Capitolo XX. L'inganno
Musica consigliata: "Dining with Lecter" di Peter Gundry.
https://youtu.be/KIMf8cJ5UeA
Skyler tamburellò le dita sulla scrivania, osservando ora Petya, ora Godric. Nello studio erano presenti anche Cynder, Brian e Samantha. In teoria sarebbero dovuti esserci anche Dario e James, ma entrambi si erano così attardati, da aver spinto alla fine Petya e Godric a esporre comunque i loro timori a Skyler e il resto del gruppo.
«Quindi, secondo voi, Dante e questa entità, Rasya, sarebbero collegati? Per questo Grober lo vuole nelle sue schiere?» chiese l'Imperatore, in parte scettico.
«Esatto!» replicò Godric, sfiancato.
Skyler sospirò. «Sono... Sono prove circostanziali. Non possiamo esserne certi.»
«Prove circostanziali? Ma ti ascolti quando parli?» esclamò l'Efialte, infervorandosi.
Samantha si permise di intervenire: «In effetti, però, spiegherebbe alcune cose».
Cynder era stranamente taciturno, Brian invece scettico, proprio come Skyler. Benché lo allettasse abbracciare la teoria di Godric e Petya, tutto gli pareva fin troppo assurdo. «Dovremmo scavare più a fondo, a mio parere» suggerì.
«Oh, certo!» fece derisorio Godric, come se stesse parlando a un bambino stupido. «Perché non andiamo da Dante e gli chiediamo se per caso è al corrente del motivo per cui Grober vuole reclutarlo? O magari gli domandiamo se c'è la remota possibilità che lui sia connesso in qualche maniera a Rasya! Sai che conversazione allegra, specie con lui! Riderò per non piangere quando sviterà il cranio a tutti come se fossimo bottiglie di champagne!»
«Magari a te e a Petya non lo direbbe, ma...»
«Non ha mai parlato con nessuno del proprio passato, a parte sua moglie!» tagliò corto Godric, più alterato di prima. «Credi davvero che io o quest'altro qua non abbiamo provato a farlo parlare, da quando lo conosciamo? Povero illuso!»
Herden gli scoccò un'occhiata torva. «Senti un po', simpaticone saccente, sto solo cercando di...»
«È una battaglia persa con lui, Brian, credimi» lo apostrofò Skyler, che aveva da un pezzo inquadrato quella testa dura d'un Efialte. «È peggio di Richard e Alex messi assieme. Parole di Dario, queste, non mie.»
«Ma come ti permetti!» fece stizzito Godric, squadrandolo altero. E come si permetteva quel vampiro della malora di sparlare di lui con quei marmocchi!
«Appunto» sentenziò Skyler, occhieggiando una seconda volta Brian che, malgrado la situazione, dovette soffocare a stento una sghignazzata.
Cynder prese parola, soprattutto per indirizzare altrove l'attenzione di Godric, prima che a quest'ultimo passasse per la testa di sbattere come un tappeto l'altro Langford: «E se chiedessimo a James di fare un tentativo?».
«Neanche lui è così bravo» commentò tetro Skyler, il quale non era affatto estraneo alle capacità di persuasione dell'amico di vecchia data. «Dante è più chiuso di una cassaforte, e comunque non sappiamo neanche dove sia James. Doveva venire a questa riunione, ma...!»
«Potremmo chiederglielo appena arriverà» insisté Cynder. «Sappiamo che Dante sta cercando di scoprire cos'hanno in mente lui e Alex. E se gli proponesse una specie di accordo?»
«Un accordo?» incalzò perplesso suo fratello. «Spiegati.»
«James gli riferisce tutto quello che sa e Dante, a sua volta, si decide a far luce su alcuni aspetti del suo passato che al momento ci lasciano intendere un possibile collegamento fra lui e Rasya» spiegò semplicemente Cynder, senza troppi arabeschi.
Brian rise sardonico. «Certo! Così poi, magari, darà a noi la possibilità di fermare il loro piano! Bel tentativo, ma dubito potrebbe funzionare! James non sarebbe mai tanto scemo da riferire subito dopo a noi che cosa si sono detti lui e Signor Tenebra, o come lo chiamano dalle sue parti!»
Il re dei Figli della Natura si incupì. «No, Brian. Rimarrebbe fra loro due.»
Petya sbatté le palpebre. «Che cosa intendi dire?» chiese.
L'interpellato esitò. «Quando... quando ho parlato con Metatron, una cosa l'ho capita, alla fine: mi ha detto di lasciare che le cose seguano il loro corso, di non interferire. In modo sottinteso mi ha spiegato che non riusciremmo comunque a impedire al futuro di compiersi, e sappiamo quale futuro attende Alex.»
Brian rimase sconvolto da quella rivelazione, ma il suo sconcerto aumentò in maniera esponenziale non appena guardò Skyler e non vide la benché minima ombra di confusione nei suoi occhi. «Tu lo sapevi già.» La sua non era una domanda, bensì una delusa e risentita affermazione.
L'Imperatore si limitò a tacere, ma in realtà si sentiva terribilmente in colpa. Non era bello essere guardati a quel modo da una persona come Brian, specie se poi si considerava che fra loro c'era del tenero. Chi amava non mentiva, dicevano, ma a volte una bugia era il prezzo da pagare per mantenere un po' di pace nei ranghi. Se gli avesse detto la verità, gli avrebbe solo procurato un gran dispiacere e in più fatto sprofondare nel panico tutti quanti. Eppure, alla fine, non era servito a niente mentire e omettere. La verità era appena venuta a galla e ora tutti loro sapevano che per Alex non c'era nulla che potessero fare. Nessuno di loro poteva aiutarlo né salvarlo. Era uno di quegli elementi che andavano sacrificati, se si voleva almeno tentare di vincere la guerra.
Cynder aveva detto che alla fine sarebbe andato tutto per il meglio e lui cos'altro poteva fare, a quel punto, se non credergli?
Brian si rivolse proprio al minore dei gemelli Langford, lo sguardo lucido e saettante per la rabbia: «Quando pensavi di dircelo, o di dirlo almeno a me? Stiamo parlando del mio migliore amico! Avevo tutto il diritto di sapere una cosa del genere! Ero proprio lì quando Metatron ti ha rivelato la verità, ricordi?».
Cynder lo guardò. «In teoria non avrei dovuto dirlo a nessuno» rispose con la sua solita spiazzante onestà. «Metatron voleva che mantenessi il segreto, ma mi sembrava giusto farvelo presente, specie arrivati a questo punto. Da ciò che ho inteso, Alex e James potrebbero avere in mente di consegnarsi spontaneamente per una ragione ben precisa: dettare le regole del gioco. Hanno scelto di fare quello che nessun altro avrebbe mai fatto. A pensarci bene, non è così scontato: tutti quelli che si sono opposti fino all'ultimo a Grober hanno fatto una brutta fine e per giunta invano. Forse James e Alex sono arrivati alla conclusione che magari sarebbe stato meglio tentare un approccio diverso.»
«Ma questa è crudeltà!» sbottò Brian, allibito. «'Un approccio diverso'... ad averlo saputo prima, ti avrei registrato e solo per farti riascoltare le stupidaggini che ci hai appena sciorinato, e per giunta tutto convinto!»
«So che non è facile da accettare» replicò Cynder, quasi alterato e spazientito. «Lo so bene, ma non abbiamo altra scelta! È così che le cose devono andare! Metatron mi ha detto che dobbiamo avere fede in Alex e James, e io ce l'ho! Mi fido di loro, quali che siano le loro intenzioni! E comunque non abbiamo molte alternative!» Sembrava che aver mantenuto il silenzio su quell'argomento, seppur per poco, lo avesse logorato profondamente. «Non pensare che a me faccia piacere la prospettiva di vederli andare incontro alla morte spontaneamente, ma ricordiamoci che sono due uomini che hanno già provato di essere a loro modo fuori dal comune e di grande volontà! James non a caso aveva inciso sul proprio distintivo una Fenice, quando era ancora un Cacciatore! Alex è il Custode di Valknut, il Sigillo che unisce la vita e la morte, il simbolo della resurrezione! Serve dire altro? Ragionate, almeno per un secondo!»
Un attimo dopo si udì bussare alle porte dello studio.
«Avanti!» fece a voce alta Skyler, un po' scosso dallo sfogo del fratello. Non si sarebbe mai abituato a vedere Cynder adirato, poco ma sicuro. Non era proprio di uno come Cynder perdere la pazienza e ultimamente stava accadendo troppo spesso.
Vide entrare proprio James. Sembrava sempre più provato e indebolito, come se poco a poco qualcosa gli stesse risucchiando via la forza vitale.
Langford di istinto si alzò di scatto, aggirò la scrivania e lo raggiunse. «Ehi, stai bene?» chiese.
Wolf fece un debole cenno con la testa e guardò prima Skyler, poi il resto del gruppo. «Dario è con Sophie e mi ha chiesto di dirvi che, almeno per il momento, non può presenziare.» Il tono di voce era strano e flebile, la pelle bianca aveva un sottotono ormai palesemente grigiastro e spento.
Ogni volta che lo rivedevano, pareva peggiorare.
Cynder gli si avvicinò a sua volta e decise di cogliere al balzo la palla. «James, io e gli altri ci chiedevamo se tu... uh... saresti disposto a tentare di parlare con Dante. Noi pensiamo che abbia un legame con l'entità Rasya e forse sapere qualcosa sul suo passato potrebbe aiutarci a...»
«Non c'è bisogno di chiederglielo» lo interruppe James. «E per rispondere al quesito: sì, ha un legame con Rasya». Tale affermazione colse di sorpresa tutti quanti, a parte Petya e Godric. L'ex-Ispettore guardò i presenti. «Non posso dirvi altro, però, e vi chiedo di non scavare più a fondo nell'argomento, né con me né con Dante. Ormai sapete tutti la verità, ve lo leggo negli occhi, e non c'è altro di cui dobbiate esser messi al corrente. Lasciate fare a me e ad Alex e, soprattutto, non ostacolateci.»
«Lasciarvi fare cosa, esattamente?» sbottò a voce alta, spazientito, Skyler, che ne aveva sul serio abbastanza di tutti quei segreti. Voleva sentire la verità direttamente da lui, non ci avrebbe creduto fin quando Wolf non gli avesse assicurato che sì, il mirabolante piano suo e di Alex era quello di farsi ammazzare di proposito. «Hai la vaga idea, James, di tutto lo schifo che ho dovuto tollerare negli ultimi mesi? Gente che da tutte le parti mi addita come traditore o addirittura un tiranno, quando la verità è che ho alle calcagna tutto il Consiglio Obyriano e un miliardo di pressioni addosso! Ho dovuto vendere al mio peggior nemico uno dei miei amici più cari e adesso osi dirmi che non ho il diritto di sapere che intenzioni avete tu e quell'altro sciamannato irresponsabile? Col cavolo! Fuori il rospo! Adesso!»
Samantha e Cynder si scambiarono un'occhiata, poi fu lei a raggiungere il marito. «Calmati. Urlare e strepitare non...»
«NEANCHE RESTARE CALMO MI È SERVITO A GRANCHÉ, O SBAGLIO?» tuonò Langford, per poi tornare a scrutare torvo e inviperito Wolf. «Vuota il sacco, avanti!»
James rimase in silenzio, sostenendo il suo sguardo senza la minima ombra di scherno o aggressività. Il suo atteggiamento fece esasperare ancora di più Skyler, il quale ebbe l'impulso di sbattere la testa contro ogni singolo spigolo della reggia. Che cosa si poteva fare di fronte a qualcuno che neppure si prendeva la briga di rispondere e faceva scena muta?
In realtà un modo c'era, tuttavia...
Incerto sollevò una mano e la tenne sospesa a mezz'aria a soli pochi centimetri da James. Lo guardò dritto negli occhi. «Non costringermi ad arrivare a fare una cosa del genere. Ti prego» lo implorò per l'ultima volta. Non aveva mai usato quella maledizione su un altro essere vivente, fino ad allora si era trattato di semplice teoria, di conoscere fino in fondo le armi del nemico, ma le cose erano cambiate, specialmente fra lui e James Wolf, o meglio: James Peterson.
Era come se ormai si fossero schierati su due parti opposte che condividevano lo stesso fine ma differenziavano, al contempo, nella maniera di percorrere il sentiero fino in fondo. Jay voleva che lui si fidasse, ma Skyler non poteva permettergli di continuare a fare qualsiasi cosa stesse facendo in primo luogo a se stesso.
Samantha gli afferrò il braccio, quasi prevedendo le sue intenzioni. «Che diavolo pensi di fare?» lo apostrofò spaventata.
«Qualcosa di orribile, ma necessario» ribatté stringato Skyler, cercando di sottrarsi alla sua presa. «Non permetterò a questa storia di andare avanti. È ora di smetterla coi segreti. Se è vero quel che ha detto Cynder, allora è arrivato il momento di prendere provvedimenti.» Mai avrebbe pensato di usare l'Anatema Merasya su uno dei suoi amici più cari, forse il più importante che avesse mai avuto, quello con il quale condivideva un legame speciale e fraterno ed era a tutti gli effetti, fra tante altre cose, anche un suo parente di sangue. Tuttavia, che altro poteva fare per spingerlo a parlare? Quell'Anatema scioglieva la lingua di chiunque, oltre a procurare purtroppo un dolore oltre ogni immaginazione, un dolore talmente logorante da aver condotto alla pazzia molti attraverso i secoli, o addirittura alla morte.
James rimase dov'era e non smise di guardarlo. Gli sorrise con vaga e malinconica dolcezza. «Skyler, sai bene di non avere così tanto potere oscuro dentro di te» disse con calma. «Non fare questo a te stesso. Non sei senza cuore come Grober.»
‟Non lo ascoltare! Fallo!" sussurrò una voce a Langford, una voce disincarnata che solo lui riuscì a udire. ‟Sai di non avere scelta! È lui che ti sta costringendo!"
«Potere oscuro?» intervenne Samantha, guardando ora l'uno, ora l'altro. «Che significa? Cosa vuole fare?»
James la guardò. «Vuole scagliare il Sesto Anatema su di me» rispose, senza accennare a perdere la calma. «Io, naturalmente, sto tentando di dissuaderlo. Skyler ignora gli effetti che quelle maledizioni hanno anche su chi ne fa uso. Finché sarò vivo, non gli permetterò di cedere la sua anima alle Tenebre, né di macchiarla ancora una volta con l'omicidio.»
«Il Sesto Anatema?» esalò Samantha, che dopo tutto quello che era successo aveva deciso di farsi una cultura approfondita sulle risorse di cui disponevano Grober e i suoi. «Quello della tortura?»
Wolf annuì, ma stava ancora guardando Skyler. «È inutile, amico mio. Se anche tu trovassi il coraggio di scagliare quell'Anatema, io rimarrei comunque muto come una tomba. Non riuscirai a strapparmi le informazioni che desideri, e se anche ce la facessi, qualunque tua azione porterebbe in ogni caso al medesimo risultato finale. Qui sono in pochi a detenere veramente il potere sul futuro di tutti quanti e tu, Skyler, non ce l'hai.»
«Dimmi cosa state nascondendo tu e Alex! Dimmi come intendete fermare Grober!» fece a denti stretti l'Imperatore.
«Non sei in te, Skyler. È Grober che sta esercitando su di te la propria influenza servendosi del tuo legame di sangue con il corpo che attualmente lo ospita. Sta cercando di tirarti dalla sua parte e di farti abbracciare le Tenebre, vero?»
Skyler avvertiva uno spiacevole e forte ronzio nella testa, e intanto quella voce continuava a tentarlo, a sussurrargli che torturare James per estorcergli le informazioni che possedeva fosse ormai il solo modo rimasto per venire a capo di tutto quanto.
Tutto però rimase sospeso quando, all'improvviso, qualcuno entrò nello studio, senza chiudere la porta.
«Che cosa sta succedendo qui?»
Ognuno di loro rivolse l'attenzione su Dario, appena sopraggiunto e chiaramente insospettito dalla scena che gli si presentava davanti. I suoi occhi scuri spaziavano da Skyler a James, seri come non mai.
«Per fortuna non è successo niente di grave o irreparabile» rispose Wolf. «Skyler ha solo perso le staffe, tutto qui.»
Samantha e gli altri si fissarono sconvolti, poi fu lei a intervenire: «No, invece!» sbottò, la voce che tremava. «Skyler voleva scagliare il Sesto Anatema su James! Voleva torturarlo!»
«Ah, sta' zitta!» esplose a sua volta Skyler, esageratamente rancoroso. Samantha ammutolì e persino Dario non riuscì a celare un'espressione esterrefatta, seppur priva del benché minimo timore. Restrinse lo sguardo. Pareva ragionare mentre si avvicinava, cauto, al giovane Imperatore.
«Non è in sé» gli disse James. «Credo che Grober stia cercando di entrare nella sua mente.»
«Non ancora» intervenne finalmente Petya, il quale pareva un po' affaticato. Si era accorto subito che qualcosa non quadrava ed era impegnato nel provare a impedire a Grober di penetrare nella mente di Skyler. «Sto cercando di tenere a bada il suo influsso, ma...!»
Nessuno seppe mai cosa avrebbe voluto aggiungere l'Efialte: Samantha, da donna pratica qual era, agì di sua spontanea volontà e dopo aver sussurrato una scusa e aver cercato di trovare la forza di fare quel che aveva intenzione di fare, caricò un pugno in faccia a suo marito. Lo colpì così forte da riuscire a fargli perdere i sensi.
«Porca vacca» si lasciò sfuggire Brian.
«Be'...» Petya schiarì la voce. «A volte gli approcci pratici sono migliori della magia e della telepatia, suppongo» disse, occhieggiando Samantha che, nel frattempo, si era già pentita di quel gesto, sia per la cosa in sé per sé, sia perché aver colpito quell'idiota di Skyler le aveva procurato un gran male alle nocche. «Si può sapere che diavolo avete voi Efialti al posto delle ossa? L'acciaio?» mormorò a denti stretti, rivolgendosi proprio all'ex-sovrano dell'Oltrespecchio.
Dario scavalcò quella domanda e chiese, invece: «Posso sapere come diamine siete arrivati a un livello così basso?». Per quanto difficile a credersi, era di pessimo umore e non pareva disturbarsi affatto a tentare di celarlo.
Da quando aveva fatto ritorno con gli ostaggi si era fatto vivo molto raramente, ma ogni volta che poi si era ripresentato, era sempre parso più cupo e taciturno che mai. Tuttavia, forse c'era un motivo valido per giustificare il suo malumore: doveva aver risaputo della decisione di Skyler e del resto del Consiglio e della Resistenza riguardo al lasciare che Grober facesse scempio in chissà quali modi di Alex, una persona nonostante tutto innocente.
Non era un mistero che più volte avesse avuto screzi e rivalità con il Consiglio di Obyria e molte delle sue leggi e convinzioni, né c'era da scordarsi che fosse stato il primo e unico Principe della Notte a sostenere che il suo stesso popolo fosse in torto; era stato uno dei pochi a dire chiaramente che invece di ritenere gli umani e le altre creature inferiori, avrebbero dovuto vederli come loro pari; il solo vampiro che si fosse mai schierato in maniera evidente e irriducibile a sfavore della famosa Teoria della Superiorità della Razza Sovrannaturale, meglio conosciuta con l'abbreviazione T.S.R.S. Tutti sapevano che riteneva una simile credenza disgustosa e inaccettabile.
Lui sapeva eccome cos'era accaduto negli ultimi tempi, forse era a conoscenza di molte più cose di tutti loro messi assieme, ma voleva prima ottenere una conferma, per quanto amara da digerire.
Sapeva anche dei loro sospetti su Dante, il suo Efialte?
Era una situazione alquanto spinosa e spiacevole, poco ma sicuro.
Fu Petya a rispondere alla sua domanda: «È iniziato tutto quanto perché io e Godric, a ragion veduta, sospettiamo ci sia una sorta di nesso, di legame, fra Dante e l'entità chiamata Rasya». Parlò tutto d'un fiato, un po' soppesando la reazione del vampiro, per capire se ne sapeva o meno qualcosa e se per qualche ragione fosse rimasto in silenzio, invece di esplicitare tali sospetti.
Dario, benché non osò sbilanciarsi, pareva lo stesso turbato e perplesso. Guardò il resto del gruppo. «Quanti di voi credono a questa teoria?»
James esitò, poi sospirò e avanzò di alcuni passi in direzione del vampiro. «Non è una teoria, Dario. È un dato di fatto. Lo so per certo: Dante e Rasya non sono semplicemente uniti da un legame, ma...» Si guardò attorno, indeciso. «È proprio come per Alex e Grober: nel profondo sono l'uno lo specchio dell'altro, la medesima entità, carne e spirito in attesa di tornare a formare un tutt'uno. È l'ultimo discendente ancora in vita dei Figli di Rasya e quel clan di Efialti non si chiamava casualmente così. Possedevano abilità precluse al resto della popolazione e mi spiace ammettere che in tempi ancora più remoti erano i custodi dei Sette Anatemi, sapevano come sfruttarli al massimo del loro potere distruttivo. Li tennero ben nascosti da tutti finché, tuttavia, il loro capo a quell'epoca in carica non scelse di condividere queste conoscenze. Non è questo a importare, però: la minoranza di cui faceva parte Dante aveva come capostipite proprio Rasya. L'esilio durato tre anni mi è servito a far luce su molte cose, specialmente le vecchie leggende alle quali tutti avevano smesso di credere, o segreti di cui ormai pochi sono a conoscenza. È così che ho scoperto molti retroscena.»
«Condividili con noi, allora» incalzò Dario.
Wolf esitò e non lo fece solo perché l'argomento in sé per sé era piuttosto ostico e complicato; il vero problema sussisteva nel fatto che Dario era per primo coinvolto in quella faccenda. Non era sicuro di come l'avrebbe presa, specie perché non sembrava granché sereno. Probabilmente aveva i nervi a pezzi per un gran numero di ragioni e James temeva che dicendogli la verità, gli avrebbe dato la spinta finale verso il precipizio. Aveva trascorso insieme a quel vampiro e a Max il tempo necessario a comprendere questioni che invece agli altri erano palesemente sfuggite. A differenza degli altri, aveva visto come Dario di tanto in tanto si era fermato a guardare Max. Non doveva essere facile per lui far a testate anche coi propri sentimenti, oltre a tutto il resto di quel disastro, e in ogni caso non aveva avuto il tempo di rimettersi psicologicamente dall'infezione da veleno di Ghoul che lo aveva quasi trascinato una seconda volta, e per sempre, nella tomba.
Se ora ti dico tutto quello che ho scoperto e sospetto, ho paura che finirei solo per sconvolgerti, pensò preoccupato. Faticava a sostenere lo sguardo di quegli occhi talmente scuri da sembrare neri e ora accesi da una vaga nota d'impazienza. Com'era cambiato Dario, dopo la malattia e il ritorno dall'Oltrespecchio, soprattutto dopo aver fronteggiato Lorenzo e tutto l'odio, la delusione e il dolore che quest'ultimo gli aveva riversato addosso...
Stentava a riconoscere il vampiro che fino a tempo addietro si era sempre mostrato serafico e alla mano. Ne erano rimaste solo sbiadite tracce.
È come se l'influenza di Grober avesse avvelenato l'aria e l'anima di ognuno di noi. Persino lui ne sta risentendo.
Una cosa che James aveva notato, era che a essere più colpiti dal male silenzioso che lentamente stava risalendo dalle viscere infernali, fossero proprio le persone buone, i più fragili e un tempo ottimisti.
Quello che stava accadendo a Dario, stava succedendo anche a Cynder e tanti altri, come ad esempio Skyler, il quale – in una situazione normale – mai si sarebbe azzardato a sfiorare con la mente la sola idea di usare l'Anatema Merasya su un essere vivente qualsiasi, o un amico.
Grober stava ribaltando tutto, stava trasformando il paradiso in inferno e gli angeli in demoni.
Gli occhi cerulei e spenti di James si posarono altrove, in un punto imprecisato dello studio di Skyler.
Lo sentiva nelle ossa, nella parte più profonda e remota del proprio inconscio: il momento fatidico si stava avvicinando, presto sarebbe scoccata l'ora in cui lui avrebbe imboccato una via senza ritorno.
Alex era cambiato e questo lo sapeva grazie al legame spirituale che avevano creato appositamente prima della partenza per Sverthian. Qualcosa laggiù era sicuramente successo e a suo parere, mancava poco all'atto finale.
Spero solo che riesca a resistere un altro po', quanto basta a darmi il tempo di completare tutto il rituale.
Trattenne un sospiro e tornò a guardare i presenti.
Sarebbe stata dura spiegare tutto quanto, ma doveva provarci. Era importante che anche Dario capisse.
Ormai era da alcuni mesi che suo nonno, contro il suo stesso volere, lo aveva sottratto alla tranquilla vita quotidiana per trascinarlo in quel mondo chiamato Oltrespecchio, in quell'immenso castello la cui aria tetra era decisamente peggiorata, negli ultimi tempi.
Aveva dovuto lasciare tutto: la scuola, gli amici, le lezioni di pianoforte. Suo nonno sosteneva che alla fine della guerra sarebbe stato lui, Erik, a detenere il potere e sottrarlo dalle mani del reggente attuale, ossia Skyler Langford. Il nonno aveva progetti ben precisi, ma si sposavano ben poco con il desiderio di Erik di condurre una vita tranquilla e lontana dagli intrighi di potere e l'orrore che purtroppo suo nonno aveva portato in quelle terre.
A Erik non interessava quella faccenda ed era sempre più difficile abitare in quel castello, o ancora svegliarsi, affacciarsi al balcone e vedere la città di Specula immersa nel silenzio e nella paura.
Ultimamente aveva molti dubbi in merito alle condizioni mentali di suo nonno e iniziava a credere che non possedesse tutti i venerdì. Chiamava tutto quel che era accaduto – e stava ancora avvenendo – giustizia? A lui sembrava l'esatto contrario.
Quando riusciva a eludere la stretta sorveglianza che circondava il castello di Specula, ne approfittava per uscire e scendere in città, per andare contro le disposizioni di suo nonno e cercare di aiutare, nel suo piccolo, gli abitanti che più necessitavano di una mano.
Stavano morendo di fame e stenti, i pochi che erano rimasti nella zona urbana. Si respirava un'aria malsana per le vie, opprimente.
Non sempre ce la faceva a portare con sé dei viveri e provviste in generale a quelle persone, a volte restava loro accanto e basta, dava magari una mano in casa, tentava di rassicurarli e tener viva nei loro cuori la speranza.
In minima parte capiva la loro angoscia: lui era preoccupato a morte per sua madre. Gli avevano detto che aveva disertato, che era passata dalla parte opposta. Vero o meno, qualcosa non gli tornava.
Piano piano ritrovò il passaggio segreto celato dai rampicanti che avvolgevano il retro del castello: conduceva ai sotterranei, poco lontano dalla zona dedicata alle prigioni.
La parte più difficile era sempre quella: eludere le guardie che presidiavano le segrete, o inventare una scusa valida per giustificare la sua presenza là sotto.
Gli occhi violetti del ragazzo saettarono a destra e a sinistra, poi si decise a chiudere la spessa porta in ferro rinforzato del passaggio segreto e a quel punto rimase immerso nell'oscurità pressoché totale.
Chiuse le mani a coppa e sussurrò: «Luxor». Subito un globo lucente si palesò, risplendeva fra le sue dita. Lo lasciò andare ed esso rimase a galleggiare davanti al suo viso. Proseguì, con la sfera luminosa che levitava al suo fianco.
Odiava a morte quel posto, gli metteva i brividi, più del castello in sé per sé.
Una volta o l'altra sarò io a dare una spazzata qua sotto, almeno non ci saranno più tutte queste ragnatele, pensò facendo una smorfia. Senza offesa per quelle bestiole, ma onestamente i ragni gli andavano poco a genio e le ragnatele lo ripugnavano.
Dopo un po' giunse all'imboccatura del corridoio che poi si snodava a sua volta in un dedalo di sentieri di pietra illuminati da torce: quello più grande portava alle prigioni.
A quest'ora dovrebbe esserci il cambio della guardia, forse riuscirò a tornare su senza attirare l'attenzione.
Procedé con più cautela, attento a non fare troppo rumore coi passi, le orecchie tese e attente a captare il minimo suono.
Andò avanti, ancora e ancora, e miracolosamente ce la fece a giungere infine alle ripide scale illuminata dal lugubre riverbero delle torce.
Proprio quando fu sul punto di salirle, vide la porta in cima aprirsi e una delle guardie ormai sotto l'autorità di André entrare.
Oh oh, pensò Erik, più pallido che mai in viso.
Cercò di arretrare, ma l'uomo lo vide e rimase basito. «E tu cosa ci fai qui, ragazzo?» gli chiese brusco. Benché fosse il nipote di André, quando quest'ultimo non era presente Erik non veniva trattato coi guanti bianchi, ma non gli importava.
Gesticolò e cercò di articolare una risposta. «I-Io... Io stavo...»
La guardia scese le scale in un battibaleno e senza dargli l'opportunità di spiegarsi, gli afferrò una spalla e lo trascinò di sopra, verso l'uscita delle segrete. «Vedremo se con André la tua lingua si scioglierà. Aspetta che gli dica che t'ho beccato quaggiù...!»
Erik andò nel panico e tentò di divincolarsi. «No, non è necessario! Non dirglielo!»
«Se non hai niente da nascondere, non hai nulla da temere. Forza, cammina, marmocchio!»
«Non sono un marmocchio!» protestò Erik, infervorandosi. «Ho quasi quindici anni, e poi...»
«Quindici anni, ah! Alla tua età davo retta a chi era più vecchio di me. Non avevo certi grilli per la testa!»
«Mi fai male!»
«Ti faccio male?» ripeté la guardia, indifferente. «Meglio così! Se quella traditrice di tua madre ti avesse dato qualche ceffone ogni tanto, a quest'ora daresti retta come un soldato a chi è più vecchio di te!»
Erik si trattenne per un soffio dal rifargli il verso e con la morte nel cuore si arrese, seguendolo per i corridoi immersi nella penombra del castello. Anche troppo presto si ritrovarono davanti alle porte della sala del trono. Da dentro di essa si udivano delle voci.
La guardia bussò, percuotendo i grandi battenti, e non appena ottenne il permesso di accedere entrò, senza mollare la presa sul ragazzo che a momenti caracollò a terra, trascinato di mala grazia da quell'uomo brutale.
«Mi dispiace disturbare» fece la guardia, che doveva essere un Efialte, «ma ho beccato questo ragazzo gironzolare per le segrete e per giunta da solo, signore».
Erik finalmente riuscì a scostarsi e si massaggiò la spalla. Era un miracolo che non gliel'avesse slogata. Non osò guardare suo nonno, il quale lo fissava, seduto sul trono. Non era da solo, infatti era presente anche il suo nuovo braccio destro: il vampiro Lorenzo, che Erik conosceva sin da bambino.
Lorenzo e sua madre si erano spesso dati il cambio per insegnargli a difendersi e, soprattutto, a padroneggiare la magia. Lorenzo era un Magyr, per la precisione, non un vampiro qualsiasi, ed era abbastanza vecchio da sapere quel che faceva.
Non era uno dal sorriso facile e sembrava sempre arrabbiato col mondo intero, ma quella sua caratteristica faceva sorridere Erik, anziché scoraggiarlo. Lo riteneva buffo, ma ultimamente aveva notato che il suo carattere era assai peggiorato, più tetro che mai.
In teoria, quando non eseguiva dei compiti per ordine di André, era incaricato di tenere d'occhio proprio Erik e per questo il ragazzo capì immediatamente che non era il solo a essere nei pasticci. Infatti vide il nonno lanciare un'occhiata di gelida furia al Magyr, il quale non osò arretrare e rimase dov'era, anche se palesemente stava sudando freddo.
«Lasciaci» disse gelido André alla guardia. Appena furono rimasti in tre, l'uomo si alzò e lentamente raggiunse il nipote, senza staccargli gli occhi di dosso. «Esigo da te una spiegazione, Erik. Adesso.»
Cosa dire?
Erik cercò di non andare nel panico, ma gli occhi dardeggianti di suo nonno lo atterrivano.
Mai visto così furioso, almeno non nei suoi confronti.
Probabilmente era meglio dire la verità. «I-Io... Sono... Sono uscito dal castello, per andare un po' in giro» pigolò, fissando il pavimento.
«Oh, per fare una passeggiatina, dunque» cinguettò André, chiaramente sarcastico. «Dimmi, Erik, credi che siamo qui in vacanza? Per rilassarci?»
«Nonno...»
«SILENZIO!» tuonò André, facendolo trasalire. Erik deglutì a vuoto e guardò di sottecchi Lorenzo, quasi a chiedergli una mano. Lui, però, scosse la testa e con lo sguardo gli consigliò di non stiracchiare oltre la pazienza già agli sgoccioli del nuovo re dell'Oltrespecchio. «Mi sembrava di averti spiegato la situazione! Credevo ti fosse chiaro che ci troviamo nel bel mezzo di una guerra! Ti ho proibito di uscire da solo e di allontanarti, e tu cosa fai? Vai in giro! Esci, e per giunta senza nessuno che ti accompagni! Vuoi forse arrivare al punto da costringermi a farti restare recluso in camera tua?»
«M-Mi dispiace, nonno» mormorò abbattuto Erik, le guance in fiamme per la vergogna nell'esser stato sgridato a quel modo.
«Fidati, Erik: le scuse non hanno mai risolto un bel niente! Non me ne faccio nulla!» André tornò a guardare con gelo Lorenzo, il quale istintivamente arretrò di un passo.
«E cosa dire di te? Non hai forse anche il compito di sorvegliarlo? Ti ho affidato la sua sicurezza e poi scopro che mio nipote se ne va in giro per il castello e in città a insaputa di tutti, compresa la tua!» Lo raggiunse, furibondo più di prima. «Come pretendi di saper governare su migliaia, milioni di vampiri in tutto il mondo, se non sai nemmeno tenere d'occhio un ragazzino di quindici anni? Come?»
«Io... Io non immaginavo che...» Non si era mai visto Lorenzo biascicare a quel modo, o ancora tremare. «C-Ci sono un bel po' di cose da fare ogni giorno e...»
«Non osare rispondermi così o trovare chissà quali scuse balorde!» tuonò di nuovo l'altro. «Inizio a rimpiangere Arwin e persino quella bestia di Logan Durby! Almeno erano efficienti! Tu sei solo un incompetente!»
«Sin dal primo momento che mi hai coinvolto in questa storia ho sempre cercato di dare il massimo» ribatté Lorenzo. «Se mi trovo da una parte a svolgere compiti che sei tu stesso ad assegnarmi, di certo non posso trovarmi qui a sorvegliare il ragazzo.»
André socchiuse lo sguardo e gli si avvicinò ancora di più. «Se succede qualcosa a Erik» sibilò, «temo che allora succederà qualcosa di molto spiacevole anche a tuo figlio».
Fu come se qualcosa avesse acceso un incendio negli occhi del vampiro, il quale a sua volta avanzò di un passo. «Chiedo scusa?» fece, improvvisamente scevro della minima ombra di paura o soggezione. Pareva a un passo dall'attaccare, come una belva feroce.
«Vuoi che ripeta?» lo provocò André. «Sei anche sordo, oltre a essere uno stupido?»
«Non minacciare più mio figlio! Lui non c'entra niente con tutto questo!» esplose Lorenzo. «E comunque, Erik ormai è abbastanza grande da cavarsela da solo! È anche ora che impari a difendersi!»
Erik avrebbe voluto sorridere alle parole di Lorenzo sul suo conto, ma si trattenne.
«Nel caso ti fosse sfuggito, sto cercando di proteggerlo!»
«No!» Lorenzo sembrava arrivato al limite. «Così rischi solo di soffocarlo! Sarà un miracolo se prima o poi non te lo ritroverai contro, al fianco dei suoi genitori, pronto a distruggerti!»
«Non una parola in più, Lorenzo, sei avvertito!» André perse la pazienza. «Non parlare di queste cose davanti a lui!»
«Peste a quello che vuoi o non vuoi! Questo ragazzo non...»
Erik ebbe un orribile presentimento e non riuscì a tacere oltre: «Lorenzo, basta!», urlò, tremando da capo a piedi. Percepiva irradiarsi da suo nonno un'aura terribile, pericolosa e raggelante. Temeva per Lorenzo, per cosa gli sarebbe capitato se avesse continuato a parlare. Moriva dalla curiosità, certo, ma voleva bene a quel vampiro. Si era affezionato e non voleva vederlo fare una brutta fine solo perché lui aveva disobbedito. Si rivolse allora a suo nonno. «Non è stata colpa sua! Sono abbastanza grande da assumermi la responsabilità di ciò che dico e di ciò che faccio! Lorenzo non merita di pagare al mio posto! Puniscimi pure, ma lascia stare lui, ti prego!»
André sembrò un po' ricomporsi, ma era chiaro che l'intervento del nipote lo avesse colto alla sprovvista. Schiarì la voce e rivolse un'occhiata penetrante al vampiro. «Non punirò nessuno, non stavolta almeno.»
«Nonno, io... Mi dispiace, dico davvero. Non sarei dovuto sgattaiolare via.»
«Non devi scusarti» rispose suo nonno, cosa che stupì soprattutto Lorenzo, il quale vide la sincerità negli occhi cobalto di quello che era in realtà Grober, solo in spoglie che non gli appartenevano. Erik era uno dei pochi coi quali osava mostrarsi umano, affettuoso. Non c'era da stupirsi che non volesse perderlo di vista, giacché corrispondeva a ciò che più di pericoloso potesse esistere per uno coi piani che aveva Grober: una debolezza, un punto molle e scoperto nel quale affondare la lama. «Non avrei dovuto sgridarti, Erik. Ti annoi qui e lo capisco. Diamine! Persino io mi annoio! Tu hai quindici anni e fino a mesi fa vivevi come un ragazzo normale, non avevi altri pensieri oltre alla scuola e ai tuoi hobby. Non ho mai pensato, fino ad ora, quanto sarebbe stato difficile per te abituarti a tutto questo, all'assenza di tua madre e alla guerra.»
Lorenzo fece una cosa molto stupida, pericolosa, ma in un certo senso giusta, ben studiata e mirata. Schiarendo la voce, disse: «Ho fatto quello che mi hai chiesto. Né Mathias né la sua compagna saranno più un problema per noi. Ho risparmiato i marmocchi, specie il ragazzino, come da te ordinato. La bambina l'ho affidata ad Alice, se ne prenderà cura finché non sapremo cosa farne. Il ragazzino, invece, l'ho fatto gettare in una delle celle nelle segrete ed è sorvegliato. Vuoi che lo faccia portare qui?».
Forse fu un madornale errore, un'azione azzardata, ma nel profondo fu felice di veder balenare nello sguardo di Grober un nuovo lampo d'irosa stizza. Rispose a tale sguardo con un impercettibile, arrogante e sfacciato sorriso di vittoria. Era importante che Erik capisse fino in fondo chi era suo nonno e quale creatura crudele e disumana fosse. Non doveva più lasciarsi ingannare dall'apparenza, perché Grober in realtà teneva solo a se stesso e ai propri obiettivi.
Erik non lo deluse: spalancò gli occhi color lillà e li fece guizzare di nuovo su Grober. «Nonno, sta... sta dicendo la verità? Hai... hai fatto uccidere delle persone e fatto rapire due bambini? Dimmi che non è vero!».
«È vero, Erik» confermò il vampiro, precedendo Grober. «Tuo nonno non si fa scrupolo alcuno, neppure di fronte all'innocenza. Forse sacrificherebbe persino te, se solo si rivelasse necessario secondo la sua visione. È per questo che lo odiano tutti e coloro che invece lo servono, Erik, lo fanno solo perché hanno paura o sono ciechi, proprio com'ero io.»
Grober stringeva così tanto le labbra che queste, in poco tempo, divennero livide. Sorrise in maniera forzata. «Tale padre, tale figlio. Dico bene, Lorenzo?» disse in tono affettato. «Vedo che San Dario ha di nuovo dimostrato di possedere doti miracolose. È riuscito a convertire persino te, il suo figlio bastardo che ha trascorso secoli a odiarlo e a complottare per vederlo morto. Che ironia!»
Lorenzo non batté ciglio. «A questo punto dei fatti, credo che prenderò queste tue parole come un complimento. Preferisco somigliare a lui, piuttosto che a te.»
«Sai che fine farà tuo padre, vero?» continuò Grober, la voce volutamente mielosa. «Ti consiglio vivamente di non seguire il cammino tracciato da lui fino in fondo, Lorenzo. Quel sentiero conduce solo e unicamente a una morte molto, molto dolorosa.»
«Servire te porterebbe a un esito diverso?» lo apostrofò il vampiro, sarcastico. «Non farmi ridere. Ti sei sempre liberato dei tuoi servitori, quando non sapevi più cosa farne e avevano esaurito la loro utilità, com'è accaduto ad Arwin. Ti era d'intralcio e sapevi che mio padre lo avrebbe conciato per le feste, se avesse osato varcare i confini del Regno della Notte e fronteggiarlo. Sapevi che non si sarebbe arreso mai fino in fondo. Lo hai mandato a morire volutamente, brutto bastardo, e ti sfido a negarlo!»
Grober restrinse gli occhi a pericolose fessure. «Un'altra parola e potresti fare la sua stessa fine.»
«Dunque ho detto la verità, dopotutto» cinguettò Lorenzo. «Non mi sorprende che ti piaccia tappare la bocca a chi osa sbatterti in faccia la realtà, invece di avvallare ogni stronzata che fai.»
Erik non sapeva più cosa dire o pensare. Strinse appena le labbra, poi: «Voglio vedere quel ragazzino, se è vero che è stato portato qui».
Aveva bisogno di una prova concreta.
Grober lo guardò. «Non devi immischiarti in questa faccenda, Erik. Smettila di fare i capricci, una buona volta.»
«Non sono capricci!» protestò il ragazzo. «Lui ha appena detto che hai fatto uccidere due persone e fatto rapire i loro figli! Senza contare il resto di tutta questa faccenda assurda!»
Grober perse la pazienza e sollevò una mano. Erik capì quasi subito cosa intendeva fare e allora corse da Lorenzo e gli si parò davanti, senza smettere di fissare suo nonno. «Smettila di comportarti così! Già in troppi hanno sofferto e stanno soffrendo! Non vedi dove ti sta portando questa storia? Nonno, ti prego!»
«Spostati, Erik!»
«Non lo ucciderai e non gli farai neppure del male! Basta così! Sei tu a doverla smettere!»
Il ragazzo si sentì afferrare per le spalle. Lorenzo lo fece voltare e lo guardò in faccia. «Ha ragione lui: non è una cosa che ti riguarda, questa. Non preoccuparti per me, Erik. Non ne vale la pena. Ora sai che razza di persone siamo io e tuo nonno. Medita su questo.»
«M-Ma lui... perché...» balbettò Erik. «T-Tu non sei cattivo, Lorenzo! Io ti conosco, so come sei!»
«Non lo sai, invece. Credimi: non lo sai. Esci da questa sala, lasciaci ai nostri affari. Per favore, Erik.» Le mani del vampiro scivolarono giù fino alle sue mani e le strinsero forte: il giovane sentì quelle dita tremanti di paura cedere alle sue qualcosa di metallico e qualcos'altro ancora, invece, che ricordava un pezzo di carta. Cercò di non badarci, sapendo che suo nonno non doveva accorgersene. Lo lesse negli occhi di Lorenzo che doveva restare un segreto fra di loro e basta, così come lesse in quelle iridi castane che non si sarebbero più rivisti.
Udì la sua voce nella testa ed essa gli diede una traccia da seguire: ‟Vai da Alice, lei saprà cosa fare per aiutarti. Usa lo specchio e scappa dall'Oltrespecchio. Portali con te, tutti loro, a Obyria, dall'Imperatore. Insisti con la Resistenza e fai capire a tutti loro che vuoi aiutarli. Tua madre si trova lì".
Capì che Lorenzo, da prima di entrare e di affrontare suo nonno, aveva già da tempo preso una decisione.
Deglutì a vuoto e sbatté le palpebre una sola volta per fargli capire che aveva recepito il messaggio. Era scosso, pieno di domande senza risposta, di dubbi e paure, ma di Lorenzo si fidava e se lui gli diceva di scappare e di cercare rifugio presso addirittura il nemico, la Resistenza, allora così avrebbe fatto. Quel vampiro non era uno stupido. Suo nonno, invece... Su di lui aveva ormai molti, troppi dubbi, e sapeva che non avrebbe ottenuto niente cercando di esporglieli.
Serrò i pugni, in modo da celare bene quel che gli aveva dato Lorenzo, e guardò il nonno. «Sii buono con lui» disse. «Non scapperò più senza dirti niente. Posso... Posso andare nelle mie stanze?»
Grober lo squadrò. Era evidente che fosse un po' insospettito. «Bada di rimanerci» rispose laconico.
Erik annuì debolmente e si diresse alle porte. Prima di andare, però, si voltò e guardò Lorenzo. «Non ti piace sentirtelo dire, però... ti voglio bene, Lorenzo. Sei stato come un padre per me, lo sai? Come un padre, anzi meglio.»
Lorenzo, malgrado tutto, piegò le labbra incolori di paura crescente in un sorriso sghembo. «Fila nella tua stanza, marmocchio, e guai a te se ti becco di nuovo in giro» lo apostrofò.
Quando lui e Grober furono rimasti da soli, tornò serio. «Adesso anche lui sa la verità. Al tuo posto mi farei un esame di coscienza, proprio come me lo sono fatto io quando ho visto un ragazzino di undici anni tremare davanti a me, accanto al corpo di sua madre ancora caldo e riverso nel sangue. Aveva la sua sorellina in braccio, sai? Mi ha detto di prendere lui e di risparmiare la piccola. Un bambino di undici anni, Grober, si è dimostrato padrone di un coraggio e di una dignità che tu mai conoscerai. Dimmi, perché la sua esistenza ti turba tanto?»
Grober sorrise in maniera ben poco rassicurante. «Quanto siamo diventati sentimentali! Eppure, non potevo aspettarmi nient'altro dal figlio di Dario, bastardo o non bastardo sei sangue del suo sangue e credimi, Lorenzo, al tuo posto non me vanterei più di tanto.»
«Preferisco essere il suo figlio bastardo, a questo punto, piuttosto che un tuo alleato. Maledico il giorno in cui ti ho conosciuto. Sono felice di averlo fatto, solo perché ho incontrato Alice.»
Grober prese a camminargli attorno. «Quello che non hai ancora capito, caro Lorenzo, è che non intendo ucciderti. Non ancora, almeno. Sbagli a pensare di aver esaurito tutto il tuo potenziale. Ne hai tanto, ancora! Eccome!»
«Ammazzami ora, ti conviene» ringhiò Lorenzo, senza perderlo di vista. «Stai solo temporeggiando! Hai paura, forse, di perdere poi l'appoggio della strega più potente al tuo servizio?»
Grober rise. Una risata gelida, sgradevole. «Oh, credimi! Ormai non ho più paura di niente! Sono disposto ad andare fino in fondo da solo, e sai perché, Lorenzo? Perché ormai manca molto poco al giorno in cui mi riunirò al mio vero corpo. Mentre parliamo, mentre sei tu quello che smania per temporeggiare il più possibile, quello sciocco di Alex si avvicina sempre di più al luogo prestabilito dal Fato. Il luogo dove lui morirà e io rinascerò, e ci sta andando di sua spontanea volontà. Crede di poter così salvare Kyran, un uomo che neppure conosce, ma si sbaglia: Kyran non è a Sverthian, né in nessun altro luogo di quel mondo, né sulla Terra.»
Lorenzo si sentì raggelare. «E dov'è, allora? Anche quando ero ancora dalla tua parte mi hai mentito, dunque?» sibilò. Erano stati ingannati, tutti quanti, nessuno escluso.
Il ghigno di Grober si estese e divenne un sorriso maligno. La risposta che provenne dalla crudele divinità, tuttavia, si rivelò ancora peggiore del sorriso.
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