Capitolo XXIX. Fragile


Musica consigliata: "A Nostalgic Dream" di Peter Gundry.

https://youtu.be/DLWqxqMYlXE

«Toglimi una curiosità, Godric...» Jake si fece da parte quando l'Efialte gli disse di lasciare a lui il resto del lavoro per curare al meglio Cornelius. «Perché mai, conoscendo i tuoi burrascosi trascorsi con Cornelius, ora ti stai comunque dando da fare per guarirlo? Sai che cosa ha detto di te, davanti a non so quante persone, stamattina?»

Quando Cornelius era stato trovato mezzo spiaccicato nel cortile, defenestrato dal ben poco paziente Dante, Petya era corso subito a cercare il fratello e Godric, sapendo che erano fra i migliori nel campo di ferite e quant'altro.

Certo, Godric non si sentiva granché bene, motivo per cui non aveva presenziato alla riunione, ma aveva ripreso il vecchio e stupido vizio di non saper dire di no a chi veniva in cerca del suo aiuto, anche quando si trattava di gente che meritava tutto, tranne il dono prezioso di una vita longeva. 

Fra lui e Cornelius vi era una rivalità che trovava le proprie origini da molto prima che Petya giungesse a rivoluzionare tutto quanto. Non si erano mai piaciuti, specie perché Godric all'epoca era di mentalità decisamente più aperta e fuori dagli schemi, in contrasto con il rigido carattere da conservatore di Cornelius.

Eppure la ruota girava e non si fermava mai, e ora ecco che era quel serpente a sonagli ad aver bisogno del suo aiuto.

Malediva Dante e solo per non esser riuscito ad ammazzarlo decentemente. Gli avrebbe evitato quell'ennesima umiliazione cui doveva sottostare in nome del giuramento fatto quando aveva terminato l'apprendistato come Guaritore.

Il giuramento imponeva a quelli come lui di curare chiunque in qualsiasi situazione. Non poteva essere di parte quando si trattava di lavoro.

Finì di tracciare i glifi benefici sulla pelle di Cornelius, tracciati con una mistura ben precisa e dosata di erbe mediche e unguento di Acqua Nera, ricavato dai Fiori del Buio. Quei fiori, di solito, erano usati anche per un estratto omonimo che fungeva sia da sonnifero che da veleno, se utilizzato in dosi che superavano al massimo cinque o dieci gocce. Era molto potente, uccideva con rapidità mostruosa e per tale ragione c'era bisogno spesso di un permesso e una qualifica per farne uso. Lui non aveva quel problema, però, dato che sapeva cavarsela in quanto a pozioni, estratti e tanto altro ancora. Senza contare che a casa propria aveva un'intera parte di una serra dedicata solo ed esclusivamente ai Fiori del Buio. 

«Perché ho prestato giuramento. Quelli come me e quelli come te si somigliano, per certi versi» rispose. «L'unica differenza fra voi medici e noi Guaritori, Jake, è che noi facciamo uso della magia e di segreti antichi per ottenere risultati di maggior rilievo rispetto a quelli ottenuti con semplici medicinali e tecniche spaventosamente arcaiche.» Nel parlare non si disturbò a celare il tono di voce altero e glaciale. Jake ormai ci aveva fatto il callo, anche se certe volte dava non poco fastidio. «Noi umani facciamo quello che possiamo servendoci del limitato intelletto che ci è stato concesso. Se la vita ti dà limoni, tu facci la spremuta» commentò.

Godric si fermò e lo guardò, sorridendo in maniera palesemente finta. «Nel tuo caso, Jasha, farei volentieri la spremuta con qualcos'altro, ma da ciò che so sul tuo conto dubito che otterrei alcunché, o sbaglio?»

«La presenza di Vera mi sembra smentisca la tua perfida osservazione e credimi, Godric: anche quando ero sterile ho più volte mostrato di avere un bel paio di coglioni. Perdona il francesismo, ma sto avendo, ultimamente, delle bruttissime giornate.»

«Sì, purtroppo Petya mi ha detto di come sia riuscito, anni fa, a risolvere finalmente il tuo antico problema di sterilità» ammise caustico l'altro, tornando a controllare i glifi con attenzione per assicurarsi di non aver sbagliato l'ordine e di averli tracciati in modo nitido e corretto. 

Jake alzò gli occhi al cielo. «Sai cosa? Mi fa sbellicare dalle risate che proprio tu sia un Guaritore. Mi risulta che tu abbia ucciso e fatto la festa a un bel po' di gente in passato, eppure allo stesso tempo curi il prossimo.» Non ci teneva a farsi strapazzare così da lui. Nossignore.

Godric rise, e la sua risata fu tra le più amare e prive d'ilarità che avessero mai lasciato le sue labbra. «Senti un po' da chi viene la predica! Siamo in due a indossare la conveniente maschera dell'ipocrisia, allora! O di nuovo sono in errore?» disse poi, più gelido e scostante che mai. Jake ammutolì. «Ecco, appunto.» L'Efialte, mormorando fra sé un irripetibile insulto nella propria lingua, si decise a proseguire con il lavoro che gli avevano affibbiato. 

«Ti ho già spiegato fino alla nausea che non avevo scelta. Ti ho già detto che l'ho fatto per mio fratello. Tu avresti fatto la stessa cosa, se al posto di Petya ci fosse stato Iago.»

Godric, il quale si stava asciugando le mani dopo essersele sciacquate in una bacinella, scaraventò con aria seccata il panno sul mobile lì accanto e si voltò per fronteggiare di nuovo il dottore. «Come dici, prego?» sibilò. «Ripeti un po' quel cazzo che hai detto! Forza!» 

«Hai sentito benissimo!»

«Ed è qui che ti sbagli! Io non avrei mai ucciso un innocente solo per salvare una persona che avevo a cuore! Mai! E sai perché? Perché va contro i miei principi! Hai capito molto bene: ne ho qualcuno anch'io, e li ho sempre, sempre rispettati!» Si avvicinò di più. «Se mi insulti un'altra volta, giuro su quel che ti pare che sarai il prossimo a trovarti su quel maledetto tavolo operatorio» ringhiò, accennando a dove si trovava al momento Cornelius. «Nel tuo caso, però, ho il piacere di dirti che si tratterebbe di una vivisezione in grande stile.»

Jake deglutì appena, ma non osò arretrare né mostrarsi teso. «Ricorda i tuoi principi, Godric. Non vorrai contraddirti da solo proprio ora, vero?»

Godric sorrise, sinistro. «Ma tu non sei un innocente, giusto? Non andrei contro nessun principio, a ragion di logica.» Accennò con lo sguardo alle porte alle spalle di Andersen. «E ora fammi il porco piacere di toglierti dal cazzo, se non ti è di troppo disturbo.»

Jake sorrise di sbieco, ma i suoi occhi mandavano faville. «Jawohl, Herr Doktor!» lo rimbeccò sarcastico, dando prova di una pronuncia tedesca impeccabile.

«Non sono un nazista, sottospecie di carogna. Se proprio ti interessa, sono un anarchico convinto e per giunta, nonché per tua sfortuna, un Efialte. Fuori dalla mia vista, prima che decida di arrabbiarmi sul serio.»

«Se sei un anarchico, mi chiedo cosa tu ci faccia qui.»

«A non fare un cazzo di niente da mattina a sera, esattamente come te.» Godric indicò di nuovo le porte. «E prima che tu vada, ricorda una cosa: Petya è tuo fratello, ma Iago è mio figlio e un figlio, per un padre, si trova sopra ogni altra cosa. Ficcatelo bene in testa. Non dimenticherò, e non ti perdonerò, mai. Mai
Avendone abbastanza di star a parlare con quello là, si decise a ignorarlo e a proseguire con le cure di Cornelius. Mentre lo sentiva uscire, si prese un momento per ritrovare la calma, ma era difficile. Gli tremavano le mani dalla rabbia e doveva farle restare ferme, altrimenti avrebbe combinato un casino e poi chi l'avrebbe sentito Petya?

Fece un lungo, lungo respiro. Quando fu sicuro di aver ripreso il controllo, allungò il braccio verso l'artiglieria, come gli piaceva definirla, e rigirò con destrezza fra le mani uno strumento che somigliava a un parente molto stretto del bisturi. Lo tenne all'altezza degli occhi, di fronte a sé e ben diritto, poi vi sovrappose con fermezza il palmo della mano libera e sussurrò una formula. Non avvenne niente, e non ne rimase stupito. Sospirò e di nuovo recitò le parole nella lingua antica. Per brevi, fugaci secondi, lo strumento emise qualche debole scintilla di luce color malva sbiadito. Ritentò e finalmente il bagliore si rivelò omogeneo e splendente, infine svanì, come risucchiato dal bisturi.
Godric si asciugò la fronte con il dorso della mano e passò alla fase successiva: seguendo la forma dei glifi che parevano rune decisamente più bizzarre e complesse di quelle umane,  incise la pelle di Cornelius, fin dove arrivavano i simboli, all'incirca su tutto il corpo. Più di una volta fu costretto a fare una breve sosta per via del tremore che era tornato per motivi diversi dalla rabbia.

Come ebbe finito, mise via lo strumento e ne prese altri due coi quali cercò accuratamente di allargare un minimo le incisioni, in modo che la magia potesse filtrare al loro interno alla perfezione.

Mise via dunque anche quei strumenti e cercò di concentrare più energia magica che poteva pur di non dover riprovare per tre volte lo stesso incantesimo. Non appena si sentì pronto, avvicinò le mani l'una all'altra e pronunciò una formula composta da un'unica parola. Poco dopo ecco che dalla punta delle sue dita sorsero tanti sottili filamenti di luce color malva i quali, poi, serpeggiarono rapidi dentro le incisioni.

Godric, non dovendo far altro per il momento, si appoggiò su un lato del tavolo operatorio e cercò di riprender fiato, come se fino ad allora avesse continuato imperterrito a gridare a squarciagola.

Intanto i filamenti, simili a resistenti fili di ragnatela, riusciva quasi a vederli mentre scorrevano ovunque e si avvolgevano attorno alle ossa spezzate o incrinate, ora guarendole, ora raddrizzandole e saldandole; le fratture esposte, con secchi schiocchi, vennero riparate; gli organi che erano rimasti compromessi furono rammendati, per così dire, e tornarono a funzionare perfettamente. 

Il cranio, le cui ossa si erano pericolosamente incrinate, quasi rotte, si rinsaldò per ultimo.

«È fatta» esalò Godric. 

Gli tornò in mente quando, una volta, il suo figlio maggiore e Iago lo avevano pregato entrambi di portarli con sé, perché erano curiosi di vedere come lavorava un Guaritore. Suo figlio, in particolare, aveva espresso sin da bambino, proprio come la sorella più piccola, di voler fare il suo stesso mestiere.

Nella sua memoria gli sguardi attenti e quasi famelici di entrambi i ragazzini erano ancora ben impressi. Lo aveva fatto sorridere vederli così assetati di conoscenza e ansiosi di scoprire i suoi segreti.

Certo, sorrideva per quel ricordo, ma gli tornava anche l'amarezza con cui ormai conviveva da secoli, perché tutte le sue conoscenze, ciò che aveva imparato in tanti anni, la sapienza antica di una volta che ormai era qualcosa di raro e prezioso custodito da pochi, sarebbero andati perduti con la sua morte.

Non aveva mai lasciato per iscritto alcunché, credendo all'illusione che sarebbe vissuto ancora a lungo, quanto bastava a vedere i suoi figli diventare adulti e soprattutto eredi di una disciplina complessa e immensamente utile.

Parlava facile chi gli aveva detto in passato di rifarsi una vita, di risposarsi, riavvolgere tutto fino al punto di partenza. Per quelli della sua specie non era semplice trovare l'amore, quello vero, il più puro di tutti. Lo aveva trovato una sola volta con Ravya, sua moglie, che aveva sposato per amore e non per interesse. Cosa poteva saperne che poi l'avrebbe persa per sempre? Come poteva immaginare il futuro fatto di angoscia, solitudine e vergogna che alla fine lo aveva raggiunto e risucchiato in quell'incubo da cui non gli era mai stato concesso di risvegliarsi?

Era stato sciocco e ottimista, aveva creduto fino all'ultimo alla menzogna di una longeva e autentica felicità.

Spostò lo sguardo verso un punto imprecisato della stanza sotterranea, cercando di ignorare quella nuova sensazione che aveva il sapore insopportabile della solitudine.

Non aveva mai voluto pensare alla verità, a quanto fosse a tutti gli effetti solo, ma ora eccolo lì, a guardare la sommità di quella clessidra chiamata vita svuotarsi, granello dopo granello.

Era così, dunque, che ci si sentiva a essere soli poco prima della fine? Si sentivano così quelli che capivano che non ci sarebbe stato nessuno a tener loro la mano di fronte all'oscura ombra della morte che si avvicinava?

Si provava questo al pensiero che non ci sarebbe stato nessuno a piangere per una persona, a ricordarla?

Aveva Violet, certo, ma lei era piccola, non avrebbe conservato di lui alcun ricordo. E comunque quale figlia avrebbe voluto ricordare un padre il cui nome, nell'Oltrespecchio, era seguito da sputi e scongiuri, o insulti? Quale figlia avrebbe voluto essere la prole di un fallito?
C'era Iago, ancora, e c'era Desya, ma uno dei due era lontano, chissà se sarebbe tornato in tempo, e l'altro era troppo impegnato per poterlo tediare con una cosa del genere. In fin dei conti le persone, ormai, morivano all'ordine del giorno, in massa. Quale differenza avrebbe fatto lui? Sarebbe stato uno dei tanti nomi da spuntare, nient'altro che quello.

Era solo, come mai si era sentito prima, e non c'era niente che potesse fare per cambiarlo.

Il suo tempo era scaduto.

Cristo, avrei proprio voglia di prendermi una sbornia, pensò, passandosi una mano sul volto segnato dalla mancanza di riposo e di appetito. Poteva solo berci su e continuare a fare la parte dell'odioso finché ne avrebbe avuto la forza. Non c'era altro da fare.

Si riscosse notando che Cornelius si era mosso. Stava aprendo gli occhi. 

«Certo che per esser caduto dall'altezza di almeno cento piani, sprizzi vita che è una bellezza» borbottò fra sé, inarcando un sopracciglio. Credeva ci avrebbe messo di più per riprendersi. Incrociò le braccia e attese, l'aria tornata impassibile come al solito. «Riesci a sentirmi?»

Gli occhi chiari di Cornelius si aprirono del tutto e vagarono finché non si posarono sul Guaritore. 

Avevano... qualcosa di diverso. Non nell'aspetto, ma nell'espressione.

«Chi sei?»

Godric sbatté le palpebre. «Stai dando palesi segni di rincretinimento, Cornelius?»

«Cosa?» esalò l'altro Efialte, mentre tentava di tirarsi un po' su. 

Il Guaritore trattenne una bestemmia. «Porca di quella puttana, Cornelius, non cominciare a fare di nuovo lo stronzo dopo esserti ripreso da appena tre secondi!» sibilò, perdendo la pazienza.

«I-Io non... Mi chiamo Cornelius?»

«Ma che fai? Prendi in giro?»

L'espressione confusa di Cornelius, però, parlava da sola: non ricordava più chi era. Aveva perso la memoria.

«Porca miseria» mormorò Godric, ravviandosi i capelli nervosamente. Prese a camminare per la sala e alla fine mollò un calcio al muro. «Cazzo!»

Un conto era curare delle ferite, ossa rotte, qualsiasi cosa, un altro era far riacquistare i ricordi a una mente che era stata offuscata un trauma bello grosso. Che diamine, Cornelius era precipitato dalla finestra di un castello, non da un paio di scalini!

Trattenne un'altra bestemmia, l'ennesima quel giorno, e tornò da Cornelius, il quale si era nel frattempo alzato e stava in piedi, sorreggendosi al tavolo operatorio di pesante metallo.

Il punto era che non aveva addosso praticamente niente. Nudo come un verme.

Godric alzò gli occhi al cielo e li piantò altrove. «Per piacere» disse a denti stretti, «copriti almeno il batacchio! Sono già tormentato da abbastanza incubi!»

Recuperò gli abiti dell'Efialte che, per quanto rovinati, erano sempre meglio di niente. Glieli lanciò in faccia. «Forza, mettili. Svelto!» Gli batté le mani in faccia per spronarlo.

Sbuffò come una locomotiva e attese che si fosse rivestito, poi lo acciuffò per un braccio e lo trascinò letteralmente fuori. «Dovrebbero pagarmi, con tutte le puttanate che sono costretto a sopportare qua dentro!» borbottò furioso. Quanto doveva sembrare idiota ad andare in giro con un rincretinito alto il doppio di lui che aveva perso la memoria?

Tornarono al piano superiore. Le vetrate erano imbevute della luce opaca, di un orribile, sbiadito arancione, del tramonto. Condusse Cornelius fino alla sala del trono e senza neppure bussare entrò spalancando le porte. Se lo portò dietro e solo alla fine capì di essere capitato nel momento sbagliato, a giudicare dalle facce di Skyler, Petya e Samantha.

Schiarì la voce e spinse avanti l'altro Efialte. Accennò a lui e bofonchiò: «L'ho rimesso in sesto, però ha perso la memoria. C'era da aspettarselo, considerando il volo d'angelo che ha fatto stamattina».

«Che cosa?» Petya li raggiunse. «Adesso anche lui è fuori uso?»

«In poche parole: sì.»

«Maledizione, Godric!» sbottò esasperato il re. «Lo abbiamo affidato alle tue cure perché speravamo non ci fossero ripercussioni di alcuna sorta! Sei un impiastro!»
Samantha si permise di intervenire. «Petya, non credo sia stata colpa sua. In fin dei conti è guarito, almeno, giusto?» Era chiaro che ad averla spronata a prender parola fosse stata l'espressione di Godric. «Dico bene?» incalzò, rivolgendosi a quest'ultimo.

«Oh, no, cara» replicò gelido lui. «Ha ragione Petya: sono un impiastro. Perciò, dato che sono tale, invito calorosamente Sua Maestà di cercarsi un nuovo Guaritore e membro del vostro specialissimo club dei suicidi a tempo perso. Andatevene a fanculo.»

Gli Imperatori si scambiarono un'occhiata spiazzata, poi scoccarono uno sguardo furente al sovrano dell'Oltrespecchio, il quale sospirò. «V-Va bene, Godric. Scusa. Non... Non volevo prendermela con te. Sono... Sono arrabbiato per altri motivi, tutto qui.»

«Chi diavolo se ne frega delle tue personali paturnie» sputò fuori l'altro. «Non sono il tuo galoppino, o il tuo cagnolino fedele! Eccolo tutto il rispetto che hai per i tuoi alleati! Per una persona di cui avresti sentito la mancanza, se ricordo bene! E pensare che ti ho persino dato in custodia mia figlia! A questo punto, preferisco spedirla in orfanotrofio!»

Skyler si accigliò. «Come, scusa? Perché gli avresti ceduto la custodia di Violet?»

Godric raggelò e capì di aver parlato decisamente a sproposito di fronte a troppe persone. 

Porca miseria, pensò, sudando freddo. «L'ho detto?» tentò di dissimulare. 

Petya venne in suo soccorso e agitò le mani a mezz'aria. «Lo ha fatto, è vero, ma solo per precauzione! Sapete, con la guerra in arrivo e tutto il resto, non si sa mai!»

«Sì, ecco» rincarò la dose Godric, cercando di suonare convincente.

«Chi è Violet?» chiese Cornelius.

«Sta' zitto, Coso!»
Samantha ne aveva abbastanza: si avvicinò ai due e li guardò a turno con aria seria, le braccia incrociate sotto il seno e gli occhi scuri che scintillavano di sospetto. «Voi due ci state nascondendo qualcosa, dico bene?»

Petya, sapendo che Godric, in caso fosse venuta fuori la storia della maledizione, non l'avrebbe mai perdonato e l'avrebbe usato come bersaglio per il lancio dei coltelli, sbuffò e disse la prima cosa che gli era venuta in mente, nonché la più plausibile, considerando le circostanze. Guardò l'altro. «Glielo dico io, va bene?»

Godric dovette travisare le sue intenzioni, perché fece per protestare, ma il re, senza farsi vedere, gli strinse forte un braccio. «Ti vergogni. E ti pareva!» Esitò. «Io... Io e lui stiamo insieme, va bene? È per questo che mi ha designato come tutore di Violet. Tutore, secondo genitore, o quello che sia. Ecco tutto. Non c'è altro, davvero.»

«COSA DIAVOLACCIO STAI...» 

«Andiamo, Godric, smettila di fare il duro. Prima o poi l'avrebbero scoperto!»

Godric era allibito e sì, si sentiva anche insultato, però una bugia era molto meglio della verità. Si sforzò e strinse una mano al re, nel farlo però si curò di stritolargliela ben bene. Sfoggiò un sorriso naturale, ma avrebbe solo voluto ridere pur di non piangere o esplodere dalla rabbia. «Va bene, lo ammetto: io e questo cretino stiamo insieme.»
Se mi vedesse mia moglie...!

Per la prima volta si ritrovò a esser grato della propria vedovanza. 

Samantha e Skyler non erano granché convinti e si scambiarono uno sguardo perplesso.

«Uhm...» Langford schiarì la voce. «Capisco. Credo.»

Godric si irrigidì come un manico di scopa quando Petya gli cinse i fianchi con il braccio.

Samantha li squadrò ancora. «Chi disprezza compra, a quanto pare» sentenziò, ma era chiaro che non se l'era bevuta fino in fondo. Tossicchiò. «Bene! In tal caso, Petya, parlerai tu a Godric degli ultimi sviluppi qui a palazzo. In fin dei conti, se siete intimi, sarà bene fargli presente tutto quanto. Giusto?»

Petya sorrise. «Ovviamente.»

Godric si sarebbe solo voluto sotterrare. «Quali sviluppi?» chiese.

«Te lo spiegherà lui» ribatté Samantha. «Ora, per favore, lasciateci. Dobbiamo discutere anche noi ed è necessario farlo in privato.»

Non se lo fecero ripetere due volte: Petya uscì, portandosi dietro Godric e sì, anche Cornelius.

Appena ebbero svoltato l'angolo del corridoio, il Guaritore si fermò, lo agguantò e gli mollò un pugno dritto in faccia. «Se provi a toccarmi un'altra volta, Petya, ti scortico vivo!»

Il re accusò il colpo e si massaggiò il punto colpito. «Avresti preferito dirgli la verità, sentiamo?»

«Potevi inventarti qualcos'altro!»

«E cosa? Qui le opzioni erano due, Godric: o tu stavi morendo, come in realtà è, oppure questo! Scusa se ho dovuto fare in fretta e furia, e non ho potuto pensare ai dettagli! E per la cronaca: preferirei toccare in quel modo uno scorpione gigante! Dovevo convincerli in qualche maniera! Hai visto la faccia di Samantha?»

Godric era tentato di tornare indietro e di spiattellare la verità a quei due, ma poi cosa sarebbe successo? Morire da soli era uno schifo, ma essere compatiti era ancora peggio. Rabbrividiva al solo pensiero.

Ma perché sempre a me?

«Perciò, adesso, dovrò sbaciucchiarti in pubblico? Perché te lo dico, Petya: potrei vomitare sulle tue scarpe Prada preferite!» Non voleva neanche pensarci. Puah!

Petya roteò gli occhi. «Non devi fare niente di simile. Al massimo possiamo aspettare un po' e poi inventarci che ci siamo lasciati! Toh! Così saremo tutti contenti!»

«Va bene. Questo mi sembra già più ragionevole» sentenziò l'altro, arricciando il naso. «Raccontare simili frottole alla tua età!»

«Senti, tu: non ricominciare, per piacere! E comunque mi hai dato corda, o sbaglio?»

«Se ti avessi sbugiardato, adesso sarei in casini ancora peggiori di questo!»

«E allora zitto e non scocciare, per Dio!»

Si accorsero solo allora che una domestica si era fermata a fissarli con aria stralunata, vedendoli berciare a quel modo. Godric, per liberarsi almeno di uno dei tanti impicci, la raggiunse. «Senti, fammi un favore.» Fece cenno a Cornelius di avvicinarsi. «Lui... uhm... ora come ora non è molto in sé. Sai, no, stamattina ha fatto un volo fuori dalla finestra...! Perciò ti chiedo di condurlo nella sua stanza e tenerlo d'occhio.»

«M-Ma io...»

L'Efialte sbuffò come una locomotiva ed estrasse un sacchetto tintinnante dalla tasca dei jeans. Lo fece rimbalzare sul palmo della mano, infine lo consegnò alla ragazza, la quale lo aprì e spalancò la bocca. 

«Rubini autentici. Tenili tutti, basta che tu mi tolga dalle scatole quest'ameba. Pensi di potercela fare?»

«M-Ma io...»

«Ascolta, cocca: non ho tempo per stare a gingillarmi con te! Mi segui?» sbottò lui, ormai ai ferri corti.

La ragazza sobbalzò e decise di non contraddirlo oltre. «V-Va bene. Lo farò!»

«E ci voleva tanto?» la rimbeccò Godric, brusco. «Bada a non farmi sprecare invano quei sonaglini, o ti verrò a cercare in capo al mondo per prenderti a sberle!»
La domestica si sbrigò a trascinare via per un braccio Cornelius. Appena furono lontani, Godric scosse la testa, adirato. «Roba da matti!»

Petya soffocò una risata. «Sarai pure sul viale del tramonto, ma sprizzi furia che è una bellezza.»

«Sta' zitto e piuttosto dimmi di cosa stavi parlando con quei due.»

«Dove hai trovato quei rubini?»

«Dove mi pare. Allora?»

«Non dirmi che li hai rubati.»

Il Guaritore si trattenne dal prendere il re a pugni una seconda volta. «No, stupido malfidato. Fanno parte di quel poco che mi resta del tesoro di famiglia. Il resto te lo prendesti tu, insieme alla mia casa e alla mia vita.»
Il sovrano rinunciò a tirare oltre la corda, specie dopo quell'ultima frase. «Sono andato a parlare con Dario, un paio d'ore fa.»

«Ho sentito che ha quasi arrostito il suo ex-spasimante, ieri. Peccato abbia fallito. Quel Max mi sta sulle scatole.»

«Vuole andare via, Godric.»

«Sarebbe anche ora! Tanto è più inutile di un annaffiatoio senza fondo!» Godric, capendo che Petya non si riferiva a Maximilian, si accigliò. «Cosa? In che senso vuole andare via? A fare che?»

«A fare niente. Vuole... Vuole solo allontanarsi. Senti, non lo so perché, va bene? Stento a capire le sue ragioni, francamente, ma non vuole saperne di restare e quindi, stanotte, scenderò nelle segrete e lo aiuterò a lasciare il palazzo, senza dare nell'occhio. Questa è la sua volontà e io non sono nessuno per contraddirlo, d'altro canto. È un vampiro di cinquecento anni e passa, Godric. Penso abbia raggiunto da un pezzo l'età necessaria per capire cos'è bene per lui e cosa non lo è. Ha con sé un Anello Celante, in modo da non essere rintracciabile e restare nascosto da Grober. Si tratta di una... di una partenza definitiva. Ha detto che non tornerà più.»

Petya si umettò le labbra. «Ti ho detto che Dante è partito stamattina. Be'... ho cercato un'ultima volta di farlo ragionare e alla fine gli ho confessato tutto. Gli ho detto la verità, Godric, ma non c'è stato verso di fermarlo. Sa... Sa anche che tu...»

Godric fece semplicemente finta di esserselo aspettato. Finse che non gli importava di esser stato snobbato fino all'ultimo dal proprio maestro, anche quando tutto era venuto allo scoperto.

«Certo che non c'è stato verso. Di me non gli importa niente da un bel po', Petya. Pensavo ti fosse ormai chiaro.» Eppure gli era appena parso di sentire qualcosa in lui infrangersi come vetro sottile. «A quanto pare persino Dario ha deciso di mollare la presa. Sai cosa? Non gli dò torto. Gli scemi siamo noi, non loro. Loro hanno già capito come andrà a finire qui.»

Gli dispiaceva, ovviamente, della decisione del vampiro, eppure continuava a tornare a pensare a Dante e alla sua assenza totale di reazione di fronte alla verità e alla prospettiva che Grober gli aveva risparmiato la fatica di ammazzarlo.

«Di' la verità, Petya» disse. «Mi merito tutto questo, giusto? Voglio dire... Non potevo fare una fine diversa da questa, no?»

Petya aveva il magone nel vederlo in quello stato. Probabilmente Godric non si rendeva conto di essere sull'orlo delle lacrime. «Ci ho provato. Ci ho provato fino alla fine.»

Godric rise con amarezza, incurante delle guance ora bagnate. «Guardami!» disse, spalancando le braccia e facendole infine ricadere lungo i fianchi. «Me ne sto qui, ad aspettare che una maledizione faccia il suo corso, prigioniero delle mie stesse bugie che ho detto solo per impedire a un maledetto stronzo di sentirsi in colpa, di sentirsi un emerito coglione perché ha riposto fiducia nella persona sbagliata! Perché invece di difendere il suo popolo era a scopare con te che, tra parentesi, eri il nostro nemico! E chi se l'è presa la colpa, per una menzogna che sei stato tu a creare? Chi è rimasto zitto fino all'ultimo, credendo che forse un giorno avrebbe ottenuto un perdono che non meritava, e solo perché non aveva fatto niente?» Rideva, o piangeva. Non lo sapeva neanche lui. «Ho passato quasi tre secoli a sentirmi in colpa, solo per poi scoprire che ero innocente! E lui... lui... quello... quello stronzo mi ha riversato addosso il suo odio e quello dell'Oltrespecchio intero per qualcosa che non ho fatto! Secoli interi trascorsi a farmi insultare e guardare con disprezzo! Guardami, Petya! Sto qui a piangere per un bastardo che mi ha rovinato la vita e non si è curato di chiedermi scusa neanche dopo aver saputo la verità!»

Petya, col cuore in gola, lo vide scivolare contro la parete, fino a terra. Piangeva e teneva la testa fra le mani. Si ritrovò a provare autentica pietà per quell'Efialte distrutto che piangeva, rannicchiato sul pavimento. Eppure era ipocrita a provare pietà, perché in fin dei conti la colpa era solo la sua. Era stato lui a rovinare la vita a fin troppe persone, molti anni addietro.

Lui aveva privato Godric del calore della famiglia e del rispetto dei propri simili.

Se ora Godric era solo, lasciato completamente a se stesso, non v'era che un unico colpevole, e non c'era niente che potesse fare per rimediare. Se anche ci fosse stata una soluzione, ormai era tardi, troppo tardi per tutto, e le scuse non bastavano.

Si chiese, però, se tutto quel dolore che ora Godric stava provando, se quelle perdite ravvicinate e sempre più dolorose, facessero parte dell'Anatema che lo aveva colpito e ora spinto verso il precipizio. Probabilmente era così. La strategia di Grober era quella: liberarsi della Resistenza e dei suoi membri mettendoli l'uno contro l'altro, o eliminandoli servendosi dei legami affettivi che, tra parentesi, erano le prime cose che La maledizione dell'agonia colpiva. Quale primo fendente migliore del privare una persona di coloro che amava?

Questo doveva averlo capito anche Godric, ovviamente, perché alla fine disse, con un filo di voce: «La mia unica colpa è stata amare troppo».

Qualcosa in quella frase fece raggelare il re, il quale si avvicinò e lo fece tornare su, senza essere brusco. Lo scosse per le spalle per infondergli coraggio. «Non... Non dire così. La colpa è solo sua. È un testardo orgoglioso, sappiamo che non è tipo da chieder scusa.» Cercò di forzare un sorriso. «Non te la devi prendere. Se ne andasse al diavolo. Prima o poi si accorgerà di aver tenuto il broncio alle persone sbagliate.» Non gli piaceva lo sguardo che aveva Godric. Per niente. «Su, avanti! Cerca di riprenderti!»

«Non fingere di non aver capito anche tu.» Godric lo guardò. «Se non faccio qualcosa, si prenderà anche Iago, Desya e Violet. Forse... Forse loro li ucciderà, se io... se io non...»

«No, Godric! No! Non glielo permetteremo! Credimi!» 

Non aveva mai visto quell'Efialte così rassegnato e svuotato di qualsiasi emozione. Pieno solo di dolore e totale assenza di speranza.

«Godric?» lo richiamò, vedendolo scostarsi e fare per allontanarsi. «Dove vai?»

L'altro si fermò in mezzo al corridoio. «Lo sai bene dove sto andando» rispose laconico, proseguendo. C'era solo un modo per svegliarsi finalmente dall'incubo. Gliene restava uno, soltanto uno, il più estremo.

Non sarebbe rimasto a guardare mentre la maledizione Neferio distruggeva fino in fondo la sua vita, o quel che ne restava. Non avrebbe sopportato di venir odiato anche da Iago e Desya per chissà quali ragioni, o di vederli morire. Non sarebbe sopravvissuto al dolore nel sapere che era successo qualcosa di male a sua figlia.

Per vincere, doveva accettare di aver perso. Abbracciare il destino, visto che non voleva saperne di lasciarlo andare.

Se non altro non avrebbe dovuto separarsi dal suo Pheryon, perché se n'era andato molto tempo fa.

Era proprio vero: il tempo degli Ammazzadraghi era giunto al termine, eppure quel pensiero non lo spaventava. Pensava solo alla sua famiglia: a sua moglie, ai suoi figli, ai suoi genitori, a tutti quelli che lo stavano aspettando in un posto privo di sofferenza e di guerre. Privo di dolore.

Sarebbe finalmente andato da loro. Non aveva intenzione di continuare a essere il giocattolino di Grober, il pupazzo di turno in attesa di essere fatto a pezzi.

Petya intanto gli era corso dietro e gli si era parato di fronte. Erano davanti a una delle tante vetrate, fuori il sole smorto e pallido stava scivolando lentamente oltre le montagne più lontane. Più in alto, forse verso lo spazio stesso, erano già visibili le prime stelle del crepuscolo.

Un paffuto Cardinale bianco volteggiava proprio davanti alla vetrata e Godric sorrise amaramente.

Dalle sue parti si diceva che vederli a quell'ora della sera fosse un presagio di morte. Non capitava spesso, d'altronde, che un uccello si trovasse ancora in giro al crepuscolo, quando invece tutti gli altri erano tornati al loro albero preferito, ai loro nidi. Se una persona li vedeva in quella speciale circostanza, voleva dire che il Cardinale si trovava lì per quella persona in particolare, per darle conforto e accompagnarla nell'aldilà.

Mi stai aspettando?

Il Cardinale si era posato sul davanzale esterno della vetrata. Ruotò la testolina palpitante e i suoi piccoli occhi neri e scintillanti incrociarono quelli altrettanto scuri, ma vuoti, dell'Efialte al quale era venuto a dire addio, a nome del mondo che stava per lasciare per sempre.

Lo vide anche Petya e il re trattenne il fiato.

Non sempre si trattava di semplici superstizioni. Ricordava di averne visto uno anche lui e solo un giorno prima che Ilya si recasse nella torre dove lo aveva rinchiuso e lo uccidesse.

«Non guardarlo, Godric» disse all'altro, preso dal panico. «Non guardarlo, ti prego!»

Godric spostò lo sguardo sul sovrano. «Sai cosa dire a Iago e a suo fratello. Sai cosa fare con Violet. Non lascio niente in sospeso. Voglio solo andarmene con un po' di dignità, Petya.»

Petya strinse le labbra. «Va bene! Allora mettiamola così: ti ordino di vivere, Godric! Te lo ordino come tuo re, ma soprattutto come amico!» La sua voce, invece di suonare chiara e ferma, aveva finito per infrangersi. «Ti prego. So cosa vuoi fare. Non farlo, Godric. Per favore, non farlo.»

«E cosa accadrà, se non lo farò?» Godric sorrise, di nuovo rassegnato. «Perderò l'affetto delle poche persone che ancora si curano di me? Mi ritroverò in una stanza, abbandonato da tutti, con la sola compagnia del mio respiro che si fa sempre più debole? Morirò comunque, Petya. Mi sta risucchiando tutte le forze, persino la magia. Non gli permetterò di diventare ancora più potente, di portarmi via quel che mi resta. Non me ne andrò piangendo, ridotto all'ombra di chi ero.»

Petya scosse la testa e lo strinse per le spalle. «No» disse. «No, Godric! No! No!» Lo pregò in silenzio di ritrovare un po' di forza, qualunque cosa potesse tenerlo ancorato alla vita, per quanto minacciasse di diventare sempre più difficile e dolorosa. Lo pregò di non arrendersi, ma la verità era che Godric lo aveva già fatto.

Godric gli fece allontanare le mani. «Sono stanco, vado a dormire.» Gli batté una delle proprie sulla schiena. «Porgerò a Misha i tuoi saluti.»

Petya di nuovo non volle demordere: gli serrò le dita attorno al braccio e lo fece ruotare su se stesso per guardarlo dritto in faccia. «Non porgerai i miei saluti a nessuno» disse, deciso. Ci voleva spina dorsale quando una persona non voleva saperne di tornare in sé. Fece risalire le mani fino alle sue spalle e lì fece pressione con tutte e dieci le dita.

Voleva che sentisse il calore umano, l'affetto, qualsiasi contatto potesse farlo rinsavire e riportarlo alla ragione. «Andrò da quell'insensibile menefreghista e lo trascinerò qui, Godric, ai tuoi piedi, e lo prenderò a calci se dovesse passargli anche solo per l'anticamera del cervello di rifiutarsi di salvarti. Mi sono spiegato? Tu. Non. Morirai. Non oggi, Godric. Non oggi!»

«Le tue sono speranze vane, Petya. A lui non importa di me, poco gli interessa quanti calci potresti sferrargli.»

«Può darsi» concesse il re, «ma fino a prova contraria, Godric, sono sempre stato io ad avere l'ultima parola con lui. Sempre. Volente o nolente, ha sempre soddisfatto il mio volere, alla fine. Lo farà anche stavolta».

«Perché ti sei impuntato? È solo per via di ciò che so fare?»

«No, Godric. È perché ti stimo come persona, come guerriero, come compagno d'armi e come rivale. Voglio salvarti perché mi hai aperto gli occhi, lo ha fatto il dolore che ho visto esplodere poco fa in te. Mi sono comportato come un tiranno, anche se avevo le migliori intenzioni, ed è ora che faccia qualcosa per farmi perdonare.»

Gli leggeva negli occhi che iniziava a dubitare di sé, ad avere ripensamenti su chi era e cos'era in grado di fare, e non poteva permettergli di ingannarsi da solo e convincersi di essere una nullità.

Godric era tutto tranne questo. 

Gli sorrise in modo sincero e avvicinatosi, gli sfiorò le labbra in un bacio che non aveva nulla di romantico o sessuale, ma era una dimostrazione di fratellanza e di affetto che un tempo era stata molto comune nel suo Paese natio, la Russia. Era cresciuto in Francia, a Parigi, ma quando aveva ritrovato i suoi fratelli, specie quando aveva iniziato a frequentare Jasha, si era ricongiunto anche alle proprie origini.

Godric parve capire quel gesto, perché per una volta non si arrabbiò, anche se non era comunque nello stato adatto per dare in escandescenze. Riuscì ad accennare una pallida ombra di sorriso. «Non ti dai mai per vinto, vero?»

«Non so neanche cosa significhi» rilanciò Petya. «E voglio che anche tu ne dimentichi il significato. Non esiste che un Efialte si dia per vinto. Non si è mai visto da nessuna parte e non puoi di certo essere tu a lanciare una moda di così pessimo gusto. No?»

«Pare che io sia nelle tue mani» si limitò a replicare Godric. «Però... se le cose non dovessero cambiare, non te la prendere troppo. Se non dovesse esserci verso, Petya, lascia perdere e basta. Lo preferisco, credimi. Che sei un buon amico lo hai già dimostrato, non serve che tu faccia altro.»

«Però voglio farlo, il che cambia tutto.»

«Se lo dici tu...!» Godric si avvicinò a una finestra lì vicino e per alcuni istanti vi si specchiò. Quando si voltò e tornò dal re, quest'ultimo notò che i suoi occhi non erano più color carbone, ma...

«Somigliano in maniera impressionante a quelli di Iago.»

«A volte succede» rispose Godric, un vago e mesto sorriso sulle labbra. «Quando fra due Efialti si stringe un rapporto talmente intenso e viscerale, può capitare che il colore degli occhi di uno dei due cambi radicalmente e finisca per assumere quello degli occhi dell'altro Efialte. In questo caso, suppongo sia perché considero Iago mio figlio e con lui ho un rapporto forse un po' più speciale di quello che avevo con Desya e Misha. È un po' come il primo figlio. Gli altri che seguono li ami, certo, ma il primo resta pur sempre tale. Quando lo vedi nascere, quando prendi in braccio per la prima volta in assoluto una fragile vita che sai dipenderà solo ed esclusivamente da te, è tutta un'altra storia. La prima volta non si scorda mai, e così pure il primo figlio. È talmente semplice da risultare banale.»

Aveva deciso di attuare quella "modifica" perché ora era terrorizzato dal vuoto, dal cratere che avvertiva dentro di sé e nel quale aveva paura di scrutare. Temeva che incrociando lo sguardo del proprio riflesso avrebbe finito per perdersi in quel buio pesto dei propri occhi privi di luce. Quel nero che tutto sembrava alla fine divorare e che ora, lo sentiva, cercava di risucchiare quella flebile scintilla di anima che gli era rimasta.

Petya, intanto, si chiedeva se Dante, il quale aveva voluto bene in particolare a Misha, fosse finito per assumere la stessa sfumatura smeraldina nelle iridi di quella che un tempo era appartenuta al defunto fratello minore di Iago.

Forse era così, ma chi poteva saperlo? 

Preferì non domandarlo a Godric, almeno per il momento. Lo vedeva che era fragile, simile a una sottile foglia autunnale in balia delle correnti d'aria. Un soffio in più e si sarebbe perso per sempre.

Piccolo extra per rinfrancare gli spiriti
Vediamo se li riconoscete tutti 😂

Se volete che continui a creare altri personaggi, ditemelo! 😂❤️

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