Capitolo XXV. Il filo di Arianna


Musica consigliata: "A father lesson" di Peter Gundry.

https://youtu.be/gEzJ-o0gz_E

Andrew ormai aveva perso la cognizione del tempo a furia di aggirarsi in quella foresta.

Aveva smesso di chiedersi quante ore o giorni addietro era entrato in quel labirinto. Sapeva solo di essere stremato, di arrancare sempre di più nella vegetazione, e di aver sofferto ripetutamente di allucinazioni uditive e anche visive.

Più di una volta gli era capitato di essere convinto di aver sentito dei passi nelle vicinanze o aver persino visto Alex quando invece quest'ultimo era poi risultato essere ancora disperso.

Era come seguire continuamente fuochi fatui nella notte ed elusivi e ingannevoli sussurri tra gli alberi.

Eppure qualcosa di reale gli era capitato di incrociarlo: animali morti, alcuni ridotti ormai a scheletri, altri ancora in via di decomposizione, nonché resti di creature umanoidi, esattamente come lui.

Si era ritrovato a dar ragione a Iago e Frederick: chi entrava là dentro non ne usciva mai più. c'era qualcosa di strano e sbagliato in quel posto, un che di velenoso che offuscava i pensieri e la mente al completo; qualcosa che lo stava spingendo a vedere solo il lato negativo di tutto quanto, a credere di essere senza speranza, che tutto fosse ormai inutile. Che Alex, forse, era già morto e giaceva da qualche parte, destinato a fare la fine delle altre creature sfortunate che nella foresta avevano trovato una triste sorte.

Eppure cercava di non darsi per vinto, di continuare. Non smetteva di guardarsi in giro con attenzione, di tentare di far appello al legame fra lui e Alex come vampiri.

Sentiva che lui era lì. Lo sapeva, doveva solo sbrigarsi a trovarlo, ignorare la voce che gli sussurrava di fermarsi, di riposare. Non poteva farlo, non poteva permetterselo.

Fece tuttavia una piccola pausa, appoggiandosi al nodoso tronco color pece di un albero. Sembrava piuttosto viscido e appiccicoso, ma poco gliene importava.

Il dubbio di aver fino ad allora camminato in tondo, di aver percorso sempre gli stessi passi in un loop infernale, di colpo gli balzò in mente e lo mandò nel panico.

Sembrava sempre uguale quella foresta, non c'era un segno distintivo, niente che potesse indicargli che stava andando avanti.

Fu allora che scorse qualcosa finalmente di nuovo, di diverso. Cercò di mettere a fuoco, i suoi occhi erano stanchi, i suoi sensi intorpiditi e rallentati: una figura opalescente e nebulosa, risplendeva di una luce fioca e dorata.

Avanzava lentamente, proprio di fronte a lui, senza averlo notato o dargli la benché minima importanza. Andrew capì che si trattava di un animale piuttosto grande, delle dimensioni di un cavallo, eppure non era tale. No, era...

Un cervo, constatò. È un cervo!

Diede ascolto all'istinto e lo seguì, anche se non sembrava una creatura palpabile, ma una sorta di spettro, qualcosa che in realtà non si trovava più da molto tempo lì, almeno con il corpo fisico.

Era comunque il cervo più maestoso che si fosse mai visto e le corna, in particolare, erano bianche come l'avorio e non avevano la punta smussata, ma acuminata.

Lo seguì, anche se qualcosa gli diceva che la bestia a sua volta ignorava la sua presenza, come se fosse lui il fantasma. Come se passato e presente si fossero sovrapposti, senza però unirsi davvero.

Non era mai un bene inseguire le ombre, ma non aveva molte alternative.

Dopo quella che sembrava un'eternità, il cervo finalmente si fermò. Fin dove la luce che si propagava dalla sua figura riusciva ad arrivare, era come vedere un paesaggio differente e traslucido, a sua volta spettro di quel che un tempo era stata la foresta: nella luce emessa dall'animale, tutto pareva rigoglioso, solo per poi sfumare lentamente in ciò che il bosco era in realtà.

Che stesse assistendo a una specie di ricordo imprigionato là dentro?

Il cervo finalmente si fermò e Andrew, sporgendosi, capì perché: di fronte all'animale, a terra e carponi, si trovava una figura che... Non avrebbe saputo come spiegarlo. Ogni singolo contorno di essa era nero, dove ci sarebbero dovute essere le ombreggiature invece era bianco, come un'immagine in bianco e nero in negativo. Riconobbe però lo stesso quel viso. Sembrava Alex, ma non era lui, lo sapeva. Non erano suoi quei capelli fluttuanti e neri, lunghi. Non erano suoi quegli occhi illuminati da un fiammeggiante bagliore ambrato.

Un solo nome risuonò nella mente di Andrew: Grober.

Ormai era sicuro di assistere a qualcosa che era successo molto, molto tempo addietro, qualcosa che ormai giaceva dimenticato nelle ere.

Il cervo si avvicinò di più e chinò la parte anteriore del corpo e il collo flessuoso, come a voler offrire con le corna un appiglio a Grober che sembrava sofferente e sfinito. Sembrava respirare con difficoltà, tremare come una foglia.

Per essere uno spettro, sembrava incredibilmente reale.

Lo vide scuotere la testa e ritrarsi, lacrime nere ora striavano il bel viso.

Perché piangeva? Cosa gli era successo?

Il cervo però non si diede per vinto, insisté, come a voler davvero aiutarlo. Come un vecchio e caro amico.

Grober alla fine, in apparenza, cedette e con esitazione si aggrappò alle corna dell'animale, in modo da tornare su, ma appena le dita si avvolsero attorno alle nodose e bianche estremità sul capo dell'animale, quest'ultimo parve di colpo impazzire, venir attraversato da orribili convulsioni. Eseguì uno sgraziato e agonizzante balletto sul posto, prima di cadere a terra su di un fianco, le zampe che giacevano in una posizione innaturale. Un pianto lontano, disperato, ovattato, risuonò da qualche parte. Il pianto di qualcuno che non si trovava lì in quel momento, dolore ormai antico, sepolto nell'oblio.

Era Grober a intonare quella melodia straziante, chino sulla carcassa dell'animale. Lo scuoteva invano, incapace forse di accettare che la bestia se ne fosse andata per sempre.

La cosa che davvero fece torcere lo stomaco di Andrew, fu il riconoscere il suono di tale pianto, perché aveva già sentito una voce del tutto uguale a quella spezzarsi in mille singhiozzi.

Chiuse gli occhi, incapace di ascoltare, volendo solo che finisse.

Quando riaprì le palpebre, tutto era scomparso, almeno finché, dopo chissà quanto tempo, non vide un altro spettro. Se ne stava immobile, gli dava le spalle, era lontano, immobile.

Riconobbe subito i vestiti e allora si affrettò, si affannò per raggiungere quella figura avvolta da uno spettrale bagliore biancastro.

«Alex!» esclamò, chiamandolo, ma non ottenne una risposta. Era come se Alex neanche lo avesse udito.

Andrew allora si avvicinò ancora e lo aggirò per guardarlo in volto. Si sentì male non appena vide che i vestiti erano imbrattati di sangue traslucido, sangue non reale adesso, ma che forse lo sarebbe stato presto. Qualcosa lo aveva ferito. Sembrava un nefasto, orrendo presagio.

Drew, in preda all'orrore, lo guardò impotente cadere sulle ginocchia e accasciarsi a terra, gli occhi ormai vuoti, incapaci di vedere sul serio.

Fu allora che trasalì per lo spavento quando chissà dove risuonò la sua di voce: «NO! NO!».

Si portò una mano alla gola, lo sguardo sbarrato e perso nel vuoto, in stato di shock dopo aver visto Alex, o meglio la sua ombra futura, morire davanti a lui.

Incapace di fare alcunché, di reagire, vide l'ombra opalescente di se stesso chinarsi sul corpo esanime e iridescente che giaceva a terra, stringerlo fra le braccia, disperarsi, soffocare le grida nella spalla di quello che era ormai un cadavere.

E lui sentì la propria voce urlare, piangere, come mai aveva fatto in vita sua. 

Cercò di convincersi che la foresta stava solo giocando con le sue paure più grandi e fondate, che erano solo allucinazioni, ma più continuava a fissare il capo di quell'Alex che ciondolava inanimato, più guardava quegli occhi vitrei, quella labbra dischiuse dalle quali colava ancora sangue color rubino, e più si rendeva conto che forse non era solo questione di timori irrazionali.

Sussultò di nuovo quando la scena scomparve e attorno a lui risuonò una risata gelida e in crescendo, divertita, bieca. Una voce familiare che mai aveva sentito emettere una risata del genere, del tutto estranea e sgradevole, snervante, ardente di maligna vittoria.

Sentì il sangue ribollire nelle vene e la rabbia esplodere dentro di lui come una bomba nucleare.

«BASTARDO FIGLIO DI PUTTANA!» tuonò a pieni polmoni, col fiato corto. «NON LO PRENDERAI! MI SENTI? NON LO FARAI!»

Animato da una nuova carica di energia alimentata dalla furia, proseguì, scostando rami e arbusti con violenza, spazzando via le ragnatele e qualsiasi cosa gli si parasse davanti.

Grober pensava di aver vinto, ma si sbagliava. Si sbagliava di grosso.

Non era reale, si ripeté. Non era reale, stupido! Non perdere la testa proprio ora!

Quando fu sul punto di scostare dei rami irti di spine, si bloccò e fece accostare di più la sfera di luce che aveva di nuovo evocato: vide sangue ancora fresco gocciolare da esse, e poco dopo lo riconobbe. Avvertì il richiamo che ormai aveva imparato a decifrare.

Era il sangue di Alex. 

Dev'essersi ferito, perciò è passato per di qui. Per forza!

«Sei il solito imbranato» sussurrò, la voce spezzata

La scia del sentore di sangue familiare non accennò a diminuire. Di tanto in tanto tornava a percepirla. Il sangue di vampiro tendeva a coagulare molto più lentamente a contatto con l'aria esterna, restava liquido a lungo, anche se ne ignorava i motivi.

Tra un soggiorno in prigione e casini vari non aveva avuto molto tempo per giocare al piccolo chimico.

Sapeva solo che Alex era ferito e andava ritrovato in fretta. C'era troppo sangue in giro.

Un pensiero lo fece fermare, in modo da poter riflettere meglio: e se avesse lasciato quella scia appositamente?

Però perché scappare, allora? Perché fuggire, se vuole essere ritrovato?

La risposta arrivò poco dopo: Alex non era del tutto padrone delle proprie azioni, era pilotato, ma continuava a conservare un barlume di coscienza originale ed era stata quest'ultima a suggerirgli di fare come Teseo che per ritrovare l'uscita del labirinto aveva srotolato lungo la via il filo di Arianna.

Era prigioniero di azioni che era qualcun altro a fargli fare.

Sto arrivando! Sto arrivando, Alex!

Si affrettò a continuare, senza osare ignorare la minima traccia, il più piccolo sentore di sangue nell'aria.

Camminò, ancora e ancora, ignorando la stanchezza, la voce velenosa che gli ripeteva di fermarsi.

Non poteva farlo.

Parve un viaggio infinito, finché non intravide qualcosa. Scostò gli ennesimi rami e spalancò gli occhi riconoscendo in quella sagoma riversa sul sottobosco marcescente Alex.

Con non poca ansia notò che i capelli sembravano più scuri di prima, quasi color mogano.

Però era lui. Non era uno spettro, un'allucinazione. Era davvero lui.

Si affrettò a raggiungerlo e non appena gli fu accanto si chinò e lo prese fra le braccia e fece voltare. Il cuore gli balzò in gola: proprio fra la spalla e il collo vi era un morso causato da denti acuminati e da qualcosa tutto fuorché umano.

La ferita pareva infetta, da essa si espandevano venature scure che non lasciavano presagire niente di buono.

Andrew cercò di farlo rinvenire, ma non ottenne nessuna reazione.

Alex aveva le labbra livide, prive di colore, ombre scure attorniavano gli occhi chiusi, in contrasto col pallido viso disteso.

Però era ancora vivo, lo sapeva.

Lo sistemò meglio fra le braccia e lo strinse a sé, rimettendosi su, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Un rumore simile a passi di un animale, poi... poi uno sbuffo, una ventata di aria rovente gli avvolse le spalle.

Si fece coraggio e si voltò, senza osare lasciar andare Alex. Incrociò due orbite vuote e nere di un animale che sembrava essersi ridestato dalla morte mentre stava imputridendo. In quelle orbite, però risplendeva fiamme sinistre e ambrate: Græb'senja.

Era lui, tale e quale alla raffigurazione sull'arazzo, e sembrava molto, molto arrabbiato.

Andrew lentamente adagiò l'inerme Alex a terra e gli si parò davanti. «Non so quali piani abbiate tu  e il tuo padrone» sibilò, «ma se lo vuoi, allora vieni a prendertelo, avanti!»

Un ringhio basso, orribile, provenne dalle fauci digrignanti di quell'orrendo, mostruoso cervo.

Andrew si preparò quando lo vide grattare il terreno con una zampa, emettere dalle narici scheletriche vapore infernale e incandescente. Græb'senja ruggì ferino e con le corna nodose, ricurve e appuntite caricò il vampiro. Andrew non si lasciò intimorire e al volo afferrò le estremità nere delle corna, ingaggiando una lotta mirata sia al non farsi infilzare, sia a cercare di avere la meglio su quella bestiaccia.

«Sei stato tu a morderlo, non è vero?» ringhiò Andy. «Adesso vediamo come te la cavi con un vampiro in forma smagliante!» Diede uno strattone laterale e spinse via la bestia, la quale cozzò con la schiena contro un albero, ma si rimise subito su e tornò ad attaccare, come se nulla fosse successo.

Drew in risposta decise di far ricorso alla magia: evocò una fiamma luminosa e perlacea e la scagliò contro l'avversario. Il colpo parve andare a segno, perché il cervo emise un ruggito lamentoso e spaccatimpani, scuotendo la testa, proprio dov'era stato colpito.

«Allora qualcosina la senti, eh?» lo provocò il vampiro, per poi attaccare di nuovo, ma stavolta le sue mani originarono mille sottili filamenti lucenti che serpeggiarono in direzione di Græb'senja, avvolgendosi attorno alle corna, alle zampe, al corpo della belva che ora scalciava, tentando di liberarsi da quelle catene di pura energia magica che lo imbrigliavano.

Sembrava un cavallo imbizzarrito al rodeo.

Andrew raccolse le tante sottili catenelle e le strattonò. «Ben ti sta!» Il suo lieve sorrisetto svanì quando vide il mostruoso cervo cambiare tattica e a tradimento serrare le fauci su alcune delle catene e tirare a propria volta, come a voler trarre verso di sé il vampiro. Il bieco sguardo che ardeva nelle orbite vuote non prometteva bene.

Si vide costretto a far sparire i legamenti e a liberare la bestia, ora più inferocita che mai.

Attese, vedendola caricare, e appena fu vicina si spostò all'ultimo e forse solo per via dei nervi a pezzi se ne uscì con una mezza risata vedendola con le corna ora affondate nel tronco di un grosso albero.

Sembrava davvero bloccato e Andrew scelse di approfittarne: riprese in braccio Alex e decise di darsi alla buon vecchia fuga in grande stile.

Ignorò i graffi che si procurò per via delle vegetazione irta di spine, ignorò la stanchezza. Gli importava solo di uscire al più presto da quella foresta e portare via da lì Alex, che non accennava a riprendersi e sembrava una bambola dormiente a grandezza naturale e priva di volontà.

Si fermò solo dopo un bel po', per riprendere fiato. Mentre se ne stava con la spalla appoggiata a un altro albero secolare e viscoso, intravide qualcosa al collo di Alex, fra i vestiti, e riconobbe il rosario di sua nonna, quello che Sophie gli aveva donato prima della partenza e che Andrew, infine, aveva scelto di cedere ad Alex. 

Benché intimorito, si ricordò che doveva sapere a ogni costo e allora cautamente spostò alcuni grani  dalla pelle dell'altro vampiro. Si sentì sprofondare scorgendo una specie di alone scuro, una bruciatura che corrispondeva perfettamente alla sagoma del rosario.

Thor, antica divinità norrena, era più o meno come ce lo si sarebbe potuto immaginare: alto, robusto, rudi maniere da guerriero d'altri tempi, capelli biondi e occhi di un azzurro glaciale che sconfinava in una tonalità vagamente d'acciaio.

Grober non aveva mai provato più di tanta simpatia per lui, né per le altre divinità un tempo adorate dagli umani in generale, e non aveva preso parte a quelle pagliacciate di guerre per la supremazia sul destino degli uomini e le leggi divine da quest'ultimi osservate. D'altra parte, era stato proprio lui a metterli l'uno contro l'altro, quasi sempre almeno. Era rimasto nell'ombra a osservare le loro reazioni, le loro mosse, a esaminarli uno per uno con sguardo attento e minuzioso, come uno scienziato avrebbe fatto con delle cavie, e aveva individuato i punti di forza e di debolezza di tutti quanti.

Quelli di Thor, per esempio, erano i seguenti: di certo era un eccellente guerriero, tra i più grandi mai esistiti e la sua abilità nella lotta era entrata a far parte del mito, come in effetti era stato per quell'idiota di Tredar; era forte e crudele al punto giusto, almeno da quando Grober aveva fatto in modo di muovere certe pedine per ottenere ciò che veniva chiamato Ragnarok, il famigerato Crespuscolo degli Dei, la fine di ogni cosa. Sicuramente era stata la fine dell'era di Odino, di Thor, Loki e tutti gli altri loro compari.

Quell'evento disastroso, sommato anche agli scontri con altre divinità, aveva segnato in maniera talmente permanente Thor, da minare per sempre la sua sanità mentale. Era risaputo che Thor ormai il più delle volte non sapeva più cosa faceva e questo era un danno collaterale che Grober aveva sì calcolato, ma sperato fino all'ultimo di non veder realizzarsi. Purtroppo aveva sopravvalutato quel bruto e quest'ultimo, nel presente, aveva da tempo perso perfino la capacità di usare il leggendario martello Mjöllnir, che si diceva fosse andato disperso o addirittura distrutto.

Fino ad allora, comunque, si era rivelato più o meno un bravo collega, o meglio servitore, e aveva seguito le sue direttive, anche se il pastrocchio di tre anni addietro con James Wolf e quell'imbecille di Misha avevano spinto Grober a temere, per un secondo, che tutto fosse andato a monte per via di tale svista. James sarebbe dovuto morire all'epoca, ma non era successo. Tuttavia era certo che Alice non si sarebbe tirata indietro dal toglierlo finalmente di mezzo, non quando c'era in gioco la vita di Lorenzo.

Ovviamente, per il momento quello sciocco vampiro non era in vero e proprio pericolo di vita. Gli serviva vivo, capace di piagnucolare come una scolaretta spaventata e di smuovere così le corde più delicate del cuore del suo paparino. Chiaro come il sole, Dario mai si sarebbe tirato indietro dal salvare suo figlio, anche se quest'ultimo aveva più volte tentato di ucciderlo, e per un attimo c'era persino quasi riuscito con quell'imboscata dei Ghoul.

Grober ovviamente lo voleva morto per risvegliare così Rasya. Non era un ignorante né uno stupido e aveva bisogno che Rasya, prima di ricevere la punizione esemplare che Grober da tempo anelava a impartirgli, facesse un'ultima cosa per lui. Probabilmente avrebbe dovuto forzare la mano per convincerlo, ma disponeva di abbastanza fantasia e determinazione da sapere con esattezza come e dove colpire. Persino Rasya, l'Ombra Divoratrice di Anime, aveva una parte molle in cui piantare un bel coltello e lui si sarebbe assicurato di rigirare molto, molto bene la lama nella ferita.

Una delle sue certezze, era che un po' alla volta si sarebbe disfatto di ogni singolo socio con cui aveva preso accordi in tutto quel tempo. Tra non molto avrebbero perso ogni utilità e Grober preferiva lavorare da solo e odiava condividere il potere. Non era uno stupido e si immaginava i probabili pensieri dei suoi compagni: erano tutti avidi a modo loro, desiderosi di una fetta più grande, ma non sapevano che la torta che lui aveva messo in tavola era avvelenata. Che il pezzo di dolce fosse grande o piccolo, sarebbero morti tutti avvelenati comunque, proprio come nei piani.

Quasi tutti loro lo disgustavano e sarebbe stato tutto più semplice e piacevole senza più quegli idioti a intralciarlo.

Comunque, non vedeva l'ora di riavere finalmente indietro le sue vere sembianze. Mettendo la questione su un piano puramente venale e comprensibile persino per le menti più tarde, era stanco di saltellare da un corpo all'altro come un'ape costretta a raccogliere il polline per un alveare inesistente. Era stufo di quei corpi estranei, che non sentiva veramente suoi: era come indossare abiti sempre troppo stretti e soffocanti, tanto sarebbe valso andare in giro con una camicia di forza, sarebbe stata assai più comoda di quelle spoglie da quattro soldi bucati. Tutto per colpa di suo fratello, di quel traditore di Rasya e quei due bastardi che rispondevano ai nomi di Lucifero e Gylar.

Lucifero era in assoluto il primo della sua lista. Non appena avesse ripreso possesso del suo vero corpo, sarebbe andato da lui per fare quattro chiacchiere e poco ma sicuro, a Lucifero l'incontro non  sarebbe piaciuto affatto. Troppo a lungo era rimasto impunito, libero di continuare a esistere mentre lui era alla mercé di una marea che un tempo era stato solito controllare a piacimento.

Lo chiamavano mostro, ma allora come andavano definiti coloro che avevano contribuito largamente a farlo tramutare in tale? Se certi individui cercavano dei colpevoli, non dovevano far altro che guardare quelli che invece si erano fatti passare per eroi, protettori dell'umanità, del popolo di Sverthian e del Mondo Ultraterreno.

Rilassò meglio la schiena contro il trono e fece un profondo respiro. Udendo Thor rivolgersi nuovamente a lui, però, di malavoglia riaprì le palpebre e mise da parte le sublimi visioni di lui che tornato all'antico splendore si dilettava nello squartare Lucifero come un maiale.

Squadrò con la solita alterigia la divinità norrena e vide fra le sue mani una piccola pergamena. 

«Cosa c'è scritto? Chi l'ha mandata?» chiese.

Thor si avvicinò e gliela tese. Sembrava scontento. «Alice» disse. 

Grober alzò gli occhi al cielo e lesse il contenuto del messaggio. Un istante dopo sbuffò. «Devo ammetterlo: quella ragazza ultimamente non fa che deludermi» sentenziò gelido, accartocciando la pergamena nella mano. «Certo, sospettavo che Fingal non sarebbe stato facile da convincere, ma lei non è riuscita minimamente a scalfirlo se è stata liquidata così. E va bene, allora: se a quell'Efialte piace il gioco duro, lo accontenterò. Andrò personalmente a parlargli.»

«Non ce n'è bisogno» disse Thor, accennando subito dopo alle porte che proprio in quel momento si erano spalancate. Videro quello che era senza dubbio un Efialte farsi avanti e nel frattempo gettare in avanti sul pavimento due guardie che si sbrigarono a rimettersi su e a sloggiare, seppur conciate per le feste. Era Fingal, non ci si poteva sbagliare, e a quanto pareva aveva deciso di risparmiargli la fatica di andarlo a cercare, presentandosi di persona lì.

Il suo aspetto era in poche parole tale e quale a quello di Andrew, o ancora meglio di Léonard. In quanto a carattere spinoso, somigliava molto più a quest'ultimo. Andrew, in fin dei conti, era solo un ragazzino sfacciato e doppiogiochista, uno smidollato che aveva scelto infine di schierarsi dalla parte sbagliata per via di ridicoli e inutili sentimentalismi.

Grober si alzò e scese i gradini che conducevano al trono. Si diresse verso l'Efialte che non sembrava per nulla impressionato né in soggezione: se ne stava lì, in piedi, a braccia incrociate mentre lo squadrava di rimando con gelida aria di superiorità.

«Re Fingal di Vreha, presumo» esordì Grober con un lieve sorriso. «Non sei uno che mena il can per l'aia.»

«Non sono più un re e non amo esser chiamato in quel modo» ribatté glaciale l'Efialte, quasi disgustato. «Per inciso: la prossima volta che ti permetti di spedire a casa mia una sciocca ragazzina  le cui uniche doti consistono nel saper gingillarsi un po' con la magia, per tutta risposta io ti rispedisco indietro la sua testa, se vuoi anche con qualche fiorellino velenoso annesso.»

«Attento a come ti rivolgi a lui» prese parola Thor, arcigno. «Non sei nella posizione per fare lo spaccone.»

Fingal lo guardò e inarcò un sopracciglio. «E tu chi dovresti essere?» chiese flemmatico.

«Sono Thor, dio del tuono, del fulmine e della tempesta. Figlio di Odino e...»

«Mai sentito nominare» tagliò corto l'Efialte. «E anche se fosse, i vip non mi stanno granché simpatici.»

Grober sogghignò. «Abbiamo un osso duro qui, vedo.»

«Talmente duro da poter spaccare i denti a qualsiasi cane rognoso abbia l'ardire di tentare di rosicchiarlo» lo rimbeccò Fingal con uno sgradevole e tirato sorriso. «Comunque sono venuto qui per ripeterti a voce quel che ho già detto alla squinzia albina: preferisco farmi impalare, piuttosto che farmi coinvolgere in certe puttanate.»

«Alice non ti ha detto che potresti finalmente avere la possibilità di vendicare la tua famiglia e il tuo onore perduto a seguito del Massacro di Vreha? Non vorresti riscattarti, dopo aver udito per secoli risuonare nell'Oltrespecchio le oscure e irrisorie ballate che ti dipingevano come un re crudele, arrogante, stupido e sconsiderato?»

Fingal non si scompose. «Francamente, Grober, me ne frego meno di un cazzo di ciò che la gente dice o pensa del sottoscritto. Per l'ottanta percento, in generale, la gente non è altro che un cumulo di imbecilli e io non ho mai dato retta all'opinione degli idioti. Detto ciò: ci hai già provato a reclutarmi, com'è che ora siamo di nuovo al punto di partenza? Ci tieni così tanto a esser mandato a fare in culo da me?»

Grober non subito rispose. «Non ci credo» disse poi lentamente, «che tu non conservi più la benché minima sete di rivalsa nei confronti dell'uomo, dell'usurpatore che per secoli ha regnato, incurante del dolore inflitto a te e tanti altri nella tua stessa situazione. Non vorrai forse dirmi di aver lasciato perdere e di esserti rifatto una vita! Uno come te cova rancore eccome, Leone di Vreha».

«Se anche fosse, preferisco covarlo per conto mio e lontano da gente come te. E comunque non ci tengo ad aver di nuovo a che fare con Petya.»

«Non so quali pensieri ora avrebbero tua moglie e soprattutto tuo figlio sul tuo conto, se ora fossero ancora vivi e presenti proprio in questa sala.»

Fingal di nuovo non perse quel gelido equilibrio che lo caratterizzava. «La dietrologia poco mi si addice, Grober, e non amo guardarmi indietro. I morti restano tali, perciò poco mi interessa cosa penserebbe la mia famiglia, dato che è scomparsa da tempo. Non mi interessa la vendetta, non mi restituirebbe tutto quello che persi quella maledetta notte.»
Grober sorrise appena. «E da quando sei diventato così saggio?»

«Non sono saggio, è solo che non ho voglia di immischiarmi nelle questioni politiche. Poco mi interessa chi sarà a vincere la vostra stupida guerra. Preferisco farmi gli affari miei e restare neutrale.»

«Oppure devo supporre che qualcun altro sia arrivato prima di me e sia riuscito a incantarti con chissà quali propositi di vittoria del bene sul male» buttò lì Grober, insidioso.

Fingal sorrise con apparente dolcezza, ma i suoi occhi rimasero vigili e impenetrabili, freddi e calcolatori. «Touchè. Mi hai smascherato. Non ho biscottini con me, temo!»

Thor strinse le labbra, seccato. «Insolente» sputò fuori. 

Fingal schioccò le dita e lo indicò. «Finalmente mi ricordo di aver in realtà sentito il tuo nome da qualche parte!» esclamò. «Non sei per caso il simpaticone che ha contribuito a far massacrare un sacco di miei simili in quei laboratori dell'orrore in Inghilterra, qualche anno fa?»

Thor sorrise sinistro. «Indovinato. Dunque?»

Fingal fu agile e veloce come un serpente a sonagli, approfittò dell'elemento sorpresa per avvicinarsi, rapido come un fulmine, e riversare un pugno dritto sui denti a Thor, il quale accusò il colpo eccome e si coprì la mascella, per poi sibilare un'oscena imprecazione.

L'Efialte fece un passo indietro, lo sguardo che dardeggiava in modo poco rassicurante. «Questo è quello che ti meriti, figlio di una gran troia» sibilò. «Migliaia di innocenti sterminati per colpa tua e di quest'altro bastardo!» aggiunse, accennando con un cenno sprezzante del capo a Grober. «Aiutare voi sarebbe come sputare sulla memoria dei miei simili massacrati da quegli scienziati per ordine vostro. Non mi unirò mai alla vostra causa, neanche sotto tortura!» Tornò a guardare Grober. «Cercati un altro burattino. Non intendo essere il fantoccio di nessuno, tantomeno di uno come te.»

Grober restrinse lo sguardo. «Attento a tirare la corda, Fingal.»

«Altrimenti?»

«Conosco un'infinità di maniere di rendere la tua vita un inferno. Se pensi di averlo già visto durante il massacro della tua gente a Vreha, ti sbagli di grosso, e comunque potrebbe sempre prendermi il ghiribizzo di farti rivivere tutto quanto in un vortice senza fine di orrori e sensi di colpa. Apprezzo e ammiro la tua indomita fermezza, ma a quanto pare non hai ancora imparato a moderarti e questo potrebbe giocare molto a tuo sfavore, specialmente con me.»

«Ragione in più per non darti confidenza né cedere alle tue lusinghe.»

«Io sto cercando di riportare la giustizia dove per secoli si sono perpetrate solo ingiustizie. Pensavo che almeno uno come te avrebbe capito.»

«Ho capito più cose di quanto pensi, Grober» replicò austero il non più sovrano. «Ho capito e sono solo disgustato da tutto quanto. Fra i due mali che mi sono stati posti di fronte, preferisco scegliere quello minore. Se prendere le parti di Petya porterà come risultato il non assistere più a certi scempi dei miei simili, ben venga allora. Di buon grado sopporterò la sua vista.»

Grober inaspettatamente sorrise in maniera enigmatica. «E va bene. Sei libero di andare e unirti a loro, se lo desideri. Vorrei, però, che porgessi i miei più sinceri e calorosi saluti a Dante e a Godric. Suppongo che Petya ti abbia detto che anche loro sono stati reclutati.»

«Lo ha accennato e no, non porgerò a nessuno i tuoi rispetti. Non sono un piccione viaggiatore, nel caso ti fosse sfuggito.»

«Sarà interessante vedere un lupo solitario come te cooperare come un bravo cagnolino con quei bastardini tremolanti della Resistenza» cinguettò Grober per tutta risposta. «Il re caduto di Vreha che finalmente abbassa la testa e si mette a disposizione del suo acerrimo nemico! Chi mai l'avrebbe detto!»

«Con me non attacca la psicologia inversa.»

«Io ho solo esposto le cose per ciò che sono, Fingal. Con me saresti stato un uomo libero, affrancato dalla schiavitù cui sicuramente ti sottoporrà Petya, ma evidentemente preferisci strisciare, piuttosto che restare saldo sulle tue gambe e finalmente porre fine alla tirannia di quell'uomo responsabile della morte della povera Varda e del tuo unico erede che all'epoca aveva solo sedici anni. Povero, sfortunato Edan! Non so se ti vedrebbe ancora come un modello da seguire, sai?»

«Non lo sono mai stato, se proprio devo essere onesto» replicò senza tanti fronzoli l'Efialte con un altro sorriso tanto lieve quanto sgradevole. «È inutile che tenti di fare pressione sui fantasmi del mio passato, Grober. Non sono come Godric o Dante, incapace di lasciarmi tutto alle spalle e di continuare a vivere. Aver visto in faccia la morte, tutto ciò che amo ridursi in cenere, mi ha solo fatto capire che proseguire con la mia esistenza avrebbe impedito a chiunque di dimenticare il popolo di Vreha e farlo sprofondare nell'oblio della leggenda e delle storie dell'orrore. Mi sono adattato, in qualche maniera vado avanti. Quale giovamento potrebbe mai portarmi la vendetta? Tu saresti capace di riportare indietro Varda ed Edan? Perdona lo scetticismo, ma non sono mai stato bravo a bermi le stronzate e le vane promesse quando qualcuno ha cercato, e ancora cerca, di propinarmele.»

Thor perse infine la pazienza: «Dunque scegli la morte, come tutti gli altri?» ringhiò.

Gli occhi di Fingal scintillarono, le sue labbra si curvarono in un mezzo sorriso molto enigmatico. «Sei talmente stupido, Thor, da farmi quasi pena.» Non gli sfuggì l'impercettibile cambio di espressione di Grober e i suoi occhi, di nuovo, ebbero un luccichio divertito e in un certo senso sinistro. «Alla fine di tutto quanto sarete voi a perdere, non io, né Petya o chiunque altro. State sfidando leggi che non comprendete fino in fondo, il volere di qualcosa che va ben oltre quello di qualsiasi divinità pestifera e da quattro soldi impegnata nel fare baccano e strepitare come un ragazzino capriccioso. Fossi in te, Thor, non mi farei però troppe illusioni: è risaputo che Grober lavora da solo e tiene solo e unicamente a se stesso. Da quelli come lui è meglio guardarsi le spalle anche quando si è alleati, anziché nemici.»

«Gli Efialti e la loro irriducibile abitudine di parlare a sproposito!» commentò Grober, i cui occhi scintillavano come quelli di Fingal, ma per l'evidente e trattenuta rabbia. «Rechi onore alla tua razza, Fingal, te lo concedo: orgoglioso, testardo e cieco fino all'ultimo.»

«Io ci vedo piuttosto bene» sogghignò Fingal. «Sicuramente più del tuo sgradevole e rude compare.» Non era un caso che avesse scelto proprio quel termine: aveva messo in chiaro cosa pensava di Grober, lo aveva piazzato allo stesso livello di Thor e lo disprezzava in modo altrettanto palese e sfacciato. «E perché tu lo sappia, gli Efialti hanno anche tante altre qualità migliori di quelle che hai evidenziato. Tant'è vero che neanche ti sei accorto dell'inganno ordito da Misha se non quando ormai i giochi si erano conclusi, tra l'altro con un notevole vantaggio per la Resistenza. Quel briccone te l'ha fatta sotto il naso e ci sei arrivato solo quando era ormai tardi. Stai decisamente perdendo colpi! E guarda che faccia!»

In effetti l'espressione di Grober era davvero iconica, per quanto riuscisse ancora a mascherare il disappunto e l'indignazione. Fingal, però, era stato per buona parte della propria vita una persona abituata a celare il reale stato d'animo e i pensieri riguardo al prossimo. Se c'era una cosa che un re doveva imparare ancor prima di salire al trono, era di non dire quasi mai la verità, perché in fin dei conti quella non piaceva a nessuno.
Era stato per molto tempo definito uno dei sovrani più cocciuti e superficiali che l'Oltrespecchio avesse mai avuto il dispiacere di generare e ospitare, ma non si era mai fatto scalfire da simili opinioni. Sapeva bene che se molto tempo addietro avesse dato ascolto agli emissari che un giorno si erano recati da lui per metterlo in guardia da Petya e convincerlo addirittura a scegliere tra l'arrendersi pacificamente e senza opporre resistenza, e il lottare al fianco dei ribelli, la sua gente lo avrebbe solo fatto letteralmente a pezzi e ritenuto un re debole e poco affidabile.
Non si era potuto permettere di fare una simile figura meschina in un periodo turbolento come quello, e comunque – per quanto fosse stato doloroso perdere Varda ed Edan – si era sempre rincuorato nel sapere che una delle sue ultime disposizioni fosse stata rispettata: aveva ordinato a una scorta di soldati a lui davvero fedeli e con una preparazione militare eccellente di condurre via da Vreha le donne, i bambini e i ragazzi troppo giovani per combattere. Purtroppo non si era riusciti a salvarli tutti quanti, complice la confusione dell'ultima notte di assedio, quando le mura avevano ceduto e i soldati nemici avevano penetrato le difese della città, ma lui aveva fatto del suo meglio per proteggere più innocenti possibili.
Edan era morto perché Fingal solo troppo tardi si era accorto di non averlo visto andare via con gli altri. Quando era corso dentro il castello, suo figlio era già stato trucidato come tutti gli altri, civili e non.
Per quel che riguardava i famosi neonati scagliati giù dalle torri più alte, quella era una semplice menzogna. Non era accaduto niente del genere, era una stupidaggine aggiunta dagli storici e i bardi per rendere il Massacro di Vreha ancora più cruento e sanguinario. Se dei bambini erano morti, era stato a causa degli incendi, dei soldati che entrando nelle case dei cittadini avevano deciso di far scempio di intere famiglie.

Petya aveva distrutto ogni cosa, lo aveva reso l'ultimo membro vivente di una famiglia un tempo fra le più potenti, temute e ormai estinte, ma Fingal aveva anche tratto una dura lezione dalla caduta di Vreha: a dare ascolto anche ai consigli che gli altri gli rivolgevano, a fregarsene dell'opinione pubblica e, soprattutto, a non inchinarsi davanti al male né di fronte ai prepotenti, e Grober era un prepotente che seminava morte e terrore ovunque andasse.
Se proprio un giorno gli fosse venuto il ghiribizzo di farsi giustizia, lo avrebbe fatto da solo, senza stare al servizio di nessuno, perché le briglie erano fatte per i ronzini, non per i leoni.

Vide Grober avvicinarsi di qualche altro passo. «Al tuo posto, Fingal, eviterei di prendere Misha come un esempio da seguire. Non ha ottenuto altro se non riti funebri ridotti all'osso e consumatisi in silenzio sommati a una fama da traditore e da vile fuggiasco. Questo è ciò che ha la Resistenza da offrire a chi accetta di servirla.»

«Servirla?» lo schernì Fingal, quasi imitandolo. «È qui che ti sbagli, Grober: io ho solo detto che avrei offerto a tutti loro il mio appoggio. Sono due cose ben diverse, ma dubito che uno come te possa afferrare la differenza. Nel tuo mondo esistono solo schiavi e persone da usare come oggetti per conseguire un fine che ritieni più alto, per ciò che hai il coraggio e la sfacciataggine di definire 'bene superiore'. Se dunque la lotta è fra il 'male minore' e il 'bene superiore', date le circostanze preferisco appoggiare il primo.» Si avvicinò a sua volta. «Detto fra noi: me ne infischio se sei un dio. Ciò non mi impedirà in alcun modo di prenderti a calci nel culo, Grober. L'hai fatta sporca una volta di troppo alla mia gente e a nome di tutti gli Efialti seviziati e massacrati i Inghilterra quasi quattro anni or sono, ti assicuro che ti pentirai amaramente di averci provocati. Non avremo pace finché non ti avremo rispedito dal luogo dal quale provieni. Non sei il benvenuto nell'Oltrespecchio, Grober, e non ti consideriamo uno di noi.»

«Buono a sapersi» si limitò a replicare stringato l'altro. «È proprio per questo che vi sterminerò tutti, dal primo all'ultimo: siete solo degli ingrati, non meritate la vita che vi è stata donata, il respiro che qualcun altro all'alba dei tempi mise nei vostri polmoni. Si vede che gli Efialti sono semplicemente un ammasso di scarti che Sverthian ha voluto lasciarsi alle spalle.»

Fingal sorrise con aria di scherno. «Sì, ho presente la situazione. Fu mio padre a raccontarmi qualcosa a riguardo, prima che salissi al trono. Dico solo di essere contento di avere un antenato come Gylar, il mortale che riuscì a farti la festa. Vado fiero del sangue che mi scorre nelle vene, Grober.»

«Quando sarai a un passo dalla morte, vedremo se sarai ancora così fiero di essere un suo discendente» replicò gelido Grober. «È chiaro che non ti è stato raccontato tutto quanto, ma non sarò di certo io a dissipare la santità del ricordo di quel traditore di Gylar.»

«L'unico sbaglio che lui e gli altri fecero all'epoca, fu di non accertarsi che tu fossi veramente diventato parte del passato e morto per sempre.»

«Non abbiamo più niente da dirci. Ti consiglio di andare, prima che cambi idea e decida di farti sbattere nelle segrete per insegnarti a rispettare chi è superiore a te. Ci rivedremo quando l'inferno sarà sceso su tutti quanti voi.»

Fingal sogghignò. «L'importante è crederci. Addio.» Non aggiunse altro e lasciò la sala, seguito dallo sguardo ardente d'ira di Grober e quello confuso, ma altrettanto furioso, di Thor. Quest'ultimo guardò l'altra divinità. «Cos'era quella storia dell'essere cieco? Cos'è che non riesco a vedere?»
«Chiudi il becco» sibilò a denti stretti Grober, fulminandolo con un'occhiata che gli suggeriva di non seccarlo oltre.

La sola cosa positiva era che mentre se ne stava lì ad aspettare con sempre più impazienza, Alex si stava intanto avvicinando sempre più al traguardo. Mentre lui, Grober, diventava sempre più forte, Alex si indeboliva, lentamente scivolava di nuovo e per sempre fra le gelide braccia della morte. L'unico aspetto divertente della faccenda era che quell'idiota di Andrew fosse convinto di poter trovare una soluzione, un modo per scongiurare l'inevitabile. Si affannava alla ricerca di una cura per un male di per sé incurabile. Se questo non era divertente, allora cos'altro sarebbe potuto esserlo?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top