrare le emozioni, le brutte esperienze, pensando così di liberarsene, ma in realtà avvelenavano il terreno sul quale loro stessi camminavano e vivevano. Dario era uno di quei vampiri che erano rimasti bloccati fra il mondo dei mortali e quello degli immortali; non appartenevano né a un universo né all'altro. Quella tipologia di non-morti andava avanti, ancora e ancora, senza mai sentirsi parte di qualcosa, e alla fine moriva, uccisa dal peso della fragilità divenuta a lungo andare fonte di sofferenza.
Quella storia lo spaventava e preoccupava, specie sapere che l'uomo che aveva continuato ad amare e per secoli desiderato di ritrovare era braccato letteralmente dal Demonio, da una divinità proveniente da un altro mondo che era stata capace persino di rovesciare Lucifero dal suo trono infernale. Quanto poteva essere malvagia e crudele un'entità del genere? Fin dove poteva ancora spingersi quel Grober? Dario gli aveva detto che già in passato quell'essere aveva preso di mira delle persone, troppe da contare, e nessuna di loro aveva mai fatto una bella fine.
Petya, pur senza l'ausilio di parole, parve capire tutto quanto, compreso quell'ultimo pensiero. «Non lascerò che accada anche a lui. Non solo perché è mio amico, uno dei più cari che ho, ma anche perché altrimenti, a quel punto, faremmo prima tutti a ucciderci da soli. Sarebbe un disastro troppo colossale da descrivere.»
«Allora stiamo dalla stessa parte» concluse Gareth, piegando le labbra in un debole sorriso. «Voglio la stessa cosa che vuoi tu, Petya. Non conosco gli altri di questa ‟Resistenza", come la chiamate voi, ma cercherò di ambientarmi in tempi brevi per non essere d'impiccio e rendermi utile.»
L'Efialte represse un lungo sospiro. Doveva ammettere che Gareth, un po', gli ricordava Desya, quello di quasi quattro anni prima, quello che ancora aveva come unico obiettivo il guardare le spalle a lui e stargli vicino, amarlo e proteggerlo. Negli occhi di Gareth c'era solo spiazzante sincerità, v'era onestà e nei suoi pensieri non si era intravisto niente di sospetto. Era una persona trasparente. «Sei l'unico al quale potrebbe permettere di salvarlo. A questo punto tanto vale collaborare.»
Intanto avevano seguito Dario per non restare indietro e si erano appena fermati perché lo spazioso, semibuio e lugubre corridoio terminava in una massiccia e alta porta di pietra. La linea appena visibile nel mezzo attraversava, proprio al centro, una cavità perfettamente rotonda attorno alla quale si snodavano e diramavano rovi scolpiti talmente bene e in rilievo da sembrare veri. Era come se facessero la guardia a quella porta, in maniera molto simile ai due cervi sempre del medesimo materiale che stavano in piedi, a testa alta e con posa fiera. Erano più che a grandezza naturale e davvero impressionanti.
Dario non esitò un secondo: sfilò il medaglione dalla catenella argentata e lo immise nella cavità centrale. La luce, da pulsante, si stabilizzò e divenne perenne. Un occhio scarlatto che appariva minaccioso nella penombra.
Il meccanismo a incastro della porta scattò con un pesante scricchiolio; i rovi ebbero un fremito e cominciarono a serpeggiare via, a farsi da parte, fino a toccare la parte interna dell'architrave che sorreggeva il tutto. Le due parti che componevano la porta molto lentamente si separarono e scivolarono indietro, una a destra e l'altra a sinistra, e rivelarono la più totale e fredda oscurità. Uno spiffero gelido emerse dalla camera e investì tutti e tre.
«Questo sì che è inquietante» commentò Petya, piuttosto incerto.
«Non viene aperta da non so quanto tempo» disse fra sé Dario. «Be', entriamo.»
Varcò la soglia, ma appena Gareth e l'Efialte cercarono di fare lo stesso, ottennero il medesimo risultato di quando si andava a sbattere contro del robusto vetro: qualcosa aveva impedito loro di passare.
«Accidenti a Richard» borbottò irato Petya. «Deve aver messo un qualche incantesimo che consente solo al Principe della Notte di entrare!»
«Sì, mi sembra una cosa totalmente nel suo stile» concordò Dario. «Andrò da solo. In fin dei conti si tratta solo di uno specchio.»
Gareth deglutì. «Eppure ho sempre pensato che per rappresentare il Vaso di Pandora non occorresse altro che un semplice specchio. Gli specchi incantati sanno essere subdoli, Dario, e non si sottomettono facilmente al volere di coloro che evocano gli spiriti che si trovano al loro interno. Tendono a mettere alla prova le persone, pongono loro di fronte il nemico peggiore che possa esistere.»
«Ovvero?» incalzò Petya.
«Non avete capito?» Gareth sorrise tristemente. «Noi stessi. Il nostro riflesso. Non è come specchiarsi al mattino per sistemarsi i capelli e neppure come avere a che fare con il proprio Efialte. È ancora peggio, Dario.»
«E tu come lo sai?» chiese l'altro vampiro, quasi insospettito.
Gareth sospirò. «Tuo padre, un giorno, quando ancora ero suo apprendista, cercò di domarne uno. Si chiuse nel suo studio con quell'infernale oggetto e quando lo vidi finalmente uscire era distrutto. Non ha mai voluto dirmi perché. So solo che aveva l'aria di uno che da poco aveva smesso di piangere come un bambino, e ti assicuro che Rodrigo è un uomo che non piange neppure sotto tortura.»
Quel resoconto parve rendere Dario solo più agguerrito. «Bene. È la volta giusta per dimostrare che non sono come lui.»
«Voglio solo che tu ricordi che qualunque cosa potrà dire quello specchio, non dovrai farti influenzare né sconfiggere. Dicono che i demoni intrappolati oltre il vetro possano essere domati anche con la forza magica, tramite una lotta di volontà, ma non è il nostro caso, purtroppo.»
«Non userei i poteri che ho neanche se invece di reprimerli avessi deciso di coltivarli. Non possono portare altro che male.» Il vampiro dai capelli scuri fece un paio di passi avanti e solo per un attimo sussultò quando la porta, con insolita velocità, si chiuse dando vita a un tonfo massiccio e cavernoso. Sperava solo che facesse parte della procedura. Quel che era certo, era che di lì in avanti sarebbe stato da solo. Là dentro era tutto buio, tranne per una fonte di tremolante luce molto più avanti: due torce fiammeggiavano su un paio di lunghi piedistalli di ferro che poggiavano sul pavimento nero e lucido. Le lingue di fuoco emettevano bagliori bianchi e freddi e si riflettevano nello specchio che altrimenti sarebbe stato impossibile da notare. Non era uno specchio normale, la superficie era scura, color inchiostro, un particolare che gli occhi del vampiro riuscivano a notare senza problemi. Era sostenuto da una cornice le cui zampe leonine a malapena erano distinguibili.
Dario si fece coraggio e avanzò fino a fermarsi di fronte allo specchio incantato.
«Tutto qui?» mormorò fra sé, ma si zittì all'istante non appena udì risuonare attorno a lui in quella stanza che doveva essere gigantesca un eco strano, di una voce che non era affatto la sua. Rimase in silenzio e ascoltò, attese, poi finalmente comprese e suo malgrado represse un brivido: non era una sola voce, ma tante voci, talmente numerose da far sembrare quella sala terribilmente affollata, soffocante. Non parlavano. Stavano... piangendo. Si lamentavano, gemevano, gridavano. Era insopportabile, assordante, un caotico e orribile coro che pareva risuonare dalle più oscure profondità infernali, dove i dannati pativano pene eterne e senza tregua.
Fece un passo avanti per guardare meglio nello specchio e si accorse che i movimenti delle caviglie erano rallentati da qualcosa che a terra faceva resistenza. Un altro movimento e udì con chiarezza un lieve sciabordio. Distolse gli occhi dal proprio riflesso che neppure aveva avuto il tempo di scrutare e guardò in basso: grazie alla luce di una torcia capì che non era acqua quella che inondava il pavimento, ma sangue. Sangue corposo e denso, sembrava reale, forse lo era sul serio.
No, non lo è, invece!
Era iniziato tutto da quando aveva guardato nello specchio, seppur di sfuggita, per pochi e brevi istanti. Sicuramente era tutto merito dello spirito, o demone, che vi era imprigionato dentro. Eppure pareva tutto vero, specialmente il sangue il cui odore, persino per lui, era nauseante. Il troppo stroppiava, sempre e comunque, e anche i vampiri storcevano il naso di fronte alla prospettiva di un'intera, grande sala traboccante di quella linfa scarlatta. Era come mettere troppo profumo addosso: da gradevole diveniva stucchevole e ripugnante.
Raggelò nel sentire che alcune di quelle voci, ora, avevano iniziato a parlare sul serio e a pronunciare solo due parole: assassino, mostro. Termini che trasudavano odio e disprezzo, a volte terrore. Alcune gli sembrava di conoscerle, di averle già sentita da qualche altra parte, ma era difficile distinguerle in un simile, infernale coro. Sapeva solo che quelle parole cattive erano rivolte a lui e a nessun altro.
Fu allora che ebbe il coraggio di guardare nello specchio davvero: vide se stesso con gli abiti imbrattati di rosso, la pelle anch'essa sporca di sangue, come qualcuno che aveva causato una selvaggia carneficina. Era orribile, impossibile da sopportare, eppure una voce insidiosa dentro gli ripeteva che quello era il suo reale aspetto, la sua vera, ignobile e immorale natura. Gli diceva che non importava se agli occhi di tutti, all'esterno, era immacolato e sempre in ordine. Dentro era una belva coperta di sangue e priva di freni. Peggio di una bestia, anzi.
‟Non tutto il sangue può essere lavato via, e tu lo sai."
Arretrò di alcuni passi, ma qualcosa gli fece perdere l'equilibrio e rovinare in mezzo a quello che sembrava diventare un mare di sangue vero e proprio, il livello sempre più alto. Terrorizzato cercò di rimettersi su e di scrollarsi di dosso quella poltiglia di fluido cremisi e chissà cos'altro. Si fermò vedendo qualcosa che si ergeva là in mezzo, distante da lui di alcuni metri: una minuta figura avanzava adagio, il piccolo e grazioso viso contorto in una smorfia di orrore. Dario non sapeva chi fosse, non gli ricordava nessuno del suo passato, eppure la piccola aveva un che di familiare. Per essere una sorta di allucinazione, era senza dubbio bizzarra e priva di senso.
Dario la vide infine cadere nel sangue che ondeggiava come densa acqua scarlatta e si convinse ad avvicinarsi. Qualcosa gli impediva di restare lì a guardare senza fare niente. Appena fu vicino alla bambina, la aiutò a tornare su, ma come lei ebbe sollevato i grandi occhi scuri su di lui, fu come se ad averle dato una mano fosse stato il mostro più terrificante e ripugnante mai esistito: fece uno scatto indietro, le sue labbra si spalancarono in un gridolino penetrante.
‟Lo hai detto anche tu: quale figlia vorrebbe avere te come padre? Chi accetterebbe di essere la prole di una creatura come te? "
La voce di nuovo risuonò nel silenzio. Non più nella sua testa, ma attorno a lui, come se fosse stata la stessa sala a parlare: una voce femminile e profonda, sarebbe potuta risultare persino bella se solo non fosse stata così fredda, crudele e bieca.
Dunque quella bambina era Fedra. Sua figlia.
Di istinto arretrò, non reggendo oltre il terrore che leggeva sul viso di quella bambina.
La voce femminile rise di gusto.
‟Visto? Ti vede per quello che sei davvero!"
Era solo una trappola, un inganno. Dario cercò disperatamente di ricordarlo a se stesso, ma non era semplice. Si guardò in giro e vide galleggiare nel sangue un corpo esanime, visibilmente privo di vita, e un viso che conosceva ormai abbastanza bene. Si sentì pervadere dal panico e dal dolore nel riconoscere in quel cadavere Lorenzo.
«No...» Scosse il capo, rifiutandosi di cadere di nuovo nel tranello. «Lui è ancora vivo!»
‟E per quanto ancora, dimmi? Sei mai stato capace di salvare almeno una delle persone che amavi? Tu che non sei neppure in grado di salvare te stesso? "
«È diverso!»
‟Non sei stato capace neanche di salvare il tuo figlioccio. Hai infranto la promessa che facesti a due persone che si fidavano di te e contavano sul tuo aiuto. Hai permesso che venisse catturato, torturato e ucciso, gettato infine da qualche parte come spazzatura qualsiasi. Bell'esempio di incapacità! Ma cosa si può pretendere, in fondo, da un efferato assassino, un predatore a sangue freddo come te?"
Coprirsi le orecchie non sarebbe servito a niente. Quelli, in fin dei conti, erano anche i suoi pensieri, eppure sapeva di non poter perdere quella lotta. Non voleva anche la morte di Godric sulla coscienza. Si convinse ad avanzare nel mare rosso e ad avvicinarsi allo specchio, anche se i flutti agitati cercavano di spingerlo indietro. Non demorse, non osò farlo neppure quando delle mani affiorarono e cercarono di bloccarlo. Ce la fece a raggiungere lo specchio e si aggrappò alla cornice. Forse perché era stanco di quel giochetto perverso, o magari per altre ragioni sconosciute, diede ascolto a un istinto arcano e primordiale. Agì come se fosse lo spettatore della vita di qualcun altro e non il protagonista: si portò una mano alle labbra e si morse l'indice fino a farlo sanguinare, poi tracciò un simbolo che somigliava molto a una bizzarra e arcaica runa sul vetro scuro che rifletteva la sua immagine, i suoi occhi ora color rosso sangue, simili al medaglione di Orfeo. Dalla sua bocca, in maniera quasi automatica, tanto sicura da apparire inquietante, uscirono delle parole, una sorta di incantesimo, in una lingua sconosciuta ma che aveva il sapore di un linguaggio antico e perso ormai nelle ere, inghiottito dal trascorrere delle epoche. Eppure nella sua mente il loro significato era limpido e chiaro: «Ho osato guardare nelle tenebre della mia anima e più non temo gli spettri che popolano il buio. Riconosci il tuo padrone, demone della verità. Nel nome della morte e dell'oscurità, io ti sottometto alla mia volontà e proclamo mio schiavo. Piegati al mio volere, Specchio di Giuda!»
Lo specchio ebbe un tremito, barcollò, la superficie si crepò, delle spaccature dal nulla si diramarono partendo dal punto in cui il segno era stato tracciato con il sangue. Attorno al vampiro tutto andò crepandosi e frantumandosi, proprio come vetro, fino a divenire polvere che nell'agitarsi nell'aria luccicava.
Infine le tenebre si diradarono e finalmente la stanza apparve agli occhi di Dario per come era realmente: una grande sala dal pavimento e le mura di pietra nera. Al centro, dallo specchio fino alle porte, un sentiero tracciato da un tappeto scarlatto.
Del mare di sangue non era rimasto niente. Era come pensava: una mera illusione, un gioco mentale atto a scoraggiare i deboli e gli sciocchi, i meno meritevoli.
Dario tornò a guardare allora lo specchio dalle zampe leonine e vide le incrinature saldarsi e sparire con un lieve crepitio. Il simbolo tracciato con il sangue venne in un certo senso assorbito. Fu allora che dentro il vetro scuro apparve un viso fumoso e difficile da distinguere. Sembrava distorto, vagamente umano, un semplice abbozzo a carboncino dopo che un bel po' d'acqua era giunta a guastarlo e diluire i contorni.
Quella specie di nuvola rossa come il sangue, come l'interno di una rosa, levitava nel nero vuoto della propria prigione. Gli occhi erano cavità prive di sclera, pupilla e iride, esattamente come quelli di una maschera.
Le labbra tremolanti e abbozzate si aprirono e la voce che scivolò fuori da esse era proprio quella che fino a minuti addietro aveva cercato in ogni maniera di piegare e sconfiggere il vampiro venuto a sfidare lo specchio: «Mai nessuno si è rivolto a me parlando la Lingua dei Demoni» disse, seria. Non era più indisponente e maliziosa. «Non sei come i miei precedenti padroni, vero?»
Dario non rispose. Rimase a guardare quel viso distorto, serio e impassibile fino a risultare a dir poco raggelante.
«No, non sei come gli altri. In te c'è oscurità senza pari. Qualcosa in te mi ha persino impedito di guardare davvero a fondo nella tua anima, nel tuo passato. Sei più vicino a una bestia che a un angelo, questo è sicuro.»
«Non ne hai la più pallida idea» replicò il vampiro, glaciale. «Non so come ho fatto a parlare la Lingua dei Demoni, se di quella si trattava. Sono qui perché ho bisogno di rintracciare una persona in fretta. Devo aiutare un amico.»
«Chi è che desideri trovare?»
«Il mio Efialte, si chiama Dante. Devi cercare di metterti in contatto con lui e fare da tramite.»
Il demone emise una specie di sibilo irritato. «È per una cosa del genere che mi hai disturbato?»
Il vampiro restrinse lo sguardo. «Dici che se ti minaccio di ridurti in mille pezzi con una mazza, poi ti convincerai a obbedirmi?» chiese, gli occhi che luccicavano quasi in modo sinistro.
«Non oseresti mai.»
«Tu dici? Vogliamo fare una prova?»
Il demone parve convincersi, seppur di malavoglia. «E va bene. Lo farò. Hai altre richieste?»
Dario esitò. Dopo ciò che lo specchio aveva affermato non era più tanto sicuro di poter ricevere l'aiuto di cui aveva bisogno, eppure...
«Hai detto di vedere in me l'oscurità. Vedi anche la malvagità, dimmi?»
«In te vedo solo smarrimento e confusione. L'oscurità nel tuo animo si agita come una nube di inchiostro nell'acqua di uno stagno. Confonde e trae in inganno. La malvagità può esserci solo quando vi è anche certezza. Guardati bene dal marchio che porti. Se non sarai tu a divorarlo, sarà lui a divorare te.»
Possibile che si stesse riferendo al marchio di Rasya?
«E come faccio a non farmi divorare?»
«Proprio come hai fatto poco fa con me: lottando con le unghie e con i denti, con il dono terribile e ancestrale che possiedi e che ora giace silente dentro di te, prigioniero di un sigillo posto da qualcuno che ti amava e ama sopra ogni altra cosa. Risveglia la belva, poiché la guerra che vi attende tutti è un affare da mostri, non da angeli e santi. Il Padre delle Bestie, lo Stregone, il Principe della Tenebre, non perdonerà a nessuno l'innocenza e l'ingenuità. Accetta chi sei veramente e potrai forse difendere coloro che ami dalla catastrofe. Se non lo farai e il marchio ti divorerà, nessuno si salverà.»
Dario deglutì. «Perché ti chiami ‟Specchio di Giuda"?»
«Per via del modo con cui tento di resistere alla volontà di chi intende far uso delle mie capacità: guardo nel cuore di chi ho di fronte, nei suoi occhi, e carpisco i suoi segreti, le sue colpe, il rimorso e i rimpianti. Intravedo le ombre e le porto in superficie. Sbatto in faccia alla persona che vuole domarmi i suoi peccati e la costringo a riviverli e ad affrontare i suoi demoni interiori. Giuda fu tormentato dal senso di colpa per aver tradito Cristo, prima di morire.»
«Mi sono beccato lo specchio più subdolo di tutti, a quanto pare.»
«E io so che puoi capire almeno in parte la mia posizione: proprio come aneli alla libertà, all'assenza di costrizioni e impedimenti, all'infrangere le tue catene. Evidentemente sono lo specchio che meritavi.»
Il vampiro non se la sentì di proseguire il discorso. Schiarì la voce. «Trova l'Efialte, adesso.»
Petya prese la piccola fiala con all'interno il sangue di vampiro e ne versò il contenuto nel piccolo calderone che emetteva vapore biancastro. La sostanza liquida e schiumante che ribolliva dentro il contenitore era color argento e pareva risplendere e luccicare come se vi fosse stata mescolata polvere di diamanti.
Appena il sangue toccò la superficie della pozione, quest'ultima ribollì maggiormente e dopo esser stata mescolata per alcuni minuti assunse infine una tonalità scarlatta.
L'Efialte sollevò lo sguardo e lo puntò in direzione di Dario. Se ne stava in silenzio, appoggiato al muro di quella stanza di solito occupata dal Guaritore che lavorava a palazzo.
Non v'erano finestre, solo una specie di antico condotto di areazione in cima alle quattro pareti.
«Ti ha detto altro lo specchio, vero?» chiese infine il re, un po' cauto date le loro recenti discussioni.
Gareth non c'era, era uscito quando Virginia si era presentata con la richiesta di parlargli in privato.
Il vampiro si riscosse. «Niente che abbia potuto rassicurarmi in alcun modo.»
Stando a quel che aveva scoperto parlando con Dante, quest'ultimo era intenzionato a non voler più saperne niente di quella faccenda. Come al solito era stato indisponente nel rispondere alle domande e nel confermare che il sangue di Dario, in effetti, era ormai dotato di proprietà decisamente utili e uniche nel loro genere.
«Ossia?» Petya estrasse il mestolo e con un gesto della mano fece estinguere le fiamme del fornello, in modo da lasciare a riposo la pozione. Aveva seguito con attenzione e minuziosità le direttive fornite da Dante.
«Cose che sappiamo già» replicò in modo stringato il vampiro. Era chiaro che non aveva intenzione di dire altro.
«Di cose ormai ne sappiamo tante.»
«Non ho voglia di parlarne, va bene?»
«Tiro comunque a indovinare.» L'Efialte gli si avvicinò. «Ha detto qualcosa a riguardo dei tuoi poteri, della tua natura, vero?» Il silenzio che ottenne in risposta gli funse da conferma. «Sai che prima o poi dovrai arrenderti e almeno provare a dominare le tue capacità. Se non lo farai saranno loro a prendere il sopravvento, e non c'è bisogno di uno specchio magico per capirlo. Basta guardarti, Dario. Non sei la persona che conoscevo fino a poco tempo fa.»
«Questa faccenda, da quel che mi risulta, ha reso tutti quanti più brutali.»
«Ecco, lo vedi? Di nuovo ti metti subito sulla difensiva. Ti sembra normale, dimmi?»
«Smettila, Petya.»
«Smettila anche tu, allora» insisté il re con durezza. «Non è così che risolverai i tuoi problemi. Non lo capisci? Ti stai facendo terra bruciata attorno quando invece dovresti trovare la forza nelle persone che ti stanno a cuore e ti vogliono bene! Non puoi pretendere di farcela da solo, non stavolta! Possibile tu sia diventato così cieco e schiavo del tuo rancore? Ti ostini a voler portare da solo questa dannata croce! Perché?»
Di nuovo non ottenne alcuna risposta, e lui odiava chi si barricava dietro a insopportabili e snervanti silenzi. Il silenzio era la cosa peggiore di tutte, lo era sempre. Era come essere ignorati.
Non volle demordere, però. «Guarda me, Dario: pochi anni fa ero il re di un regno grande quanto l'impero romano e quello persiano messi assieme, e qual è stata la mia fine? Mi sono dovuto arrendere alla verità, al dover chiedere aiuto a qualcun altro perché sapevo di non potercela fare con le mie sole forze! È impossibile che tu voglia affrontare una situazione del genere senza l'aiuto di nessuno!»
Seguì un silenzio pesante che parve durare un'eternità, poi Dario fece una smorfia lieve e lanciò una seccata e dardeggiante occhiata a Petya. «Non ti permettere più di cercare di violare la mia mente!»
Petya, però, era furente quanto lui. «Guardati meglio allo specchio. È chiaro che io e te vediamo qualcuno di totalmente diverso. L'oscurità si sta impossessando di te, ti sta uccidendo, lo capisci? Guardati! Non hai quasi più colore! La tua pelle è bianca come un lenzuolo, letteralmente! Capisci che persino per un vampiro non è un bel segnale? È innaturale!»
Non si riferiva solo al suo aspetto smagrito ed emaciato, al fatto che palesemente non si stava nutrendo come avrebbe dovuto, ma a qualcos'altro. Qualcosa che gli stava sottraendo quel poco di tonalità dall'incarnato, e forse non solo quello.
I servitori che a Obyria aveva incaricato di tenere d'occhio Dario negli ultimi tempi gli avevano riferito di non averlo mai visto andare a riposare o dormire né nutrirsi.
Dario soffriva di spossatezza, ecco qual era il problema principale, e la stanchezza fisica a lungo andare intaccava la mente e le capacità di cui essa poteva disporre.
«Non pensare di riuscire a convincere in questo stato i tuoi parenti vampiri alla lontana a unirsi a noi. Quando ti vedranno, vedranno un vampiro indebolito e incapace di farsi rispettare sul serio, scusa la schiettezza.»
Dario alla fine perse le staffe: «Non riesco a dormire, va bene?» sbottò. «Sono mesi che non chiudo occhio neanche per cinque minuti! Non sento più nemmeno lo stimolo della sete, ormai!» Per quanto rabbioso, il tono di voce era anche stremato.
«Perché?»
«Dirlo non servirebbe a niente!»
Petya lo raggiunse. «Ad alta voce le cose che ci spaventano risultano ancora più terribili. Se per te è così, allora sussurrale e basta.»
Il vampiro scosse la testa ed evitò il suo sguardo. «Sai cosa? Nonostante ora Gareth sia tornato e mi senta in un certo senso più al sicuro... vorrei solo che Grober mi prendesse. Almeno finirebbe tutto quanto. Non troverò mai pace, Petya. Mai. Potrei andare anche ai confini del mondo e non otterrei comunque niente.»
Non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui persino Satana avrebbe iniziato a braccarlo e a dargli la caccia, a perseguitarlo. Era un incubo senza fine, ecco perché preferiva sfuggire almeno a quelli che lo tormentavano nel sonno, senza comunque trovare un po' di tregua.
Gli ripetevano tutti di stringere i denti, ma si chiedeva quanti di loro avessero avuto a che fare con un essere come Grober che faceva di tutto pur di tendergli ogni genere di trappola e condurlo a sé con l'inganno, o per semplice esasperazione.
Nel suo caso non era possibile neppure estirpare il Sigillo di Rasya, perché in fin dei conti lui stesso era una specie di estensione di quell'entità. Significava morte sicura e non solo per lui, e per quanto detestasse Dante, non voleva la sua morte sulla coscienza.
Ne aveva abbastanza di sguazzare nel sangue altrui, del sentirsi responsabile del dolore del prossimo.
Eppure in mezzo a quelle ombre sempre più fitte che gli si stavano stringendo attorno come le spire di un serpente era appena apparso uno spiraglio di luce, per quanto flebile. Come aveva già detto, sentiva di essere al sicuro quando Gareth gli era accanto, come se quell'uomo recasse con sé un benefico manto capace di scacciare le tenebre e il malessere che esse gli arrecavano. Questo, però, avrebbe presto attirato l'attenzione di Grober e allora Dio solo sapeva cos'avrebbe fatto quel mostro pur di distruggere quell'ultima fonte di luce e di speranza.
Come poteva non sentirsi condannato e già sconfitto? Come poteva esserci una via d'uscita, una salvezza?
La sua unica certezza era di non aver mai provato un simile terrore, tutta quella perpetua angoscia.
Era il primo a non riconoscersi più.
Petya sospirò. «Non dirlo neanche per scherzo e non guardare solo il lato negativo. Un risvolto della medaglia esiste sempre e ti basterebbe guardarti attorno con più attenzione per capire che non sei da solo e c'è ancora qualcuno disposto a lottare al tuo fianco.»
Dario sorrise amaramente. «Già, ma questo lo sa anche lui.»
«Si fotta Grober. A contare sul serio è la tua forza di volontà, la tua capacità di resistere anche a costo di fare sacrifici. Ha bisogno del tuo consenso, che tu gli ceda l'anima spontaneamente, da Diavolo qual è, e non saresti mai talmente sciocco da fare una cosa simile.»
Non riesco a credere di star per dire una cosa del genere, ma non ho altra scelta.
«L-Lo specchio ha detto che i miei poteri furono sigillati e tenuti sotto controllo da una persona che mi amava» disse lentamente. «Mia madre era una strega, una Strega Bianca, perciò suppongo fu lei a porre quel sigillo.»
Petya decise di ascoltarlo senza interrompere.
«Purtroppo è morta da secoli e non c'è modo di chiederle aiuto.»
«Aiuto per cosa?»
Dario represse un brivido. «Per affrontare i propri demoni, prima bisogna sguinzagliarli. Non sarà mai una vera lotta se continueranno a stare dietro a delle sbarre. Per domarli bisogna entrare nella gabbia e fronteggiarli come si deve. Lo specchio ha detto che se non sarò io a divorare quella parte oscura di me, sarà lei a farlo. Bisogna mettere fine a questo stallo, rimuovere il sigillo e vedere cosa succede. È la mia personale battaglia, Petya, e sappiamo entrambi che devo vincerla.»
Petya non era granché convinto. Per qualche istante non disse niente, si limitò a scrutare il vampiro, il suo viso insolitamente scavato e spettrale in quella lugubre sala dove a regnare era la penombra. Aveva senza dubbio l'aspetto di uno che di demoni ne aveva da sconfiggere un bel po', e fino ad allora la lotta non era andata granché bene. «A chi intendi chiedere aiuto?»
«Mi sembra naturale: a Rodrigo. In fin dei conti non me la sento di divulgare ad altri questa faccenda. Certe cose è meglio farle in gruppi poco numerosi. È vero, detesto quell'uomo più di quanto detestassi un tempo quello che per anni ho ritenuto essere mio padre, ma a mali estremi...»
«Perciò lui dovrebbe rimuovere il blocco che, secondo te, è stata tua madre a porre sui tuoi poteri? E cosa accadrà?»
«Dovrò lottare per tenermi strette l'anima e la vita, suppongo. Sarò al massimo della vulnerabilità e probabilmente Grober si accorgerà subito del cambiamento. È rischioso, ma non c'è altra via. Questa radice velenosa va sradicata.»
«E se tu dovessi vincere?»
«Non ci sarà più il pericolo che Rasya possa risorgere, perché in un certo senso avrò assorbito le sue capacità e tutto quello che di lui resta dentro di me. Non so dirti se a quel punto sarò ancora me stesso o meno, ma qualsiasi cosa sarà migliore di questa agonia.» Dario esitò. «Se dovesse andare male, però, io e Dante moriremo entrambi e allora tu e gli altri dovrete assicurarvi che Rasya non abbia il tempo di impossessarsi del corpo di uno di noi. Distruggete i cadaveri, tutti e due.»
L'Efialte ammutolì. Non voleva neanche pensare a un simile scenario. Era troppo orribile. Annuì e basta, incapace di parlare. C'era da considerare anche un altro aspetto: se Dario fosse riuscito in quell'impresa, cosa se ne sarebbe fatto poi di simili capacità che, per quanto potenti, restavano pur sempre terribili e pericolose?
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