Capitolo XXXIII. Lupus in fabula


Musica consigliata: "A Heart Without Colour" di Peter Gundry.

https://youtu.be/YJcVxA5QOJ0

La prima cosa che Dario vide, quando finalmente riprese i sensi, fu una macchia sfocata dove avorio e rosso si mescolavano.

Sbatté le palpebre un po' di volte e le socchiuse fino al punto da vedere molto bene il viso che ricambiava il suo sguardo: capelli e barba ramati, un pallido viso dagli zigomi alti, labbra sottili e ben disegnate, occhi dello stesso colore dell'oceano baciato dai raggi del sole.

Mugolò fra sé e fece una lieve smorfia. Doveva essere un sogno nel sogno, poco ma sicuro.

«Riesci a sentirmi?»

Quella voce... Quel viso...

Riaprì le palpebre e mise a fuoco del tutto. Inizialmente non reagì, poi però qualcosa in lui scattò: sobbalzò e indietreggiò fino al punto da cadere giù dal letto dov'era stato adagiato. Imprecò a denti stretti, si rimise in piedi barcollante e afferrò la prima cosa che gli capitò a tiro, ossia un vaso, e lo scagliò contro l'altro uomo presente nella stanza. Questi si abbassò in tempo, si voltò a guardare i cocci sparsi a terra e fischiò. «Davvero un gran bel tiro!» commentò.

«NON TI AVVICINARE!» urlò Dario, sull'orlo dell'isteria, tremante da capo a piedi. Era uno Specter, forse uno di quelli perfezionati, più vicini a ciò che un tempo erano stati in vita. Sapeva solo di essere nei guai fino al collo. Si guardò attorno, nel panico, e iniziò a lanciargli addosso tutto quello che riusciva a trovare. «SALUTAMI PURE GROBER!» gridò stridulo, scagliando contro il tipo dai capelli ramati il grosso pendolo da terra. l'altro schivò di nuovo e il povero orologio per poco non colpì invece Petya e Virginia, appena sopraggiunti udendo un tale fracasso. Il vampiro li fissò, interdetto. «Come avete potuto far entrare uno Specter? Sapete cosa sono capaci di fare?»

«Oh, Dio!» si lamentò l'altro. «Non sono uno Specter!»

«STUPIDAGGINI!» Dario vide che qualcuno aveva recuperato la sua spada e allora la prese e la puntò in direzione del rosso. «Sei solo più bravo a fingere! Devi essere uno di quelli perfezionati! Bella mossa, Grober, complimenti!» Le mani gli tremavano, sentiva di essere sul punto di scoppiare in lacrime per la frustrazione, per il dolore e la rabbia. Il sadismo di Grober non conosceva limiti, orma era appurato.

Se anche non fosse uno Specter, sicuramente si tratta di qualcuno che ha assunto le sue sembianze per tormentarmi, per spingermi a cedere!

Non tutti i morti tornavano. Alcuni, come l'uomo che aveva di fronte, restavano sotto metri di terra, destinati a diventare polvere.

Ignorò Petya e Virginia che cercavano di farlo calmare e di spiegargli che non era uno Specter.

Non riusciva a staccare gli occhi da quell'uomo alto e tanto familiare al punto da fare male.

Se il suo cuore fino ad allora era stato ridotto in frantumi, ormai era divenuto un cumulo di cenere.

L'altro gli si avvicinò piano piano e riuscì a intercettare il fendente della sua spada e a bloccare la lama a mezz'aria. Ignorando il sangue che gocciolava dal pugno chiuso, disse: «Dario, sono io. Sono davvero io, credimi».

«No, non ti credo!» Il vampiro cercò di ritrarre l'arma. «Sei morto, lo sanno tutti!» Piangeva, urlava, neanche lui sapeva più cosa stava facendo. Era in stato confusionale.

«Shh» fece l'altro, per tranquillizzarlo. «Calmati. Ti sei appena ripreso, non ti fa bene strepitare così.»

«S-Se sei davvero tu, allora ti chiedo di dirmi qualcosa che solo noi due sappiamo! Q-Quale soprannome usavi per me ogni tanto, quando eravamo da soli?»

Il rosso sorrise e sbuffò una risata, gli occhi che scintillavano. «Vuoi che lo dica davvero di fronte a loro?»

«Parla!»

«Va bene, va bene. Quando ci siamo conosciuti ci detestavamo e io, per prenderti in giro, ho detto di fronte a un bel po' di gente che eri uno scorpione, un piccolo scorpione. In seguito ti ho sempre chiamato in quel modo, ma non per burlarmi di te o in senso dispregiativo. Era un soprannome speciale, ti piaceva e ti si addiceva. Ti ho chiamato così anche prima di...» Non terminò la frase, non volendo rievocare un ricordo decisamente più orribile.

L'elsa della spada scivolò di mano al vampiro, il quale si sentì di nuovo mancare e anche soffocare.

Non poteva essere, eppure aveva superato la prova. Nessuno Specter, nessun impostore, avrebbero potuto sapere una cosa così personale e intima. Nessuno, eccetto...

L'uomo lo sostenne delicatamente e poi lo strinse a sé in un abbraccio che con ovvietà da tempo attendeva. Piangeva anche lui.

«Scusa se sono ricomparso così all'improvviso» sussurrò, scostandosi per asciugargli il volto. «Mi dispiace. Perdonami se ti ho fatto vivere per secoli con un rimorso immeritato. Avrei... Avrei dovuto lasciar perdere tutto e venire da te per scappare lontano, come avevamo stabilito. Scusa se ho dato retta a quegli stupidi dei miei compagni.»

Dario, però, era attonito, perché quell'uomo non stava versando lacrime normali, ma lacrime di sangue.

«Cosa... c-che ti è successo?»

Era ovvio, limpido come l'acqua che si trattava di Gareth, il solo e unico, ma ora c'era un altro mistero da risolvere.

Gareth rise appena fra le lacrime. «Non lo indovini?»

«Smettila di fare lo spiritoso! Sei sempre il solito!»

«Ormai ci scambiavamo da così tanto tempo il sangue che tu non devi aver ricordato, quella notte, che prima di tornare dai nostri rispettivi Principi avevamo eseguito di nuovo quella specie di rituale. Ricordi? Siamo... siamo stati insieme per un paio d'ore, abbiamo ultimato il piano per fuggire e poi ci siamo dati appuntamento a mezzanotte, sul limitare della Foresta dei Sussurri. Avresti dovuto raggiungermi lì, ma altri poi hanno stabilito per noi un destino diverso.» Gareth gli sfiorò le guance con le dita che erano l'esatto contrario delle sue: più nodose e salde, ruvide, di un uomo che in apparenza poteva sembrare rude, ma che in realtà era fra le persone più dolci che fossero mai esistite. «Non capisci? Senza volerlo, quella notte mi hai salvato per un soffio grazie al tuo sangue che era ancora in circolo dentro di me!»

Dario scosse il capo. Si sentiva così confuso. «M-Ma come... come può essere? La tua specie non risente dell'effetto del sangue di vampiro!»

Fu allora che Virginia si avvicinò e con un sorriso affettuoso disse: «Ci sono delle eccezioni, te lo assicuro. È successo molto raramente, ma è accaduto che un vampiro sia riuscito a trasformare un lupo mannaro. Gareth è addirittura un incrocio fra le due sottospecie, è ancora più raro e straordinario. Tu non lo sai perché dalla tua epoca in poi le vostre razze si sono detestate a morte. Parlo di eventi accaduti in tempi antichi e perduti, me lo ha confermato persino mia madre».

Dario, sentendo il bisogno di sedersi, si lasciò cadere sul letto. «C-Cosa ti ha detto, dunque?» incalzò stancamente, passandosi una mano sul viso sciupato.

Virginia si strinse nelle spalle e occhieggiò Gareth con aria complice e solare. «Sembra che solo una ferrea e salda volontà, o un sentimento potente, puro e sincero, siano capaci di abbattere la barriera fra le vostre specie e dar vita al perfetto connubio tra un vampiro e un lupo mannaro, o un licantropo. Abbiamo così un vampiro capace di cambiare forma senza l'uso della magia, con una abilità innata e spontanea.» Si avvicinò e prese posto accanto al padre adottivo. «Lo amavi così tanto che il sangue che vi siete scambiati fino a quella notte ha alla fine attecchito e permesso a un miracolo di avvenire. Un po' come il bacio del vero amore che risveglia persino dalla morte, se vogliamo!»

«Sembra troppo bello per essere vero» commentò Dario, decisamente scettico e demoralizzato dopo aver trascorso secoli a piangere la scomparsa e l'assenza di un uomo che in realtà pareva esser stato salvato dall'amore che un tempo avevano provato l'uno per l'altro. «Se una cosa è troppo bella per essere vera, significa che non è vera» aggiunse, quasi a voler rammentare a se stesso quella verità che per molto tempo si era ripetuto a mo' di ammonimento.

In quanti, fra uomini e donne, aveva cercato di ritrovare quello che aveva creduto di aver perso per sempre con la morte di Gareth che mai, in realtà, era avvenuta?

In quanti abbracci aveva tentato di riassaporare il medesimo calore, lo stesso inebriante abbandono? Quanti baci lo avevano lasciato insoddisfatto e incompleto? Quanti non erano mai riusciti a reggere il paragone con l'uomo che aveva amato fino all'ultimo istante?

«Oh, papà!» si lamentò Virginia. «Pensavo avessimo chiarito e invece ecco che di nuovo fai il disfattista! Ma che devo fare con te?»

Lui si scostò i capelli dal viso e dalla fronte e lì trattenne la mano tremante. «Prendimi un appuntamento con uno psicanalista al più presto possibile, o fatemi andare in manicomio direttamente» rispose stremato. Sentiva di essere a un autentico punto di rottura, sia fisica che mentale. Un esaurimento, forse. Strinse le labbra e piantò gli occhi scuri e stanchi su Gareth. «Amore un paio di corna. Perché diavolo non ti sei rifatto vivo, allora? Perché permettere che i sensi di colpa mi distruggessero?»

«Mio padre» intervenne Virginia, esitante.

«Sciocchezze. Ilya neanche lo hai mai conosciuto, e poi...» Dario si bloccò. «Aspetta, cosa?»

Gareth si umettò le labbra. «È stato Richard. Quando... Quando ripresi, mi trovavo in un posto che non conoscevo, era una casa sperduta nei boschi, nel mondo umano. Lì c'era anche Richard e lui... lui mi spiegò che in qualche modo avevo sconfitto la morte, che ero diventato un vampiro come lui e come te. Mi disse che...» Sospirò. «Sapeva di noi, Dario. Suppongo si fosse insospettito, fra una cosa e l'altra. Mi disse che una sua spia ci aveva visti insieme, proprio prima che ci separassimo l'ultima notte, e che da quel momento in avanti non avrei dovuto rimettere più piede a Obyria, non finché ci fosse stato lui ad assicurarsi che rispettassi il divieto. Non mi disse perché, mi disse solo che dovevo stare lontano da te. ‟Se uno dei miei vi sorprende di nuovo a fornicare, ti faccio giustiziare e ci saranno delle conseguenze dure anche per lui. Devi stargli lontano", mi disse questo.»

Mentre Dario ascoltava, fissava il vuoto, le sue iridi color carbone occhieggiavano il pavimento senza vederlo davvero.

«Non ebbi neanche il tempo di rispondere, di chiedergli perché stava facendo una cosa così crudele proprio a te che lo avevi sempre servito con lealtà, ma poi arrivò un uomo, entrò nella capanna dismessa. Quell'uomo era... era Arian, l'Imperatore. Sapeva tutto quanto e pareva dello stesso parere di suo fratello: dovevo andarmene e lasciare che fosse il tempo a rimarginare la ferita che la mia finta morte ti aveva inferto. Mi dissero che era per il tuo bene e per la tua sicurezza, che non era saggio lasciare una creatura instabile come me in tua compagnia, e col tempo dovetti dar loro ragione: ci misi anni interi per stabilizzarmi e abituarmi, per imparare a reprimere il mio istinto e a risparmiare le mie vittime. Non sai quante notti sono rimasto sveglio a pensare a te, a cosa stavi facendo, se mi avevi già dimenticato o ero ancora nei tuoi pensieri, nei tuoi incubi.»

Petya strinse una spalla a Gareth, il quale aggiunse: «A un certo punto, però, incontrai un uomo. Aveva i tuoi occhi, avrei riconosciuto ovunque quel colore così scuro, intenso e uniforme. Si chiamava Rodrigo Carvajal e all'epoca non sapeva ancora che tu eri vivo, né che ti avevo conosciuto molto bene. Rodrigo mi insegnò a risvegliare dentro di me la magia e usarla a fin di bene, vide in me del potenziale e volle coltivarlo per il semplice gusto di ottenere i risultati sperati. Fu uno dei pochi ad accettarmi per ciò che ero, perché prima di lasciare Obyria rintracciai la mia famiglia e il mio clan, ma mi respinsero quando riconobbero in me una natura estranea e anormale. Mi chiamarono ‟mostro" e decisi di andarmene. Da allora, e dopo aver scelto di andare per la mia strada e lasciare Rodrigo ai suoi studi sull'alchimia, vagai, appresi quello che potevo, cercai un modo per distrarmi dalla mia solitudine. Né i vampiri né i lupi mannari e i licantropi volevano saperne di me, e anche altri mi guardavano come se fossi un alieno. A volte ho provato a rifarmi una vita, a dimenticare chi ero, ma non è servito a niente».

Scosse la testa. «Mi sono appassionato all'esoterismo, allo studiare e approfondire le varie credenze antiche dei popoli, persino di Obyria, e negli ultimi tre, quattro anni, anche degli Efialti. Fino a qualche anno fa per un decennio ho lavorato in una università in Olanda, la terra che aveva dato i natali a mia madre, come sai già. Poi ecco che Rodrigo mi rintraccia, alcuni mesi fa, e insieme iniziamo ad approfondire alcuni argomenti. Ho saputo solo di recente che è tuo padre, me lo ha rivelato dicendo che le ricerche avrebbero giovato anche alla tua situazione. Ora eccomi qua, finalmente da te. Sentivo che era arrivato il momento di tornare, di proteggere la persona a cui mi sono sentito legato per secoli. Sentivo di dover proteggerti, perché ero abbastanza forte da farlo.»

 Dario non sapeva cosa dire né cosa pensare, specie dell'uomo che era inginocchiato davanti a lui e lo stava guardando con quegli occhi che tanto gli erano mancati.

L'ultima volta che aveva spaziato in essi, poi impotente era rimasto a guardarli mentre divenivano vitrei e si svuotavano di ogni accenno di vitalità; l'ultima volta che aveva stretto a sé quell'uomo, lo aveva pregato di non lasciarlo, gli aveva chiesto un miracolo, di provargli che l'amore davvero era capace di tutto, persino di resuscitare i morti.

Aveva ricordi molto confusi di quella notte squassata da un forte temporale. Ricordava i lampi che schioccavano fuori dalle vetrate del castello e illuminavano il sangue di Gareth sparso sul pavimento di pietra bianca. Dei passi veloci, delle voci confuse parlargli, le braccia di qualcuno afferrarlo, un altro, non sapeva chi, portare via il cadavere di Gareth, dell'audace e coraggioso Capitano dei Lycos spentosi all'età di quarantun anni per colpa dei suoi stolti compagni che lo avevano convinto a prender parte a quell'intrusione conclusasi in tragedia.

Ciò che non aveva mai saputo, era che Richard fosse sempre stato al corrente della tresca, forse persino del loro piano di fuggire insieme. Provava rabbia al pensiero di come quell'uomo, senza batter ciglio, per anni lo avesse preso in giro, gli avesse mentito senza pudore. Lo aveva lasciato lì, a straziarsi per la morte di un uomo in realtà tornato in vita e costretto all'esilio.

C'erano stati momenti in cui aveva creduto di odiare Richard sopra ogni altra cosa, forse persino più di Arwin e di Atlas, ma quella bugia andava oltre qualsiasi altra angheria, qualsiasi altra menzogna.

Era rimasto leale fino all'ultimo a un uomo che lo aveva pugnalato alle spalle senza ritegno.

Non aveva alcun diritto di intromettersi. Avrebbe dovuto dirmelo, avrebbe dovuto lasciare che io a Gareth ce ne andassimo insieme.

Come si poteva essere fino a quel punto crudeli e disumani? Fino a tal punto bugiardi e meschini?

E lui che era stato male per la sua dipartita...

Col senno di poi, forse avrebbe dovuto dare una mano ad Arwin, quella notte, o pensarci da solo un bel po' di tempo antecedente al giorno in cui Obyria lo aveva segnato a vita come un incapace.

Avrebbe dovuto ammazzare con le sue mani quel serpente a sonagli il giorno dopo la morte di Gareth, quando una malvagia e seducente tentazione gli aveva condotto la mano sull'elsa della spada e gli aveva sussurrato di porre fine alla vita di Richard Esper, l'uomo che in un modo o nell'altro gli aveva sottratto la felicità.

E cosa dire di suo padre, di Rodrigo Carvajal che per l'ennesima volta aveva preferito qualcun altro a lui, al suo unico figlio? Un uomo che a conti fatti aveva preferito spassarsela per il mondo, invece di tornare a prenderlo, di salvarlo dalla casa di un essere umano crudele che per anni lo aveva denigrato e umiliato?

A Gareth aveva dato una possibilità, lo aveva aiutato, e a lui invece niente, se non un insopportabile silenzio, un'assenza che parlava da sé, il totale abbandono.

Si è comportato per anni come se non gli importasse niente di me. Ha rinunciato subito a cercarmi quando quell'altro gli aveva detto che ero quasi sicuramente morto. Si è arreso subito, non ha lottato per riavermi nella sua vita.

Tornò al presente, a guardare l'uomo che stava lì, inginocchiato di fronte a lui, di nuovo parte della sua vita. Di nuovo vivo. Non voleva pensare ad altro che a quello, eppure più che essere felice, si sentiva solo sprofondare ancora di più.

«Hai sempre avuto un pessimo tempismo» si limitò a dire. Era un vampiro di cinquecento anni, da un pezzo aveva smesso di stupirsi sul serio. Aveva affrontato shock più grandi del ritorno di una persona dal regno dei morti.

Aveva capito che Gareth aveva atteso quel momento a lungo, per tanto tempo, agognato il giorno in cui finalmente si sarebbero rivisti e riuniti, ma non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore per tornare.

Proprio quando ho deciso di allontanarmi da tutto e da tutti.

Virginia convinse un reticente e curioso Petya a lasciare la stanza insieme a lei, perché aveva capito che la conversazione, di lì in poi, avrebbe avuto bisogno di calma e di privacy.

Appena furono rimasti da soli, Gareth sospirò. «Non sai quanto mi dispiace di averti fatto convivere per tutto questo tempo con una colpa che non esisteva. So che sei andato avanti, come ho fatto anche io, ma...»

«Non è questo il punto» lo interruppe l'altro. «E comunque, la colpa c'è lo stesso. Ti ho ucciso e questo è un dato di fatto. Che poi tu sia riuscito a sopravvivere, ciò lo dobbiamo solo a un ironico gioco del destino.» Dario non sapeva come spiegargli la propria presa di posizione, tutto quello che sentiva, che si era ritrovato a pensare negli ultimi tempi. «Non c'è stata una sola persona che prima o poi non si sia ritrovata a pagare un caro prezzo per essermi rimasta accanto. È successo anche a te e non voglio che accada di nuovo. Dio solo sa quanto vorrei tornare a stare con te, ma non è possibile. Una volta una persona mi disse che non avrei mai avuto pace, mai l'avrei conosciuta, e credo avesse ragione. Mi disse che le ombre che portavo dentro di me e allo stesso tempo camminavano al mio fianco, sarebbero rimaste per sempre. Non me ne sarei mai liberato, non era la sorte stabilita per me.»

Gareth si accigliò. «Chi ti ha detto questo? Quando?»

Il moro si strinse nelle spalle. «Tua madre, la sera in cui mi portasti dalla tua famiglia per presentarci. Per quanto mi sentii bene insieme a tutti loro, quel bel ricordo è sempre stato oscurato dalle parole che tua madre mi aveva rivolto in un momento in cui eravamo rimasti da soli. Mi prese la mano e disse quello che ora sai anche tu, e non posso che darle ragione, Gareth. Aveva ragione.»

Per tanto tempo aveva scelto di non ripensare più a quella lontana sera, ma ormai la sua mente si divertiva a riesumare ogni singolo ricordo capace di farlo soffrire e sprofondare in un perenne stato d'angoscia, in una perpetua consapevolezza di non avere scampo né un posto in cui sentirsi davvero a casa e al sicuro.

Come poteva nascondersi dal male e dall'oscurità, quando entrambi erano parte di lui?

La madre di Gareth aveva sempre avuto ragione e gli ultimi avvenimenti avevano confermato quelle parole: non avrebbe mai avuto pace finché avesse continuato a esistere. Quelle ombre lo avrebbero perseguitato in eterno e causato sofferenza e morte. La cruda verità? Era un pericolo per il prossimo, una maledizione che camminava e di tanto in tanto tornava per capriccio a respirare.

Gareth si sedé accanto a lui. «Dimmi tutto. Sento che c'è molto altro e voglio capire fino in fondo.»

«Per cosa? Per far soffrire inutilmente anche te? Preferisco morire, allora. Dico davvero.»

«Se non altro non soffrirai da solo» replicò Herrick, categorico. «Lo hai fatto per tanto tempo, ma non sei più costretto ad affrontare ogni cosa senza nessuno a spalleggiarti. Ho forza a sufficienza per entrambi, credimi. Se a te non ne resta molta, allora prendi pure la mia e falla tua, perché di una cosa sono convinto: se sono tornato proprio ora, fra le tante altre occasioni che ho avuto, un motivo valido deve pur esserci. Non ho mai creduto al caso, lo sai benissimo, e sono ancora uno scettico convinto.»

«Gareth...»

«Non chiedermi di abbandonarti di nuovo, perché non voglio farlo e non lo farò. Non importa cosa dirai o farai. Sei l'ultima persona a meritare di restare da sola, Dario. Di gente orribile ne ho conosciuta parecchia da quando sono tornato indietro dalla morte, e tu non lo sei.»
Dario non rifuggì il suo tocco quando gli strinse la mano, anzi ricambiò la stretta di quelle dita tanto familiari, un contatto semplice e che sapeva di casa, di qualcosa che credeva di aver perduto e aveva di colpo ritrovato. «Non ti chiedo di affidarti totalmente a me, perché ti conosco. So che ci tieni a restare indipendente e a cavartela da solo. Ti chiedo soltanto di permettermi di starti vicino, di affiancarti e aiutarti.»

«Come faccio a sapere che non sparirai di nuovo?»

«Perché sono tornato e l'ho fatto con l'obiettivo di restare.»

Benché fossero trascorsi letteralmente secoli, per due creature immortali il tempo scorreva in modo molto diverso. Una settimana, forse persino un anno intero, sembravano durare appena un battito del cuore. Era come se i sentimenti che tanti, tanti anni fa si erano dichiarati, fossero stati immersi nella resina dell'eternità, immortalati per sempre come ambra e mai svaniti.

Con Gareth era stato tutto diverso sin dal principio. Diverso, non c'era altro termine con cui descrivere tutto quanto. Diverso e magnifico, prezioso e irripetibile.

Non ho amato nessuno come ho amato lui. Forse... forse solo Max, eppure lo stesso neanche lui è riuscito a entrare nella mia anima. Non come l'uomo che ora mi sta vicino.

Il fatto che Gareth fosse in realtà sopravvissuto, o meglio tornato come qualcosa sospeso fra la natura di vampiro e di uomo-lupo, stava via via demolendo le credenze che Dario nei secoli aveva sviluppato nei confronti dell'amore a lettere maiuscole, quello che sembrava esser stato favorito e stabilito quasi dalla stessa Provvidenza. Si erano persi e infine ritrovati, e questo non poteva essere ignorato.

Non voglio perderlo di nuovo. Sento che non avrei la forza di sopportarlo.

«Perché sei tornato? Solo per starmi vicino?» chiese, senza guardarlo.

Gareth lo guardò e sorrise tra sé, scuotendo la testa. «Lo sai perché l'ho fatto. Le mie ragioni e intenzioni sono rimaste invariate, e adesso non c'è niente, nessuno, che possa impedirmi di stare al tuo fianco alla luce del sole.»

Dario tornò a posargli gli occhi addosso. Aveva dovuto allontanare Max e non solo per via del pericolo che attualmente rappresentava per chiunque, ma anche perché non era riuscito a perdonarlo fino in fondo e sapeva di non poter amare e odiare allo stesso tempo qualcuno. Lui era fatto in quel modo: amava o odiava completamente, non ce la faceva a fare entrambe le cose, non quando si trattava di quel tipo di amore ben diverso dal semplice affetto. In quel caso era meno selettivo, più permissivo, molte volte aveva scelto di chiudere un occhio e perdonare.

Represse un altro sospiro e riuscì ad abbozzare un debole sorriso. «A tuo rischio e pericolo.» Gareth non era uno sciocco e comunque era un uomo d'azione proprio come lui. Sapeva badare a se stesso, era forte un leone e per i leoni non c'era mai da preoccuparsi. D'altro canto, aveva affrontato tutti quei Ghoul senza troppi problemi, il che la diceva piacevolmente lunga. «È una lunga storia, perciò tenterò di riassumertela e di riferirti solo i punti più salienti e importanti.»

Gareth tornò serio. «Ti ascolto.» E lo fece davvero. Ascoltò attentamente il racconto di Dario, un resoconto che durò quasi un'ora, complicato e pieno di ramificazioni, ma la mente di Gareth era talmente ben allenata ad assimilare le cose complesse e lui non ebbe problemi a seguire il discorso dell'altro vampiro. Certo, di tanto in tanto gli capitava di perdersi e solo perché si concentrava sul suo viso, su quegli occhi di cui aveva sentito una logorante mancanza, su quelle labbra di cui aveva molti, molti ricordi, quasi sempre piacevoli. 

«... perciò, ora come ora ci troviamo, per così dire, sull'orlo del precipizio. Purtroppo sembra che Alex e James abbiano stabilito per conto loro di agire così e questo... be', questo sicuramente permetterà a Grober di riavere indietro le sue reali sembianze e i poteri al completo. Ho anche un'altra teoria riguardante James, ma te ne parlerò un'altra volta.» Dario fece un bel respiro. Tutto quel parlare e spiegare lo aveva stancato. «Adesso sai tutto quanto e sai anche qual è il mio ruolo in questa tragedia, quindi... s-se dopo aver saputo ogni cosa ti sei scoraggiato e non te la senti di seguirmi, lo capirò e non te ne farò una colpa, anzi penso... penso sarebbe meglio per te restarne fuori. Almeno saprò che sei al sicuro e lontano dal pericolo che io in primo luogo rappresento. Un paio di giorni fa ho avuto una specie di collasso psicologico, o qualcosa di simile. Credo che Grober sia riuscito a entrare nella mia mente e influenzarla, o forse si tratta di una falla che da sempre è presente e fa parte di me. Forse la verità è che sono sempre stato così.»

Gareth lo squadrò senza dire niente, poi: «Ormai sono coinvolto e non ci penso nemmeno a battere in ritirata. È... È una situazione folle questa, non lo nego, però c'è in ballo qualcosa di importante per cui vale la pena lottare fino all'ultimo sangue. Sono rimasto in panchina per troppo tempo e non accetto di saperti là fuori a rischiare la vita mentre io sono chissà dove a farmi la pacchia».

«Gareth, potresti morire.»

«Accetterò anche questa conseguenza, se non avrò altra scelta.»

«Così ci ritroveremmo tutti e due al punto di partenza.»

Herrick tacque e si accomodò meglio accanto a lui. «Sai cosa si dice della mia specie? Intendo quella di cui facevo un tempo parte al cento per cento.»

«Non saprei. Che cosa?»

«Che raramente il giudizio istintivo di un lupo si sbaglia. Persino quando all'inizio facevi lo stronzo con me e con i miei sottoposti ero convinto che in te non ci fosse niente di malvagio e oscuro, e sai bene che all'epoca condividevo l'antipatia della mia gente nei confronti della tua. Non c'è stato un solo momento in cui mi sia ritrovato a pensare che tu fossi davvero un gran bastardo presuntuoso, il perfetto prototipo di vampiro sofisticato proveniente da chissà quale ceppo nobile. Sapevo che era solo una facciata la tua, persino i primi tempi mi sembrava di riuscire a percepire che avevi sofferto in passato ed eri una persona migliore di quanto volessi far credere a tutti.» Gareth sollevò una mano e senza essere brusco fece in modo che Dario lo guardasse in faccia. «Tu non sei una persona cattiva. So che hai... che hai commesso degli errori, sbagli per i quali ti flagelli ancora oggi, se ti conosco bene, ma so anche che sai essere una creatura capace di fare buone azioni senza volere niente in cambio. Uno come te non potrebbe mai diventare un uomo crudele, non importa se sei una specie di reincarnazione di una divinità padrona della morte. Tu sai chi sei veramente e non puoi permettere a questa storia di farti ricredere su tutto quanto. Sei troppo intelligente per mollare la presa e darla vinta alle lingue velenose.»

Gli fece male vederlo sul punto di piangere. Glielo leggeva negli occhi che stava per farlo.

«Vorrei che in passato ci fossi stato tu molte volte a farmi ragionare» mormorò Dario. «Forse non avrei fatto tutti gli sbagli che ora pesano sulla mia coscienza. Vorrei che Richard non si fosse intromesso.»

Non credeva avrebbe mai perdonato quel diavolo d'uomo per aver fatto una cosa del genere alle sue spalle.

Gareth sospirò. «Magari aveva delle buone ragioni.»

«Non esserne così sicuro. Era uno di quelli che spesso e volentieri commettevano cattiverie perché poteva, perché nessuno osava contraddirlo e opporsi. Si comportava come un bambino viziato e si lasciava alle spalle la distruzione, e quel che è peggio è che non gliene importava niente. Se lui stava bene, il resto del mondo poteva anche bruciare e crollare su se stesso.»

Aveva rivalutato molto quell'uomo, specialmente dopo quel che era affiorato. Iniziava a vedere Richard in maniera assai diversa, a capire il perché tanti lo avessero odiato, quando era ancora vivo. Come si poteva non odiare una persona del genere?

«Non mi interessano le ragioni che poteva o non poteva avere. So solo che si è intromesso in una situazione che non era di sua competenza, nei nostri affari privati, e questo, Gareth, non glielo perdonerò mai finché avrò vita.»

Era stanco di giustificare sempre il prossimo, perché a conti fatti era il solo a prendersi una simile briga, a volte davvero faticosa. Con lui nessuno si era mostrato accomodante, disposto a capire e ad avere compassione, a comprenderlo. Era stato etichettato in un certo modo e niente di quel che aveva fatto era riuscito a riscattare il suo nome. Con questo non intendeva dire che ci si guadagnava di più a essere insensibili e maliziosi, a comportarsi male anche con chi non se lo meritava, ma era chiaro che non sempre la gentilezza ottenesse il risultato sperato. A volte si ricevevano in cambio solo calci e parole cattive, nient'altro, ed era stanco di quell'ingiustizia.

«Non so se ci sia un motivo ben preciso dietro a questo nostro riavvicinamento, ma so che avrai piena libertà sulle tue scelte. Se vuoi restare non posso impedirti di farlo, così come non posso negarti di fare il contrario. Se ciò che sono diventato non ti scoraggia, se sei disposto ad accettarmi per la creatura che sono adesso, sei di nuovo il benvenuto nella mia vita. La porta per te rimarrà sempre aperta.»

L'unica persona che non lo aveva mai tradito e mai fatto sentire sbagliato e non abbastanza, era proprio quella che gli sedeva accanto in quel preciso istante, e quando si trattava di Gareth non era mai riuscito a resistere, a ritrarsi e allontanarsi. Qualcosa lo aveva spinto fra le sue braccia sin dal principio.

Gareth sorrise e passò le nocche sulle sue guance, asciugandole. «Non credo di avere ormai qualche speranza. Non ho mai smesso di pensare a te e di volerti di nuovo al mio fianco, c'è ben poco da fare, non pensi?»

Erano talmente vicini da poter baciarsi da un momento all'altro, come molte altre volte avevano fatto in passato. Sarebbe successo, ma le porte della stanza si aprirono e interruppero quell'attimo.

«Troppo tardi» disse a bassa voce Dario, sconsolato.

Gareth sghignazzò e si voltò come lui a guardare Petya. «Lungi da me voler guastare tutta questa palpabile tensione sessuale nell'aria, ma vorrei ricordare al nostro buon succhiasangue di quartiere che siamo qui per un motivo ben preciso.»

Dario non riuscì neppure a contare fino a dieci e al tre disse, con tono tagliente: «Sai, Petya, inizio davvero a capire perché Dante ci tiene così tanto a strangolarti a morte».

«Mettiti in fila» cinguettò Petya, anche se i suoi occhi mandavano faville. «Allora, on y va

«Puoi darci un altro secondo?»

«Non uno di più. Vedi di muoverti.»

Gareth, appena l'Efialte fu uscito, fischiò. «Non credo di andargli molto a genio.»

«Consolati sapendo che lui non va a genio quasi a nessuno.»

Il rosso si trattenne a stento dallo scoppiare a ridere. «Non fare lo stronzo!»

«Lui deve imparare a non istigarmi, allora.» Dario ammetteva che non sempre lui e Petya andavano, ed erano andati, d'accordo. Agivano in maniera molto diversa e vi erano ancora volte in cui si scornavano, com'era accaduto in cella. «Come sai, siamo venuti qui perché in questa reggia si trova un oggetto che potrebbe esserci molto d'aiuto, specie per salvare Godric. Hai presente lo specchio incantato della regina Eutropia?»

Gareth annuì subito. Lui, proprio come molti altri della sua specie che erano stati chiamati alle armi per aiutare le schiere di Richard ad assaltare il regno di quella regina, aveva sentito parlare di quel fantomatico oggetto. «E in che modo dovrebbe aiutarvi? Gli chiederete di trovare una soluzione appropriata?»

«Sì e no. Userò quello per cercare di rintracciare il mio Efialte che, ora come ora, non sappiamo dove sia andato a cacciarsi. Se c'è qualcuno capace di trovare una via di scampo per Godric, quello è Dante. Io non dispongo dei suoi stessi poteri.»

Gareth annuì. «Allora io aspetto qui.»

«Stavo per chiederti se volevi venire con me, in realtà.»

«Sicuro? Non so se a Petya...»

«Al diavolo Petya. Fino a prova contraria è qui per farmi da spalla, non è lui a comandare stavolta, e di te mi fido.»

«Però...»

«Gareth, se ti dico che va bene, allora va bene» tagliò corto Dario, sorridendogli e tendendogli una mano. «Se non altro smetterà di tormentarmi per via di quella storia di Max.»

Herrick si decise a prendere la sua mano, alzarsi e seguirlo fuori. «Sei certo che con Max sia finita? Voglio dire...»

«Più che certo.» Dario si fermò e lo guardò. «Non voglio più pensarci. Non gli ho detto io di mandare tutto all'aria con Jake a causa mia.»

Sapeva perché Petya lo stava guardando in quel momento con aria torva e inquisitoria: se ne stava lì a tubare lietamente con Gareth mentre solo ore addietro aveva ricevuto per la seconda volta una proposta di matrimonio da parte di Max, proposta che di nuovo aveva declinato e con un bel po' di sdegno e stizza. Forse non era appropriato quel che stava facendo, ma voleva dimenticare per sempre Max e il dolore che il suo ricordo gli procurava. Ne aveva abbastanza di guardarsi sempre indietro e ignorare ciò che invece la vita aveva ancora da offrirgli.

Quel che era successo era successo, il passato non si poteva cambiare ed era inutile starci a pensare.

«A differenza sua, tu sei qui e sei riuscito a farmi ragionare, a convincermi ad accettarti di nuovo al mio fianco. Questo la dice lunga, no?»

Petya, che si era avvicinato, sorrise con aria di circostanza: «Non so se al suo posto ti avrei seguito, considerando che gli hai spezzato il cuore».

«E lui cosa ha fatto con me?» lo rimbeccò Dario, insolitamente glaciale. «Non è colpa mia se si è bruciato l'ultima possibilità che gli avevo concesso. Si raccoglie ciò che si semina, Petya

L'Efialte lo squadrò. «Ma cosa ti sta succedendo? Non ti riconosco più!»

Gareth rimase in silenzio, decisamente a disagio se si considerava che in parte quei due stavano discutendo a causa sua.

L'altro vampiro non batté ciglio. «Forse non mi conosci così bene come credi. Non ci hai mai pensato?»

«Io conosco un Dario molto diverso e posso assicurarti che non fingeva affatto di essere una persona buona e con la testa sulle spalle.»

«Benissimo, allora!» sbottò Dario. «Se non ti piace quel che sto diventando, la porta è quella! Sei libero di allontanarti, se ti aggrada! Ne ho piene le tasche di dover sempre chiedere scusa, di sentirmi in errore! Farlo non mi ha procurato altro che dolore e cattiverie gratuite!» Era chiaro che non era stato capace di trattenere quello scatto improvviso, ma lo stesso lasciò Petya a bocca aperta. Gli puntellò il petto con l'indice. «Vogliamo parlare un po' dei tuoi, di peccati? Ti avverto, però, che se inizio poi non la finisco più!»

L'Efialte guardò altrove, poi di nuovo il vampiro. «Volevo solo dire che magari potresti mostrarti un po' più discreto, considerando i recenti avvenimenti. Se ho offeso in qualche maniera, allora chiedo scusa.»

«'Sti cazzi!» sibilò Dario in lingua natia. «Non hai alcun diritto di farmi sentire in colpa e non sei nessuno per giudicare proprio me, fra tanti altri!»

«Va bene. Fa' come vuoi. D'altra parte, l'unico a cui devi render conto delle tue azioni sei solo tu.»

«Puoi dirlo forte.» Il vampiro guardò Gareth. «Meglio andare, adesso. Prima consulterò lo specchio e prima mi allontanerò da questo posto. Non lo sopporto.»

Gareth, abbattuto, fece per seguirlo, ma Petya gli afferrò un braccio e lo trattenne. «Spero che tu non abbia intenzioni di dubbia natura» gli disse sottovoce, a denti stretti. «Ti giuro, Gareth, che se sei qui per fargli del male o su ordine di qualcun altro, sarò io stesso a farti a pezzi.»

Herrick lo squadrò, visibilmente offeso e disgustato dalle sue parole. «Io mi trovo qui per lui, solo per lui. Non ho altro obiettivo se non quello di aiutarlo come posso. Sono in buona fede.»

«Be', sappi che ti terrò d'occhio. Un solo passo falso e vedrai di cosa sono capace.» Il re lasciò andare il lupo immortale e tirò dritto insieme a lui verso Dario, il quale si era voltato e fermato per aspettarli.

Era chiaro come il sole che quella storia stava trasformando tutti quanti. Rendeva gli animi gentili brutali, gli altruisti egoisti, i buoni divenivano malvagi e ciò che un tempo era luce, piano piano stava mutando in tenebre. Era chiaro che il potere esercitato dall'anello che Dario recava al collo si stava indebolendo, e ciò significava che presto si sarebbe dovuta trovare una soluzione vera e propria. In caso di fallimento, si sarebbero ritrovati con un enorme, oscuro problema che già in quel momento iniziava a riaffiorare. Non c'era altro modo, se non di chiedere aiuto all'ultima persona alla quale Dario si sarebbe voluto rivolgere: suo padre.
Rodrigo aveva sigillato con cura già una volta i poteri di suo figlio e poteva farlo ancora. Quando un incendio non poteva essere circoscritto, non restava altro rimedio se non spegnerlo. Rasya non doveva assolutamente tornare fra di loro; era troppo rischioso e le capacità di quell'entità fin troppo rovinose, se usate per gli scopi sbagliati. Senza contare che la vittoria di Rasya corrispondeva alla morte di Dario, e Petya non voleva assolutamente che lui facesse quella fine.

Andava protetto in primo luogo da se stesso, era quella la verità.

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