Capitolo XXVIII. Un'estrema decisione


Musica consigliata: "Sorrows Passing" di Peter Gundry.

https://youtu.be/NXov3vClscc

Skyler, sin da quando David era entrato nella sala del trono, aveva cercato come poteva di comportarsi come un Imperatore e non come Skyler Langford. Fino ad allora, però, si era trattato di un compito davvero difficile, specie considerando l'ultima volta in cui aveva parlato con David.

Al suo fianco c'era Brian, il quale – nonostante i recenti avvenimenti e il raffreddamento del loro rapporto – aveva accettato di stargli vicino in quel momento difficile. Samantha era alla sua sinistra, invece, e ascoltava con attenzione le parole di David. Fino ad allora si era limitato a fare una sorta di preambolo, ma pareva finalmente sul punto di parlare chiaro.

«Quello che sto cercando di dire, è che l'Ordine dei Cacciatori non è più dalla nostra parte. Io per poco non sono stato arrestato. Da tempo sospettavano qualcosa e sono finalmente usciti allo scoperto. Questo vuol dire, purtroppo, che i Cacciatori, nella guerra che sta per scoppiare, si schiereranno dalla parte di Grober e delle sue armate. Non sono più nostri alleati, hanno messo bene in chiaro che considerano noi il nemico da abbattere.»

L'unico a non essere fino in fondo stupito di tutto quanto pareva essere James, il quale se ne stava in disparte e non aveva ancora proferito parola.

Gli altri presenti, invece, erano disgustati e preoccupati. Skyler era in preda all'orrore, perché nonostante tutto non immaginava che i Cacciatori si sarebbero messi dalla parte di un mostro come Grober.

«Ne sei sicuro?» chiese qualcuno. Si trattava di Askan che finalmente pareva essersi ripreso del tutto dopo esser stato salvato dalla prigionia e le torture subite durante quel periodo.

David lo guardò. «Sicurissimo. Non avrei mai detto niente se non avessi avuto la certezza che l'Ordine, ormai, è una casta corrotta e al servizio del male.» Erano parole forti, quelle di Wickelby, pericolose, ma la sua serietà non lasciava spazio ad alcun dubbio.

Skyler, con la coda dell'occhio, vide altri parlottare fra di loro: la novella regina delle Fate e dei Maliardi, Freya, pareva discutere con toni alquanto aspri con il Principe Lupo, Kayden Barrera; il sovrano degli Elfi e dei Mezzelfi della Luce, Galadar Yllamis del Regno Splendente, sussurrava qualcosa alla moglie di Cynder, la regina Nephele. Cynder, invece, era impegnato in una tesa conversazione con il suocero, il re degli Undini, Syphar.

Guardò altrove, sul lato della sala dove si erano riuniti i presenti provenienti dall'Oltrespecchio: Petya pareva con la testa altrove e non lo si era mai visto così costernato; Desya, invece, parlava a un Efialte con il quale Skyler non aveva avuto modo di conversare molto. Si chiamava Adrian ed era conosciuto, ormai, per essere l'Efialte dell'ex-Ragazzo delle Lavande, Tyrian. C'era, con gran dispiacere di Skyler, anche Cornelius, la cui espressione lasciava intendere che tra non molto avrebbe fatto il suo solito pezzo. Vi erano anche dei volti noti mancanti, però: Dante, il quale aveva detto di non voler prender parte alla riunione, e Godric. Petya aveva giustificato la sua assenza dicendo che aveva degli affari da sbrigare, ma il giovane Imperatore aveva la sensazione che Petya gli avesse solo mentito. Non c'era ragione per cui Godric sarebbe dovuto mancare in momento così importante e decisivo. Nessuna giustificazione, se non qualcosa di non detto e celato. 

Come tutti temevano, Cornelius si fece avanti, emergendo dal nutrito gruppo di Efialti, e guardò i presenti. «Bene, mi sembra di capire che Grober abbia dalla sua parte un bel po' di gente pericolosa: dèi pagani, orde di demoni, Elfi Oscuri, Ghoul, morti risorti dalla tomba e adesso, come se non bastasse, persino i Cacciatori! Noi che cosa abbiamo, invece? Abbiamo la famosa Resistenza, che altro non è se non un manipolo di disadattati e a volte persino ex-criminali che meriterebbero di penzolare dalla forca! Basti pensare a quel buono a nulla e omicida impunito di Andrew Thorne, o Iago di Varesya, conosciuto come il Re Stregone che ha terrorizzato per non so quanto tempo l'Oltrespecchio intero! E cosa dire, invece, degli ultimi ‟acquisti"? Ora abbiamo tra di noi nientemeno che il Signore degli Oscuri, un poco di buono conosciuto come Dante, e per finire il suo amichetto del cuore, il sovversivo Godric, che per secoli è stato condannato all'esilio per aver lottato contro il legittimo sovrano dell'Oltrespecchio! Non vi basta ancora? Allora perché non parliamo del mostro tra i mostri, il più pericoloso di tutti quelli chiamati a raccolta dalla Resistenza? Il responsabile del pandemonio verificatosi ore fa proprio qui, al Palazzo Imperiale: il Macellaio di New York! Lo stesso vampiro ipocrita che fino a tempo fa ha per anni continuato a parlare di pace e di tolleranza fra le specie, eppure il primo ad aver predato gli esseri umani per più di mezzo secolo! Sapete tutti di chi sto parlando, non serve neanche fare nomi! Non c'è da stupirsi che l'Ordine abbia scelto di schierarsi contro di noi, dato che abbiamo le schiere piene fino all'orlo di criminali e gente poco raccomandabile!»

«Basta così!» lo interruppe Petya, livido di rabbia. «Non un'altra parola, Cornelius!»

Cornelius si voltò a guardarlo, poi indicò verso un punto della sala, proprio dove si trovava James. «Oh, ho dimenticato di nominare anche lui! Il Ragazzo col Violino! Un altro ex-pluriomicida che poi è addirittura stato nominato capo dei Cacciatori! L'erede della Bestia del Gévaudan, di quel mostro chiamato anche Ilya Yakovich! Davvero un bell'esempio di integrità morale!»

A quel punto si fece avanti Virginia, la Principessa della Notte in carica, la quale si accostò a James e gli avvolse un braccio attorno alle spalle con fare protettivo. I suoi occhi di un pallido azzurro erano feroci, fissavano Cornelius a metà fra il disgusto e la rabbia. «Non ti permettere di parlare di mio padre a quel modo, Cornelius! E non osare infangare il nome di James e degli altri membri della Resistenza! Ognuno di loro ha dato sempre il massimo per una causa comune, per il bene di tutti! Tanti di loro, proprio perché si sono messi contro Grober, hanno pagato un caro prezzo, detto addio a persone care che sono state assassinate e torturate senza pietà! Avete dimenticato, tutti voi, che non avremmo avuto il tempo di studiare una controffensiva, se Misha non si fosse sacrificato al posto di James? Ha dato la vita per la Resistenza, ormai lo sapete tutti!»

Cornelius sorrise con aria di scherno. «Ha avuto quel che si meritava. Era un traditore!»

«E anche un uomo coraggioso! Era anche un padre e un compagno amorevole! Era un fratello, un amico, un guerriero come pochi altri! Non era solo un traditore! Era una persona, proprio come gli altri!» replicò a tono Virginia. «Tu, Cornelius, meriteresti solo che qualcuno ti strappasse quella lingua velenosa dalla bocca!»
«Come come?» Cornelius si fermò di fronte a lei, furioso. «Come ti permetti? Sei solo una sgualdrina e una sciocca! Non sai quello che dici!»

Fu la goccia fatidica: Virginia, prima ancora che James potesse fermarla, aveva già assestato un pugno dritto sul naso dell'Efialte, il quale si chinò in avanti, tenendosi il punto colpito e lamentandosi. La Principessa, come ultimo atto di disprezzo, sputò ai suoi piedi. «Mi fai schifo!»

Si sollevò un brusio di sconcerto, ma alcuni sorridevano, come se Virginia avesse appena esaudito un viscerale desiderio comune.

«Lei sì che ci sa fare!» commentò a voce bassa e con un sorriso sghembo Samantha.

Petya, avendone abbastanza, agguantò per la collottola Cornelius e lo trascinò fuori dalla sala, sbattendolo fuori da essa e chiudendogli le porte in faccia, non prima di avergli sibilato qualcosa di minaccioso.

Skyler si decise a riportare un po' di ordine: si alzò dal trono, scese i gradini e si mise in mezzo alla sala. «Smettetela di parlare e ascoltatemi, tutti quanti!»

Vedendo che però nessuno accennava a farla finita con il chiacchiericcio, Virginia di nuovo perse le staffe e urlò: «CHIUDETE IL BECCO!»

Era più che mai evidente che avesse ereditato quel temperamento audace e all'occorrenza infiammabile da Athanase Allaire, suo padre. La cosa, nonostante tutto, strappò un sorriso a Petya.

Il silenzio, a quel punto, finalmente venne ottenuto.

«So bene che avete paura» proseguì Skyler, grato che Virginia fosse lì a riportare un po' di ordine. «Non nascondo di averne un bel po' persino io. Forse è vero: le schiere di Grober sono di proporzioni preoccupanti, ma non possiamo arrenderci senza lottare, lo capite? Non risparmierà nessuno, neanche se doveste arrendervi in principio! Progetta di distruggere tutti quanti, di massacrare Obyria intera! Ciò che è accaduto in questa città si ripeterà ovunque, se non rimarremo uniti! Dobbiamo almeno tentare! Vi prego!»

Adrian si fece coraggio e si allontanò dal gruppo per farsi avanti. «Senza offesa, ma non credete che il popolo degli Efialti abbia pagato un tributo già abbastanza alto in nome della causa di Obyria? Quanti altri di noi dovranno morire, dimmi? Prima il genocidio operato dalla B.I.R quasi quattro anni fa, in seguito Misha, poi il massacro di Specula! Avete la minima idea di cosa stia passando in questo preciso momento la mia gente nell'Oltrespecchio?»

Petya intervenne: «Adrian, sapevamo che poteva succedere. Eravamo pronti a tutto».

«Tu lo eri, forse! Io no, e così pure tanti altri di noi! Basta vedere a quanto poco è servito il sacrificio di Misha! Cosa ha ottenuto? Solo disprezzo e oblio! Lo stesso accadrà sicuramente a chi è rimasto, a coloro ai quali adesso si sta chiedendo di nuovo di mettere a repentaglio ogni cosa per un disastro che in fin dei conti non siamo stati noi a causare! La colpa è di Obyria, dei suoi regnanti indifferenti e avidi, della sua ipocrisia!»

Kayden Barrera sorrise in modo forzato. «Oh, certo! La colpa è sempre degli altri e voi, invece, siete le povere vittime! C'era un motivo se per un bel po' di tempo siete stati prigionieri nell'Oltrespecchio! Gli Efialti, anticamente, erano famosi per seminare morte e terrore ovunque andassero!»
Adrian lo squadrò, irato. «È una sporca bugia! Siamo stati sterminati e imprigionati perché alcuni fra di voi non tolleravano l'idea che Efialti e Umani, o Sovrannaturali, si mescolassero tra di loro! Perché iniziavamo ad essere troppi, a guadagnare un minimo di indipendenza, e allora con una scusa ci avete messi alla gogna!»

Non c'era niente da fare: nessuno si trovava d'accordo con nessuno e tutti erano troppo impegnati a puntarsi il dito contro a vicenda per curarsi del fatto che ormai restava poco tempo per organizzarsi.

Come volevasi dimostrare, pensò Dante, il quale poco fa si era affacciato nella sala senza fare rumore e aveva assistito all'ultima penosa discussione.

Scosse il capo, alzò gli occhi al cielo e richiuse, appoggiandosi alla parete con la schiena.

E lui avrebbe dovuto collaborare con un simile branco di pagliacci? Tanto valeva consegnarsi a Grober, o unirsi a lui. Se non altro avrebbe avuto del lavoro decente da sbrigare!

«Sono un manipolo di coglioni» borbottò tra sé, poi i suoi occhi scuri scattarono in direzione di Cornelius, il quale era rimasto lì, come Petya gli aveva ordinato di fare. «E tu perché te ne stai qui? Erano stanchi di sentirti ciarlare?»

Cornelius ricambiò l'occhiata con la sua solita aria superba. «Ho detto la verità e per questo mi beccherò presto una strigliata, come se non bastasse.»

«Tu che dici la verità?» sogghignò Dante. «Allora la fine del mondo è davvero vicina.»

«Ma cosa puoi saperne, tu, della verità?» lo rimbeccò l'altro, sprezzante. «Tu che prendi in giro tutti quanti e in realtà non aspetti altro, se non l'occasione giusta per pugnalare Petya alle spalle?»

«Le mie intenzioni sono così evidenti? Chiedo perdono, sarò più accorto.»

Cornelius restrinse lo sguardo. «L'ho detto e lo ripeterò sempre: i tuoi genitori avrebbero fatto un favore al mondo intero liberandosi di te quando ne avevano l'opportunità. Non mi sorprende che sia tu quello destinato a mandare all'aria tutti i sacrifici che noialtri abbiamo fatto. Ecco perché Grober ti vuole così tanto dalla sua parte. Non mi stupisce che Misha fosse quello che era, con un mentore come te.»

Dante sospirò, scocciato. Rapido come un'aspide, si voltò, agguantò per i vestiti Cornelius e lo sbatté al muro. «Di' quello che ti pare su di me e sugli altri, ma non ti azzardare più a insultare o sminuire Misha in mia presenza!» ringhiò.

Cornelius ghignò. «Ah, allora hai ancora un punto debole, eh? E io che pensavo non ti importasse niente di Iago e dei suoi fratelli! Povero Dante! Piangi ancora per la brutta fine che ha fatto Misha!» Accostò il viso, come a voler rivelargli un segreto. «Non sai quanto avrei voluto essere lì quel giorno, solo per vederlo agonizzare e crepare da bastardo rognoso qual era. Dicono che la sua agonia sia stata terribile. E pensare che tu avresti dovuto proteggere lui e i suoi fratelli! Invece eri a farti gli affari tuoi! Che ironia!»

Le ultime parole gli morirono in gola, perché Dante gli aveva serrato una mano attorno al collo e pareva avere tutta l'intenzione di strangolarlo. «Dammi un altro buon motivo per spezzarti la trachea, ti prego» sibilò. «Solo uno!»

«Vuoi uccidermi? Che novità! Una bestia resta sempre una bestia, d'altronde! Petya dovrebbe metterti un bel collare con tanto di museruola!»

Dante non rispose più delle sue azioni. Non pensò, il suo cervello si spense all'improvviso e quando si riaccese, Cornelius aveva già fatto un bel volo fuori dalla finestra lì accanto. La vetrata era infranta e qualche istante più tardi si udì un tonfo sordo provenire dal cortile sottostante.

Senza batter ciglio, mantenendo un'espressione gelida e indifferente, si avvicinò adagio alla finestra rotta e con gran dispiacere vide che il corpo di Cornelius si muoveva ancora. Probabilmente si era rotto un bel po' di ossa, ma era ancora vivo.

Per un attimo, uno soltanto, bramò di scagliargli addosso il Settimo Anatema. Era già pronto a pronunciare le fatali parole, quando le porte della sala del trono si spalancarono e da esse si riversarono fuori diverse persone, accorse per via del fracasso.

Non ci volle molto ai presenti per capire cos'era accaduto, specie quando capirono che Cornelius era assente.

Galadar guardò Skyler e Petya, questi ultimi ancora un po' storditi per quel che era successo. «Vorreste convincere me e la mia gente a lottare al fianco di creature come lui?» disse sprezzante, indicando con l'indice Dante. «Ha ragione Cornelius: è un mostro dissennato e senza freni, e non solo lui!»

Dante capì quanto fossero cambiate le cose per lui da quando aveva discusso con Petya nei sotterranei solo nel momento in cui non riuscì a farsi scivolare di dosso certi epiteti come per secoli aveva continuato a fare. Quelle parole gli entrarono dentro, com'era successo spesso quando era ancora un ragazzino, o troppo giovane e stupido per serrare i ranghi e capire che erano gli altri a sbagliare.

Mostro...

Se l'era sentito ripetere tante volte, decisamente troppe, e ora faceva male, proprio come un tempo. Ma chi voleva prendere in giro? Cosa ci faceva lì, in mezzo a tutta quella gente pronta solo a giudicare chi era diverso, o semplicemente spezzato?
Circondato da tutto quello che sempre aveva detestato nel prossimo.

Guardò Petya, senza incrociarne lo sguardo. «Me ne torno a casa» disse laconico. «Non voglio più saperne niente. Non è mai stata la mia guerra, questa.»

«Non pensarci nemmeno!» Petya gli corse dietro. «Che ti importa di quello che dice Galadar? Fa lo stronzo con tutti! Non puoi andartene proprio ora, Dante!»

L'altro si fermò. «Hai ragione: avrei dovuto farlo da un bel po' di tempo. Sono stato portato qui per curare la mia controparte e mi sono ritrovato invischiato in una faccenda dove sono destinato a recitare la parte del cattivo che ammazzerà tutti! Come sono caduto in basso, eh?» Ne aveva abbastanza, voleva andarsene. «Ti saluto, Petya. Non ti auguro niente, perché la vostra è una battaglia persa in partenza. Non sarete voi a vincere e a me non è mai piaciuto stare dalla parte dei perdenti.»

«Cornelius se l'è cercata! Non ho bisogno di sapere cosa ti ha detto per capire che ti ha provocato appositamente! Era quello che voleva, non lo capisci? Facendo così, arrendendoti, gli stai solo dando ragione! Ti prego, Dante, ascoltami, solo per una volta!»

«Chi se ne frega. Voglio solo starmene da solo e in santa pace. Rivoglio il silenzio e la solitudine. Mi avete stancato.»

C'erano tante altre cose che avrebbe voluto, ma erano le stesse che non poteva in alcun modo riavere indietro: la sua famiglia, la sua casa, la sua gente, la beata ignoranza in cui all'epoca aveva sguazzato.

Non aveva niente per cui lottare. Non lo aveva più da un bel po' di tempo, e nessuno aveva il potere di restituirgli tutto quanto, specialmente Petya, il responsabile delle sue sofferenze passate. Che diamine... fino ad allora lo aveva persino aiutato e il solo pensiero bastava e avanzava a fargli provare un enorme disgusto nei confronti di se stesso, ma era ora di metter fine alla faccenda. Non sarebbe stato il cagnolino ammaestrato di nessuno, tantomeno di Petya Yakovich, l'unico che già una volta lo aveva raggirato e usato per i propri scopi e poi, non contento, era tornato pretendendo il suo aiuto, come se nulla fosse mai accaduto. Che faccia tosta!

Petya non si arrese e lo seguì, svoltando l'angolo del corridoio. Deglutì, poi mandò al diavolo tutto: «Prima che tu vada, però, voglio dirti una cosa, Dante, e ti prego di ascoltarmi e, soprattutto, di credere alle mie parole». Lo vide fermarsi e allora lo raggiunse. «Mi dispiace dirti che hai odiato le persone sbagliate per un bel po' di tempo.»

«Che diavolo stai biascicando, si può sapere?» sbottò Dante, perdendo la pazienza.

«Lo sai benissimo di cosa parlo! Perché mai avrei dovuto ordinare ai miei uomini di sterminare la tua gente, di uccidere la tua famiglia? Perché avrei dovuto fare una cosa così spregevole quando all'epoca avevo perso la testa per te? Non ti sei mai fermato a pensare che forse, e dico forse, era tutto troppo perfetto? Troppo ben congegnato? Era ovvio che avresti incolpato me! Proprio secondo i piani!»

Dante si voltò e tornò indietro, fronteggiandolo. «Cosa cazzo è questa storia, adesso? Se è un altro modo dei tuoi per convincermi a restare, ti giuro che...»

«No, Dante! Ti sto solo dicendo la verità e la sola cosa di cui mi pento, è che avrei dovuto dirti ogni cosa un bel po' di tempo fa!» Petya si avvicinò e abbassò la voce. «Quella volta non sono stato io a dare quell'ordine. Non ne sapevo niente. Ricordi? Ero insieme a te! Sono rimasto tutto il tempo con te! Eravamo insieme!»

Dante sogghignò con scherno. «Come dimenticarmelo!»

«Appunto! Io ero con te e poi ho scoperto che era stato Cornelius a prendere in mano la situazione in modo deliberato e scellerato. Cornelius conosceva ogni vostra debolezza, Dante, e questo perché tuo zio vi aveva traditi! Remus aveva preso accordi con lui perché voleva prendere il comando e togliere di mezzo in primo luogo te! Con la tua morte il comando sarebbe passato in mano a lui, non lo capisci?»

Come aveva previsto, la reazione di Dante fu tutto, tranne che positiva: in un attimo lo aveva agguantato per i vestiti e sbattuto al muro come un pupazzo. «Che cazzo stai dicendo?» ringhiò. «Dovrei tagliarti quella linguaccia! Accusare un uomo morto da tempo e che non può più difendersi! Davvero nel tuo stile, Petya, mi congratulo!» Come osava puntare il dito contro suo zio? L'uomo che si era comportato come un padre con lui, dopo la morte del fratello. L'uomo che lo aveva amato proprio come prima aveva fatto Aries! «È l'ultima volta che getti fango sulla mia famiglia, Petya!»

Non l'avrebbe passata liscia, non dopo quel che aveva avuto il coraggio di affermare.

Petya non si arrese. «Non avrei ragione di mentire su una cosa simile, specie con il rischio di farti imbestialire e di farmi ammazzare. Te lo sto dicendo, Dante, perché è la verità. È stato Remus e Cornelius, poi, lo ha ucciso per appropriarsi del dominio delle terre che avevano conquistato. Non voleva dividere il potere con nessuno, specialmente un uomo che per avidità aveva voltato le spalle alla propria famiglia, al nipote che avrebbe dovuto proteggere e istruire. So che gli volevi bene, so che era una figura per te importante, e so come ci si sente a essere traditi da chi dovrebbe amarci e invece ci pugnala alle spalle. Non risparmiò nemmeno Neera e Yvaine perché rappresentavano un altro ostacolo. Tu ti salvasti, quel giorno, perché eri insieme a me, e al tuo posto ci penserei due volte, prima di incolpare e odiare Godric: invece di correre subito dalla sua famiglia, dopo aver ricevuto un messaggio urgente da parte della moglie, prima ha cercato di salvare la tua. Ecco perché si trovava lì.»

Dante lo lasciò andare e fece un passo indietro. Aveva l'orrore dipinto sul volto ormai del tutto privo del poco colore che già di solito possedeva.

Petya decise di battere il ferro finché era caldo: «Si trovava lì perché aveva cercato di salvare Neera e Yvaine, e tu lo hai umiliato davanti a tutti e cacciato via, fatto in modo che fosse un reietto, odiato e disprezzato perché aveva solo tentato di far valere i diritti di antiche famiglie che esistevano da prima che arrivassi io. Forse avreste perso lo stesso, forse invece no, ma io ho sempre rispettato Godric per la fierezza con cui ha cercato di contrastarmi fino alla fine. Al tuo posto avrei fatto lo stesso, perché in quel periodo dimostrò di aver superato decisamente il suo maestro in fatto di coraggio. È vero, hai perso le persone che amavi, la tua casa, tutto quanto, ma cos'hai fatto a Godric? Hai la minima idea di quanto lui abbia sofferto? Tu gli hai rovinato la vita fino in fondo, Dante, e per giunta per la ragione sbagliata».

Dante strinse le labbra. Non si capiva se fosse infuriato o altro. «Perché non me lo ha detto, allora?» sibilò.

«Probabilmente ha cercato di dirtelo, ma tu non sei tipo da ascoltare il prossimo, quando sei furibondo. Chissà quante volte avrà cercato di dirti la verità, e quante volte tu lo avrai liquidato in malo modo, troppo accecato dalla rabbia e dall'odio per ascoltare. Riesci a leggere nell'anima delle persone, eppure ti sei volutamente reso cieco di fronte alla verità e all'ovvio. Non so cosa tu riesca a vedere ora in Godric, o nel sottoscritto, ma ti dico una cosa: solo una brava persona sarebbe tornata da te, anche dopo un simile trattamento, consapevole del rischio di morire per mano tua, e solo per salvare la vita a un amico. Lui ancora non sapeva della vera identità tua e di Dario, sai? Non sapeva niente, se non che una persona a cui era affezionato stava per morire e che ce n'era solo un'altra, in tutto il mondo, capace di salvarla: il suo maestro, che in passato ha visto compiere le imprese più impossibili e pericolose. Ti ha sempre stimato, Dante, continua a farlo anche adesso, ma ormai credo sia tardi per qualsiasi cosa, persino per chiedere scusa. Grober ha pensato bene di esaudire uno dei tuoi desideri più terribili, da quel che so.»

«Come sta?» chiese Petya, occhieggiando la porta massiccia della cella a poca distanza da lui e Max.

Il vampiro si strinse nelle spalle. «Un po' meglio. Sono riuscito a fargli indossare quell'anello, lo ha di nuovo al collo, ma da allora... non lo so, è come se fosse sprofondato in uno stato di mutismo. Non vuole parlare con nessuno, neanche con me.» Sospirò. «La riunione?»

«Nulla che non mi sarei aspettato: i Cacciatori ci hanno voltato le spalle e Cornelius ha fatto il suo pezzo. I conti non gli sono tornati, però, stavolta: fuori dalla sala del trono ha incrociato Dante e... be', sai com'è fatto Cornelius. Non ha perso l'occasione per infastidire la belva. Pensava di trovarsi al sicuro, fuori dalla gabbia, invece era dentro di essa e Dante...» Il re agitò una mano. «In poche parole, lo ha scaraventato letteralmente fuori da una finestra. Qualunque cosa gli abbia detto, lo ha fatto decisamente sbarellare.»

«A quello là basta poco per sbarellare» commentò Maximilian, cupo.

«Gli ho parlato a proposito di una cosa, nella speranza di farlo ravvedere e fargli capire quali fossero le sue priorità, ma non è servito a nulla. Se n'è andato. Abbiamo perso un elemento che avrebbe potuto fare davvero la differenza.»

«E ti pareva» mugugnò il vampiro. «Non aspettava altro.»
«Non giudicarlo così duramente, Max. Sai, sotto molti aspetti lui e Dario si somigliano. Sembrano più gemelli, che l'uno la controparte dell'altro.»

«Be', è come se lo fossero davvero, no? Sono la medesima entità, solo in corpi diversi nati da famiglie diverse.»

Petya annuì, pensieroso. «Sì. Hai ragione.»

«Cerca di far ragionare almeno Dario. Io... Io non ce lo faccio a saperlo là dentro, Petya. Ora è tornato in sé, non è più sotto l'influsso di Grober come prima.»

«Non credo ci fosse solo lo zampino di Grober» ammise Petya. «C'era dell'altro, una scintilla che ha scatenato l'incendio. Quello che abbiamo visto, Max, era il risultato di tutto il tempo che Dario ha trascorso nel tentativo di soffocare le proprie capacità. Era in buona fede, ma ha commesso un grave errore. Sicuramente, se sua madre non fosse mai venuta a mancare, lei magari sarebbe riuscita a istruirlo sulla magia, a renderlo consapevole delle sue capacità eccezionali.»

«Si può sapere cosa le accadde? Lui... Lui ha detto di ricordare molto poco, perché era piccolo.»

«Lui per secoli ha continuato a credere che fosse morta di malattia» replicò l'Efialte. «Era una bugia, però, dell'uomo che pensava fosse suo padre. Quello vero, Max, era... era un Negromante, certo, ma uno di quelli che avevano scelto, malgrado la loro natura, di fare del bene e usare le proprie capacità per scopi tutto tranne che egoisti o malvagi. Oltre a ciò, era anche un eccezionale alchimista. Era, e resta, piuttosto famoso, e correva voce già da prima che io nascessi e diventassi ciò che sono, che da ragazzino fosse stato mandato in Francia per essere l'aiutante e l'apprendista di Nicolas Flamel, così che potesse imparare l'arte dell'alchimia direttamente dal più famoso alchimista dell'epoca. Credo fu l'unico che Flamel istruì, in realtà, e da quello che so e posso dedurre... be', quel ragazzo riuscì a scovare una formula che poteva rendere chi ne faceva uso immortale e incorruttibile. Non posso dire se c'entrava qualcosa la pietra dei filosofi o meno, ma è chiaro che visse fino al millecinquecentoventi, quando Dario venne alla luce in seguito a una relazione clandestina con la moglie di un nobile fiorentino.»

Fece una piccola pausa.

«Rodrigo Sebastian Carvajal, lui si chiamava, e chiama ancora, così. Mi ha detto che fu proprio lui a insegnare molte cose sulla magia a Fedra Vaes, la ragazza che poi avrebbe dato alla luce il suo unico figlio e che era, da quel che ho capito, una Strega Bianca, ovvero l'esatto contrario di Carvajal. Credo che si innamorarono, però lei era già stata promessa a un nobile italiano con il quale la sua famiglia, grazie ai viaggi compiuti spesso alla volta della Spagna, aveva preso accordi. Lei era appena una ragazzina e aveva a malapena diciotto anni quando poi Filippo, il primogenito dei De Piacentis, venne alla luce; ventidue quando Rodrigo la ritrovò e lei iniziò ad approfittare dell'assenza del marito per intrattenere con Carvajal una relazione tutto tranne che platonica e ventitré quando poi, alla fine, un mite primo di settembre nacque il secondogenito, ovvero il nostro Dario. Lei riuscì inizialmente a farlo passare per il figlio del marito e mentre lo cresceva e con lui costruiva un rapporto più complice e affettuoso rispetto a quello che aveva con Filippo, cercava di istruirlo sulla magia, benché fosse ancora un bambino. Dario non ricorda niente di tutto questo perché in seguito agli eventi che ti sto per raccontare, Rodrigo fece una cosa, prima di abbandonare Firenze per sempre: gli sottrasse i veri ricordi e li sostituì con rimembranze fittizie. Gli piangeva il cuore nell'abbandonare Dario, ma sapeva di non essere capace di crescerlo da solo.»

«Ma perché lo fece? Voglio dire... l'uomo al quale lasciò suo figlio era orribile e trattava Dario come uno straccio! Qualunque vita sarebbe stata preferibile a una come questa!»

«Credo agì così perché... be', Dario era affezionato al fratello maggiore. Adorava Filippo, stavano sempre insieme, sarebbe stato un trauma venir separato da lui, e Rodrigo non era un uomo crudele. Non avrebbe avuto il cuore di separarli.»

«E perché gli modificò la memoria? Che cos'aveva visto Dario di talmente traumatico? Che cosa sapeva?»

Petya gli fece cenno di seguirlo e iniziarono a camminare, allontanandosi dalla cella. «Il suo patrigno, perché tale era, scoprì alla fine dei poteri di Fedra e all'epoca la stregoneria, come sappiano bene, era un crimine punibile con la morte. Io e Dario, Max, abbiamo ripercorso insieme quei ricordi, perché sapevo che aveva bisogno di affrontare il suo passato: lui quella mattina era insieme a sua madre, era sgusciato dentro il suo letto perché probabilmente aveva fatto un brutto sogno. Ebbene... il marito di Fedra aprì la porta, entrò e fece svegliare sua moglie in malo modo. La afferrò per i capelli e la trascinò via sotto gli occhi di un bambino che aveva sui cinque, massimo sette anni. Ha visto l'uomo che credeva essere suo padre portare via Fedra e gettarla ai piedi di due Inquisitori.»

Il resto era intuibile: Fedra era stata accusata di stregoneria, torturata, processata e infine arsa sul rogo, e questo Dario, chiaramente e per fortuna, non lo aveva visto. L'ultimo ricordo in merito a quell'orrenda vicenda era l'arrivo di un uomo alto e bruno che aveva preteso di parlare da solo con Dario. Quando aveva ottenuto tale permesso, gli aveva sottratto tutti i ricordi in merito alla scomparsa di Fedra e proprio su richiesta della donna. Aveva sigillato i suoi poteri in modo che restassero intrappolati e non trapelassero mai, cosa che aveva tenuto al sicuro Dario, se non altro, dalla sorte in cui era incappata sua madre.

Max era inorridito. «Dio santo» esalò. «E Rodrigo non fece niente per salvarla? Niente di niente?»

«Come avrebbe potuto, Max? Qualcuno doveva pur accertarsi che Dario restasse al sicuro e magari, un giorno, tornare da lui per istruirlo. Rodrigo, infatti, tornò molti anni dopo, ma suo figlio se n'era andato dalla casa paterna e il vecchio patrigno del nostro caro amico non si fece problemi ad aggiungere che Dario era stato cacciato per sempre con l'accusa di sodomia. Non era stato denunciato, ma in cambio non avrebbe mai dovuto fare ritorno in quella dimora. Suppongo tu sappia che aveva una relazione con Jacopo Arrighi, il pittore.»

«Sì, me lo ha detto la stessa sera in cui ci fidanzammo» ammise Max. «Non ha mai voluto mostrarmi quei quadri, però.»

Petya si accigliò. «Quali quadri? Questa mi giunge nuova!»

Max si morse la lingua. «Se te lo dico, mi ammazza.»

«Oh, andiamo! Non gli dirò niente!»

Wildbrook sbuffò. «Si lasciò ritrarre da Arrighi più di una volta e... in particolare, in un quadro, posò per Jacopo completamente nudo e accettò la sua proposta, arrivata in un secondo momento, di cambiare... uhm... alcuni aspetti per farlo passare per una modella. Girava già voce che Arrighi avesse un'amante e non penso sapessero che se la faceva con un giovane nobile, in realtà. Però, nonostante i cambiamenti, era ancora riconoscibile.»

Petya mise su un'espressione furba e maliziosa. «E tu come lo sai, se non hai mai visto quell'opera?»

«Ah, che palle! Me l'ha detto Askan, va bene?»

L'Efialte sghignazzò. «Quindi lui ha visto suddetto dipinto?»

«Sì, lo ha visto, e se osi ripetere quel che hai sentito in presenza di Dario, giuro che ti uccido!»

«Perbacco! Non credevo che Dario fosse già da allora così temerario!»

«Zitto! Abbassa la voce! Lui non sa che Askan me l'ha detto!» Il tono di Max lasciò intendere che la questione era chiusa e archiviata. «Ora, se non ti disturba, torniamo al problema principale: lui deve lasciare quella dannata cella, Petya! Non sto scherzando, e non vi permetterò di trattarlo alla stregua di una bestia feroce! Non farete quello che avete fatto con Alex! Lui lo avete abbandonato, ma con Dario non andrà allo stesso modo! Mi senti?»

Petya deglutì. «Non avevamo altra scelta, Max. In entrambi i casi.»

«Non me ne frega un accidente! Non può restare là dentro!» Maximilian lo afferrò per le spalle. «Parlagli! Convincilo che c'è ancora speranza per lui! Ti prego, Petya!»

L'Efialte non rispose e annuì, incerto. Si fece coraggio e tornò indietro. Esitò prima di forzare la serratura ad aprirsi ed entrare. Quando lo fece, gli venne un tuffo al cuore, proprio come ore prima, nel vedere Dario incatenato come una belva, come un prigioniero qualsiasi.

Aveva l'aria più sciupata che mai, come se non fosse mai guarito in seguito al morso di Ghoul.

Petya schiarì la voce e si inginocchiò di fronte a lui. «Mi hanno detto che hai ritrovato il senno» disse, cercando di suonare scherzoso. «Che ne dici di smetterla di interpretare Raperenzolo e seguirmi fuori da questo postaccio? Ti piace l'idea?»

Sapeva che lo stava ascoltando, ma non ottenne altro che il silenzio in risposta.

Petya sospirò. «Senti, lo so che sotto sotto ti piace fare la diva, ma...»

«Max è nei paraggi?» lo interruppe Dario, rauco. Era la prima volta che parlava dopo ore trascorse là dentro.

L'altro deglutì. «Non lo so. Forse. Non ne sono sicuro.»

«Devo parlarti, ma prima assicurati che nessuno possa ascoltarci.»

Petya lo guardò, incerto, infine si convinse a gettare sulla cella un incantesimo insonorizzante. «Dimmi, dunque.»

Vide le dita magre e pallide del vampiro giocherellare nervosamente con le catene che gli imprigionavano entrambi i polsi. «Non posso più restare qui, Petya.»

L'Efialte annuì. «Puoi dirlo forte. A lungo andare uscirai di testa davvero, se...»

«Non è quello che intendevo» lo fermò Dario. «Ciò che voglio dire, è che non posso più restare a Obyria. È troppo rischioso. Sono un pericolo per gli altri, Petya, nient'altro che quello.»

«Sciocchezze! Sei solo stanco e sconfortato, proprio come tutti! Hai solo bisogno di...»

«Ho bisogno di stare da solo, Petya, e il più lontano possibile dal prossimo, da questa città, da questo impero. Lasciami andare, ti prego. Lascia che vada via.»

«E andare dove, di grazia?» chiese il re, quasi stridulo. «Vuoi lasciarci anche tu, come ha già fatto Dante?»

Dario non sembrava sorpreso. «Alla fine, dunque, lo ha fatto sul serio» commentò.

«Aspetta un po': tu lo sapevi?»

«Sì.»

«Come?»

«Fra me e lui c'è un accordo, lo avevamo stabilito giorni fa: se per entrambi, o per uno solo di noi due, la situazione fosse degenerata, avremmo abbandonato Obyria per evitare il peggio. Posso dedurre che anche lui abbia raggiunto il limite, alla fine.»

Petya non riuscì a celare l'irritazione. «Ah, bene! Davvero simpatico da parte vostra, sai? Io mi faccio il culo per difendervi dalle accuse di Galadar, Cornelius e gli altri che alla riunione di stamani vi hanno praticamente gettato fango addosso, e voi cosa fate, nel frattempo? Prendete decisioni per conto vostro, facendomi fare la figura del pagliaccio!» Era da un bel po' che non lo si vedeva così furioso. «Cazzo, Dario! Potevo aspettarmelo da parte di Dante, ma tu! Tu!»

Dario sorrise, ironico. «Ho avuto un bravo maestro in fatto di intrighi, non credi? Ero la guardia personale di Richard, qualcosina l'avrò pur imparata anch'io, no?»

«Bella scusa, complimenti! Vaffanculo, Dario! Sul serio!» L'Efialte si ravviò i capelli corvini. «Dio santo! Ci mancavi solo tu! E poi c'è chi si sorprende se mi monta il sangue alla testa!»

«Se rimarrò qui, sarà un massacro.»

«E cosa succederà se Grober dovesse trovarti altrove, dimmi? A questo hai pensato, mentre complottavi con quell'altro stronzo?»

«Ho messo in conto l'eventualità» ammise il vampiro. «Ma se tutto procederà come nei piani, Grober non mi troverà.»

«Come sarebbe a dire?»

«Secondo te, Petya, come ha fatto Dante a celare la propria presenza a tutti, compreso tu e Grober stesso?» Dario estrasse qualcosa dalla tasca dei pantaloni scuri e la mostrò al re. «Sai che cos'è questo?»

Petya osservò l'anello, poi spalancò la bocca: «Un Anello Celante» disse. «Credevo fosse rimasto solo l'Anello di Gige, ormai.»

«Invece no» replicò Dario, riponendo il ninnolo. «Dante ne aveva uno proprio come questo, non so da chi l'ha avuto.»

«E tu, invece?»

«Me lo ha dato James, che a sua volta lo ricevette da Loki quasi quattro anni fa, quando fu costretto a sparire dalla circolazione per salvarsi. Questo, insieme all'Anello di Gige e ad altri due, è fra gli oggetti più potenti fra quelli capaci di celare la presenza di un individuo a chiunque. Se tu mi lascerai andare, lo indosserò e poi sarà quel che sarà. Ritroverò un po' di calma altrove, lontano da tutto questo. Sono stanco di combattere le guerre, Petya. Ne ho viste troppe.»

L'Efialte deglutì. «Però poi tornerai, vero? Insomma... Quando tutto sarà finito, tornerai, giusto?»

Dario lo guardò. «No, Petya. Non tornerò mai più. Chiamalo auto-esilio, chiamalo un eterno errare senza meta, il succo resta lo stesso.»

«Nel caso tu lo avessi dimenticato, hai una responsabilità! Un compito! Hai fatto un giuramento, trentadue anni fa! O sbaglio?»

«E fino ad ora in che modo sono stato in grado di rispettarlo, dimmi?»

«Se te ne vai, Andrew perderà una delle poche persone ancora dalla sua parte! Non sei disposto a tornare neanche per il suo bene?»

«È anche per il suo bene che voglio allontanarmi al più presto, Petya. Non ti è bastato quel che è accaduto fino ad ora? Io ho capito un bel po' di tempo fa che Markus e Scarlett non avrebbero mai dovuto scegliere me! Non ero la persona adatta e l'ho dimostrato ampiamente! Mai ho smesso di pensare che non ero all'altezza, mai! E quello che è successo a Hanging Creek ne è la prova concreta! Cosa succederà se Grober verrà qui e per convincermi a uscire allo scoperto minaccerà Andrew? E se dovesse ucciderlo? Mi dispiace, ma non voglio che accada!»

«Ma lui avrà bisogno anche di te! Chi altri potrebbe insegnargli a difendersi come si deve? Non ci sono molte altre persone che conoscono la storia di tutto quanto come te, sai? Il tuo aiuto potrebbe salvargli la vita!»

Dario rinunciò a discutere. «Per l'ultima volta: lasciami andare via. Non ha senso trattenermi e prima o poi sarete costretti a rilasciarmi, e allora me ne andrò comunque. Non puoi impedirmi di farlo, Petya.»

«E non pensi un po' anche agli altri? A tua figlia? A Lorenzo? Max?»

«A Lorenzo, da quello che so, avrebbe pensato Alice. In quanto a mia figlia, Petya, credo che per lei sarà solo un bene non conoscermi e non venire mai a sapere che razza di padre le è toccato. Ma te lo immagini? Tutti gli altri con dei genitori comuni e lei, invece, si ritrova con un padre che ha massacrato quasi un'intera città nel secolo scorso! Uno che ancora prima ha ucciso e torturato per conto di un Principe crudele e capriccioso! Non voglio essere lì quando sarà abbastanza grande da scoprire la verità.»

«Potrebbe non importargliene niente!»

«Ne dubito. Hai mai visto la famiglia di un criminale fregarsene dei suoi misfatti?»

«Ma tu sei diverso! Non sei come Arwin e non vai in giro a vantarti di ciò che hai fatto in passato! Sei consapevole di aver sbagliato e cerchi di rimediare da non so quanti anni! Vorrà pur dire qualcosa, no?»
Dario sospirò. Aveva l'aria di uno che era stufo di sentire e risentire le stesse identiche cose. Già in molti gli avevano parlato a quel modo, e a tutti quanti aveva dovuto sempre sorridere e fingere di dare ragione, ma ne aveva abbastanza. «Te l'ho detto: non esiste nulla in grado di trattenermi. Il solo aiuto che io possa dare a tutti voi, ormai, è questo: farmi da parte e tenermi lontano dalla guerra e da Grober, soprattutto da lui.»

Petya capì che non sarebbe riuscito a dissuaderlo. «E cosa dirò agli altri?»

«Quello che vuoi. La verità, se te la senti.»

L'Efialte deglutì. «Se ne te andrai, spezzerai il cuore a Max. Voglio che tu sia consapevole anche di questo.»

«Lo so e credimi, gli sto facendo un favore. Lui ha continuato ad amare qualcuno che non c'è più da un bel po' di tempo, Petya. Ama il mio fantasma, ciò che ero una volta. Prima o poi lo capirà e andrà finalmente avanti.» Il vampiro non aggiunse altro e infilò l'anello sull'anulare destro. Era d'argento e dalla forma semplice, priva di fronzoli. Al centro, come unico ornamento, v'era incastonata una piccola e ovale pietra nera. Neanche a farlo apposta, si sposava bene con gli occhi dell'attuale possessore dell'Anello Celante di Loki. Sembrava quasi la loro esatta copia. «Non voglio aspettare domattina. Dovrà essere stanotte, Petya. Assicurati che non ci sia in giro nessuno, specialmente Max.»

Petya annuì. «Dove andrai? Almeno questo lo sai?»

«No, non lo so. Non credo di avere una meta precisa. Mi basterà allontanarmi il più possibile.»

«Spero solo che non sia una semplice scusa per...»

«Non lo è, tranquillo. Che mi piaccia o meno, finché la guerra non sarà finita dovrò per forza andare avanti. Poi... si vedrà.»

L'Efialte non aveva altro da aggiungere, perché era inutile discutere con chi appositamente non voleva ascoltare. «Fossi in te, proverei almeno a riallacciare i rapporti con tuo padre. So cosa vuol dire ad averne uno che per un bel po' di tempo si è fatto gli affari propri e poi, dal nulla, decide di rispuntare. Sarebbero da prendere a pugni, ma restano i nostri genitori, Dario, e almeno Rodrigo è in buona fede. A volte dubito di poter dire la stessa cosa del mio.»

Davvero assurdo che Carvajal fosse riuscito a creare la sostanza che aveva preceduto l'Estratto di Immortalità al quale, in seguito, aveva lavorato il Conte di Saint-Germain. Si diceva che in realtà vi avessero lavorato entrambi, riprendendo in mano i vecchi appunti e studi di Rodrigo e ottenendo, finalmente, la versione perfezionata del filtro. Non c'era da stupirsi che Dario risultasse, a conti fatti, il suo solo e unico erede vivente, dato che l'Estratto rendeva chiunque lo bevesse non solo immortale, per sempre fermo all'età in cui aveva fatto uso di quella roba, ma anche sterile. 
Rodrigo aveva collezionato molti successi, eppure con suo figlio aveva commesso un errore dopo l'altro e non era riuscito a farsi amare da lui, che in fin dei conti era anche l'ultimo sottile legame esistente con l'amata e perduta Fedra. Certo, lui non era nessuno per parlare, dato che aveva più o meno fatto la stessa cosa con André e Sophie, ma lo stesso provava tanta, troppa amarezza.

Dario abbandonò il capo contro la parete, fissando un punto imprecisato del soffitto. «Non voglio aver niente a che fare con lui, Petya.»

«Dagli almeno una possibilità. L'hai concessa sempre a tutti, perché con lui dovrebbe essere diverso?»

«Perché lui mi ha abbandonato nel momento in cui avevo più bisogno di qualcuno che mi amasse! Di un padre che non mi guardasse con disprezzo anche quando davo il massimo per avere la sua approvazione!» sbottò il vampiro. «Mi odiava per ragioni che neanche riuscivo a ricordare e il signor Rodrigo, in tutto questo, dov'era, dimmi? A divertirsi chissà in quale angolo di mondo, ecco dove! Preferisco pensare di esser rimasto completamente solo e orfano!»

L'Efialte si incupì. «Non diresti così, se solo avessi la minima idea di cosa voglia dire essere un orfano, sai?» Si avvicinò e chinò per guardarlo negli occhi. «A te, almeno, venne concessa un'istruzione invidiabile, di dormire in un letto morbido e caldo. Pasti decenti, comodità di ogni tipo, persone che ti ammiravano ovunque tu ti recassi. Io, Dario, tutto questo non l'ho mai avuto. Sono stato messo al lavoro quando avevo dieci anni! Guarda le mie mani!» Gliele mostrò: erano segnate, ruvide, rovinate. «Lavoravo fino a notte fonda, finché la schiena non mi doleva e se non finivo il lavoro, poi venivo preso a cinghiate o a schiaffi! Il merito se lo prendeva l'uomo di cui ero apprendista! I soldi andavano tutti a lui e io continuavo a essere povero! Se non fosse stato per Tremotino e sì, anche per Ilya, sarei ancora un sarto qualsiasi!»

Dario forzò un sorriso. «Bene, Petya. Cosa vogliamo fare, dunque? Fondiamo un club per persone che hanno subito abusi in giovane età? Perché sai, le botte le prendevo anche io e ho trascorso tutta la mia maledetta infanzia in un armadio, pur di sfuggire a quell'uomo orribile col quale mi aveva lasciato l'altro bastardo! Un uomo che una volta mi disse che avrebbe preferito veder morire me, anziché Filippo! Bella vita, eh?»

Petya si rimise su, adirato. «Fa' come vuoi. D'altro canto sei solo, no? Gli amici che hai, le persone che ami, in fin dei conti non valgono niente. Giusto? Ti auguro solo di non pentirti della scelta che hai fatto oggi, Dario. Te lo auguro davvero.» Andò alla porta. «Be', allora tornerò stanotte, sperando che per allora tu abbia cambiato idea e voglia uscire da questa cella per riunirti a noi e aiutarci.» Esitò. «Lo ammetto: mi aspettavo che Dante se ne sarebbe andato. Ho tirato la corda con lui, non lo nego, e neppure dirgli la verità su come la sua gente sia morta ha portato a un cambiamento. Dante è fatto così: va per la sua strada e poco gli importa se si lascia alle spalle più di un cuore infranto o una città sull'orlo dell'abisso. Tu, però...» Sospirò. «Da te non mi sarei mai aspettato un simile atto di codardia. Sei tra le persone più coraggiose e sagge che abbia mai conosciuto, eppure quando si tratta di te non esiti a comportarti come uno stupido. Io contavo su di te, Dario. Lo facevamo tutti. Lo facciamo ancora, in realtà, ma a te non importa, vero? Se prendi una decisione, quella deve restare. Forse tu e Dante, per quanto dovreste essere l'opposto l'uno dell'altro, vi somigliate più di quanto mai osereste entrambi ammettere e fidati: non è un complimento. Siete due testardi orgogliosi che preferirebbero morire, piuttosto che accettare la mano salvatrice pronta per essere afferrata. Non posso non domandare, però, a cosa pensate di arrivare, facendovi terra bruciata attorno.» Fece per aprire la massiccia porta. «Forse la verità è una e una soltanto: non state punendo gli altri, ma solo voi stessi. Facendolo, però, fate del male alle persone che vi amano e vorrebbero solo aiutarvi.» 

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