Capitolo XXIII. Così parlò l'Imperatrice


Musica consigliata: "Isolation" di Peter Gundry.

https://youtu.be/PaF4cGzTRcQ

Era tarda mattina quando Erik uscì dalla stanza che i sovrani di Ninfipoli gli avevano concesso. Da quel che sapeva, Anthony ne aveva a sua volta una tutta sua; Dorian e Stefano, invece, erano ospitati in una sola camera.

Non aveva neppure fatto dieci passi nello spazioso corridoio dallo stile che strizzava l'occhio ai templi Greci e Romani, che vide arrivare una ragazza dai capelli bruni e occhi marroni che ricordavano, nella forma e il colore, quelli di una cerbiatta. Il ragazzo sentì le guance scaldarsi di colpo, di più quando ci mancò poco che lei gli andasse addosso.

Aveva un abito lungo e bianco. Sembrava una di quelle dee immortalate per sempre nel solido marmo.

«Chiedo scusa» biascicò la giovane, facendo un cenno rispettoso. «Il re e la regina mi hanno detto di scortarti da loro. Ti aspettano per fare colazione insieme.» Aveva fiori piccoli dai colori pastello fra i capelli raccolti in una spessa e unica treccia.

Erik non ricordava di aver mai visto una creatura più bella, prima di quel momento.

Rendendosi conto che continuava a fissarla mezzo imbambolato, tossicchiò e annuì più volte. «V-Va bene. Sì, certo!» chiocciò. «Uh... Tu... Lei... Voi...» Si maledì a mente. «Siete anche voi una principessa, o qualcosa del genere?» chiese infine.

La vide arrossire vistosamente e scuotere la testa. «Chi? Io? Cielo, no! Io sono la Prima Ancella della regina!»

Erik capì di aver fatto una delle sue epocali figuracce. «Oh... Scusami. Pensavo che... Voglio dire...»

La ragazza parve comprendere. «Quelle come me si vestono tutte così» spiegò. «Sono i nostri abiti tradizionali.»

«Quindi sei una Ninfa?»

Lei annuì e intanto le fece cenno di seguirlo. Erik fu ben felice di darle retta.

«Sono un'orfana e in teoria non avrei potuto lavorare a corte, però il re e la regina sono brave persone e lei, soprattutto, si è sempre comportata gentilmente. Non ho nulla di cui lamentarmi.»

«Mi dispiace» disse Erik.

«Non fa niente. Non ricordo neanche i miei genitori, perciò...!»

«Come ti chiami? Mi sono appena reso conto di non avertelo ancora chiesto.»

Dalle finestre socchiuse spirava un vento tiepido che portava con sé il profumo dei fiori che adornavano i giardini.

L'ancella della regina abbozzò un sorriso. «Il mio nome è Adeena.»

«Erik» replicò il ragazzo, che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

Adeena sorrise di nuovo. «Circola voce che tu sia arrivato qui dall'Oltrespecchio.»

«Non sono solo voci» ammise lui. «Ho aiutato un ragazzino e due bambini a scappare dalle segrete. Non ho ancora capito perché li tenevano imprigionati, ma sono felice di essermene andato.» Non pensava lo avrebbe mai detto, ma si sentiva meglio da quando aveva abbandonato quel castello. «C'è una situazione orribile laggiù. La popolazione è ridotta in miseria, tutti stentano per andare avanti.»

«Non vorrei essere al loro posto» commentò Adeena. «Prigionieri di quel folle di André!»

Evidentemente non sapeva che Erik, tra l'altro, era il nipote dell'uomo che aveva appena nominato con chiaro ribrezzo. Erik si ritrovò diviso fra il difendere suo nonno e il dare ragione alla giovane Ninfa. In fin dei conti aveva visto coi suoi stessi occhi cosa André era capace di fare.

«Sta facendo molte cose orribili, questo è vero» si limitò a dire. «Prima si riuscirà a fermarlo e meglio sarà.»

«Alcuni dicono che non ci riusciremo.» Adeena sembrava davvero preoccupata. «Dicono che André abbia in mente qualcosa di davvero orrendo e che sia vicino al rendere questa paura concreta.»

«Qualcosa del tipo?»

«Non lo so. Sono solo chiacchiere, ma una cosa la so: ieri sera ho sentito parlare il re e la regina nei loro appartamenti e sembravano molto preoccupati. Non so su cosa verteva la conversazione, ma persino loro si aspettano tempi difficili. Questo è certo.»

Adeena si fermò di fronte a un arco di pietra che si affacciava su quello che era il più spazioso ed esteso giardino al chiuso che Erik avesse mai visto. Sembrava un vero e autentico Eden terrestre.

Vide un tavolo di marmo spuntare dall'erba verde e rigogliosa e su di esso pietanze da colazione che facevano venire l'acquolina in bocca anche solo a guardarle.

Riconobbe i sovrani, seduti l'uno accanto all'altra, e ad affiancarli Anthony, Dorian e Stefano.

La regina era impegnata nell'aiutare i due bambini a barcamenarsi con tutto quel ben di Dio. Aveva un atteggiamento molto materno, questo bisognava riconoscerglielo, e a giudicare dalle forme che si intravedevano sotto il semplice abito rosa antico era in dolce attesa.

Per qualche ragione, quella vista riscaldò il cuore a Erik, il quale però a malincuore dovette salutare Adeena. La guardò allontanarsi, poi scese i gradini oltre l'arco di pietra e camminò sull'erba, tra i fiori e gli alberi che ricordavano molto dei ciliegi.

Fece un timido e impacciato cenno al re e alla regina e loro lo invitarono a sedersi. Erik, seppure in soggezione, prese posto alla sinistra del sovrano.

«Buongiorno, Erik» disse Cynder. «Spero tu abbia dormito bene.»

«Sì, maestà. Grazie per averci ospitato e... be', credo di dover ringraziare entrambi per tutto quello che state facendo per noi. Voglio dire... vi siete assunti un grosso rischio, vero? Se mio nonno dovesse scoprire che...»

«Non devi preoccuparti di questo» lo interruppe in tono pacato Cynder. «E comunque, una guerra è inevitabile. Non sarà di certo la vostra presenza a determinare la vittoria o la sconfitta di Obyria.»

Erik, ora che era giorno e poteva guardare da vicino il re, notò che sembrava stanco. Non pareva aver riposato a dovere, o riposato affatto.

«Maestà...» Si bloccò notando il suo sguardo. Sapeva che non voleva esser chiamato in quel modo, ma davvero uno come lui poteva dare a uno come il re del tu? Cercò lo stesso di accontentarlo. «Tu stai bene?» chiese, arrancando. Gli faceva uno strano effetto permettersi di dare una simile confidenza al re delle Ninfe e dei Sileni, un sovrano che tra l'altro rappresentava a pieni voti il modello di regnante: sguardo buono e portamento regale innato, maniere garbate e tanta, forse troppa, clemenza.

Cynder abbozzò un sorriso. «Sì, non preoccuparti per me. Piuttosto, Erik... Ti leggo negli occhi che hai molte domande da pormi e ti dico sin da subito che cercherò di rispondere a tutte quante, quando possibile.»

Erik, per avere qualcosa da fare e su cui concentrarsi, si versò del caffè. «Perché avete deciso di aiutarci? Voglio dire...»

«Credevo ti fosse chiaro» lo interruppe indulgente il re.

«Non molto, in realtà.»

«Uno dei motivi principali, è che detesto vedere degli innocenti in cattività, nemmeno fossero animali. Ti riuscirà magari difficile crederci, ma io so bene come ci si sente a essere in gabbia e non augurerei a nessun altro di trovarsi nella medesima situazione. Appena Alice mi ha spiegato tutto, non ho avuto più ripensamenti né esitazioni e ho accettato di rischiare.» Accennò senza farsi notare a Anthony, che pareva immerso nei propri pensieri. «Lui è il figlio di Alex Woomingan e caso vuole che io, mio fratello e altri abbiamo promesso a quell'uomo di proteggere la sua famiglia. Purtroppo non siamo riusciti a scongiurare il massacro in cui hanno perso la vita Fiona e Mathias, ma per fortuna ora Anthony e Daisy sono qui.» Fece una pausa. «Stefano è un bambino privo di colpe. I suoi genitori hanno scelto di stare dalla parte sbagliata credendo in principi che stento a comprendere, ma il sole dovrà ridursi in pietra e i mari dovranno prosciugarsi prima che arrivi il giorno in cui io deciderò di negare aiuto a chiunque venga a implorarlo. Forse, così, un'altra persona che io rispetto e ammiro molto troverà finalmente una ragione valida per stringere i denti e lottare.»

«Chi?» chiese Erik, ormai immerso nella conversazione e ansioso di sapere di più.

«Suo nonno» rispose Cynder. «Quello che fino a poco tempo addietro tutti chiamavano Principe della Notte. Io e chiunque sia suo amico, però, lo chiamo semplicemente Dario. È stato fra i primi a mostrarsi gentile con me, in parte è merito suo se sono riuscito a uscire dal mio guscio in cui mi ero rinchiuso durante la lunga prigionia.»

Erik sbatté le palpebre. «Allora è vero che Lorenzo è...»

«Sì, è vero.»

«Ma allora... n-non potremmo...»

«Temo di non disporre delle forze necessarie a tentare di liberare Lorenzo, Erik» ammise amareggiato il re. «Ho già stiracchiato abbastanza la pazienza di mio fratello e temo non mi darebbe il permesso di andare nell'Oltrespecchio per liberare quel vampiro. Vorrei tanto poterlo fare, ma per ora possiamo solo aspettare, purtroppo.»

Il ragazzo, allora, decise di fare un'altra domanda: «Perché mio nonno ha fatto rapire Anthony? Perché ce l'ha con suo padre?».

«Questo è un argomento del quale, se vuoi, ti parlerò sin nei minimi dettagli, ma non qui, non adesso. Non voglio che Anthony senta. Ha solo undici anni, è troppo giovane per sapere certe cose.»

«Dov'è ora suo padre?»

Cynder esitò ed Erik vide nei suoi occhi verdazzurri un lampo di autentica e addolorata tristezza. «Non è a Obyria, né in altri luoghi di tua conoscenza.»

«E tornerà? Voglio dire... a Anthony resta solo lui, non ha nessun altro.»

«Sì, tornerà, ma ci vorrà del tempo. Sarà un ritorno molto difficile e travagliato, e Anthony dovrà esser forte e soprattutto ricordare che suo padre lo ama con tutto il cuore. Non c'è stato giorno in cui non abbia pensato a lui, in cui non abbia desiderato suo figlio accanto.»

«Ma Anthony ha detto che se n'è andato. Perché non è rimasto? Perché abbandonare la famiglia?»

«Questo è quello che Alex e Fiona gli hanno lasciato credere» disse Cynder. «Le cose, però, in realtà erano molto più complicate. La verità, a volte, è più orribile della menzogna. Io non ero presente, ma mi hanno detto che nella città in cui si trovava Alex, la stessa in cui poi io sono stato tratto in salvo dalla prigionia, si è scatenato l'inferno. Come se non bastasse, sembra che lui fosse malato di cancro e purtroppo Fiona ha scelto di abbandonarlo e di mentire a suo figlio.»

«Ma quindi...»

«È morto, sì, ma dato che aveva sangue di vampiro in circolo, questo gli ha permesso di tornare come un vampiro.»

«E a quel punto non poteva tornare da loro?»

«Le leggi dei vampiri vietano a un vampiro di frequentare i famigliari mortali, qualora loro fossero all'oscuro di certe questioni. Per Alex è stato difficile accettarlo, ma in caso contrario temeva che avrebbe messo in serio pericolo la sua famiglia.» Cynder scosse la testa. «Anche di questa storia, Erik, parleremo in un posto più tranquillo. C'è tanto di cui parlarti, tanto che ancora non sai e devi purtroppo sapere. Farti restare nella completa ignoranza sarebbe stupido.»

Erik, confuso, scelse un altro argomento e si rese conto che sua madre era assente. «La mamma?» chiese.

«Tua madre è andata a Obyria. Non ero molto convinto, ma ha insistito e non c'è stato verso di farle cambiare idea. È andata a intercedere per te, Erik, con gli Imperatori. Non sanno ancora che ti trovi qui.»

«E s-se dovessero...»

«Vedrai che capiranno. Non preoccuparti. Mio fratello non è una persona crudele.»

«Mio nonno ha detto invece che non c'è da fidarsi di lui. Ha detto che...»

«Qualunque cosa ti abbia detto, non corrisponde alla verità.»

«Alice ha detto che forse avrei conosciuto finalmente mio padre. Non è che tu per caso sai qualcosa a riguardo?»

Cynder di nuovo esitò. «Questa è una di quelle domande alle quali non posso ancora rispondere. Perdonami.»

Il ragazzo sospirò in chiaro segno di delusione. «Non è importante, è solo che sono curioso.»

«E non te ne faccio una colpa. Ti chiedo solo di avere pazienza, niente di più» gli assicurò il re, la voce calma e sincera.

Furono interrotti dal ritorno dell'ancella Adeena, la quale non era affatto da sola. L'attenzione di tutti fu catturata dalla nuova arrivata, una bambina dagli occhi e i capelli scuri e la pelle bianca, talmente tale che non poteva essere un incarnato presente in natura. E la piccola era bella, forse persino troppo. Sembrava una di quelle bambole a grandezza naturale da collezione, l'orgoglio di qualsiasi madre, il tesoro prezioso di qualunque padre. Erik quasi immediatamente percepì in lei qualcosa di nuovo, che mai gli era capitato di avvertire in altri: c'era il tipico sentore di magia, eppure...

Il ragazzo tornò a guardare il re. «Scusa se sarò diretto, ma lei chi è?» chiese a bruciapelo, ormai ansioso di sapere chi e cosa aveva appena guardato.

Cynder abbozzò un sorriso che sembrava in parte triste, poi guardò a sua volta la bambina.

«Lei è Fedra e benché siano stati Lorenzo e Alice a prendersi cura di lei e a svolgere il ruolo di suoi genitori, insieme a lui è l'ultima discendente diretta di Dario. È sua figlia e dato che quando è nata suo padre era ancora il Principe della Notte in carica, questo fa di lei tutt'ora una bambina di sangue reale.»

«A-Aspetta...» Erik era confuso. «Ma io non l'ho mai vista, tutte le volte che...»

«Questo perché Lorenzo e Alice l'hanno sempre celata al resto del mondo, seguendo le direttive di Grober. Tuttavia, quando Alice è venuta qui per implorarmi di prendere te e gli altri in custodia, come prima e autentica garanzia per le sue buone intenzioni ha deciso di lasciare a noi la piccola. Non voleva che Grober la usasse in qualche maniera contro suo padre, suppongo.»

Erik era scettico. «Leda è morta da ormai quasi due anni precisi, ma Fedra sembra...»

«È normale, suppongo. I bambini nati dall'unione di un vampiro e un essere umano tendono a crescere più in fretta e a sviluppare in tempi molto più brevi gran parte della loro intelligenza» spiegò Cynder, facendo poi un cenno alla piccola la quale, reticente per via sicuramente della presenza di Erik e gli altri, in un primo momento non parve intenzionata ad allontanarsi da Adeena. Si fece infine coraggio e con lo sguardo basso si fermò a poca distanza da dove era seduto il sovrano.

Una cosa era sicura: Fedra aveva ripreso molto dell'aspetto fisico da suo padre, tranne che per gli occhi, di una tonalità castana più chiara.

Erik ancora una volta non riusciva a capire. «Ma se lei è la figlia di Dario, allora perché lui non è qui, o non l'avete condotta da lui? Voglio dire... è suo padre e da quello che ho sentito, per due anni non ha fatto che portare il lutto per sua moglie e il bambino che si diceva era nato morto. Sua figlia però è viva.»

Fu la regina Nephele a rispondere a quella domanda: «Ora come ora Dario non è in condizioni ottimali».

«Che vuol dire?»

«Ha molti pensieri per la testa, al momento, non tutti sereni e felici. Non sappiamo come potrebbe prendere la notizia che sua figlia si trova qui. Senza contare che... be'...»

«... Fedra sa che Dario è suo padre, Erik, ma non ne comprende il significato» terminò Cynder al posto della moglie. «In fin dei conti ha solo due anni e fino a poco tempo fa ha vissuto con Lorenzo e Alice, con la convinzione che fossero loro i suoi genitori, o comunque tutori. A conti fatti li vede come una madre e un padre, pur sapendo chi sia il solo, unico e vero genitore che le resti. Ci vorrà del tempo, temo, e Alice mi ha detto che quando Lorenzo ha parlato a Dario di Fedra, lui... come dire... ha espresso la volontà di non voler incontrarla fino alla fine della guerra. Non sa tuttora se ne uscirà vivo, i nemici sono tanti e lui in particolare ha un grosso peso sulle spalle.»

«Però magari, se la incontrasse, potrebbe cambiare idea, no?» insisté Erik, il quale era piuttosto sensibile in merito a certi argomenti. «Gli importa di lei, per due anni pensava fosse morta come la madre e invece è viva. Questo ha il suo peso!»

Quale padre rimasto separato da sua figlia sin dalla nascita di quest'ultima avrebbe poi scelto categoricamente di non incontrarla e solo per via di una stupida guerra?

Per fortuna Fedra si era allontanata prima dell'inizio di quella conversazione. Erik volse lo sguardo verso di lei e la vide inginocchiata vicino a delle piante di candidi asfodeli. Una delle sue minuscole mani era sollevata a mezz'aria e protesa verso i fiori. Il ragazzo li vide cambiare improvvisamente colore e diventare di una bella tonalità purpurea. Non poté non restare sbalordito.

«Ha dei poteri?» chiese ai sovrani.

«È naturale» rispose tranquillamente la regina. «Con dei genitori come Dario e Leda era inevitabile che anche lei ne fosse provvista. Da quello che ci è stato riferito, ha mostrato in maniera precoce l'abilità di darne sfoggio, e non tutti i bambini ci riescono, molti causano un bel po' di pasticci, non sapendo come controllarli, ma lei... be', fino ad ora si è comportata bene, diciamo così.»

Ora gli asfodeli erano mutati divenendo color glicine.

«Incredibile» mormorò Erik. «Mia madre una volta mi ha detto che da bambino facevo un bel po' di disastri. Non sapevo quel che facevo e così decise di sigillarli finché non fossi stato pronto a padroneggiarli.»

Solo di recente aveva scoperto di possedere abilità magiche, fino a tempo addietro era sempre stato convinto di essere una persona comune e a volte rimpiangeva quel periodo della sua esistenza, quando tutto era molto più semplice, noioso e normale.

Guardò il re e la regina. «Anche voi avete dei poteri?»

Annuirono entrambi. Cynder, però, ci tenne a precisare che anche lui era ancora profano in merito alla magia, Nephele invece aveva coltivato le proprie capacità sin da ragazzina.

Erik si morse il labbro inferiore, indeciso se fare o meno un'altra domanda. Alla fine scelse di rischiare: «Mi hanno detto che Skyler, tuo fratello, è uno Stregone del Buio. Hanno detto che è per questo che... be'... accaddero quelle cose orribili a Feridan Town. È vero?»

Il sovrano scosse la testa. «Assolutamente no. La sua magia è di natura tuttora Crepuscolare, Erik, te lo posso assicurare. Se vuoi un buon consiglio, dimentica tutto quello che ti hanno detto su di lui e sulla Resistenza. Si sono dette tante cose, ma la principale verità è che noi lottiamo per il bene di Obyria intera e stiamo cercando di impedire a un disastro enorme di compiersi.»

«Quindi è vero quello che Lorenzo mi ha raccontato prima di essere imprigionato: mio nonno... lui...»

«Tuo nonno ha bisogno lui stesso di aiuto» disse Cynder. «E io, personalmente, spero di riuscire a darglielo.» Si alzò e fece cenno al ragazzo di seguirlo. «Vieni, facciamo quattro passi. Devo parlarti di una cosa ed è molto importante. Abbiamo tutti bisogno che tu capisca.»

Erik per qualche istante rimase dov'era, incerto, poi si convinse e seguì il re, camminandogli di fianco.

«Di che si tratta?»

«André non sta bene» disse Cynder. «Non è consapevole delle proprie azioni, non lo è da decenni, da quando era bambino. Poco a poco quello che ha dentro ha divorato un pezzo alla volta la sua persona, ciò che è in realtà, e alla fine è emerso completamente il suo lato mostruoso.»

«Perciò è pazzo?» chiese confuso Erik.

«No...» Cynder sospirò. «Ignoro il suo attuale stato mentale, ma devi capire una cosa importante: il viso che hai guardato per anni, Erik, cela un'entità pericolosa e oscura che a sua volta ha bisogno di aiuto, e in fretta anche. Per usare un termine volgare: André è posseduto e io voglio che in qualche maniera riesca a salvarsi e a tornare chi è davvero. Il percorso potrebbe non essere facile, André potrebbe non sopravvivere dopo tanto tempo trascorso in ostaggio di Grober, l'entità di cui ti ho parlato poco fa, ma una speranza c'è sempre.»

Erik non riusciva a credere alle proprie orecchie e tutti gli anni trascorsi ad amare suo nonno e vederlo come un punto di riferimento ora minacciavano di sgretolarsi di fronte ai suoi occhi.

«Cynder?»

«Dimmi.»

«Perché a te importa così tanto di salvarlo, se le cose stanno davvero come dici tu? Voglio dire... sembra quasi una questione personale per te.»

Il re pareva indeciso su come rispondere a quella domanda. «Perché lui... lui è mio padre, Erik» replicò infine, incapace di mentire a occhi limpidi e innocenti come quelli di Erik.

Il ragazzo lo fissò con aria stordita e persa. «Lui è cosa?»

«È mio padre» ripeté Cynder. «Per questo voglio aiutarlo, nonostante tutto.»

«M-Ma come? Insomma... questo vorrebbe dire che...»

«Sì, Erik, e anche per questo ho accettato subito la richiesta di Alice.»

Erik si fermò e gesticolò. «V-Va bene, c-calma: i-io avrei quindi come zii il re dei Figli della Natura e l'Imperatore di Obyria in persona? Fai sul serio? Perché allora la mamma non mi ha mai detto niente sul vostro conto?»

Cynder sospirò. «A questo punto sarebbe da stupidi nasconderti il resto. Forse è giusto che tu sappia sin da subito la verità.»

Brian si fermò a ridosso del parapetto di pietra del grande balcone fuori dalla sala del trono.

Più passava il tempo e più il cielo stava assumendo, giorno dopo giorno, un colore sempre più grigio, plumbeo e in perenne tempesta.

La luce del giorno era fioca e debole, nell'aria si avvertiva una specie di perenne angoscia.

Per alcuni istanti non disse niente e rimase a guardare con la coda dell'occhio Samantha. Così cresciuta, così donna ormai, sempre meno ragazza. La sua figura magra e longilinea era avvolta in un vestito dal tessuto svolazzante di un tenue azzurro, la gonna sembrava richiamare i petali sottili di un fiore che stava appassendo; le spalle diritte dell'Imperatrice sostenevano le maniche che aderivano perfettamente alle braccia. I lunghi capelli biondi erano stati raccolti in un'acconciatura che le donava molto, le dava un'aria raffinata prontamente disturbata da un qualcosa di sbarazzino rappresentato dalla mossa frangia che le ricadeva sullo zigomo sinistro.

Poche volte gli era capitato di vedere una persona di così bell'aspetto e, al tempo stesso, di animo così triste e disincantato.

Un braccio era reclinato contro il seno, l'altro piegato ad angolo, la mano sollevata a mezz'aria impegnata nel sostenere una sigaretta color argento.

Sembrava quasi una donna d'altri tempi uscita da qualche film ambientato durante la Grande Depressione.

Samantha, la quale sin dal suo arrivo lo aveva notato, si decise a parlare, espirando una sottile nuvola di fumo. «La stronza è ancora là dentro con lui?» chiese, visibilmente alterata.

Brian annuì e sospirò. «Non hai fatto una gran bella figura prima, sai?» si permise di dirle. «Insomma, capisco come ti senti, ma dando in escandescenza come hai fatto poco fa...»
«Scusa tanto se è stata lei a rapire me e Jonathan» lo interruppe a denti stretti Samantha, rivolgendogli una furiosa occhiata in tralice. «Per non parlare di tutto il resto! Scusa tanto, Brian: la prossima volta che Zelda verrà a farci visita l'accoglierò regalmente e sempre regalmente mi deciderò a staccarle la testa dal collo, che a Skyler piaccia o meno.» Fece un breve tiro dalla sigaretta. «Quel fesso di Skyler... Lui e le sue idee balorde di tolleranza!» sputò fuori.

«Ora non esagerare» si lasciò sfuggire Brian.

Sam si voltò a guardarlo, appoggiando la mano libera sul parapetto. «Senti un po', Brian: hai già dimenticato cosa stava per fare a James? Hai scordato che ci ha nascosto un sacco di cose riguardo ad Alex? Ti ricordo che mio fratello lo ha seguito a ruota, nel caso ve lo foste dimenticati! Avevo il diritto di sapere!»
Brian alzò gli occhi al cielo. «Primo: alla fine James è ancora vivo e vegeto, e non è successo niente. Secondo: non ho dimenticato niente di tutto questo e so bene che sei preoccupata per Andrew, perché lo sono anch'io, per non parlare del terrore che provo nel sapere che il mio migliore amico è destinato a fare da esca a quel bastardo di Grober. Terzo: non dimenticare che Cynder per primo avrebbe dovuto vuotare il sacco. Era compito suo informarci, non di Skyler.»

«Alla fine è sempre colpa degli altri, vero? Adesso è Cynder il nuovo saccone da boxe di tutti quanti?»

«Non lo sto incolpando di niente e non lo vedo affatto come un fantoccio sul quale sfogare la mia frustrazione. Ho solo detto come stanno le cose, Samantha. Non partire subito in quarta solo perché stravedi chiaramente per lui.»

«Senti chi parla! Sei tu il primo a difendere Skyler a spada tratta, anche se a volte si comporta da stupido! dev'essere facile avere la persona che ami tutta per te! Non devi restare a guardare ogni volta mentre se ne va affiancata da una persona che non sei tu! Cammini al fianco di Skyler alla luce del sole e resti nel letto con lui fino al mattino, senza che nessuno dica niente! Non sei nella posizione per criticarmi, Brian!»

Lui non disse niente. In effetti c'era ben poco da dire ed era evidente che quello di Samantha fosse uno sfogo.

Sam tornò a fissare la città a valle ancora in ricostruzione. «Nephele è la più amata di tutti. È quella che dice sempre la cosa giusta, che si comporta sempre come si addice a una regina. È quella perfetta. Io invece per cosa sono conosciuta? Per aver dato alla luce Jonathan, che ho sentito viene definito anche ora il bastardo dell'Imperatore. Qui è come se fossi invisibile, insignificante. l'uomo che ho dovuto sposare se ne va a dormire con te, quello che amo e ha sposato un'altra invece vive felice con lei, è persino in attesa del loro primo bambino. L'unica a dormire da sola la notte sono io. Sono io l'unica a piangere senza che nessuno mi abbracci mai e mi dica che tutto andrà bene, prima o poi.»

Ormai tirava avanti convincendosi di aver fatto qualcosa di male in passato, qualcosa che le era valso infine quell'orribile castigo fatto di solitudine e infelicità, di sorrisi che sempre di più si facevano finti e vuoti, di voglia di urlare a squarciagola trattenuta a stento, di gelosia impotente e rabbia, tanta rabbia.

Eppure si ritrovò lo stesso a piangere come una ragazzina. «Ma cosa ho fatto di male per meritare tutto questo?» singhiozzò, la voce ridotta a un flebile sussurro.

E lei che stupidamente, all'inizio di tutto, si era convinta che appena suo fratello fosse tornato in libertà, la faccenda sarebbe terminata lì. Che sciocca era stata...

Pur non provando sentimenti per Skyler, le faceva male sapere che lui era indifferente sotto tanti aspetti per quel che la riguardava; l'indecisione di Cynder le toglieva il sonno e la riempiva di rabbia, quel suo essere diviso tra i teneri sentimenti per Nephele e... qualsiasi cosa ci fosse tra di loro, o ci fosse stata. E cosa dire di suo fratello che era andato a rischiare ancora una volta la vita chissà dove? Proprio quando avrebbe avuto più bisogno di lui, ecco che era stata di nuovo lasciata da sola.

Si vergognava ad ammetterlo, ma in quei mesi a volte si era ritrovata ad avercela con Andrew, pur sapendo di essere nel torto.

Brian era rattristato nel vederla in quelle condizioni e, in modo assurdo e contorto, si sentiva quasi in colpa. «Non hai fatto niente» disse. «Purtroppo, ho paura che siano gli eventi ad aver remato contro di te.»

«Che gli eventi vadano a fare in culo, allora.»

Lui aprì bocca per ribattere, ma si bloccò e irrigidì quando vide Zelda uscire sul balcone e procedere verso di loro.

Oh oh, pensò inquieto, lanciando un'occhiata nervosa a Samantha. Lei se ne accorse e si voltò, e in un attimo la sua espressione trasfigurò e si fece ostile. Era un miracolo che a differenza di Rasya lei non potesse uccidere tramite lo sguardo, perché altrimenti Zelda avrebbe avuto di che preoccuparsi.

«Bene, io... uh... v-vi lascio sole, eh?» fece Brian, ma Sam gli afferrò un braccio e lo costrinse a restare dov'era, senza staccare gli occhi dardeggianti dall'altra donna.

Zelda non sembrava trovarsi lì con la volontà di discutere, in realtà sin dal suo arrivo era stato chiaro che si fosse presentata armata delle intenzioni più pacifiche.

Eppure questo aveva voluto dire infine ben poco quando se n'era uscita dicendo che Erik era fuggito dall'Oltrespecchio e in quel momento aveva trovato rifugio presso lo zio paterno, Cynder.

Per Samantha era stato come ricevere uno schiaffo dopo l'altro e la voglia di andare dritta dritta a Ninfipoli per prendere a ceffoni il re andava aumentando di secondo in secondo.

«Che cosa vuoi?» chiese brusca a Zelda. Quest'ultima le restituì un'occhiata gelida. «Non sono qui per litigare, Samantha.»

«Per te sono Vostra Grazia» sibilò altera l'altra donna. Quando faceva in quel modo somigliava spaventosamente al fratello, e non era un buon segno.

«Oh! Ma guarda come inizi a darti delle arie!»

Brian tossicchiò. «Non mi sembra il caso, ora, di...»

«Zitto» gli intimò Samantha. «Ripeto, Zelda: che cosa vuoi? Sicuramente avrai già ottenuto quel che desideri da Skyler, perciò puoi anche andartene.»

«In verità non ho ottenuto un bel niente, e mi trovo qui solo perché voglio che Erik riceva la migliore protezione possibile da parte di Obyria. Penso gli sia dovuto.»

Samantha sorrise con scherno. «Ah, quindi hai fatto un viaggio a vuoto!»

«Skyler ha detto che non avrebbe preso alcuna decisione senza la tua approvazione.»

«Stai scherzando, vero?»

«Non mi risulta di essere una burlona.» Zelda squadrò brevemente Brian. «Lasciaci sole, per favore.» Lui fu ben felice di tornare dentro, anche se prima di rientrare nella sala del trono guardò Sam con aria di scuse. Lei, però, era troppo impegnata a tener d'occhio ogni singola mossa di Zelda.

«La mia approvazione» ripeté lentamente. «Davvero gentile da parte sua cedere a me questa rogna.»

Poteva tollerare tutto, tranne che la presenza di quel ragazzo nel palazzo in cui lei viveva. Non ci pensava minimamente a permettere a quell'Erik di risiedere lì. Tanto valeva, a quel punto, spedire Jonathan a guardare le oche. «E quale sarà la tua prossima pretesa, Zelda, dimmi? Far riconoscere Erik come legittimo erede di Skyler?»

Zelda restrinse lo sguardo e la raggiunse. «Non essere sciocca!» fece a denti stretti. «Voglio solo che lui sia al sicuro!»

«Da quel che so, ora se ne sta bello bello sotto l'ala protettrice di Cynder.»

«Il regno delle Ninfe non è abbastanza forte da poter reggere un possibile attacco da parte di Grober, Samantha, e lo sai bene! Così stai condannando a morte Cynder e Nephele! Cosa pensi accadrà quando Grober scoprirà che Erik si trova con loro? Per non parlare di Anthony!»

Samantha resisté all'impulso di prenderla di peso e scaraventarla giù dal balcone solo perché era gravida e non voleva una vita innocente sulla coscienza. «Non osare nemmeno pronunciare il nome di quel ragazzino, tu che hai maledetto suo padre!»

«Non è che tuo fratello non fosse d'accordo nel consegnarlo ad Arwin e Grober, sai?» ringhiò in risposta Zelda. «Era pronto a tutto per vederlo morto!»

L'Imperatrice non ce la fece oltre e le assestò un manrovescio. «Sciacquati la bocca prima di parlare di Andrew!»

Zelda incassò il colpo, ma era chiaro che non avrebbe dimenticato quel gesto. Glielo si leggeva negli occhi color lillà che prima o poi avrebbe restituito la cortesia. «Fa male la verità, vero? Sapere che il tuo beato fratello non è poi così innocente!»

«E cosa gli avete fatto tu, Grober e Arwin?» tuonò Samantha, ormai ai ferri corti con la pazienza. «Lo avete tenuto prigioniero, torturato e seviziato per sette anni! Scommetto che non ne eri all'oscuro, dico bene?» La maga non rispose e l'Imperatrice piegò le labbra in un forzato e sgradevole sorriso. «Come pensavo!»

Zelda respirò profondamente. «Abbiamo tutti commesso degli sbagli.»

«Tu, però, ne hai commessi troppi. Chi ti ha dato il diritto, il coraggio, di rapire me e mio figlio? Sei una madre, proprio come me, eppure questo non ti ha impedito di farci rischiare l'osso del collo! Non mi stupisce che Iago non voglia aver niente a che fare con te!»

Sapeva molto bene di aver affondato il pugnale nella parte più esposta di Zelda, e non si sentiva per niente in colpa ad averlo fatto.

Zelda per un po' non trovò niente con cui rispondere a quell'offesa. Era come se Sam avesse c'entrato il punto, il cuore del suo malessere.

L'Imperatrice le scoccò un'ultima occhiata glaciale. «La mia risposta è no.» Per quel che la riguardava, Skyler aveva commesso un grave errore a rimettere a lei la decisione di ospitare o meno a Obyria Erik. Non avrebbe acconsentito anche a quello. Non avrebbe ingoiato l'ennesima pillola amara senza batter ciglio. Ne aveva abbastanza. Sorrise appena. «Chiedi aiuto al tuo paparino. Ah, no, dimenticavo che è lo stesso mostro dal quale ora stai cercando disperatamente di fuggire. Che disdetta non avere una famiglia alle spalle! Né una madre né un padre a proteggerci!» Si avvicinò di più. «Ora sai come mi sono sentita io in tutto questo tempo. Ora sai come mi sono sentita quando anche mia madre è venuta a mancare, forse sempre per mano tua, per colpa del tuo gingillarti con la magia.»

Zelda strinse le labbra. «Non ho avuto niente a che fare con la sua morte, invece. Ho detto a mio padre... a Grober, anzi, di non farlo. Gli ho detto che vi avrebbe solo aizzati di più e non ha voluto ascoltarmi.»

«La tua parola contro la mia vale meno di niente, Zelda» replicò Samantha, sprezzante. La superò con un volontario e disinvolto spintone. «Ora torna pure a Ninfipoli e riferisci la mia volontà ai sovrani. Se vogliono chiedere asilo per quei ragazzi, che lo facciano loro, invece di mandare un'ambasciatrice di dubbia affidabilità come te.»

Zelda la raggiunse e la fermò. «Samantha, per favore! Non hai la più pallida idea di cosa stanno rischiando tutti loro! Non capisci quanto sia alto il pericolo che Ninfipoli venga attaccata e faccia la fine di questa città!»

L'altra la respinse, più sprezzante che mai. «Riferisci cosa ho detto e staremo a vedere. Parlerò solo con uno di loro. Di te non mi fido, Zelda, e ho in ogni caso una condizione: ben vengano gli altri, ma Erik non metterà piede qui. Non sarò di nuovo lo zimbello di Obyria intera!»

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