Capitolo XXVII. Per Aspera ad Inferos
Musica consigliata: "The Coven" di Peter Gundry.
https://youtu.be/2nhIMKxzOjc
Andrew distolse lo sguardo dall'oscura boscaglia e tornò a guardare Alex.
Si era ripreso qualche ora dopo che lui era riuscito a seminare Græb'senja, non senza ingaggiare con quella bestiaccia un'altra strenua lotta. C'era mancato poco che finisse infilzato e aveva riportato qualche graffio qui e là, ma per il momento sentiva che erano tutti e due al sicuro, anche se non fuori pericolo.
Alex non aveva per niente una bella cera, mai visto peggio di così: il suo colorito era pallido, ma di un sottotono spiacevolmente grigiastro e quasi del tutto privato di quella specie di evanescenza propria dei vampiri in salute. Cosa dire, poi, delle orbite scurite, di quegli occhi spenti e a volte quasi vuoti, simili a quelli di una bambola inanimata? I suoi stupendi capelli dorati erano solo un bel ricordo e ormai sembravano castani.
Il morso di Græb'senja era ancora lì, non era guarito e anzi era peggiorato, pareva essersi infettato e la cosa peggiore era che Alex non permetteva a Andrew neppure di sfiorare quel punto e spesso, se cercava anche solo di stringergli una spalla, si ritraeva di scatto. La scottatura lasciata dal crocefisso attorno al collo era svanita, ma Andrew se la sarebbe ricordata finché avesse continuato a campare. Il culmine di quella storia dell'orrore piena di morte e sofferenza.
Ora eccoli lì, al riparo nella cavità naturale del tronco di un gigantesco albero secolare coperto da muschio marcescente, i rami spogli, nodosi e rattrappiti.
Alex non voleva saperne di andare via dalla foresta, Andy ci aveva provato più volte a convincerlo, a farlo ragionare, ma niente da fare: se provava a costringerlo, si impuntava come un mulo; un paio di volte era persino arrivato al prenderlo di peso e portarlo via contro la sua volontà, ma un conto era aver a che fare con un vampiro svenuto, un altro invece con un non-morto in vena di bizze.
Perciò, al momento, si trovavano in una situazione di stallo. Se non altro Lex pareva aver ripreso un po' di controllo su di sé. Forse Grober aveva deciso di dargli una breve tregua, quanto bastava a non farlo impazzire sul serio, anche se Drew ignorava il motivo per cui uno come quel bastardo avrebbe dovuto essere così magnanimo.
Andrew fece un bel respiro, poi: «Dobbiamo andarcene da qui, Alex. Per favore, cerca di capire: Iago e Frederick ci stanno aspettando da quasi tre giorni e tu vai curato immediatamente. Non sappiamo se quel morso sia fatale o meno. Ti prego, Lexie».
Alex nemmeno lo guardò. «Allora vai» disse. «Tu, Iago e Frederick tornate a casa. È finita, Andrew, e ormai è solo questione di tempo.»
«Puttanate!» sbottò l'altro, esasperato. «Dobbiamo trovare Kyran, ricordi? Avremmo anche dovuto indagare sul motivo per cui Richard si era recato qui e fra una cosa e l'altra ecco che ci ritroviamo alla fine del viaggio a mani vuote! Abbiamo fatto una promessa, soprattutto tu! Cazzo significa, poi, che è solo questione di tempo? Parla chiaro!»
«Sai benissimo cosa intendo. Lo hai saputo sin dall'inizio, lo hai capito forse da prima che partissimo, solo che fino ad ora hai continuato a respingere l'idea con la tua solita testardaggine.»
«Non parlare per enigmi e spiegati!»
Alex sospirò, poi finalmente volse lo sguardo su di lui. «Uno di noi non farà ritorno, Andrew. Siamo partiti in quattro e tornerete a casa in tre. Lo capisci? Perciò ti ripeto: esci da questa foresta, prendi Iago e Frederick e andatevene subito da Sverthian.»
Ci mancò poco che a Andrew montasse il sangue alla testa per la rabbia. «E io ti ripeto che non me ne vado senza di te! Quante volte te lo dovrò dire ancora? Quando capirai che per me sei la cosa più importante? Se perdo te, sarà come aver perso la guerra, se non peggio! Non mi arrenderò, Alex! Finché sarai vivo, non mi arrenderò! Ficcatelo bene in testa!»
«Vivo!» Lex scosse la testa, sorridendo in maniera forzata e rassegnata. «Questa è vita, secondo te? Io la chiamerei una lenta marcia della morte, piuttosto.»
«Altra stupidaggine!»
«Perché ti ostini a non capire?»
«Ti rigiro con piacere la domanda!»
Alex esitò, come a voler scegliere con molta attenzione e calma le prossime parole. «Io... Io capisco, Andrew. Credimi, ho capito, ma le cose non possono andare come vuoi tu, non stavolta. Non mi seguirai all'inferno, non te lo permetterò.»
«L'inferno sarà ovunque, se non ti deciderai a tornare a lottare!»
«Andrew...» Alexander decise di parlare chiaro. «L'inferno arriverà in ogni caso. Non c'è niente che possiamo fare per impedirlo, come tu non puoi impedire ai fatti di verificarsi. Sai cosa accadrà molto presto, te lo leggo negli occhi, e io non voglio che tu rimanga a guardare. Permettimi di risparmiarti almeno questo strazio, per favore. Appena me ne sarò andato, tu sarai in serio pericolo e...»
«NON DIRE UN'ALTRA VOLTA QUELLA COSA!» esplose Andrew. «Non ci provare! Non ti azzardare!»
«Posso anche non dire niente, ma non servirà a nulla. Accadrà lo stesso, che tu lo voglia o no. La battaglia è persa, Andrew. Questa lo è, almeno.»
«No, no e no!» insisté l'altro vampiro, risoluto. «È lo sconforto a parlare, nient'altro che quello!»
«Andrew...»
«Ascoltami bene, Alexander: io non ti abbandonerò qui, alla mercé di Grober e di quello scherzo della natura con le corna! Pensi che sarei capace di una cosa del genere? Che me ne andrei da qui fischiettando? ‟Oh, che bello! Ho lasciato indietro l'uomo che amo e l'ho condannato a farsi possedere da una divinità folle che vuole distruggere il mondo! Ma che bello! Per festeggiare andrò a prendermi una pinta intera di sangue zero negativo di 'sto cazzo!".»
Una volta Alex avrebbe riso udendolo falsare la voce a quel modo. Si limitò semplicemente a proseguire: «Se non mi lasci qui, te ne pentirai, fidati. Se mi seguirai fino alla fine, ti ritroverai a odiare te stesso, e non voglio che succeda. Sto solo cercando di proteggerti».
«La protezione non mi interessa. Non se non sei al mio fianco.»
Alex non disse niente e si alzò, appoggiandosi al tronco perché al momento gli girava la testa. «Allora sarò io ad allontanarmi. Non mi dai altra scelta.»
«E allora vaffanculo!» Andrew perse le staffe. «Che ci sono venuto a fare qui, se nemmeno mi permetti di guardarti le spalle o di curare almeno quel morso? La passeggiatina potevo comodamente farmela a casa mia!» Lo prese per le spalle. «Smettila di pensare negativo, di credere che sia finita! Non lo è, non ancora! Possiamo farcela, Alex, insieme! Io posso proteggerti, lo sai!»
L'altro scosse la testa. «C'è una cosa che devo assolutamente fare, Andrew, e non potrò farla finché rimarrò ancorato a questa vita. Questo è un gioco, non una guerra, e i giochi sono composti da più livelli. Io, adesso, ho bisogno di passare al livello successivo, quello finale, e devo farlo da solo.»
Andrew parve arrendersi. «Va bene...» Si passò una mano sotto gli occhi, giusto in tempo per scacciare le lacrime appena affiorate. «Allora dimmi addio con un bacio. Come si deve, Alex. Fallo e ti lascerò andare, te lo prometto. Tornerò a casa con Iago e Rick e... sarà quel che sarà. Baciami, è l'ultima cosa che ti chiedo di fare per me.»
Alex lo squadrò a lungo, poi si convinse e si avvicinò. Dopo un attimo di esitazione, si sporse e lo baciò sulle labbra, ma era un bacio diverso dai suoi soliti: più meccanico, meno appassionato, quello di un automa, da spezzare il cuore.
Andrew poi si separò e gli cinse il viso con le mani, fece scontrare delicatamente le loro fronti. «Scusami» gli sussurrò.
Lex si accigliò. «Per cosa?»
L'altro non rispose. Fu veloce, rapido e deciso: gli caricò un pugno in faccia, stordendolo e facendogli perdere i sensi. «Per questo.» Si chinò e lo prese fra le braccia. «Te l'ho detto: non vado da nessuna parte e non ci torno a casa senza di te.»
Stringendo forte in un pugno il rosario di Sophie, sussurrò una formula e nell'aria si originò un turbine informe e biancastro che vorticava, simile a una scintillante e piccola nuvola. «Trova Iago» ordinò il vampiro con determinazione. «Mostrami la via, avanti!»
Non subito accadde qualcosa, poi la nube finalmente sembrò recepire il comando e si espanse, divenne una scia che andava allungandosi fino a perdersi tra gli alberi più lontani e ancora oltre.
«La nonna ne sa sempre una più del diavolo» commentò tra sé Andrew, un sorriso amaro e nostalgico sulle labbra. Senza esitare seguì la scia adagio, stringendo a sé lo svenuto Alex e sperando con tutto il cuore che ci avrebbe impiegato un po' per riprendersi.
La prima cosa che Alex sentì, quando finalmente si ridestò, fu un lieve tepore sul viso e sulla parte anteriore del corpo intorpidito. Ben presto capì di trovarsi disteso e poco distante da un fuocherello che scoppiettava circondato da un focolare di fortuna costituito da pietre di varie dimensioni.
Era buio e faceva piuttosto freddo.
Ebbe l'impulso di sollevare una mano per scostare i capelli dal viso che in parte gli impedivano di vederci bene, ma capì un'altra cosa decisamente preoccupante: non poteva muoversi, le braccia erano immobilizzate sulla schiena. Allungò le dita e si rese conto che un paio di spesse e resistenti manette gli cingevano ambedue i polsi.
Ma che diavolo...
Alex ne ebbe abbastanza: raccolse le forze e riuscì a rigirarsi sulla schiena, sopra di lui un cielo nero come l'inchiostro e pieno di nubi sanguigne.
Volse il viso prima da una parte, poi dall'altra: vide Andrew e accanto a lui Iago e Frederick. Lo stavano guardando a loro volta, come in attesa di una reazione. Dalle facce, parevano aspettarsi il peggio del peggio, forse una sceneggiata isterica.
Gli occhi argentei di Alex si fermarono di nuovo sul fidanzato, ora terrorizzati: «Che cosa hai fatto?» disse, la voce spezzata. «Perché?»
Andrew distolse le iridi verdi. «Non mi hai dato altra scelta. Non ragionavi, Alex, forse... forse deliravi, non lo so. Volevi andartene chissà dove da solo e non potevo permettertelo. Non guardarmi così, è solo per il tuo bene e un giorno mi ringrazierai.»
«Non capisci! Non capite, nessuno di voi!» insisté Alex, tremando come una foglia. Era come essere tornato in manicomio, dove nessuno voleva saperne di prestargli davvero ascolto, di credergli, e com'era finita quella volta la storia? Tre dei suoi vecchi compagni di liceo assassinati, Andrew in prigione, Brian che quasi ci aveva rimesso le penne e Skyler sull'orlo del baratro.
Non era stato ascoltato ed era finita male.
Guardò l'Efialte. «Iago, ti prego... stammi a sentire, almeno tu! Per favore!»
Iago, però, non disse niente.
Alex ritentò con Frederick: «E tu? Nemmeno tu vuoi saperne di darmi ascolto? Non c'è tempo, Rick! La vita di tuo fratello è appesa a un filo! Se non mi presenterò e non farò loro capire che mi sono arreso, uccideranno Kyran!».
Frederick lanciò un'occhiata timorosa allo zio. Quando fece per alzarsi, Iago lo riacciuffò e fece rimettere seduto sul terreno brullo sul quale stavano. «Non pensarci nemmeno. Abbiamo preso una decisione e quella seguiremo! D'ora in avanti si farà come dico io!»
Alex neanche voleva sapere che decisione era stata presa. Sapeva di avere ormai poco tempo a disposizione e fu quel pensiero a spingerlo a tentare di infrangere le manette: strattonò, ancora e ancora, ma più lo faceva e più le manette parevano stringersi dolorosamente attorno ai suoi polsi, tanto che dopo un po' dovette mordersi le labbra per non gridare.
Riuscì a percepire il solleticante scorrere del sangue, lo sentì imbrattargli i polsi e il dorso delle mani.
Disperato com'era, tuttavia, non si arrese e continuò. Sarebbe andato fino in fondo da solo, a costo di arrivare a destinazione senza entrambe le mani!
Iago parve capire le sue intenzioni. «Andrew, fermalo! Se continua così rischia di mutilarsi!»
Il vampiro scattò in piedi, raggiunse Alex e lo fece fermare, poi voltare per controllare i danni. «Maledizione, Alex!» sbottò.
Era un macello: le manette si erano conficcate nella carne, il sangue zampillava e aveva macchiato il terreno. Ecco perché a Obyria i prigionieri si guardavano bene dallo sfidare troppo la pazienza di quegli aggeggi e nessuno, al momento dell'arresto, si sognava di opporre resistenza.
Più andava avanti quella faccenda e meno simpatia provava per Obyria.
Un impero fondato sulla libertà! Bella stronzata.
«Iago, dobbiamo medicarlo in qualche modo, o si dissanguerà. Le ferite sono profonde!» Sbuffò. «Guarda che casino! Sei una frana, Alex, lasciatelo dire!»
Iago si alzò e li raggiunse, poi si inginocchiò e tenne fermo saldamente Alexander mentre Drew, intanto, scioglieva l'incantesimo che teneva sigillate le manette e con cautela ne estraeva i bordi infidi dalla carne sanguinante del fidanzato. «Cristo santo» mormorò.
Iago mise più impegno nel trattenere il vampiro che stava a terra, perché aveva di nuovo iniziato ad agitarsi e a lottare pur di mettersi su e probabilmente darsela a gambe con l'intenzione di recarsi da solo fino al porto e verso una morte quasi sicura.
Evitò di incrociare i suoi occhi, sapendo che vi avrebbe trovato una preghiera straziante che non poteva accogliere assolutamente. Non poteva lasciarlo andare e non gli avrebbe permesso di consegnarsi.
«È per il tuo bene» gli ripeté. «Calmati, Alex. Per favore, calmati.»
Intanto Andrew, sussurrando alcune formule, stava guarendo i tagli lasciati dalle manette, anche se si rimarginavano lentamente, quasi con ritrosia.
«Che avete intenzione di fare? Legarmi a un albero come un cane, andare avanti e infine tornare a prendermi?» chiese Alex, arrabbiato e sardonico. «Bel piano, davvero! Se mi aveste lasciato andare, non...»
«Sta' zitto una buona volta e ascoltami» lo interruppe Iago con durezza. «Tu e gli altri tornerete a casa e io andrò avanti. Appena avrò recuperato Kyran vi raggiungerò. Fine della storia. Tu sopravviverai e nessuno dovrà...»
«Credete che Grober mollerà la presa? Non avete ancora capito com'è fatto? Non riuscirete a impedirgli di prendersi ciò che vuole! State solo favorendo una sorte inevitabile!»
«Fanculo la sorte» borbottò Andrew. «Grober deve solo provarci a toccarti, e poi sì che mi divertirò a prenderlo a calci come si deve.» Allontanò le mani dai polsi del fidanzato. «Ho finito. Per fortuna sono guariti.»
Iago annuì. «Bene, allora...» Nessuno, però, conobbe mai il resto della frase: Alex agì, lesto come una vipera, e non sapendo come altro fare assestò un colpo di ginocchio a Iago, beccando senza volerlo proprio i gioielli di famiglia. Si liberò della presa dell'Efialte, ora chino su se stesso e dolorante, intento a lanciare una sconcia e irripetibile bestemmia.
Le gambe malferme del fuggitivo si stabilizzarono e lui si sbrigò a cercare di correre via, anche se non sapeva proprio da che parte andare.
Andrew, però, gli andò appresso e lo acciuffò al volo. Entrambi caddero sul terreno brullo, scuro e polveroso. Drew, come avrebbe fatto un poliziotto, forzò il fidanzato a restare pancia a terra e disse a Frederick di riprendere subito le manette. «Sbrigati, porca di quella puttana!» gli urlò, vedendo che non si dava una mossa. Incassò una gomitata che Alex gli aveva appena rifilato. «Fallo un'altra volta e ti becchi una sculacciata, ti avverto! Fermo! Fermo, ti ho detto!»
Frederick accorse ed esitò. «Se gliele rimettiamo, cercherà di nuovo di...»
«Non me ne frega niente! Che si mutili pure, se vuole! Importa solo che non vada a farsi ammazzare!» sbottò Andy, strappandogli di mano le manette e imprigionando di nuovo Alex, il quale a malincuore si era arreso.
Fra il vederlo morto e il saperlo con un handicap a vita, ma per il resto incolume, sceglieva il male minore, per quanto orribile, forse disumano, magari crudele, ma mai quanto lo stare a guardare in silenzio mentre Grober si impossessava di lui e lo conduceva alla fine. Non si sarebbe mai arreso. Mai.
Vide che Alex lo stava fissando con la coda dell'occhio, da oltre la spalla.
«Non provare a guardarmi così! Non mi hai dato altra scelta! Non sei in te, Alex! Ti sto solo impedendo di cacciarti nell'ennesimo casino!» La voce si spezzò in gola a Andrew, il quale imprecò a denti stretti e si alzò. «Riportalo indietro. Io... Io vado a farmi un giro» disse sbrigativo a Frederick, prima di allontanarsi e calciare via un sasso che si era messo sulla sua strada.
Rick fece mettere in piedi Alex e gli accarezzò con fare incoraggiante una spalla. Quando lo condusse di nuovo al focolare, ebbe l'impressione di avere di fianco un animale ferito e ormai assoggettato e rassegnato.
Non si sarebbe mai aspettato una situazione del genere.
«Dagli un po' d'acqua. Sempre meglio di niente» gli disse Iago rauco, ancora in parte dolorante dopo il brutto colpo ricevuto e sì, un po' astioso. «Che ti venga un colpo, Alex! Proprio lì dovevi mirare?»
Alex respirò a fondo. «Se andrai laggiù, ti uccideranno e faranno lo stesso con Kyran. Non puoi pretendere di entrare nel loro territorio senza di me. Sono il vostro lasciapassare, Iago, che vi piaccia o no.» Non si sognava di darsi per vinto. Prima o poi lo avrebbero ascoltato, anche solo per noia o esasperazione. Non sarebbe stato responsabile di un'altra carneficina, o dei sensi di colpa di Andrew. «Portatemi laggiù, riprendetevi Kyran e poi tornate a casa. Ti prego, Iago, dammi retta. Solo per una volta.»
«No, Alex.»
«Lo sai che non hai altra scelta. Se si tratta di Andrew, allora lascia che gli parli io, forse riesco a farlo ragionare!»
«Non si tratta solo di Andrew, Alex!» sbottò Iago. «Non si tratta solo di Kyran, o di lui!» aggiunse, accennando al nipote che stava di fianco al vampiro dagli occhi argentei. «Si tratta anche di me!»
«Non capisco» replicò Alexander, confuso.
«Infatti. Quando ti pare sei capace di non capire un cazzo di niente!»
Alex strinse le labbra. «So di essere uno stupido e di non essere intelligente e scattante come te, ma non c'è bisogno che tu mi ricordi continuamente la tua superiorità mentale!»
Perché Iago lo stava trattando di nuovo male? Era solo arrabbiato per quanto accaduto prima e in generale da quando lui era fuggito, o c'era dell'altro? Aveva fatto qualcosa di male e di cui non aveva memoria?
«Zio, calmati, dai» intervenne Frederick, sconcertato.
Iago, ancora furente, si alzò. «Controlla che non tenti di mutilarsi di nuovo. Io vado...» Gesticolò. «Be', vado e basta.»
«No!» esclamò Alex.
«Non ho intenzione di partire prima di domattina, stupido!» replicò scontroso Iago. «Ho solo bisogno di prendermi un attimo di pausa!»
Il vampiro, di fronte all'ennesimo insulto, ammutolì e non parlò oltre. L'Efialte, ansioso di non vedere più per un po' quegli occhi grandi da bambino e argentei che lo guardavano senza capacitarsi del motivo di tanta improvvisa cattiveria, staccò la schiena dalla grossa roccia contro cui si era appoggiato, si mise in piedi e se ne andò.
Raggiunse Andrew che se ne stava seduto sul bordo dell'alto strapiombo roccioso sotto il quale si estendeva un mare d'alberi spogli e ritorti.
«Hai intenzione di gettarti? Se è così, allora mi sa che ti faccio compagnia» disse, sistemandoglisi accanto.
Andrew gli lanciò una breve occhiata. «Non c'era bisogno di trattarlo in quel modo, sai? È già abbastanza vicino al baratro così com'è.»
«Non sapevo come altro rimediare. Scusa tanto se cercavo di mantenere la promessa che ti ho fatto tempo fa. Mi hai chiesto di non dirgli niente, ricordi?»
«Ci sono metodi che non prevedono gli insulti» tagliò corto Drew, a denti stretti. «Dagli di nuovo dello stupido, e giuro sul demonio in persona che ti cavo gli occhi! Bel modo di mascherare la tua infatuazione, i miei complimenti!»
«Sai cosa?» sibilò l'Efialte. «I tuoi complimenti puoi ficcarteli pure dove ti pare e piace!»
«Sono a tanto così dallo spingerti giù da questo precipizio. Sei avvertito.»
«Mi faresti solo un favore.»
«Allora meglio di no» lo rimbeccò Andrew, con una punta di cattiveria. «Forse è meglio lasciarti a crogiolare nell'orrenda condanna chiamata esistenza, visto che ti pesa tanto.»
«Va' a farti fottere» sputò Iago. «Non so come faccia lui a stare con un serpente velenoso come te!»
«Perché, Iago» disse l'altro, sporgendosi in avanti, come a condividere con lui un segreto, «lui è il solo per il quale sarei anche disposto a mettere a ferro e fuoco il mondo intero, se solo mi chiedesse di farlo! Perché io non sono stato un vigliacco e gli ho ricordato che avevamo ancora qualcosa per cui lottare insieme! Non ho fatto come te, che ti sei arreso alla prima difficoltà con la donna che a quanto pare amavi, ma hai lo stesso lasciato andare!»
Gli occhi color ambra di Iago lampeggiarono irati. «Vaffanculo» ringhiò. «Io almeno ho pagato a un caro prezzo i miei crimini passati. Tu, invece, eri e resti il cocco del Principe della Notte e te la sei cavata senza rimetterci alcunché! Oh, sì, Andrew! Non credere che Dario ti abbia risparmiato, mesi fa, solo perché si è lasciato impietosire dalle moine di Alex o dalle tue lacrime di contrizione! Lo ha fatto perché non aveva altra scelta, per dovere morale! Perché il tuo beato padre, quando era ancora vivo, gli ha fatto giurare solennemente di guardarti sempre le spalle e difenderti, anche a costo di passare per cretino, com'è successo quando ti ha fatto fuggire dalla galera, anche se era la prigione più impenetrabile di tutte!» Lo squadrò, quasi disgustato. «Purtroppo, al contrario di te, non ho mai avuto persone potenti e rispettate a difendermi! Tutto quello che so, ho dovuto lottare per conquistarmelo! Tutto quello che sono lo devo solo a me stesso, non a chi era lì per togliermi dai casini!»
Andrew era attonito. «Che cosa?»
Iago si morse la lingua e troppo tardi capì di aver parlato decisamente a sproposito.
Dario mi ammazza, se viene a risapere che gliel'ho detto, pensò, ora nel panico. Non che avesse paura della reazione di quel vampiro, ma Dario gliel'aveva detto in confidenza, si era fidato di lui, gli aveva fatto giurare di mantenere il silenzio su quella faccenda.
Andy si innervosì. «Che vuol dire quella storia? Che c'entra mio padre! Parla! Ormai hai lanciato la pietra, non serve a niente nascondere la mano!» In effetti, a poco sarebbe servito tacere.
Iago si morse il labbro inferiore. «Ti conosce da quando sei nato, letteralmente. I tuoi genitori lo nominarono come tuo Padrino e fu di tuo padre l'idea, almeno così mi è stato detto. Un Padrino, o una Madrina, è una persona di fiducia alla quale viene affidata la sicurezza del bambino che gli è stato destinato, anche a costo di rimetterci la vita. È una persona che proteggerà sempre quello che viene definito il suo Protetto, anche dopo che ha raggiunto la maggiore età e in teoria sarebbe capace di cavarsela da solo. È un legame eterno, infrangibile e sacro, risale a epoche antiche.»
Tanto valeva vuotare il sacco fino alla fine.
«Secondo te Max, un vampiro che Dario conosce e di cui si fida ciecamente, si trovava per caso a Hanging Creek? Secondo te è un caso che Dario, invece di farti ammazzare sul posto come avrebbe in teoria dovuto fare, dopo quello che avevi combinato, ti abbia invece fatto semplicemente arrestare? Ha parlato in tua difesa al processo, vero? Ha cercato di convincere la giuria che in realtà eri solo un'altra vittima. Secondo te lo ha fatto solo perché lo avevi mosso a pietà? Quando Arwin ti ha rapito, è stato l'ultimo ad arrendersi, dopo averti cercato di persona ovunque per mesi interi. Era dilaniato dai sensi di colpa.»
Andrew si accigliò, sconvolto. «N-Non può essere! Perché, allora, ha detto ad Askan che...»
«Che avrebbe dovuto fare, pur di mantenere le apparenze e non far capire a nessuno che avrebbe comunque fatto di tutto per pararti le spalle? Aveva già abbastanza gente che gli stava col fiato sul collo e doveva offrire ad Askan motivi sacrosanti per impegnarsi a catturare Arwin, mi sembra chiaro.»
Andy non rispose e ripensò alla prima volta in cui Dario gli aveva rivolto la parola, proprio la notte in cui Arwin era fuggito dall'ospedale abbandonato e dopo aver trovato Cynder. Gli aveva posto una sola domanda e fra le tante che avrebbe potuto fargli, gli aveva solo chiesto se stava bene, come per assicurarsi che non avesse riportato danno alcuno. Ricordò di esser rimasto di sasso di fronte a quella gentilezza inaspettata e sincera, anche se era un criminale, anche se aveva creato un enorme scompiglio ed era stato una spina nel fianco in primo luogo per lui.
Eppure, quella volta aveva avuto l'impressione di averlo già visto da qualche altra parte, di aver già udito in passato quella voce.
Di colpo lo fece, finalmente rimembrò e lo vide in una stanza d'ospedale, vicino a un letto nel quale c'era Markus Thorne, suo padre. Lo vide alzare lo sguardo e guardare proprio in sua direzione, rivolgergli un accenno di sorriso quasi... affettuoso e nostalgico, simile a quello di un parente, uno zio che da tanto non vedeva il nipote preferito.
Non gli aveva parlato, quella volta. Aveva salutato Markus e se n'era andato, e Markus a Andrew non aveva risposto quando gli aveva chiesto chi fosse quell'uomo appena uscito dalla stanza.
Aveva ipotizzato che fosse, magari, un suo vecchio conoscente, un amico o un collega, eppure si era sbagliato, almeno in parte.
«Perché ti ha chiesto di non dirmelo?» domandò dopo un po'. «Perché tenermelo nascosto? Si vergognava di me? Di quello che avevo fatto?»
«Probabilmente era lui a vergognarsi, se almeno una parte delle dicerie sul suo conto sono fondate. Era lui a non voler essere disprezzato da te e a preferire di tenerti a distanza, piuttosto che coinvolgerti o far sapere ai suoi detrattori che aveva un gran punto debole. Suppongo abbia stabilito così anche per proteggerti» replicò Iago, roteando gli occhi. «Che gran coglione.»
«Quali dicerie?» chiese ancora Andrew. «Disprezzare lui? Stai scherzando, vero?»
«Ti sei mai chiesto perché, quando eri ancora in prigione, lui sia stato uno dei pochi a non averti mai detestato né condannato per le tue azioni?» Iago aveva saputo certi particolari solo tramite terze persone, ovviamente. Sophie una volta gliene aveva parlato. «Non ti sei mai chiesto chi era prima di essere il Principe della Notte? Quale fosse la sua storia?»
Andrew doveva ammetterlo: non se l'era mai posta quella domanda. Insomma... ai suoi occhi la figura di Dario era stata sin dall'inizio come sospesa nel tempo e nello spazio, una sorta di... quasi silenziosa divinità, una di quelle che doveva star a sentire le lamentele e preghiere altrui ma lo stesso, in silenzio e con impegno, cercava di ascoltare e di migliorare la situazione.
Un'autorità lontana ed eterea quanto benevola, che sempre era esistita e avrebbe continuato a esserci, forse fino alla fine dei tempi.
Per lui era il Principe della Notte, l'autorità suprema dei vampiri. Mai si era chiesto chi ci fosse dietro a quel titolo, quale fosse la sua storia.
«Francamente, non me lo sono mai chiesto.»
«Ti basterà, allora, fare un giro in certi archivi appositi. Non so quanti dossier siano stati stilati su di lui. Non ti ha mai condannato né disprezzato perché sa meglio di chiunque altro quanto sia facile per un vampiro cadere nella voragine della crudeltà e della sete insaziabile. Alla fine dell'Ottocento fece vedere i sorci verdi al Principe della Notte dell'epoca, un tale di nome Atlas, e anche alla città di New York. La gente veniva ritrovata senza una goccia di sangue in corpo, quando andava bene, altre volte smembrata, macellata come bestiame. Il responsabile, in seguito, è stato definito una specie di parente di Jack lo Squartatore, perché era altrettanto feroce e assetato di morte, e come lui agiva di notte, indisturbato e silenzioso. Uccideva e forse avrebbe continuato a farlo, ma qualcuno riuscì a fermarlo e quel qualcuno fu proprio Atlas. Il Macellaio di New York venne catturato, imprigionato e fatto rinsavire dopo mesi di reclusione. Atlas, invece di condannarlo a morte, lo rese la sua arma segreta, tornò a farlo essere lo spauracchio di Obyria e non solo. Il Macellaio di New York, Andrew, era Dario.»
Iago tacque per alcuni istanti.
«Non ti ha condannato perché, io credo, si è un po' rivisto in te, ha ricordato com'erano per lui le cose un bel po' di tempo fa: la stessa rabbia, lo stesso odio nei confronti di un mondo avverso e inospitale che non gli ha perdonato mai niente, la stessa disperazione. È per questo che nonostante certe azioni passate, è ancora amato dalla gente comune: non fa come altri suoi simili, non si ritiene migliore degli altri e si comporta da ipocrita. Sa che un vampiro può crollare, può abbandonare la ragione e darsi al vizio più grande che possa esistere per quelli come voi. Sa benissimo cosa significa ritrovarsi con un Creatore come Arwin Reger, Andrew, e ha capito che in altre circostanze, vampiro o meno, non avresti mai fatto del male a una mosca. Sa cosa vuol dire essere definiti, trattati e additati come dei mostri, dei pregiudicati buoni solo a commettere di nuovo gli stessi identici errori. Sa anche che però c'è sempre una via d'uscita, un cammino giusto sul quale ritrovare i propri passi.»
Per lui era tutto talmente ovvio da rasentare il ridicolo, ma a giudicare dalla faccia di Andrew, per quest'ultimo non era affatto così chiaro.
«Ti ha compreso e aiutato a risalire, e lo ha fatto appena ha saputo che Alex era tornato dalla morte. Sapeva che solo una persona ti avrebbe convinto a ritrovare la speranza e non ha badato a spese, ha accettato di farsi definire uno scemo e un incompetente da Obyria intera per essersi lasciato sfuggire da sotto il naso proprio te, il Mostro di Hanging Creek.» L'Efialte strinse le spalle. «Ti vuole bene, Andrew. Basta guardarlo negli occhi per capirlo, e solo la peste sa perché. Basta questo a farmi pensare che dovrebbero farlo santo, altro che storie.»
Andrew ignorò le ultime caustiche parole di Iago. Era troppo spiazzato per badarci.
E pensare che aveva parlato pochissimo con Dario, quasi per niente. Per un momento era stato persino geloso di lui, quando si era recato a casa di Alex per parlare con quest'ultimo della questione di Anthony. Se davvero tutto quanto era la pura verità, allora era riuscito benissimo a celare quell'affetto, e la cosa strana e assurda era che Andrew, ora, provava un po' di rabbia e indignazione.
Non poteva non pensare che Dario fosse stato un vero, grandissimo cretino a nascondergli una cosa simile. Certo, lo sconvolgeva sapere che cosa aveva fatto in passato, non riusciva proprio a immaginarlo nei panni di un vampiro corrotto dall'istinto di predatore e dalla sete irrefrenabile; non ce la faceva a vederlo come un assassino col cuore gonfio di odio e irrazionale rabbia verso il mondo intero. Possibile che lui e Iago avessero fino ad allora parlato dello stesso vampiro calmo e mansueto che si era presentato a Andrew quella sera all'ospedale abbandonato?
Eppure, ciononostante, la sola cosa a lasciarlo davvero di sasso era il suo silenzio, il suo aver voluto chiaramente tenerlo a distanza e all'oscuro di certi retroscena.
Iago sospirò. «A questo punto...!» disse fra sé. Andrew lo guardò sussurrare qualcos'altro, poi le sue mani svolazzare velocemente e poi, fra di esse, fare la propria comparsa un'autentica, scintillante spada. L'Efialte chiuse le dita attorno all'impugnatura e la mostrò al vampiro. «Prima che tu e Alex usciste dalla foresta, Fenris è tornato con la risposta di James al mio ultimo messaggio e c'era anche questa, seppur rimpicciolita per facilitare il viaggio. James ha scritto che è stato Dario a insistere assolutamente che la spada venisse affidata a te.»
Gliela consegnò e Andrew avvolse tutte e dieci le dita sulla lama, fissandola a occhi sbarrati: era incredibilmente leggera, ma si sentiva che era affilata e molto, molto pericolosa. Eppure era come se sapesse, in cuor proprio, di aver atteso quel momento per tanto tempo. Era come essersi riunito finalmente a una vecchia amica.
«Sangre» disse Iago. «L'ha chiamata così quando Richard gliela consegnò, dicendogli di tenerla al sicuro e di usarla per amministrare la giustizia come suo Capo delle Guardie. Voleva che andasse a te e a nessun altro, lo ha detto sin dall'inizio. Quando... Quando è stato a un passo dal morire per colpa del morso di Ghoul, le sue ultime volontà erano queste: che Sangre venisse consegnata a te e... be', in sostanza ti aveva nominato come solo beneficiario di un'eredità che farebbe girare la testa a chiunque. Non voleva che alla fine di tutta questa faccenda restassi senza risorse, confido volesse fare in modo che avessi una stabilità finanziaria, sia per te che per Alex, dato che progettavate di sposarvi. Ti ha lasciato anche la sua residenza preferita, Ashfield Manor, e non ha voluto che il testamento venisse annullato neppure quando è guarito.»
Andrew si sentiva a un passo dalle lacrime, dal piangere come un ragazzino. «Ma io... io non merito tutto questo» disse, la voce incrinata, un peso asfissiante sul cuore. «Perché? Perché a me?»
Iago strinse le spalle. «Ti vuole bene come se fossi suo figlio e, d'altronde, ha giurato ai tuoi genitori che avrebbe provveduto al tuo benessere finché fosse rimasto in vita. Purtroppo André ha scombinato i suoi piani: l'idea di tenerti lontano da Obyria finché fossi stato abbastanza grande da sapere la verità, fu proprio la sua, anche se questo significava il non poter vederti crescere, probabilmente viziarti un bel po' e guardarti diventare adulto, un uomo perbene e pronto a fare la cosa giusta. Un Padrino è come un secondo padre, Andrew, e cosa non farebbe un padre per suo figlio?»
Sentì Andrew celare a fatica i singhiozzi e per una volta decise di non fare uno dei suoi commenti maligni o acidi, lo lasciò in pace e rimase in silenzio.
Aveva voluto la verità e lui gliel'aveva rivelata fino in fondo.
Dopo un po' si ravviò i lunghi capelli corvini che però, qui e là, avevano venature color argento. A quanto pareva cominciava a invecchiare sul serio e la cosa, francamente, lo lasciava indifferente.
«È chiaro che veda in te qualcosa che io, invece, non riesco a scorgere neppure da vicino. Non so cosa, forse è solo per via dell'affetto, forse no, ma se ti ha lasciato la sua spada, Andrew, vuol dire che è convinto tu sia degno di maneggiarla e di usarla in maniera corretta e a fin di bene, altrimenti l'avrebbe tenuta per sé.»
Andrew cercò di riprendere il controllo e si asciugò le guance, scacciò le lacrime quasi del tutto incolori e trasparenti dal viso segnato dalla stanchezza. Fece un cenno con la testa. «Significa che sapeva che prima o poi ne avrei avuto bisogno, a questo punto.» Nei suoi occhi c'era una determinazione fiammeggiante. «Vuole che vada fino in fondo, Iago, e sa che non posso farlo senza un'arma adeguata con cui proteggere me stesso e Alex. Vuole che risolva la faccenda una volta per tutte, ecco cosa.» Dario non era di certo tipo da fare qualcosa per puro caso. Le sue azioni erano sempre state ben studiate e ponderate. «Così sia, allora.»
Prese il fodero dell'arma che Iago gli stava tendendo e ripose la lama al suo interno.
«Andremo io e Alex. Non vedo altra via, Iago. In fin dei conti, se ricordo bene, è iniziato tutto con Richard e Léonard, perciò la cosa riguarda entrambi ed è compito nostro trovare una soluzione.»
Se era all'inferno che erano diretti, ci sarebbero andati insieme.
«Per quanto dovrà restare in quella cella?» Max guardò Dante, in attesa di una risposta.
L'Efialte si riscosse dai cupi pensieri e gli puntò addosso gli occhi neri. «Finché non sarà rinsavito e non sarà più un pericolo per gli altri e, soprattutto, per se stesso, mi pare ovvio.»
«Non è così ovvio! Lo hai visto bene?»
«Ho visto abbastanza. Se permetti, credo di aver fatto anche del mio meglio per non malmenarlo come si sarebbe meritato. Tu e Petya avete combinato un pasticcio, come al solito. Non vi si può lasciare soli un momento che subito mandate tutto alle ortiche.»
Max restrinse lo sguardo. «Forse non sarebbe successo niente, se tu avessi accettato di istruirlo sulla magia, invece di cedere il compito a Petya!»
«Per insegnargli che cosa, di grazia?» lo prese in giro Dante. «A scagliare alla perfezione i Sette Anatemi?»
La discussione terminò quando videro Grace uscire dalla cella con aria abbattuta e tesa. Guardò Max e scosse il capo. «Non c'è stato verso» disse. «Non ha voluto saperne neppure di farmi avvicinare, men che meno di mettergli almeno in una mano l'anello. Mi dispiace, ma non me la sono sentita di forzarlo troppo. N-Non ce l'ho fatta.»
«E ti pareva. Per una volta che ti saresti potuta rendere utile.»
Maxmilian dovette appellarsi a tutta la buona volontà di cui disponeva per non caricare un pugno in faccia a quell'Efialte. Gli assestò solo una gomitata fra le costole e non si curò di essere delicato. «Tranquilla, Grace. Lo capisco.»
«Tra incapaci ve la intendete.»
Grace piantò le lampeggianti iridi verdazzurre su Dante e si avvicinò, fronteggiandolo. «Senti un po', simpaticone: vuoi per caso le botte? Perché sai, è ciò che otterrai tra meno di cinque secondi!»
«Prova a toccarmi e ti faccio tornare umana a suon di calci nel culo» replicò Dante con un sorriso sinistro. «Sempre che non decida di staccarti la testa, s'intende.»
La vampira serrò una mano, decisa a riversargliela sul viso, ma dei passi le impedirono di mettere in pratica alcunché: era Petya, il quale li guardò a turno e infine si concentrò su Dante.
«Vieni con me. È importante» gli disse, laconico.
Dante alzò gli occhi al cielo e di malavoglia lo seguì fuori dalle segrete. «Che diavolo vuoi, Petya?» domandò, senza disturbarsi a celare l'astio nei suoi confronti. Non gli aveva di certo perdonato la pessima trovata del restituirgli il cuore.
Il re lo squadrò. «Prima di tutto, voglio invitarti a essere cauto.»
«E perché mai?»
«Non lo indovini? Il prossimo, Dante, potresti essere tu. Grober sta già tentando di soggiogare Dario, cosa accadrà se riuscirà a farlo anche con te? Devi tenere la mente sigillata, mi senti? Non possiamo permetterci un disastro come quello avvenuto ore fa! E non dimenticare che Dario ti ha quasi ucciso oggi!» Il sovrano accennò ai suoi vestiti ancora macchiati di sangue. In effetti era vero, c'era mancato poco.
«Peccato che non ci sia riuscito» commentò sardonico l'altro Efialte.
«Non dirlo neanche per scherzo» lo riprese aspro Petya. «La seconda cosa è questa: Fingal sarà presto qui. Deve sistemare alcuni suoi affari, prima, perciò hai tutto il tempo di recuperare quel po' di buona volontà che ti è rimasta per collaborare con lui.»
«Va' a farti fottere» sputò fuori Dante. «Preferisco crepare.»
«Mettiamola così: non te lo sto chiedendo, ma te lo sto ordinando.»
«Non rispondo agli ordini di nessuno, men che meno i tuoi.»
«Allora preparati, perché ti faccio buttare in cella proprio come la tua controparte» replicò risoluto Petya.
«Accomodati. Sai quanto me ne frega!» sogghignò Dante. «Toglimi una curiosità: come hai fatto a convincere uno come Fingal a prendere parte a una simile pagliacciata? Non è uno da concedere la propria presenza ai comuni mortali grazie a qualche moina puramente nel tuo stile.»
«Io e lui abbiamo un fine comune: impedire a Grober di far scempio dell'Oltrespecchio.»
«Fingal non è così filantropico. Fossi in te, Petya, terrei alta la guardia. È famoso per colpire quando uno meno se lo aspetta.»
«Esistono persone, Dante, capaci di mettere da parte il passato in favore del futuro e del benessere comune.»
«Certo, è come dici tu.»
Dante dubitava che Fingal fosse cambiato e addirittura si fosse lasciato alle spalle il Massacro di Vreha ordinato da Petya. Certo, era curioso che non avesse mai tentato di vendicarsi o prendersi una meritata rivincita, ma era anche vero che non era uno stupido e, al contrario di altri, sapeva cogliere al volo le opportunità. Probabilmente Petya stava giocando con il fuoco e se Fingal aveva in mente qualcosa, avrebbe atteso pazientemente il momento giusto per colpire. Era assurdo che avesse perdonato Petya, dopo aver visto la sua intera famiglia venire assassinata. Non si poteva perdonare una cosa del genere, ancor meno quando ci si chiamava Fingal e si era famosi per il temperamento esuberante e poco incline al dimenticare.
Da quel che ricordava e aveva sentito dire, già un'altra volta, secoli prima, aveva fatto quel medesimo giochetto con qualcun altro che aveva alzato troppo la cresta e aveva sfidato la sua pazienza. Un po' come Vlad Tepes di Valacchia, Fingal a volte si era preso la libertà poetica di far torturare e impalare i propri nemici pubblicamente, e tale fine aveva fatto il tizio che gli aveva fatto saltare la mosca al naso. Tanto amato dai sudditi quanto odiato dai nemici e coloro che per molto tempo avevano guardato con impotente cupidigia e gelosia il suo regno prosperare e diventare temuto e potente.
Non c'era da stupirsi che anche Petya, alla fine, avesse messo gli occhi addosso a Vreha, una capitale scintillante come una gemma e altrettanto preziosa e ambita, nonché mai domata, proprio come i suoi sovrani feroci ed esperti nell'arte della guerra.
Probabilmente l'unica colpa reale di Fingal era stata quella di salire al trono troppo presto in seguito alla morte del padre, affatto giunta per cause naturali. L'incoronazione era avvenuta rapidamente e subito dopo Fingal era andato a combattere la guerra che gli aveva sottratto il solo genitore rimasto, e quella era stata la prima schiacciante vittoria di tante, tante altre.
Poi era arrivato Petya con il suo esercito ormai esteso e da far accapponare la pelle, al suo fianco Desya e Misha, quest'ultimo un generale feroce e che aveva retto la concorrenza con il fiero sovrano di Vreha, il quale si era ritrovato impreparato, aveva peccato di superbia e troppa sicurezza.
Eppure una volta era stato molto vicino all'abbattere uno dei due terribili draghi neri che avevano iniziato a un certo punto a infuriare sulla città, belve dietro le quali c'erano proprio Misha e Petya.
Fingal, tuttavia, proprio come Godric, aveva fallito, e per Vreha non c'era stato più niente da fare.
Dopo una simile umiliazione, dopo aver visto morire il suo unico figlio, davvero si era arreso a cercare un po' di giustizia?
Le persone cambiavano, ma alcuni cambiavano in peggio e sapientemente diventavano bravi a celarlo. Chiamavano Fingal il Leone di Vreha, ma a Dante aveva sempre ricordato di più un pericoloso cobra, una creatura a sangue freddo incapace di perdonare e che reagiva mordendo se la si calpestava. Petya non voleva vedere questo perché era disperato, e la disperazione rendeva cieco e sordo persino l'uomo più accorto. Prima o poi avrebbe pagato alto il prezzo di tale disperazione e Dante non avrebbe mosso un solo dito per impedire a Fingal di dargli quel che si meritava. Anzi, probabilmente avrebbe obbedito a modo suo al comando di collaborare con quell'Efialte: avrebbero collaborato, certo, ma a danno di un nemico comune.
Fingal non era come Godric, ancora troppo ancorato a roba come l'onore. Era sempre stato uno di quelli che all'occorrenza l'onore lo aveva scaraventato fuori dalla finestra, quando a contare era solo l'azione concreta e rapida, e Dante aveva bisogno di un alleato crudele e inarrestabile. Senza contare che Godric pareva esser messo piuttosto male da tutti i punti di vista. Si sarebbe rivelato solo un peso morto a lungo andare, perciò era decisamente meglio lasciarlo a se stesso e aspettare che almeno lui si sbrigasse a togliere il disturbo una volta per tutte.
Petya aveva commesso un grave errore a rimettergli il cuore nel petto letteralmente. Aveva solo ravvivato le fiamme della rabbia e della sete di vendetta che già da prima Dante covava. Non avrebbe dovuto gettare benzina su un incendio già abbastanza esteso.
«Medita un po' su quello che ti ho detto» disse il re. «Io, ora, devo presenziare a una riunione. Ti chiederei di partecipare, ma conosco già la tua risposta.»
«Bravo, Petya. Vai» replicò Dante, che non aveva intenzione di partecipare ad alcunché nemmeno per tutto l'oro del mondo.
Petya scosse la testa e si congedò, risalendo i rapidi gradini delle prigioni per raggiungere la sala del trono, dove David Wickelby finalmente avrebbe rivelato quel che aveva scoperto.
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