Capitolo XXIV. Il retaggio di Godric


Musica consigliata: "I have seen much" di Yasuharu Takanashi.

https://youtu.be/rHjZb95v8TY

Il tempio eretto in onore della Grande Madre svettava contro il cielo scuro che presagiva tempesta.

Come tutti i luoghi di culto dell'Oltrespecchio, era stato costruito sulle colline che abbracciavano la città un tempo florida e pulsante di vita di Specula.

Si trattava di una vera e propria acropoli della quale il tempio era la meta più sacra e frequentata, almeno finché non era arrivato Grober a cambiare le cose. Ormai era raro che qualcuno si avventurasse fin lassù, su quella vasta e sacra cittadella dedicata alla Grande Madre e alle divinità minori che la affiancavano.

Quando Desya entrò dentro quell'imponente, silenziosa e buia struttura lo accolsero il gelo dell'assenza di fedeli, della pietra nera che di calore non ne tratteneva alcuno, e per finire un assordante silenzio.

Non era lì per pregare, però, e non sobbalzò né fece altro quando vide una figura a lui nota seduta sui gradini dell'altare, sotto la grande statua della dea che sembrava aver ormai abbandonato a se stesso l'Oltrespecchio.

Si avvicinò.

«Non mi sarei mai aspettato di rivederti qui in un momento simile, Godric» disse, la voce che non lasciava trasparire alcuna emozione. «Prima me la sono dovuta vedere con papà e adesso ecco che viene la mamma alla carica» aggiunse, chiaramente sarcastico, ma anche crudele.

Godric decise di incassare. Sapeva che Desya non era fino in fondo se stesso. Sapeva bene cosa faceva l'Oscurità a quelli come loro: si nutriva della rabbia, del dolore, della delusione e dei rimpianti, e Desya purtroppo era un puro concentrato di tutto questo.

«Lo so. Dante mi ha detto cosa è successo.»

«Allora saprai anche che non posso permetterti di fuggire. L'ho permesso a Dante e l'ho avvertito che se qualcuno fosse tornato indietro per me, non avrei potuto far niente per scongiurare l'inevitabile. Non sembrava granché importargli della sorte altrui, specie la tua.»

«Desya, questo non sei tu. Guarda cosa ti sta facendo Grober. Vieni via con me, ti prego» disse Godric, mantenendo la calma anche quando vide l'altro sguainare la propria spada. La lama sibilò lentamente e descrisse un breve e lucente cerchio nell'aria.

«Sono io a pregarti di abbandonare l'Oltrespecchio prima che io sia costretto a ucciderti, Godric. Non sto scherzando.»

«Desya...»

L'Efialte più giovane non replicò. La punta della spada a solo un centimetro dalla gola di Godric fu una risposta più che esaustiva ed eloquente: o avrebbe accettato la morte, oppure avrebbero lottato e la sorte avrebbe decretato il vincitore. Tuttavia, come poteva Godric battersi con lui? Era già stato difficile cercare di contrastare Iago, quando quest'ultimo secoli prima aveva perso la bussola.

Non poteva farcela, non una seconda volta, specialmente contro Desya.

«Non deve andare per forza così. Se tu...»

«Se anche accettassi di seguirti, poi cosa accadrebbe? Obyria accetterebbe uno come, ora che gli Stregoni del Buio e le creature oscure stanno insorgendo contro di lei? Non farmi ridere, Godric! So benissimo come trattano quelli come me!»

«Allora preferisci servire il mostro che ha quasi fatto uccidere Petya? Quello che ha fatto massacrare tuo fratello? Se non vuoi farlo per i vivi che ancora ti amano, fallo per Misha! Non calpestare la sua memoria alleandoti con quel farabutto di Grober!»

La pressione della spada sulla pelle di Godric aumentò e un lampo furioso attraversò le iridi grigie e fiammeggianti di Desya. «Se tu fossi stato lì per noi, tre anni fa, tutto questo non sarebbe mai accaduto e Misha sarebbe ancora vivo!» sibilò il più giovane, ma c'era un lieve tremore nella sua voce. «Hai la minima idea di che cosa gli hanno fatto quel giorno nella foresta di Nordmarka? Io ho visto come l'avevano ridotto! Tu non eri lì ad ascoltare le grida strazianti di Iago! Non eri lì per consolarlo e aiutarlo quando Loki faceva di tutto per farlo sentire un incapace, o quando ha perso suo figlio e la sua compagna lo ha abbandonato!» Adesso tremava anche la mano che reggeva la spada. «Nessuno di voi due era lì! Non ci siete stati per noi quando avevamo più bisogno di aiuto! Troppo impegnati a starvene ognuno per i fatti vostri e poi a guardarvi in cagnesco per screzi risalenti a secoli fa! Se ci foste stati, forse Misha non si sarebbe mai fatto abbindolare dalle promesse di Grober! Magari ora sarebbe vivo, sarebbe accanto a me! Lo sai cosa ne ha fatto dei suoi resti quel bastardo? Un fottuto Specter!» Fece un passo avanti. «Perciò, ora, dammi una maledetta ragione per non affondare questa spada, Godric! Dammene una soltanto, se ci riesci!»

Godric non osò spostare lo sguardo da quello di Desya. «Cosa vuoi che ti dica? Che mi dispiace? Servirebbe forse a spegnere la tua rabbia? Io non credo, come non credo che uccidere me potrà placare il dolore che ti porti dietro da più di tre anni, Desya. Se stai cercando un colpevole, è l'essere che ha finito per assoggettare anche te. È lui che dovresti voler vedere annientato. Non puoi pensare che catturare una lucciola possa darti la stessa soddisfazione dell'aver imbrigliato il sole.»

«Potrebbe essere un inizio» ringhiò in risposta Desya.

Godric si alzò lentamente e fu più lesto di lui: afferrò con entrambe le mani la lama e la strattonò così forte da riuscire a disarmare l'altro, il quale non aveva comunque una volontà talmente ferrea da opporre resistenza e ingaggiare un tira e molla.

Le mani dell'incantatore ora sanguinavano, due tagli diagonali guastavano le pallide palme delle sue mani, ma non sembrava importargliene.

Lasciò cadere la spada sul pavimento e il tonfo metallico risuonò nel tempio.

«È vero. Non c'ero per voi nei momenti di difficoltà. Ero troppo impegnato a covare rancore e desiderio di vendetta per pensare che c'era ancora qualcuno che aveva bisogno di me. Forse è vero: se fossi rimasto con te e i tuoi fratelli, sarei riuscito a evitare tante cose orribili che sono successe. Ora, però, ti chiedo di darmi la possibilità di rimediare. Io sono pronto anche a morire per te e per Iago, Desya, per proteggervi. Permettimi di farlo, ti prego. Io... Io ho bisogno di espiare almeno una delle mie tante colpe e non voglio che seguiate Misha nella tomba.»

Sospirò.

«Ho giurato molto tempo fa che vi avrei protetti a qualsiasi costo e purtroppo sono venuto meno già una volta a questa promessa. Ora, però, intendo mantenerla fino all'ultimo. So che mi odi anche per non essermi imposto, per non avervi presi con me a aver lasciato che Dante vi affidasse a Somnius. Avrei potuto evitarvi un'infanzia terribile, è vero.» Un altro sospiro, più profondo e stanco del primo, poi si portò le mani tremanti dietro al collo e slacciò la catenella che portava da tanto tempo con sé. Finalmente Desya ebbe modo di vedere il ninnolo che Godric aveva sempre celato con cura sotto le vesti, il gioiello di cui mai aveva voluto parlare a lui e ai suoi fratelli quando erano ragazzini. Godric, però, ora glielo stava tendendo: un anello di magnifica fattura su cui vi era inciso un simbolo: una lettera corrispondente al loro antico alfabeto che corrispondeva, secondo la lingua umana, a una ‟R". Il mago sapeva che si trattava di una runa Sverthiana, la quale era intrecciata a quello che sembrava un fiore stilizzato, forse un giglio. Desya rigirò quell'anello fra le dita, chiedendosi cosa significasse.

«Perché ora lo stai dando a me?» chiese confuso.

«Perché appartiene di diritto a te e ai tuoi fratelli e voglio che quando sarà il momento tu lo consegni a Iago. È importante, Desya.»

Il più giovane scosse la testa. «Allora glielo darai tu, scusa tanto!»

«Preferisco che sia tu a farlo. Non è sicuro che io... Non posso permettere che magari accada qualcosa nel momento in cui porto ancora al collo quest'anello. Sarebbe un rischio troppo alto. Quello è il solo ricordo concreto che tu e Iago abbiate della vostra famiglia, dei vostri genitori. Sono disposto a raccontarti tutto quello che vuoi sapere su di loro, ma prima voglio che tu lasci l'Oltrespecchio con me. Non permetterò a nessuno di metter bocca sul tuo conto, di insultarti o farti del male. Appena sapranno che sei sotto la mia protezione, vedrai che se ne staranno zitti e buoni. Sarò tra gli Efialti più odiati, certo, ma questo mi rende anche uno dei più temuti.»

Desya cedette alla tentazione. «Va bene, ma non voglio sapere niente finché Iago non sarà tornato.»

Potrei non avere tutto questo tempo, pensò cupo Godric. Non era uno stupido e sapeva che Grober, presto o tardi, sarebbe venuto per lui, per regolare i conti, per punirlo, e anche se sapeva di essere bravo con la magia, dubitava di essere all'altezza di una tale belva.

Quello che aveva solo accennato a Petya non era un semplice timore, ma una certezza.

«Preferisco essere prudente e dirlo intanto a te» disse calmo, poi con un gesto ben preciso e svolazzante tracciò un cerchio invisibile nell'aria che produsse, infine, un vortice di luce iridescente che sembrava, in un certo senso, anche liquida. Un portale.

«Andiamo, allora?» chiese a Desya, senza celare l'affetto.

Il più giovane annuì, incerto, e lo seguì dentro il cerchio di luce che istanti dopo li fece riemergere nel Regno Parallelo, sulle colline dalle quali, in lontananza, era possibile ammirare il Palazzo Imperiale di Obyria e la città in ricostruzione.

Era notte inoltrata, regnava il silenzio su tutto quanto.

Desya finalmente si fece coraggio. «Devo... Devo dirti una cosa.»

Godric lo guardò in attesa.

«Ho... Ho sentito Grober parlare con alcuni dei suoi. Ho origliato, lo ammetto, e quel che ho udito mi ha inquietato non poco.»

«Dimmi cosa hai sentito» incalzò Godric.

«Pare che v-vogliano convincere un Efialte in particolare a prendere le loro parti nella guerra: il Leone di Vreha, Godric, e ho paura che lui accetterebbe di buon grado di allearsi con loro, specie considerando quel che accadde secoli fa, durante l'ultima ribellione sedata da Petya.»

Godric divenne ancora più pallido del consueto e represse un brivido. Sapeva bene di chi stava parlando Desya e lo inquietava che Grober volesse coinvolgerlo in quella guerra.

«M-Ma come potrebbero? Nessuno ha più saputo niente di lui da quando il suo regno cadde, assoggettato come tutti gli altri. Circola persino voce che morì durante l'ultima battaglia.»

«Le voci sono false. Petya non lo uccise. Era bravo a lottare, certo, ma il re di Vreha non venne casualmente lasciato per ultimo, insieme ad altri sovrani altrettanto temibili. Si batté contro Petya e andò molto vicino all'ucciderlo. Oppose una fiera e feroce resistenza e fino all'ultimo si rifiutò di cedere il regno a Petya. Superbo e arrogante com'era preferì restare in piedi, invece di inchinarsi.»

«Ma come fece a sopravvivere, allora?»

«Petya all'ultimo non ce la fece a ucciderlo, si limitò ad esiliarlo. Certo, ormai il danno era stato fatto: il re perse il suo unico figlio durante l'ultimo assedio e sua moglie in guerra. Le donne di Vreha combattevano come gli uomini, come ben sai, e la regina cadde per prima nella Battaglia del passo di Dornelan. Quando lui lo venne a sapere... Dio santo, ci fece vedere i sorci verdi!»

Desya si era battuto contro quel sovrano più volte durante la guerra per prendere Vreha e il regno restante, e persino Misha, conosciuto come uno dei guerrieri più feroci dell'epoca, aveva trovato non poca difficoltà nell'eguagliare il feroce Leone di Vreha, così era stato soprannominato quell'Efialte indomabile, sanguinario coi nemici e amato dai sudditi. Ancora riusciva a vederlo in mezzo ai cadaveri riversi a terra, fra i cavalli imbizzarriti che se la davano a gambe dalla battaglia e i soldati che si uccidevano l'uno con l'altro.

Quell'armatura dorata e scintillante sporca di sangue nemico, la voce tonante che ruggiva ordini all'esercito di Vreha. I fendenti che poche volte non erano andati a segno.

«Ricordo ancora il suo sguardo, prima di abbandonare la città rasa al suolo: gli lessi negli occhi che covava vendetta e ho paura che sia arrivato finalmente il momento per lui di scendere in campo per l'ultima grande battaglia. S-Se dovesse maledettamente incrociare Petya...»

Non c'era da dimenticare che un altro bramava di vendicarsi: Dante. Cosa sarebbe successo se quei due avessero deciso di allearsi contro Petya, il loro nemico comune?

Nessuno avrebbe più avuto scampo.

Godric deglutì a vuoto. «Perciò è ancora vivo» disse a mezza voce. «Ci mancava solo questa.»

«E se uno di noi cercasse di rintracciarlo prima e...»

«Stupidaggini, Desya!» sbottò Godric, in pieno panico. «Non diede retta neanche a Dante quando lui gli disse di fare attenzione a Petya! Era testardo e arrogante allora, figurati come sarà diventato dopo che avete fatto la festa alla sua famiglia e alla sua città! Quello lì se la riderà un bel po' quando Grober gli proporrà di allearsi con lui, dammi retta! Ci ho avuto a che fare anch'io e posso confermare che era uno stronzo di prima cartella, troppo fiero per ascoltare i consigli altrui!»

Lui aveva seguito Dante quando quest'ultimo si era recato a Vreha per parlare con il re e metterlo in guardia, convincerlo a unire le forze con loro per far fronte a Petya, e cos'aveva fatto quel sovrano fiero e testone? Ci aveva riso su e aveva detto che Vreha avrebbe resistito, proprio come aveva fatto tutte le volte che era stata minacciata, ma non era accaduto.

Per tanto tempo i racconti e le antiche canzoni avevano narrato della sanguinosa sconfitta del re, del Massacro di Vreha, di come l'indomito leone che le faceva la guardia era stato finalmente domato.

Se conosceva quell'uomo come credeva di conoscerlo, di certo non aveva gradito tutto questo.

«Se Grober lo trova e lo convince a prendere le sue parti, saremo in un mare di casini, Desya. So perché lo vuole al suo fianco: era un condottiero spaventoso e con lui al comando delle schiere oscure...» Non volle neppure terminare la frase. Guardò verso Obyria che era stata rasa al suolo quasi completamente. «Se Fingal prenderà parte allo scontro, tutto ciò che conosciamo e amiamo si ridurrà come quella città. Dammi retta.»

«Però magari tu, o Dante...»

«No, Desya. La prese un bel po' male quando tentammo di insistere nel convincerlo a non crogiolarsi troppo nella sicurezza che il suo regno avrebbe retto anche a quell'assedio. Non ci urlò contro o roba simile, ma dallo sguardo che ci rivolse fu chiaro a tutti e due che se avessimo portato avanti di nuovo quell'argomento ci avrebbe fatti cacciare dal suo palazzo con un bel volo fuori dalle vetrate della sala del trono. Fingal era un burlone solo fino a un certo punto e tollerava gli scherzi solo quando erano brevi.»

«Ma il vostro non era uno scherzo.»

«Per lui sì. Disse che eravamo troppo pessimisti e che lo stavamo sottovalutando e io... be', persi la pazienza e gli dissi chiaro e tondo che lui si stava sopravvalutando, invece, e che per colpa del suo orgoglio, del suo voler a tutti i costi proteggere da solo i confini di Vreha avrebbe condannato tutta la sua gente a morte. Puoi immaginare che faccia fece quando uno straniero gli rivolse parole simili. Tuonò che non avrebbe permesso a niente e a nessuno di dirgli cosa fare o non fare, che Vreha aveva resistito a ogni calamità, inviata dalla collera divina o dai nemici. Insomma, quello che troppo spesso sono soliti dire i re a chi cerca di farli ragionare. Terminò dicendo che non voleva aver niente a che fare con i ribelli come me e Dante, che avrebbe protetto da solo Vreha, insieme a sua moglie. Fu un grave errore, ma era talmente sicuro che non potemmo far altro che augurargli di avere ragione.»

Quanti innocenti erano morti sotto le affilate e impietose armi dell'esercito di Petya durante quei lunghi trenta giorni di assedio. Troppi da contare. Aveva sentito dire, in seguito, che i soldati si erano talmente incattiviti a un certo punto, che quando Vreha finalmente era caduta avevano strappato i neonati dalle braccia delle madri e ne avevano scaraventati a centinaia giù dalle torri più alte, come ennesimo atto di disprezzo.

Non era sopravvissuto nessuno. La città capitale era diventata una città fantasma e tale era rimasta. Solo uno era scampato alla mattanza e sicuramente mai aveva dimenticato e mai aveva perdonato quell'affronto.

«Morirebbe impalato piuttosto che dare una mano a noi. Quando Grober gli dirà che nella Resistenza c'è anche Petya, accetterà sicuramente di fiancheggiarlo.»

«Non è detta che riuscirà a trovarlo» buttò lì Desya.

«Pensavo lo stesso di Alexander e guarda come siamo finiti» replicò ironico Godric. «Se Grober vuole trovare qualcuno, non c'è niente e nessuno che possa distoglierlo dalla caccia.» Sospirò e batté una mano sulla spalla del più giovane. «Be', sarà meglio avvisare gli altri, adesso. Almeno non saremo impreparati come l'ultima volta. Ne parlerò anche con Dante, sempre che non gli salti in testa di farmi a brandelli proprio oggi.»

«Riguardo a questo... Fossi in te gli direi la verità, Godric. Petya mi ha detto cosa avvenne davvero, mi ha detto che non fu colpa né tua né sua. Diglielo. Potresti non avere altre occasioni.»

«Non servirebbe a niente, Desya. Ci odia entrambi a prescindere, ormai, e come se non bastasse ora si è aggiunto anche Dario che ha preso e se n'è andato come una furia e pare quasi non voler più saperne niente di questa faccenda.»

Desya si fece stralunato. «Ce ne vuole per far arrabbiare uno come lui! Non so se farvi i complimenti o le condoglianze.»

Godric sospirò. «Avremo un bel po' di cose di cui parlare, durante il tragitto verso il Palazzo Imperiale. Su, andiamo. Di notte è meglio non restare lontani dalla città.»

Petya si fermò e per qualche istante rimase ad osservare quel suo vecchio e caro amico starsene in piedi a guardare da oltre la vetrata del Giardino d'Inverno la città immersa nel buio della notte.

«Questo è il rifugio di molti, quando desiderano starsene per conto loro e non essere disturbati» esordì.

L'altro non osò voltarsi, anche se ovviamente lo aveva sentito arrivare ancora prima che parlasse.

L'Efialte non si scoraggiò e si avvicinò.

«Non riesco neanche a immaginare come dovrai sentirti, dopo aver saputo tutte quelle cose. Non dev'essere facile, lo capisco.»

Di nuovo ottenne solo il silenzio. Dario continuava a tacere, chiaramente poco ansioso di conversare.

Petya sospirò e alla fine, giuntogli vicino, gli diede un'affettuosa gomitata. «Oh, avanti! Non puoi continuare a tenere il broncio al mondo intero!» Un po' si sentì raggelare quando gli occhi scuri del vampiro si piantarono su di lui con una carica di gelida e spazientita furia per nulla indifferente, come a voler dirgli di smetterla di parlare.

«Va bene, ascolta...»

«Com'è che tutte le sante volte che succede qualcosa che mi sconvolge» disse lentamente il vampiro, a denti stretti, «tu sia sempre coinvolto, in una maniera o nell'altra? Dimmi, Petya: perché?»

«Perché in un modo o nell'altro siamo tutti legati tra di noi, Dario, e farai bene ad accettarlo in tempi brevi.»

«Tu dici? Io, onestamente, sto pensando all'andarmene finalmente per i fatti miei e fregarmene una buona volta di Grober e tutta questa faccenda assurda.»

«Ma insomma! Non ti sei mai scoraggiato e ora inizi a gettare la spugna?»

«C'è sempre una prima volta.»

«Be', dovrai rimandare la scoperta di nuovi orizzonti a dopo che la guerra sarà terminata.»

«Non ho voglia di discutere, Petya, specialmente con te.»

«Invece devi starmi a sentire.» Il legittimo sovrano dell'Oltrespecchio sbuffò. «In primo luogo, non serve che ti ricordi che hai fatto una promessa a Marcus e Scarlett. Quando Andrew tornerà da Sverthian avrà bisogno di tutto l'appoggio possibile e immaginabile. Sei l'unico tutore che gli resti e sai che un ruolo come il tuo è eterno, non a scadenza. Davvero avresti il coraggio di abbandonare quel ragazzo a se stesso?»

Dario mise su un sorriso terribilmente sgradevole, per niente nel suo stile. «Oh, come se avessi fatto un bel lavoro negli ultimi trentadue anni! Talmente sono stato zelante che per poco non sono stato costretto a farlo giustiziare! Che bel Padrino gli è toccato!»

Petya sciabolò le sopracciglia. «Be', ora sei patetico» sentenziò. «E comunque tutti facciamo degli errori.»

«Io credo di averne fatti fin troppi.»

L'Efialte esitò, poi si decise a parlare: «Facendo così, darai solo ragione ad Atlas e tutti quelli che per secoli hanno sparlato alle tue spalle e ti chiamano ancora Oscuro Carnefice, o ancora il Macellaio di New York. E non fare quella faccia, per favore, perché sai che non sto dicendo idiozie e sai che ti stai comportando come uno stupido, e non è da te farlo.»

«Grazie infinite per avermi ricordato tutto quanto, Petya. Davvero, non so come avrei fatto senza di te!»

«Ah, piantala di fare la primadonna» lo liquidò il re, scoccandogli un'occhiata torva. «Ora sai chi sei e sai che non puoi permetterti di restare a guardare in disparte. Devi scendere in campo anche tu, Dario, e si spera che sia per l'ultima volta. Ti chiedo solo questo: un ultimo sforzo, il più grande che tu abbia mai dovuto fare. Ti chiedo, Dario, di lasciare per una sola volta che tutto quello che ti porti dentro da secoli esploda, di indirizzarlo contro i responsabili di questo disastro. Le capacità che hai e non hai mai voluto usare né coltivare, quelle che tua madre e il tuo vero padre ti hanno lasciato in eredità, ora è tempo che tu le utilizzi per il bene comune, il bene superiore.»

All'occhiata del vampiro, Petya sorrise con colpevole indulgenza. «È stato Max a dirmelo.»

«Fortuna che lo avevo pregato di tener per sé certe cose.»

«Piantala di ricacciare indietro anche i sentimenti che provi ancora per lui. Si vede da un miglio che lo ami ancora, Dario, e non mi interessa cosa ha detto Jake: ti deve importare solo cosa ha detto Max e io so che tornerebbe subito da te, se solo tu glielo dicessi.»

«A differenza sua» sibilò il vampiro, «io non vado in giro a distruggere il fidanzamento altrui. Non farò quello che lui ha fatto a me!»

«Lasciati il passato alle spalle. Conta il presente, e lo sai.» Petya avrebbe voluto prenderlo a testate, quando faceva in quel modo, quando si chiudeva a riccio e si intestardiva. «C'è un'altra cosa che devi sapere: oggi è venuta a trovare Skyler Zelda. Be'... pare che suo figlio, Erik, sia stato aiutato da Alice e Lorenzo a scappare dall'Oltrespecchio. Ora si trova a Ninfipoli e...»

«Che cosa?» lo interruppe Dario, convinto di aver capito male.

«Non farmi ripetere. Hai capito benissimo.»

«Non può essere.»

«Ti dico che è vero, invece, e pare che Lorenzo alla fine si sia stancato di essere comandato a bacchetta da Grober. Ha alzato troppo la cresta con lui e... be'... il nostro sadico amico lo ha fatto sbattere in cella, per fartela breve. Meritocrazia un paio di corna. La cosa positiva è che... Ehi, ehi! Dove vai?» Seguì il vampiro che intanto pareva deciso a lasciare il Giardino d'Inverno. Gli si parò davanti. «Oh, no! No, no, no! Conosco quello sguardo e ti dico che è un'idea non pessima, ma folle e sconsiderata!»

«PETYA, PORCA DI QUELLA PUTTANA, TOGLITI!» sbottò Dario, cercando di aggirarlo. L'Efialte lo spinse indietro. «Non farlo! Non capisci? È esattamente quello che sperava di ottenere Grober! È una trappola per te!»

«E chi se ne frega!»

«Se ti uccide, è la fine! Ancora non lo hai inteso? Non puoi partire in quarta così!»

«Non sarai tu a dirmi cosa posso fare o non fare!» Dario, stufo marcio di quel tira e molla, lo spintonò e proseguì. Petya a quel punto si vide costretto a intervenire: evocò dalle mani dei sottili filamenti dorati e con essi bloccò il vampiro, il quale cercò invano di liberarsi.

«Petya, maledizione! Toglimi questi affari di dosso!» ruggì.

Il re, tuttavia, lo tirò indietro verso di sé. «Visto? Se non ti fossi intestardito a non voler mai usare la magia, a quest'ora saresti stato capace di liberarti! Ben ti sta!»

L'altro, che di certo non era profano in fatto di lotta vecchio stile, appena fu abbastanza vicino gli assestò un colpo di ginocchio nel plesso solare. «Vaffanculo, Petya!» Riuscì finalmente a disfarsi dei legamenti magici che si infransero come sottili pagliuzze color oro zecchino. Luccicavano alla flebile e giallognola luce lunare.

Petya si riprese. «Bene» esalò. «Finalmente ti sfoghi un po'! Ottimo passo avanti! Era proprio ora che buttassi fuori un po' di rabbia, sai?» Non era saggio provocare Dario, lo sapeva fin troppo bene, ma al momento era necessario. Se doveva prenderle da parte sua, avrebbe corso il rischio. Ne valeva la pena, d'altronde. «Reagisci, una buona volta! A costo di spaccare tutto quanto, di fare un macello!»

«Adesso smettila, Petya! Non te lo ripeterò!»

«Smettila tu! Dimentica quello che hai sentito stamattina! Smettila di darti la colpa di tutto quello che ti è successo! Ammetti che a volte non avresti potuto in ogni caso far niente per evitare il disastro!» Si avvicinò. «Grober prima o poi userà i tuoi sensi di colpa per manipolarti, lo capisci? Farà pressione su di quelli per farti credere che non hai scampo, che non c'è via d'uscita! Elena, Jacopo, Gareth, Richard! Max e Leda! Ha munizioni sufficienti per distruggerti e lo farà, se non imparerai a difenderti! Cosa farai se dovesse richiamare lo Specter di Filippo, dimmi? Ci scommetto che gli permetterai di ucciderti senza batter ciglio!»

Dario ammutolì.

«Appunto» continuò Petya. «E se invece dovesse scagliarti addosso Leda? Se dovesse uccidere Max, allora? O tua figlia? Tu hai tutti i strumenti per proteggere te stesso e chi ti sta più a cuore, ma non potrai usarli se continuerai a reprimere ciò che sei, a vivere nell'illusione di non essere il figlio di una maga e di uno Stregone del Buio! Finché ascolterai quella voce che ti ripete da secoli che sei tu a essere sbagliato, ad attirare i guai che ti perseguitano da sempre, non sarai mai in grado di reagire veramente!»

Aveva tirato in ballo un argomento piuttosto recente e doloroso per il vampiro, il quale solo dopo tanto, tantissimo tempo era venuto a conoscenza di essere stato odiato e disprezzato dal padre perché in realtà era nato da una relazione clandestina di sua madre con un uomo, uno stregone anzi, del quale ormai nessuno poteva conoscere l'identità, uno che poi se n'era andato e aveva lasciato quella donna da sola ad affrontare le conseguenze del tradimento.

«So come ci si sente, credimi. Io sono stato gettato via dai miei zii che si sarebbero dovuti occupare di me. Mi hanno abbandonato, consegnato all'inverno con la sicurezza che sarei morto assiderato, perché troppo debole per vivere e perché ero una bocca in più da sfamare che loro non desideravano. Non sei il solo a essere stato disprezzato da chi invece avrebbe dovuto amarti, sai? Eppure io mi sono lasciato tutto questo alle spalle, Dario. Ho lottato con le unghie e con i denti per restare vivo e quando Ilya mi ha ucciso, sono tornato per vendicarmi e prendere quel che mi spettava. Anche io mi sono sempre sentito da solo contro il mondo intero, indesiderato e troppo spesso odiato, incompreso, ma questo non mi ha impedito di amare. Sapevo che non ero io a sbagliare, ma gli altri. Tu ora devi fare la stessa cosa, perché non puoi permetterti di mollare, né di essere avventato.»

Dario serrò i pugni. «Se non vado, lo ucciderà. Non ho scelta!»

«Non lo ucciderà, invece. Sa che è prezioso solo finché è ancora vivo e questo ci dà un vantaggio enorme, credimi.» Petya gli giunse di fronte. «Hai superato tutto quello che la vita ti ha scagliato addosso, Dario, e non è successo perché sei la reincarnazione di una divinità della morte o chissà cos'altro: lo hai fatto perché sei una persona forte e capace. Perché non ti sei mai dato per vinto. Devi solo imparare a canalizzare tutto il dolore e la rabbia che hai accumulato nel tempo e usarli per trarne qualcosa di buono. Il fuoco che hai qui dentro...» Indicò il suo petto. «È ora di lasciarlo andare. Lascialo crescere, diventare un incendio. Permettigli di divampare e di diventare un'arma e smettere di essere la tua debolezza. Impara a domarlo e a piegarlo ai tuoi comandi. Io... Io posso aiutarti e ti chiedo di permettermelo. Ti prego, amico mio.» Adagiò le dita sulle sue spalle. «Non sei da solo in questa lotta.»

Vedendo che era sul punto di piangere, lo strinse forte fra le braccia e non disse niente quando l'altro prese a singhiozzare e tremare nella sua stretta. Il pianto venne soffocato solo perché il vampiro aveva abbandonato la fronte sulla sua spalla, annientato da tutto quanto, stanco di reprimere ogni cosa sempre e comunque.

Probabilmente anche l'influenza venefica di Grober e del male che la sua Oscurità stava facendo dilagare come una nebbia invisibile e velenosa doveva aver avuto un ruolo decisivo nel crollo nervoso di Dario.

Erano sempre i più fragili a essere esposti al pericolo, alla perdita di speranza.

Per un attimo, uno soltanto, Petya si arrischiò a ripensare a Peggy Reece, della quale si erano perse le tracce tempo addietro. Lei era la donna che aveva amato di più, delle tante che lo avevano affiancato nel tempo. Forse aveva amato più lei di sua moglie, Isabelle, che lui stesso aveva rivisto viva e vegeta, nonché ora schierata con Grober e tutte le creature oscure stanche di essere respinte e viste come mostri.

Iniziava a capire qual era il vero gioco di Grober, su cosa stava facendo pressione, il significato di ciò che Metatron aveva detto a Cynder: la colpa peggiore di Obyria, forse di tanti fra di loro, era senza dubbio l'ipocrisia, i contraddittori principi su cui quell'impero era stato fondato secoli addietro.

Obyria era nata come un luogo dove tutti sarebbero dovuti trovarsi e sentirsi a casa, e invece l'intolleranza, il razzismo, le faide tra le specie avevano trovato di nuovo un terreno fertile in cui piantare le loro radici.

Forse Grober mirava proprio a questo, a piazzarli di fronte a uno specchio perché finalmente vi guardassero dentro per vedersi per ciò che erano in realtà.

Non poteva essere un caso che avesse scelto di avere dalla propria parte tutti coloro che erano sempre stati respinti e denigrati, considerati feccia dalle potenze principali di Obyria. La mattanza di Efialti nei laboratori della B.I.R. era avvenuta per opera non solo di scienziati umani, ma di alchimisti e maghi, e questo aveva gettato un'ombra infelice sul Regno delle Streghe.

Era stato proprio in quel periodo, e subito dopo, che aveva rivisto Peggy, che si era reso conto — malgrado i sentimenti verso Desya — di provare ancora qualcosa per lei.

Era stata Peggy ad aiutarlo spesso in quei tre anni di latitanza e sapere che era stata uccisa, forse sotto gli occhi del povero Dorian, lo riempiva di rabbia e sete di vendetta.

Avevano tutti loro una ragione valida per avercela con Grober e voler vederlo annientato. Erano legati fra di loro dal dolore della perdita, dalla voglia di rivalsa e giustizia.

Eppure sapeva che l'uccisione di Peggy doveva significare qualcosa. Tutto accadeva per una ragione e Dorian restava pur sempre il clone di Iago. Era stato creato in laboratorio, originato da poche cellule. Era al tempo stesso un suo fratello e una specie di figlio, erano legati da un destino unico e infrangibile.

Forse significava che doveva essere Iago a prenderlo con sé e insegnargli tutto ciò che sapeva.

Per quanto Iago avesse detto e ridetto di non voler intervenire in alcun modo nella vita di quel piccolo Efialte, i fatti parlavano da soli.

In quanto al giovane Anthony, sentiva che lui avrebbe avuto un ruolo decisivo in quella guerra, altrimenti non si spiegava perché Grober si fosse dato tanto da fare per averlo sotto il proprio controllo. Sembrava assurdo, persino ridicolo, ma secondo Petya Grober temeva quel ragazzino.

Qualcosa lo portava ad averne paura, nemmeno fosse la minaccia più mortale che gli si sarebbe potuta parare di fronte.

Una voce interruppe i suoi pensieri.

Lui e Dario si separarono e si ritrovarono a schiarirsi la voce, a disagio, quando si accorsero che Godric era a poca distanza da entrambi e con lui c'era anche Desya.

Petya per un attimo rimase in stato di shock. Quando l'altro fece per parlare, Godric intervenne: «Vi saluterete dopo. Ora, sinceramente, abbiamo ben altro a cui pensare». Dal suo sguardo il re capì che la faccenda era seria. «Desya, digli cosa hai sentito.»

L'interpellato, dunque, riferì ciò che aveva già rivelato dopo aver abbandonato l'Oltrespecchio.

Alla fine calò un profondo silenzio, finché a sorpresa Petya non scoppiò a ridere di gusto.

Gli altri tre strabuzzarono gli occhi e lo fissarono a bocca aperta.

«Ma dico io, è impazzito?» mormorò Godric, esterrefatto. «Hai sentito, sì o no, che cosa ha detto Desya? Uno dei tuoi nemici più acerrimi potrebbe schierarsi con Grober e tu te ne stai qui a ridere come un matto? Insomma!»

Il re cercò di darsi un tono, ma fu difficile per lui calmarsi e smettere di tornare a ridacchiare. «S-Scusate, m-ma è che...» Sghignazzò di nuovo. «Grober è un tale cretino! Inizio a chiedermi perché abbiamo tanta paura di un tale idiota!»

«Cosa stai biascicando?» chiese perplesso Dario, iniziando a sua volta a innervosirsi. «Sul serio, Petya, invidio la filosofia con cui affronti il fatto che mezzo Oltrespecchio voglia vederti stecchito!»

«Che voi sappiate, si è attaccato alla bottiglia o all'eroina?» domandò a bassa voce Desya a Godric.

Il suo ex-maestro roteò gli occhi. «Per niente. Purtroppo è così al naturale» sibilò, simile a un gatto inferocito. Stufo di quella scena poco dignitosa, mollò un ceffone sulla spalla a Petya. «Riprenditi e dicci perché te ne stai a ridere! Sei un imbecille!»

Il sovrano si decise a calmarsi e tossicchiò. «Il punto è che non troverà terreno fertile con Fingal, perché l'ho battuto sul tempo e sono stato io a trovarlo per primo. Che ci crediate o meno, quella canaglia ha detto che preferirebbe farsi trucidare piuttosto che prestare servizio sotto il giogo di Grober. Certo, ancora non gli sto granché simpatico, mi odia ancora, ma mi ha assicurato che si sarebbe schierato con noi quando sarebbe arrivato il momento. Tutto qui, davvero.»

Poco dopo, Dario e Desya scelsero saggiamente, e di comune accordo, di non intervenire e farsi da parte mentre Godric, furioso, intesseva un pericoloso gioco di tiro a segno contro Petya nel quale le lancette consistevano in ogni genere di fatture, maledizioni e incantesimi ostili, dai più conosciuti ai più arcani e letali.

Desya sorrise di sbieco. «Se non altro ci stiamo godendo un bello spettacolo di fuochi d'artificio.»

Il vampiro, nonostante tutto, a stento riuscì a soffocare una risata. «Una volta, che tu ci creda o meno, Richard mi rincorse per tutta la Reggia nel tentativo di farmi la festa con la sua spada. Il bello è che poi inciampò in un tappeto.»

L'Efialte ridacchiò. «Sai che scena! Al tuo posto lo avrei ricattato a vita! 'Smettila di darmi ordini o dirò a tutti che hai fatto la figura del salame!'»

«Peccato che non mi sia mai passato per la testa!»

«Che diavolo avevi fatto per farlo arrabbiare così?»

«Uhm... in realtà non ce l'aveva con me. Il punto è che fui il primo a capitargli sotto tiro e sai com'è...! Mi pare fosse arrabbiato guasto perché una delle sue amanti lo aveva snobbato.»

«Sono tutti pazzi questi reali.»

«Puoi dirlo forte.» Desya fece una smorfia che simulava dolore quando vide Godric acciuffare finalmente Petya e mollargli un pugno sul muso. «Porca miseria, non ricordavo che la Regina tirasse certi ganci!»

«La cosa?» chiese Dario, divertito.

«Iago lo ha soprannominato la Regina perché... be', guardalo!»

«Vero. La regina dei drammi.»

«Esattamente.»

«Vi ho sentito, stronzi!»

Desya si fece un po' atterrito. «Uhm... credo sia meglio sloggiare e lasciarli a sbrogliarsela tra di loro.»

«Confermo. Andiamo.»

Non esitarono un attimo e abbandonarono in fretta il Giardino d'Inverno.

Godric tornò a squadrare furente il re. «Quando pensavi di dirmi che avevi reclutato quel fanfarone, di' un po'?» latrò.

Petya deglutì e a gesti gli intimò di darsi una calmata. «Uhm... un... un annetto fa. Giorno più, giorno meno.»

«E lo dici solo ora? Sei una canaglia!»

«Oh, andiamo! Non posso ricordarmi sempre tutto!» Petya si rimise in piedi e mise un po' di saggia distanza fra sé e l'altro Efialte. «Piuttosto: come hai fatto a convincere Desya?»

«Affetto paterno. Sai com'è» replicò secco Godric. «Ecco perché non ho fallito come invece ha fatto quel borioso di Dante.»

«Chi disprezza compra, e tu sei l'esempio vivente di tale proverbio» lo apostrofò il re. «Sai... forse credo che dovresti dirgli la verità. Magari non è un piano granché intelligente di permettergli di credere che siamo stati noi a...»

«E a cosa servirebbe?» chiese Godric. «Per quel che mi riguarda, la mia sorte è comunque segnata, Petya. Lo sai meglio di me.»

«In realtà, a mio parere, la stai facendo troppo tragica.»

«Grober trova sempre chi sta cercando. Se fino ad ora mi ha lasciato fare, significa che non era necessario secondo lui togliermi di mezzo, non ancora almeno.»

«Che intendi dire?»

«Be', pensaci, Petya: forse alla fine ho fatto il suo gioco proteggendo in un modo o nell'altro Alex. L'ho tenuto da conto per lui, senza me lo sapessi. Magari proprio per questo ha capito che le volte scorse gli altri non erano adatti, che i tempi non erano ancora maturi. Alex era diverso, lo è stato sin dall'inizio, e le scelte che anche in questo momento sta facendo lo dimostrano. Adesso che quel bastardo sta per ottenere finalmente ciò che vuole, non posso che pensare che sia giunto alla conclusione che non gli sono più di alcuna utilità e Grober toglie di mezzo i giocattoli che considera vecchi e inutili.» Sospirò, nervoso. «Ti confesso che quando mi recai in quella cameretta, per un attimo mi chiesi se non avrei fatto meglio a uccidere quel neonato. Mi domandai se in quel modo sarei riuscito a evitare che incappasse in un destino del genere. 'Quale futuro potrà mai avere?' pensai.»

«Non lo hai fatto perché sei una brava persona, Godric, e non avresti mai ucciso un innocente, neanche per risparmiargli tutto questo» disse indulgente Petya. «E poi, secondo me, niente è perduto. Alex è più astuto di quel che pensa Grober. Lui crede che siano tutti inferiori, di essere il più scaltro, di avere la vittoria in pugno, ma la superbia precede la caduta, lo sappiamo tutti e due. E comunque, Godric, non sarai da solo e se dovesse venire a cercarti, sta' pur sicuro che non gli permetterò di farti la festa.»

Godric sollevò le mani e solo allora Petya notò che erano state fasciate alla bell'e meglio con lembi strappati dalla maglietta dell'Efialte. Quest'ultimo tolse i bendaggi di fortuna e rivelò due profondi tagli ancora freschi e aperti.

«Di solito guarisco nel giro di un'ora, al massimo due. Sono graffietti se confrontati con ferite ben peggiori che mi sono fatto in passato. Non guarisco più, Petya» disse, il tono di voce piatto, quasi sfinito. «Forse non avrà bisogno di venirmi a cercare. Credo... Credo che abbia già calato su di me la sua falce.»

Petya si sentì raggelare. «Devi dirlo a Dante! Ti prego, Godric, diglielo! È il solo capace di far retrocedere la maledizione! Sei ancora in tempo!»

Aveva appena realizzato che Godric era stato colpito dall'Anatema dello Strazio, il più subdolo e ignobile di tutti e sette. Quando un Efialte non guariva da solo e in fretta come al solito era un pessimo segnale; la natura li aveva programmati per essere più resistenti, per sapersi adattare maggiormente, e guarire da ferite che spesso per gli umani o per altre creature risultavano fatali. Quando tale capacità, però, veniva meno, c'era da preoccuparsi eccome, voleva dire che qualcosa non andava per il verso giusto nel loro organismo. Gli Efialti, poi, non erano soliti ammalarsi, o almeno erano immuni alla maggior parte delle malattie conosciuti dagli esseri umani; persino cose come le neoplasie erano estranee a tutti loro. Nel caso di Godric, dunque, c'era un solo responsabile di tale stranezza, non era difficile capire cosa fosse successo, cosa gli stava accadendo anche in quel preciso momento.

Godric si limitò a riavvolgere la stoffa zuppa di sangue attorno ai palmi feriti. «No, Petya. Non dirgli niente. Lascia perdere.» Si stava quasi pentendo di essersi confidato con lui. «Ricordati solo che mi hai fatto una promessa. Vedi di mantenerla, per favore.»

Accettava la propria fine. D'altro canto aveva visto fin troppo e sofferto ancora di più. Era tardi per avere dei rimpianti, per ripensare al passato e chiedere perdono. A volte bisognava arrendersi e basta.

«Voglio solo che Violet sopravviva e rimanga al sicuro, e così pure Iago e suo fratello. Gli altri possono andarsene a fare in culo, compreso Dante.»

La cosa che di più straziava Petya era il non vederlo versare neppure una lacrima, ma anzi accettare quella sorte senza batter ciglio, quasi con indifferenza.

«Io capisco che sei stanco, Godric, e so che la vita non ti sorride da un bel po' di tempo, ma pensa a tua figlia: vuoi che cresca senza di te, senza ricordarti?»

«In realtà sì. È ciò che desidero, Petya. Troverà dei genitori rispettabili, se non altro. Che vita avrebbe condotto insieme a me? Insieme a un reietto, a uno degli Efialti più detestati e disprezzati dalla sua stessa gente? Non è l'esistenza che voglio per lei, non se la merita. Merita più di quello che io potrei mai darle.» Fece una pausa. «Desya sa la verità. Sa chi è, sa quale destino attende lui e suo fratello e mi ha giurato che lo avrebbe riferito a Iago. Il mio compito, per certi versi, si è già esaurito. Ho aspettato secoli l'arrivo del momento in cui avrei rivelato la verità ai soli eredi dei Rowinster ancora in vita. Speravo di vederli riconquistare il posto che spetta a entrambi, di poter tornare a casa un giorno, nel mondo da cui proveniva la mia famiglia, ma va bene anche così. Ho lasciato il segno, in un modo o nell'altro, ed è questo a contare.»

«Godric, ti prego di pensarci bene.»

«Ci ho pensato per secoli, Petya. Pensi davvero che non mi sia mai passato per la mente di farla finita? Credi che i primi tempi dopo la morte di mia moglie e dei miei figli non abbia desiderato di morire?» replicò ironico l'altro. «Non ho paura. Non provo niente a riguardo. La morte non mi spaventa, Petya. Il tempo degli Ammazzadraghi è terminato. Rispetta la mia scelta come hai rispettato quella di Sophie. Lei ha deciso di non sottrarsi alla maledizione, anche se Dante avrebbe potuto infrangerla. Io scelgo la medesima sorte.»

Il re finalmente comprese il suo atteggiamento degli ultimi tempi: quel costante nervosismo, quel suo pessimismo spiccato e rassegnato, quelle sue uscite infelici che di tanto in tanto gli erano sfuggite. Godric da tempo sapeva di essere stato maledetto, lo aveva capito perché in fin dei conti era un mago esperto, uno di quelli intelligenti a cui non sfuggivano certi segnali.

Probabilmente lo aveva detto solo in quel momento perché ormai era troppo tardi per rimediare all'Anatema.

«Non parlarne con gli altri e non dirlo a Desya. Ora è fragile, basterebbe la minima cosa a farlo sbarellare e non deve accadere. Non dirlo a nessuno.»

«Mi mancherai.»

Godric sogghignò. «Puttanate.»

«Dico sul serio, Godric» insisté Petya, sincero.

L'altro sorrise ancora, beffardo. «Fai il culo a quel bastardo di Grober e saremo pari, lucertolone.» Gli fece un cenno di commiato. «Ora me ne vado a riposare. Sono distrutto.»

Il re, guardandolo andarsene, si domandò se fosse giusto mantenere il silenzio e rispettare la volontà di Godric, oppure impedirgli di morire, aiutarlo, compiere un'azione gentile e del tutto disinteressata nei confronti di un Efialte che, nel bene e nel male, si era rivelato un prezioso alleato, e nonostante tutto, solo per un po', un buon amico.

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