Capitolo XV. L'Angelo Profeta


Musica consigliata: "Skin" di Zola Jesus.

https://youtu.be/PYzCXx7Ndok

Petya distolse lo sguardo dalla parete trasparente della vetrina alla propria destra non appena udì la porta del locale aprirsi e chiudersi.

Spense la sigaretta nel posacenere con il suo solito fare elegante e posato; nel frattempo sentì i passi in avvicinamento di qualcuno, infine una donna con indosso un pullover viola, jeans e sneakers si sedé di fronte a lui. I suoi capelli scuri erano raccolti in una coda di cavallo, sembrava diversa dal soggetto che aveva visto in alcune fotografie il giorno in cui si era recato a casa sua e aveva lasciato detto alla domestica di voler parlare con la padrona di quell'elegante villa.

Lei, non appena si arrischiò a studiarlo, sbarrò gli occhi azzurri e quasi boccheggiò.

Petya abbozzò un sorriso enigmatico e si sistemò meglio sul proprio posto. «Mi sembra che tu abbia finalmente capito chi sono, Fiona.»

Era visibilmente scossa, quasi impaurita. Come il re degli Efialti la vide sul punto di scattare in piedi e andarsene di corsa, lui restrinse lo sguardo e disse, freddo e autoritario: «Rimettiti subito a sedere. Non te lo ripeterò una seconda volta».

Fiona, incerta e con le gambe che le tremavano, obbedì a malincuore. «Tu... Tu sei lui, non è vero? Sei quello che dicevano esser morto, quando invece...»

«Sì, sono proprio io. Devo dedurre che tu sappia anche, a questo punto, cosa sono solito fare con chi non collabora.»

«Perché mi trovo qui, esattamente?»

Petya non rispose subito e tranquillamente fece un sorso di caffè dalla propria tazza. «Tu perché credi di trovarti di fronte al sottoscritto, dimmi?» La domanda, per quanto in apparenza innocente, era in realtà ben studiata e pungente. Lo sguardo del re era implacabile e glaciale, era chiaro che non nutrisse molta simpatia per la persona che aveva di fronte.

Fiona si guardò in giro con aria circospetta e insicura, poi: «Riguarda Mathias, suppongo».

L'Efialte sorrise appena con quella che dava l'idea di essere indulgenza, ma sotto quella patina di compostezza vi era dell'altro, qualcosa che faceva venire i brividi alla donna.

«Sì, all'incirca è proprio così.»

«Allora perché non hai chiesto di vedere lui?»

«Perché tutti e due sappiamo molto bene da che parte sta il tuo fresco marito, e mi duole dirti che si trova dal lato sbagliato, proprio come te che hai scelto di restare al suo fianco anche dopo aver saputo la verità. Mathias era a conoscenza del destino che il suo capo aveva riservato ad Alexander e ti ha manipolata affinché facessi quello che volevano loro. Tu, da quello che so, sei stata ben felice di aiutarli.»

Fiona si irrigidì. «Non mi vanto in giro di quello che ho fatto ad Alex, a essere sincera.»

«E ci mancherebbe» la apostrofò duramente Petya.

«So che lui...»

«È un vampiro, adesso, esatto.» Tagliò corto il re. «Non perdere tempo a chiedermi come sta o dove si trova, perché non ho intenzione di riferirlo alla donna che ha contribuito consapevolmente alla sua rovina come uomo e padre di famiglia. Quello che hai fatto, Fiona, è stato immensamente crudele e disumano. Invece di stargli vicino, hai scelto di spingerlo nella voragine.»

«Non credevo avrebbe attraversato quel calvario, va bene? Non ne avevo idea!» perse la pazienza Fiona. «Mathias mi ha detto solo che poi saremmo riusciti a stare finalmente insieme e...»

«Cos'altro ha detto, di preciso?»

«Che... Che lui non avrebbe sofferto in alcun modo. Sarebbe stata una cosa pulita e indolore.»

Petya non si affannò minimamente a celare l'espressione disgustata e sprezzante che in un attimo si palesò sul suo viso. «Scusami se sarò diretto, ma questo non perora la tua causa. Mi dispiace essere schietto, Fiona, ma considero la tua condotta a dir poco ripugnante.»

«Lui ha quasi rischiato di far uccidere nostro figlio» sottolineò la donna, a denti stretti. «Sapeva che in quella città aleggiava un pericolo mortale e lo stesso...»

«Non osare aggrapparti a una simile scusa per giustificare il tuo atteggiamento. Se c'è una cosa che non tollero, sono le madri che si approfittano di esser tali quando non sanno a cos'altro aggrapparsi per discolparsi e legittimare certe azioni. Non hai alcun diritto di farti scudo con Anthony. Ti chiedo solo questo: perché arrivare a tanto? Il divorzio non era sufficiente?»

«Mi hanno detto che Alex rappresentava un pericolo costante per la famiglia. Hanno detto che prima o poi avrebbe messo in mezzo in qualche modo anche Anthony.»

«Chi è stato a dirtelo?»

«Mathias e... e altre due persone.»

«Ho fatto una domanda precisa e pretendo una risposta altrettanto soddisfacente. Non amo ripetermi, Fiona. Ti consiglio di non peggiorare la tua attuale posizione e ti assicuro che ora come ora avrei abbastanza materiale per farti sbattere in una galera peggiore di quelle umane. Hai appena ammesso che eri al corrente che Alex era stato maledetto con un sortilegio proibito dalle leggi magiche e dal buonsenso e questo, secondo le nostre regole, ti rende altrettanto responsabile della morte di una persona innocente. Che Alex sia poi tornato come vampiro non fa alcuna differenza, che sia stato assassinato resta purtroppo un fatto e tu hai spianato la strada ai suoi assassini.»

Petya fece un sorriso che Fiona, nervosa com'era, ritenne a dir poco insopportabile e odioso, poi sollevò una mano e le mostrò ciò che stringeva in essa: un piccolo oggetto rettangolare con una luce su un angolo che pulsava a intermittenza. Non le ci volle molto per capire che era una specie di registratore. L'aveva inchiodata. «Purtroppo per te, sono un uomo di poca fede.»

«Cazzo» imprecò a voce bassa lei, con una gran caduta stile. «Non avrai intenzione di...»

«Mi spiace dire che probabilmente Alex, persino dopo aver sentito la tua confessione, continuerebbe a non bramare alcuna rivalsa nei tuoi confronti. Magari aveva dei difetti quando stava con te, ma io l'ho conosciuto di recente e in tutta franchezza, Fiona, un uomo come quello non lo si incontra spesso.»

«Lui non mi amava, stava con me solo per via di Anthony.»

«A giudicare da quello che hai fatto tu, direi che aveva ottime ragioni per non amarti» disse schietto Petya, restringendo di nuovo lo sguardo. «Continua.»

Fiona respirò profondamente. «Mathias, poco dopo la partenza di Alex, mi ha fatto conoscere un tale di nome Arwin, dall'accento tedesco; c'era anche un ragazzo dai capelli scuri, non conosco tuttora il suo nome, so solo che aveva la pelle molto chiara, proprio come Arwin. Suppongo fossero entrambi dei vampiri.»

«C'era qualcun altro?»

«Un uomo sui trenta, massimo quarant'anni. Aveva i capelli neri e freddi occhi azzurri, insieme a una donna dagli occhi violetti, molto bella, e un'altra che sembrava... non lo so, forse albina.» Fiona si fermò e di nuovo squadrò Petya. «Quell'uomo dai capelli neri e l'albina... il colore dei loro occhi era molto simile a quello dei tuoi. In sostanza, quel giorno sono venuta a sapere di tutto questo gran casino e anche del fatto che il loro obiettivo principale fosse, almeno per il momento, proprio il mio ex-marito.»

«E cos'è successo, dunque?»

«Lì per lì ho chiesto loro di darmi del tempo per pensarci. Non ho accettato subito, ma Mathias ha iniziato a fare molta pressione e alla fine mi ha convinta. Volevano che lo distruggessi ed è ciò che ho tentato di fare. Il resto lo ha fatto quel tizio di cui parlavano con bieca soddisfazione.»

«Chi?»

Fiona strinse le spalle. «Un certo Andrew, mi pare. So che era il primo a voler vedere Alex morto, ma non mi hanno detto perché e non ho neppure insistito. Volevo togliermi da quella faccenda al più presto e ormai c'ero troppo dentro per rifiutare.»

«Fiona, per l'ultima volta: voglio tutta la verità. Mi stai nascondendo qualcosa. Non costringermi a sondarti la mente, perché non sarebbe piacevole per te.»

Petya sospirò e alzò gli occhi al cielo. Non volendo venir meno alla propria indole da gentiluomo, si sfilò dal taschino dell'elegante gessato il fazzoletto azzurro e glielo porse. Fiona, dopo un po' di reticenza, lo accettò e si asciugò le guance.

«Prima di andare ad Hanging Creek ho di nuovo avuto delle incertezze. Sono andata da Mathias e gli ho detto che non me la sentivo, che sapevo che non era giusto e che Alex non meritava quella fine; gli ho urlato contro che avrei riferito tutto quanto a qualcuno, che volevo restarne fuori.»

«Poi?»

«Mathias si è arrabbiato, era furioso e...»

L'Efialte allungò una mano e la pose con fermezza sul lato destro del capo della donna. Chiuse gli occhi, il tempo che gli serviva per entrare nella sua mente e sondare i suoi ricordi: vide Mathias litigare in maniera molto pesante con Fiona; un litigio furibondo, poi l'uomo prendere lei a schiaffi, spingerla a terra e afferrarle con violenza i capelli. «Fallo, o giuro che ammazzo te e quel piccolo bastardo!»

Scostò le dita. Aveva visto abbastanza.

«È passato alle cattive. Doveva esser terrorizzato all'idea di cosa avrebbe fatto André nel caso di un vostro rifiuto.»

«Sì, poi ha fatto leva sulla situazione difficile con Alex. Mi ha detto che se davvero lo detestavo, allora non dovevo far altro che impegnarmi per fare il mio dovere e liberarmi per sempre di lui. Mi ha detto che sarebbe bastata solo una piccola spinta.»

«E quindi sei partita per Hanging Creek e hai fatto la tua parte» concluse Petya. «Il resto lo so già.» Fece una pausa. «Lo stesso non capisco perché tu ti ostini a restare con Mathias.»

«Perché nonostante tutto, credo di amarlo.»

«Ti compatisco, Fiona. Mi spiace dirtelo, ma di questo passo non farai una bella fine.»

«Mi basta solo sapere che i miei figli sono al sicuro.»

L'Efialte tamburellò le dita sul tavolo. «Ancora non comprendo un'altra cosa: perché non hai detto la verità ad Alex, una volta arrivata in ospedale? Perché ostinarti a fare quella messinscena? Sapevi perché lo ritenevano pazzo, anche se aveva ragione, e lo stesso hai scelto di additarlo come folle e di seguire il piano di Mathias e gli altri. Non so se definirti diabolica o meno, nonostante i retroscena.»

«Probabilmente io e Mathias ci meritiamo a vicenda.»

«Può darsi, sì.»

«Non ho detto niente ad Alex perché non sapevo se ero controllata o meno. Avevo paura e non c'era nessuno a cui poter chiedere aiuto.»

«Avresti trovato un alleato in Alexander.»

Fiona sospirò animatamente. Gesticolò. «Stava morendo di cancro! Un tumore gli stava disintegrando gli organi e a malapena riusciva a reggersi in piedi! Non sarebbe servito a granché dirglielo!»

«E non hai provato neanche un po' di compassione per lui? Niente di niente?»

«La compassione c'entra ben poco, non credi? Ho fatto quello che dovevo per proteggere Anthony e la bambina che portavo in grembo! Non mi importa di essermi guadagnata un biglietto di sola andata per l'inferno! I miei figli sono ancora vivi e rifarei tutto cento volte ancora se avessi la certezza di poter così tutelare la mia famiglia! Mandatemi pure in galera, se volete, ormai non mi importa più! Volevo proteggerli ed è quello che ho fatto!»

Petya non poteva permettersi di empatizzare, non in quel momento. «Perché hai mandato via Rachel?»

«Perché una sera ho sentito Mathias parlare al telefono. Ho capito che lei e il suo compagno erano coinvolti a loro volta e... non lo so, credo volessero fare del male in qualche maniera a lei e alla sua bambina malata. Non mi è mai andata a genio Rachel, ma non avrei sopportato di vivere anche con questo rimorso sulla coscienza. La mattina seguente sono scesa e le ho detto subito di andarsene, che era licenziata e non volevo più vederla in casa mia. Prima che uscisse, però, mi sono avvicinata e le ho sussurrato di abbandonare Los Angeles per sempre, perché c'era qualcuno intenzionato a nuocerle. Non so se mi abbia presa per pazza o meno, so solo che alla fine ha seguito il mio consiglio alla lettera. È successo tutto lo stesso giorno in cui l'amico di Alex, quello sceriffo, mi ha chiamata per dirmi che lui era morto.»

«Suppongo sia stato Mathias a importi di non presentarti al funerale.»

«No. Ho scelto io di non presentarmi né di farmi sentire in alcun modo. Avevo aiutato quelle persone a fargli del male, con quale coraggio mi sarei potuta palesare al suo funerale? Sarebbe stato come prenderlo in giro un'altra volta.»

«Sarebbe stato un atto di rispetto, invece» replicò Petya. «Magari, forse, ora saremmo molto più propensi a rivalutare la tua condotta.»

«L'ho già detto: non ha alcuna importanza.»

«Se non ti interessa, allora perché sei venuta da me e hai confessato tutto?»

«Perché sento che siamo in pericolo, io e i bambini, e non riesco più a stare in casa quando c'è Mathias. Ultimamente Anthony sembra sempre fare di tutto pur di stargli alla larga, l'altra sera mi ha detto che Mathias gli fa paura, anche se non ne conosce il motivo preciso. Io, però, lo so perché: Mathias da un po' di tempo lo guarda spesso in modo strano, è come se stesse macchinando qualcosa e inizio a spaventarmi. Ho paura che voglia fargli del male.»

Petya la ascoltò e nel frattempo prese un tovagliolo e su di esso, dal nulla, si impresse un numero di telefono, come se ogni cifra vi fosse stata marchiata a fuoco con qualcosa di molto sottile e preciso. Lo passò alla donna.

«Se peggiora, puoi chiamarmi a questo numero e a qualsiasi ora del giorno. Per il momento, però...» Sospirò. «So di chiederti tanto, di rischiare un bel po', ma voglio che tu resista il più possibile e mi dica cosa fa Mathias e se ci sono cambiamenti di qualsivoglia genere nel suo atteggiamento. Cerca di scoprire cosa sta complottando, Fiona. Potrebbe salvare la vita a tuo figlio e non solo a lui, ma a tante altre persone, compreso Alex.»

Fiona fissò il numero, poi: «V-Va bene, ci proverò. Ma se... se Mathias dovesse...».

L'uomo, dunque, le fece cenno di aspettare e sul palmo sollevato della sua mano sinistra comparve dal nulla quella che sembrava essere una semplice e minuscola campanella di vetro cristallo. «Prendila.»

Lei obbedì. «A cosa dovrebbe servirmi?»

«Se dovessi mai trovarti in serio pericolo, o se dovessero esserci problemi molto gravi e urgenti, non dovrai far altro che suonare per tre volte questa campanella. Fallo e io sarò subito da voi. Per sicurezza, consegnerò a qualcuno di fiducia una sua copia altrettanto funzionante e collegata ad essa tramite la magia. Nel caso dovesse succedermi qualcosa, quella persona agirà al mio posto.»

La donna esitò. «Ho come l'impressione di star facendo un patto col diavolo, onestamente.»

Petya sorrise enigmatico. «Per tua fortuna, Fiona, sono un diavolo che sa essere benevolo.»

Fiona deglutì e gli restituì il fazzoletto. «Se dovesse accadere qualcosa a me, voglio che diciate ad Alex che mi dispiace per tutto quello che è successo e che mi sono pentita amaramente di aver scelto Mathias al suo posto. Col senno di poi so di essere passata dalla padella alla brace. Non mi amava, ma almeno mi rispettava e non ha mai alzato le mani su di me, neanche quando era arrabbiato. Non aveva neanche la forza di prendere a schiaffi Anthony, figurarsi la sottoscritta.»

«Il pentimento è il primo gradino della lunga e ripida scala verso il perdono» ribatté Petya, un po' sentenzioso, a tratti sepolcrale. «Ho commesso molti sbagli anche io, Fiona, credimi, e tuttora cerco di rimediare ad essi. Non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta e per lottare per una buona causa.»

Lei annuì debolmente. «Mi hanno detto che eri tu fra i peggiori nemici dal quale guardarci le spalle. Non credevano alla tua morte, sospettavano si trattasse di una messinscena. Hanno detto che eri pericoloso e crudele, fra le creature peggiori che nei secoli abbiano solcato il suolo della Terra. L'uomo dagli occhi azzurri sembrava detestarti particolarmente.»

Petya fece un cenno. «Sì, riesco a immaginare cosa ti abbiano raccontato su di me e in parte le voci sono vere. Diciamo, però, che sono alla ricerca della redenzione. Come ho detto: ho commesso molti errori e sto tentando di porvi finalmente rimedio.»

Nonostante fra loro non corresse per niente buon sangue, specialmente negli ultimi tempi, Dante e Godric non poterono far a meno di scambiarsi un'occhiata perplessa e sospettosa, solo per poi tornare a squadrare con aria indagatrice le campanelle che reggevano fra le dita. Petya aveva cianciato fino ad allora riguardo l'incontro con quella Fiona e sciorinato loro quell'arzigogolata storia, senza però spiegare perché, al termine di tanto parafrasare, avesse consegnato a tutti e due quegli affari. Dante, poi, che odiava per natura le chiacchiere e rientrava in quella branca di esseri viventi che potevano restare anche tre ore nella stessa stanza con altri cento individui senza mai aprir bocca e sentendosi perfettamente a proprio agio, era mezzo intontito dopo tutte quelle ciarle.

«Uhm... cosa diavolaccio dovremmo farci con queste? Chiamarci le fatine?» chiese infine Godric, sollevando gli occhi in direzione di Petya, che stava di fronte a loro in attesa di una reazione.

Il re gli restituì uno sguardo torvo e colmo di rimprovero. «Non è il momento di scherzare.»

«Fidati, non sono in vena di fare il burlone. Non capisco a cosa servano questi cosi, punto e basta.»

«Sono tempi bui e pieni di imprevisti. Dato che Desya, purtroppo, al momento non è nelle condizioni di esser ritenuto imparziale, o almeno un nostro alleato, non mi resta nessun altro se non voialtri.»

Dante inarcò un sopracciglio, senza neppure tentare di esser rimasto impressionato dalla questione in sé per sé o dalle ultime parole del sovrano. «Lungi da me voler sgonfiarti l'aureola, ma non mi risulta di rientrare fra i tuoi alleati più affezionati» disse lentamente. Se Petya pensava di farlo sentire lusingato da cotale fiducia, si sarebbe sentito molto più lusingato se una Fiera si fosse presentata alla sua porta di casa chiedendogli di essere il suo prossimo pasto.

«No, infatti, ma sei allo stesso tempo il più forte che abbia al momento» precisò l'interpellato, come se fosse la cosa più sensata del mondo, anche se a giudicare dai loro trascorsi di sensato c'era ben poco.

«Grazie tante» lo apostrofò acido Godric in risposta, incupendosi. Era chiaro che fosse rimasto alquanto offeso e avesse, però, del tutto travisato le parole del signore degli Efialti.

«Non perdi mai l'occasione di fare la primadonna, vedo» intervenne Dante, roteando gli occhi.  «Sei talmente insopportabile che è un miracolo che non mi ritrovi a dare di stomaco in continuazione quando sei presente.»

L'altro si voltò per guardarlo. «Senti, perché non te ne vai?» rimbeccò con un sorriso tirato, anche se dava molto di più l'impressione di star digrignando i denti nello sforzo di non aggiungere qualche parola ben più esplicita e offensiva.

Il più anziano mimò un irrisorio inchino che una volta tutti erano stati soliti fare al cospetto di una dama. «Prima le signorine. Le buone maniere anzitutto!» lo provocò con voce volutamente stucchevole.

«Tu guarda che stronzo» sputò fuori Godric, a denti ancor più stretti. «Non ti prendo a pugni solo perché non ne vali la pena, credimi! Probabilmente finirei solo per abbassarmi al tuo livello e non ci tengo affatto a farti compagnia nel fango!» aggiunse, fremente per l'indignazione.

«Ah, non ne valgo la pena?» Dante ghignò. «Di' piuttosto che sarebbe l'ultima stupida azione che faresti nella tua inutile esistenza! Posso ridurti a brandelli anche con le mani legate dietro alla schiena. Se vuoi ti faccio una dimostrazione pratica, proprio come ai vecchi tempi!»

Petya alzò gli occhi al cielo. «Siete peggio di una coppia divorziata, lasciatevelo dire» brontolò sconsolato. Quei due non perdevano l'occasione di beccarsi come galline infuriate, ed era tutto dire.

«Davvero divertente» rimbeccò Dante, gelido. «Dunque? Quale utilità hanno questi cosi?»

«Non ci arrivi?»

«Detesto gli indovinelli, per tua sfortuna. Poche ciance ed esponi, avanti!»

Il re si decise a spiegare la funzionalità dettagliata di quelle due campanelle. Quando terminò, Godric con un sorriso sarcastico e da presa in giro alzò la mano a mo' di scolaretto.

«Prego, parla pure» resse il gioco Petya, seppur snervato dal suo atteggiamento da spaccone. Sembrava di aver a che fare con una ragazzina isterica, il più delle volte, e non con un Efialte vecchio di secoli.

«Grazie, professore!» replicò con voce un bel po' zuccherosa Godric. «Tutto molto bello e struggente, dico davvero, ma di nuovo chiedo cosa c'entriamo io e quest'altro bastardo impenitente che sta alla mia sinistra!» Come il maestro di Iago ebbe terminato di parlare, Dante casualmente si stiracchiò e sempre per puro e fatidico caso gli assestò un colpo di gomito dritto in faccia. Si portò le mani al viso, simulando il famoso dipinto di Munch, poi sgranò gli occhi ed esclamò: «Oh, cielo! Scusami tanto!».

L'altro si tenne il punto colpito. «Il mio povero naso!» gemette furibondo. «Questa la paghi, parola mia!»

«Oh, i creditori continuano ad aumentare!» commentò con un insopportabile sorrisetto Dante.

Petya sospirò. «Rilassati, Godric. Alla tua età farei attenzione alla pressione, lo sai?»

«Tu sta' zitto! Non c'entri niente ed è colpa tua se mi tocca sopportare questo qua!»

«Comincia ad osservare la nobile e saggia pratica del silenzio tappandoti per primo la fogna» intervenne il suo ex-maestro. «O se è troppo per una mente limitata come la tua, trovati una squinzia o, ancora meglio, ripiega sull'onanismo. So che fa miracoli sui nevrotici come te.»

Godric si chetò, oltraggiato dalle sue parole. Petya, invece, emise un verso nasale che diede tanto l'idea di essere una risata a stento trattenuta. Tossicchiò e ondeggiò l'indice verso Dante. «Buona questa, vecchia volpe!»

L'Efialte fra di loro più antico finse un piccolo inchino. «Sì, sì, lo ammetto: so essere simpatico, quando mi garba!»

«Già» sibilò Godric, ancora rosso in faccia. «Simpatico come un cactus dritto nel deretano! Sei a dir poco spregevole!»

«De gustibus...!» cinguettò Dante, il ghigno sulle sue labbra ancora più esteso e intollerabile.

Il sovrano riprese parola: «Come stavo dicendo, sono tempi oscuri e in caso accadesse qualcosa a uno di noi, o persino a due di noi, l'ultimo rimasto a quel punto rimarrà in allerta, pronto ad agire se necessario. Tutto qui».

«E se a me non importasse un bel niente di salvare la pelle a quella lì e allo sgorbietto di quel pasticcione?»

«Cielo, Godric! Smettila di fingere di avere il cuore di pietra! Non mi risulta che tu abbia mollato la piccola Violet al primo orfanotrofio che ti è capitato a tiro, perciò posso dedurre che un minimo di buonsenso e di compassione ti siano rimasti, almeno nel profondo.»

«Chi diavolo è Violet?» chiese Dante, tornato serio e ora decisamente smarrito.

Godric lanciò un'occhiataccia a Petya, il quale solo allora si rese conto che Dante non ne sapeva niente. «È... È sua figlia. Sua madre l'ha abbandonata e lui ora se ne prende cura da solo, tutto qui» spiegò il re, cercando di non tirarla per le lunghe e di omettere più dettagli possibili. Non era saggio parlare di paternità e roba simile in presenza di un Efialte che da tanto tempo si ostinava a portare il lutto per la cara figlioletta defunta, nonché che per la moglie. Oltre ad essere stupido, era anche da sadici. Non era questione di libertà di parola o meno, ma di semplice rispetto e quest'ultimo andava concesso persino al peggior nemico.

«Capisco» commentò laconico Dante, anche se pareva essersi irrigidito come un cadavere. I suoi occhi scuri come il carbone, per qualche secondo, sembrarono luccicare. «A quanto pare ho appena fatto la figura del coglione.»

«Non è colpa mia se tu hai deciso di non rifarti una vita e di trascorrere secoli di esistenza in totale solitudine, sai?»

«Godric, per favore, non esagerare» intervenne Petya. «Non c'è bisogno di scaldarti tanto e non mi sembra che abbia detto alcunché di offensivo.»

«È lui ad avere un problema, non io. Non devo sentirmi in colpa di un bel niente!»

«Me ne sbatto, onestamente, di quello che fai o non fai» lo apostrofò glaciale Dante, ma il suo parve di più un ringhio. Non era chiaro se fossero stati l'atteggiamento e le parole dell'ex-allievo a fargli saltare la pazienza, oppure se il sempreverde odio nei suoi confronti fosse semplicemente tornato a ribollire in superficie come il magma incandescente di un vulcano.

«Oh, fidati, si era notato da un pezzo!» replicò secco Godric, pur fremendo appena per qualche causa del tutto ignota.

«Scusa tanto, che cosa vuoi da me, si può sapere?» insisté adirato il più anziano, ormai incapace di tollerare la sua presenza e, tantomeno, le sue arie da Regina di Saba.

«Che tu te ne vada all'inferno e ci resti, ecco cosa voglio.»

Dante, a quel punto, si diresse alla porta della sala sotterranea dove si erano incontrati e fece per uscire. Petya, però, lo richiamò. L'altro sbuffò. «Qui sta per mettersi molto male per qualcuno e in tutta franchezza, Vostra Grazia, non vorrei essere io quel qualcuno, anzi non vorrei dover trascorrere la vita che mi resta in una cella, o peggio ancora al guinzaglio come un cane rabbioso qualsiasi, se sai cosa intendo.»

Il re, capendo la solfa, annuì e lo raggiunse. «Va bene, va bene. Vengo con te, allora. Ho un'ultima cosa di cui parlarti.» Si voltò a guardare Godric. «Aspettami qui. Devo fare quattro chiacchiere anche con te. Non provare a svignartela.»

Non rimase per ascoltare la risposta di Godric, che probabilmente si sarebbe rivelata molto, molto negativa. Uscì e Dante lo seguì senza disturbarsi a guardare indietro.

Non appena furono nel corridoio e si avviarono, diretti alla prima delle dieci gradinate in pietra a chiocciola che bisognava ripercorrere per tornare su, Petya si permise di interrompere il pesante silenzio: «Non per metterti fretta, Dante, ma... come procede la tua missione secondaria, per così definirla?».

L'altro si arrestò sul primo gradino. «James è un osso duro e non ha voluto saperne di dirmi alcunché. In parte perché non si fida del sottoscritto, naturalmente, in parte perché penso che sospetti qualcosa.»

«Riprovaci, allora. Darti per vinto non è un'opzione. Non possiamo permetterci sbagli.»

«Non potremmo, che so, fidarci e basta di lui e quell'altro?»

«Non è la fiducia che manca» puntualizzò il re. «Il fatto è che non voglio che James vada incontro a un destino più orribile della morte stessa. Ha intenzione di prendere Grober in contropiede, lo so bene e tanto di cappello per un piano del genere, ma il prezzo è troppo alto e non voglio sia proprio lui a pagarne la somma più estrema. Sono rimasto a guardare senza far niente per troppo tempo.»

«Magari è quello il suo destino. Ci hai mai pensato?»

«Il destino si può piegare e deviare, Dante. Senza contare che la sorte et similia sono roba da indovini!»

«A me non risulta.» Dante tacque per alcuni istanti. «L'altro, invece? Si è saputo niente di nuovo sulle sue reali intenzioni?»

«No. Alex continua a non voler rivelare niente di realmente utile. Sa che qualcuno potrebbe cercare di fermare lui e James; sa che Andrew non gli permetterebbe mai di affrontare pericoli possibilmente mortali e per questo mantiene il silenzio. Benché non me la senta di biasimarlo più di tanto, non posso in alcun modo ritrovarmi d'accordo con il suo punto di vista.»

«In sostanza non abbiamo un bel niente fra le mani» concluse cupo Dante, giungendo subito al sodo. «Quanto ci resta?»

«Sospetto che Grober abbia scelto una data ben precisa e simbolica per uccidere Kyran. Tutti gli indizi puntano al sette di giugno e conosci bene quella festività, essendo natio di Sverthian.»

«Prima che tu continui: si può sapere cosa vuole da Rivers? Che c'entra lui?»

Petya fece spallucce. «Potrebbe avere molte ragioni. Kyran, in fin dei conti, è il figlio di colui che lo ha tradito e raggirato fino alla fine. Mi sembra, però, una ragione troppo scarna e infantile. C'è sicuramente dell'altro dietro, se ormai ho imparato a mie spese a conoscere Grober.»

«Ha a che fare con i reali natali di Iago e dei suoi fratelli?» suggerì Dante. Si poteva dire di tutto circa il loro rapporto ormai raffreddatosi e sgretolatosi quasi completamente, ma in certe situazioni era chiaro che si ritrovassero spesso a parlare la stessa lingua e a ragionare allo stesso livello. In fin dei conti, l'uno si era ritrovato sedotto più dalla mente affinata e sagace dell'altro, che dall'aspetto fisico o dal fascino.

«Può darsi. Loro, d'altra parte, insieme a Kyran e a Frederick, sono gli ultimi della stirpe di Tredar. Una specie di discendenza di semidei e Kyran è nato per ultimo in assoluto, anche se...»

«Cosa?»

«Non è proprio così, a pensarci bene. Misha ha quattro figli, due dei quali gemelli, e la più piccola è Jane.» Il re deglutì, preoccupato, poi diede un lieve colpo alla spalla a Dante. «Vieni con me. Spero solo di sbagliarmi!»

Cominciò a salire di corsa le scale e Dante, stizzito, gli andò dietro. «Aspetta un attimo! Che hai in mente?»

Petya, senza voltarsi, replicò: «Tu non c'eri, ma il giorno in cui è stato arrestato, so che Kyran ha fatto una domanda strana a suo fratello!».

«Ovvero quale?»

«Dal nulla, senza che c'entrasse alcunché con il suo arresto e con la situazione in generale, gli ha chiesto se Jane stesse bene e se si trovasse con sua madre, ossia Afrodite!»

«E allora?»

«E allora,» rimbeccò spazientito Petya, girandosi a guardarlo, «è chiaro che qualcosa non torni! Forse non era solo, quando è stato preso in custodia dai Cacciatori mandati ad arrestarlo! Magari con lui c'era Jane ed è riuscito a farla tornare da sua madre in qualche maniera! Forse, Dante, non cercavano lui, ma la bambina!».

Dante sgranò gli occhi. «Mi stai dicendo che in realtà era lei l'obiettivo?»

«Esatto! Ora voglio parlare con Jane, così da sapere cos'è successo davvero!» Il re fece per proseguire, ma l'altro lo bloccò per un braccio. «Dico, sei impazzito? Usare i tuoi poteri su una bambina? Non sai quali conseguenze potresti procurarle!»

«Non le succederà niente, Dante!»»

«Non puoi saperlo!»

Spazientito, il sovrano sollevò una mano ed evocò in essa qualcosa che, appena comparve, fece risuonare un ovattato e irregolare suono. Mostrò il cuore all'altro Efialte con sguardo serio e intimidatorio. «Non ti conviene intralciarmi la strada.»

Dante, forse sragionando per via della rabbia, sorrise in modo forzato e sollevò entrambe le proprie di mani. «Vediamo un po' cosa succede se...» Prima di poter pentirsene, aveva già dato un veloce e violento strattone al bracciale con le spine ed esso, progettato per essere puntuale come un orologio svizzero, entrò in azione. Fu come esser stato punto da un minuscolo ago, niente di doloroso, ma il bruciore che Dante percepì dentro il braccio secondi dopo, invece, fu molto difficile da ignorare. Fu arduo dissimulare la smorfia di dolore che attraversò il suo viso per qualche istante.

Petya lo squadrò, spiazzato. «C-Che cosa hai fatto?» esalò. «Hai idea delle conseguenze di quel veleno?»

«Lo so molto bene. Quello che invece non sapevate tu e la mia amabile e subdola controparte, è che sono stato io a insegnare a Iago come sconfiggere il veleno di Fiera.» Il sorriso di Dante si fece più convinto e biecamente soddisfatto. «Forse avete ragione a paragonarmi a Satana: ne so una più di lui.» Lanciò un'occhiata al cuore che Petya stringeva in mano e, come c'era da aspettarsi, l'organo soggetto all'oscuro sortilegio che vi aveva scagliato addosso il suo proprietario per poter continuare a vivere senza di esso, era attorniato da inquietanti venature verde acceso che non lasciavano intendere niente di buono. «Ti consiglio di restituirmelo, Petya. Non ti serve a niente in quello stato e non ho più nulla da perdere, adesso.»

Petya aveva la vista offuscata e tremula, ma i tratti del viso erano induriti dalla sua espressione furiosa e stizzita. «Il Signore degli Oscuri ha sempre l'ultima parola, dico bene?» sibilò. «Non a caso ti chiamano la Volpe dell'Ovest!»

«Il cuore, di grazia. Non te lo ripeterò una terza volta.»

«Non ci penso neanche.»

«Allora di' pure addio al tuo alleato più prezioso. Parole tue, non mie.»

«Sei disposto persino a morire per una cosa del genere?» sbottò il re. «Davvero non tieni più a te stesso fino a questo punto?»

«Non sono affari tuoi. Restituiscimi ciò che è mio, Petya, prima che sia io a strappartelo di mano con la forza. Ti avverto che subito dopo ti scaglierò giù dalla tromba delle scale, e non hai le ossa resistenti quanto le mie.»

«Perché lo hai fatto? Rispondi e ti darò il cuore!»

«Perché» replicò lentamente Dante, «ti ho già visto sacrificare abbastanza innocenti per i tuoi scopi, Petya. Mettiamola così: quella bambina è intoccabile. Non voglio le accada qualcosa e non ti permetterò di avvicinarti a lei, almeno che non abbia la certezza che non subirà danni».

«Quindi ti senti in colpa nei confronti di Misha, dico bene?» lo provocò il sovrano. «Vuoi salvare sua figlia perché non sei riuscito a salvare lui da se stesso e dal casino in cui si era invischiato! Gli hai voltato le spalle e adesso è morto, ecco cos'è a tormentarti!»

«Ho le mie ragioni. Punto e basta.»

Petya si vide costretto a fare come diceva: reticente gli consegnò il cuore. «Un figlio, malgrado tutti gli errori che può aver commesso, resta pur sempre tale. Non è così?»

Dante non lasciava trasparire niente, ma era chiaro quali pensieri lo angosciassero. «La colpa è solo tua se è morto. Sei stato tu a traviarlo, a furia di coinvolgerlo nei tuoi intrighi di potere. Hai il suo sangue sulle tue mani, Petya, inutile che tu professi il contrario. Se avessi davvero voluto scoprire il suo piano prima che fosse messo in atto, ci saresti riuscito a regola d'arte. Non hai voluto salvarlo perché non volevi farlo e la tua punizione è stata perdere Desya. In fin dei conti si raccoglie sempre e solo ciò che si semina.»

«Allora tu per primo saresti potuto restargli vicino, invece di dar retta all'orgoglio come al solito!»

«Scusa tanto se avevi fatto massacrare la mia famiglia, ho cercato di ottenere giustizia e mi hai spinto fino al punto che non sono più riuscito a fidarmi di nessuno!»

«Le cose sono andate come sono andate! Se davvero vuoi rimediare, ti consiglio di darti da fare per scoprire cos'ha in mente James, così da far tornare a casa sano e salvo Iago! A questo punto è il solo che possa riportare sulla retta via suo fratello!» Approfittando della sua distrazione, il re agì come un'aspide e gli forzò la mano che reggeva il cuore contro il torace. Il piano andò a segno e l'organo, dopo quasi tre secoli di lontananza, finalmente tornò al suo legittimo posto e come ciò avvenne, per qualche breve secondo si irradiò una luce scarlatta. «Che i terribili morsi della coscienza ti diano una ragione valida per lottare per ciò che ancora ti resta e ti ostini a non voler vedere!»

Lo vide tastarsi il petto con reale disperazione. «No... no, no! No!» Petya non poté che provare un moto di compassione sincera per lui, malgrado la rabbia recente. Si chinò e gli disse, quasi sottovoce: «Finché non accetterai che non riesci a perdonare te stesso, non riuscirai a perdonare il prossimo, Dante. La tua famiglia è morta per incidente, questa è la verità, e tu ora sei di fronte a un bivio, specialmente ora che stai morendo, corroso dal veleno di Fiera: voltare pagina e restare coi vivi, lottare per la loro causa, oppure morire insieme al resto del tuo popolo e causare l'ufficiale e irreversibile scomparsa dei figli di Rasya. Se vivrai, però, un giorno riuscirai a trovare finalmente la pace e la forza di guardare avanti. Ne vale la pena, fidati. Ne vali la pena».

L'altro non rispose e si limitò a volgere altrove lo sguardo che in quel preciso istante, da freddo e imperscrutabile, sembrava uno specchio d'acqua nero e colmo di increspature, come se vi stesse piovendo senza sosta.

Pioveva anche sulle sue guance, in realtà.

Quello era l'autentico peso delle tante, troppe emozioni che Dante molto tempo addietro aveva scelto di bandire e che ora, però, erano tornate ad angosciarlo in un turbine confuso e logorante.

Sembrava sul punto di spezzarsi sotto quella massiccia mole rimasta fino ad allora dormiente e dimenticata.

La paura portava ad essere precipitosi, a volte, e persino Dante secoli prima era caduto nella sua insidiosa e subdola trappola.

Dopo quasi trecento anni il re degli Efialti vide il suo acerrimo nemico piangere come un bambino, senza riuscire a frenarsi né a smettere. Piangeva e proprio come era successo a Iago, al suo allievo preferito, a colui che nonostante tutto aveva considerato sempre come un figlio adottivo, dava l'impressione che non sarebbe più riuscito a smettere.

Petya, impietosito e sì, in preda a forti sensi di colpa e anche alla tenerezza di sentimenti dal sapore antico e perduto, si chinò e lo strinse forte fra le braccia. L'altro fece resistenza, cercò di dimenarsi e di spingerlo via, ma distrutto com'era alla fine si arrese e basta, sapendo di non avere la forza di fare alcunché.

Il re sorrise mestamente fra sé. «Va tutto bene. Puoi controllare tutto questo, credimi. Non c'è bisogno di ricorrere alla magia.»

Udì dei passi avvicinarsi, poi sollevò lo sguardo e vide Godric fermarsi a metà della gradinata dove si trovavano lui e Dante. Fu evidente la sua sorpresa, o meglio il suo vero e autentico shock, quando li vide l'uno stretto all'altro a quel modo.

Petya si rese conto di star trattenendo il fiato e di sentirsi posto sul banco degli imputati dagli occhi neri di Godric, i quali sembravano ribollire come tizzoni incandescenti. Eppure, allo stesso tempo, il loro proprietario sembrava a un passo dalle lacrime.

Il sovrano cercò di comunicargli tramite i gesti che poi gli avrebbe spiegato tutto quanto, ma Godric ricambiò con un'occhiata furibonda e sprezzante prima di voltarsi e scendere di nuovo le scale sì e no di corsa, come a voler allontanarsi da entrambi al più presto.

Solo per un momento Petya ebbe l'impressione di aver sentito risuonare in quella direzione un vero e proprio singhiozzo.

Dopo qualche istante di riflessione, finalmente capì e sperò vivamente di sbagliarsi. L'ultima cosa di cui aveva bisogno, era di un alleato come Godric corroso dalla gelosia a causa di un malinteso, sempre che di esso si trattasse.

Non è come pensa. Non lo è.

C'era voluto un po' prima di convincere il terzo membro del loro improvvisato team a fare da guida alla spedizione, se così si poteva definire l'andare a cercare l'Angelo Profeta che rispondeva anche all'altisonante nome Metatron.

Eccoli lì, dunque, nell'auto nera e dall'aria costosa di Lucifero in persona: Cynder sedeva al posto del passeggero davanti, accanto all'Angelo Caduto che nel frattempo guidava; Brian, invece, era stato fatto salire dietro e di tanto in tanto lanciava delle occhiate nervose al fratello di Skyler.

Mai, in tutta la propria esistenza, si sarebbe immaginato di trovarsi un giorno in compagnia del Diavolo in carne e ossa, per di più per una buona causa in comune.

Eppure stava accadendo.

Schiarì la voce e chiese: «Uhm... manca ancora molto?».

«Siamo quasi arrivati» ribatté laconico Lucifero, incrociando i suoi occhi nello specchietto retrovisore. «La mia compagnia ti rende nervoso, Brian Herden?»

L'ex-sceriffo restrinse lo sguardo e contrasse la mascella. «Ormai niente può innervosirmi. Il mio migliore amico è un vampiro, il mio amante uno stregone mutaforma e Imperatore di un mondo parallelo e mi trovo invischiato in una guerra che comprende tutti i possibili e immaginabili pantheon di questa o di altre realtà. Direi che stare in macchina con il Diavolo rientri per me ormai nella norma, non credi?»

Il Diavolo sogghignò. «Non perdi mai un colpo, vedo.»

«Rimarresti stupito sapendo quanti colpi ho dovuto invece attutire e incassare.»

Cynder si permise di intervenire. Tossicchiando, disse a Brian di essere meno brusco e scortese. In fin dei conti Lucifero li stava accompagnando e sì, anche proteggendo da eventuali pericoli. Il mondo umano non era più un luogo sicuro, specialmente per loro.

Herden, tuttavia, si incupì maggiormente: «Scusa, Cynder, ma tendo a reagire quando vengo provocato».

Udì l'Angelo Caduto sbuffare una risata che non seppe definire se ironica o meno. «Qualche anno fa tu e James sareste andati d'amore e d'accordo, allora.»

«Quindi non è sempre stato uno con la faccia da depresso cronico?»

Lo sguardo di Lucifero venne attraversato da un guizzo alterato e d'avvertimento. «Attento a come parli di lui in mia presenza, sceriffo. Non sono paziente come mio fratello e anche io tendo a rispondere, se vengo provocato.»

«Dà fastidio, dico bene?» cinguettò Brian. «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.»

Cynder fece un lungo e teso sospiro. «Devi scusarci. Stiamo attraversando un brutto periodo, tutti quanti. Di solito Brian non è così odioso.» Scoccò un'occhiataccia in tralice all'amico, come a voler dirgli di farla corta.

«Credimi, Cynder, ci ho fatto l'abitudine» rispose Lucifero, quasi in tono amabile e confidenziale.

Il giovane re piegò le labbra in un candido sorriso ornato da una sfumatura di timidezza. «In ogni caso, a me James sta simpatico. So cosa ha fatto in passato, ma ora sta dando il massimo senza chiedere niente in cambio a nessuno e per questo lo rispetto e ammiro. Sa così tante cose sulla magia, ormai, che potrebbe benissimo diventare un insegnante in piena regola.»

Per un attimo Lucifero sembrò vacillare e la sua maschera di sicurezza fu a un passo dall'infrangersi, ma subito si riprese. «Sì, in effetti starebbe benissimo in quei panni. Avrebbe molte cose da tramandare alle menti più giovani. Chi meglio di lui ha conosciuto il lato migliore e quello peggiore della magia, d'altronde?»

Cynder esitò. «Mio fratello mi ha confidato di... insomma, di quello che è successo fra James e sua moglie. Suppongo sia per questo che è sempre... voglio dire... triste. Dico bene?»

«Forse non è l'unico motivo» si arrischiò a buttare lì Lucifero. «Sono accadute molte cose e ne accadranno tante altre. Magari a spaventarlo è il futuro, come sta accadendo a tutti noi. Non è fatto di pietra, d'altra parte.»

Brian corse il rischio e domandò: «È vero quello che dicono su di lui?».

«Sul suo conto molte cose sono state dette, sceriffo Herden.»

«Non sono più uno sceriffo.»

«Ti comporti come tale e tanto basta. Comunque, se vuoi risposte, dovrai essere più preciso.»

Herden, a quel punto, decise di essere diretto: «Dicono che ha ucciso un bel po' di gente in passato, quand'era poco più che un ragazzo. Lo hanno definito un pluriomicida pentito, o qualcosa del genere».

«Il fidanzato del tuo migliore amico, se non ricordo male, si è macchiato a sua volta di crimini efferati.»

«Andrew aveva ragioni più che valide per essere incazzato con me e con gli altri.»

«James ha ucciso i bulli che lo tormentavano a scuola da anni e poi persone che non meritavano di vivere. Malviventi, stupratori, assassini. Gente con la quale io stesso avevo un appuntamento, se devo esser poetico.»

«E davvero sa riportare in vita la gente?» chiese di nuovo Brian, cambiando discorso.

«Sì. Lo ha fatto. Due volte, da quel che ne so.»

Cynder capì che parlare di James stava solo facendo venire il malumore a Lucifero, dunque pensò bene di virare altrove la conversazione: «Che tipo è Metatron?».

L'Angelo Caduto fece un sorriso storto. «Tutto sommato è tranquillo e gli piace avere una vita riservata e lontana dagli impicci, cosa per la quale posso solo rispettarlo.»
«E lui ci aiuterà a capire meglio quel che sta succedendo?»

«Non saprei. Tende a essere sempre molto criptico e non l'ho mai sentito rispondere a una domanda in un modo che non fosse elusivo. Per legge non gli è consentito rivelare il futuro così com'è. Sta a chi lo ascolta cogliere il messaggio fra le righe, perciò quando saremo da lui dovrete stare attenti e tenere a mente tutto quello che vi dirà.»

Cynder annuì, concentrato. «Perciò per lui vale la stessa regola che impedisce ad Alex di descrivere in modo preciso le visioni che ha di tanto in tanto?»

«Precisamente. I profeti e i veggenti non sono autorizzati a interferire in maniera decisiva con il futuro altrui. Possono dare una traccia, ma non influenzare gli eventi fino in fondo. Le persone devono essere libere di scegliere da sole la strada da percorrere, che essa sia buona o cattiva.»

«Ma allora che senso ha l'esistenza di persone come Alex, o di creature come tuo fratello? A cosa serve vedere il futuro se non si può far niente per far sì che vada nella direzione corretta?»

Lucifero sorrise con un velo non troppo celato di amarezza. «Nessuno di noi ha il potere di stabilire quale direzione sia giusta o meno, Cynder, nemmeno i profeti. D'altro canto, non è detto che la strada buona sia sempre quella tutta rose e fiori. Spesso e volentieri a essere quella giusta è la stessa che ci appare più impervia, buia e inospitale.»

«Continuo a non capire» ammise il Re Crisio, sconsolato. «Mi sembra un'ingiustizia.»

«Non prenderla così. Non tutto il male vien per nuocere.»

Cynder rise appena. «Tu nei sei l'esempio lampante, dico bene?» si arrischiò a dire, un po' per punzecchiarlo amichevolmente.

Brian roteò gli occhi e si chiese come facesse Cynder ad andare d'accordo con tutti o quasi. Per quel che gli riguardava, Lucifero non gli garbava per niente. Faceva troppo lo spaccone per i suoi gusti.

Lo guardò abbozzare un sorriso che pareva sincero e genuino. «Non ho mai pensato a me stesso in questi termini, a dire la verità.»

Langford agitò una mano. «Dopo averti conosciuto, posso dire di aver incontrato persone peggiori mille volte di te o chiunque altro venga additato per partito preso. Sotto sotto sei buono, secondo me. In fin dei conti resti un angelo, no?»

«Ci sono anche angeli malvagi, Cynder» replicò l'ex-Signore dell'Inferno. «Mio fratello Raffaele, ad esempio, era un vero macellaio. La sua ultima prodezza è stata torturare e abusare di James in ogni modo possibile e immaginabile. Mi spiace solo che la sua punizione sia stata di spessore minore a confronto di quel che è stato in grado di fare.»

«E ora dove si trova?» intervenne Brian, curioso.

«È riuscito a fuggire e ad oggi non siamo ancora riusciti a rintracciarlo. Suppongo che Grober lo avesse reclutato da tempo e che Raffaele sia andato a ripararsi sotto la sua ombra sempre più incombente.»

Cynder rabbrividì a quel nome. Non perché Grober fosse lo spauracchio per eccellenza che ormai stava spopolando, ma perché lo riportava ai ricordi della prigionia cui lo aveva sottoposto per anni Arwin, e anche a qualcos'altro. Si umettò le labbra. «Mi... Mi hanno detto che André è mio padre. Se Grober lo tiene sotto il suo giogo da quando era bambino, però, non posso non chiedermi se...»

Lucifero subito lo rassicurò: «No, Cynder. Spirito e carne sono due cose separate. André, non essendo il vero corpo di Grober, resta un essere a sé stante. Tu e Skyler non siete l'Anticristo diviso a metà né roba del genere. Siete i figli di André, semplicemente».

Langford per un attimo guardò indietro, verso Brian. Sembrava incerto se dire una cosa o meno, specie perché Herden era presente. «Ho... Ho saputo anche di un'altra cosa, in realtà.»

«Ovvero?»

«Dicono che... che lui violentò mia madre. Skyler non sa che anche io ne sono al corrente e voglio che continui a pensarlo.»

Lucifero esalò un profondo sospiro. «Pare che lo fece, esatto.»

«Eppure» osservò Brian, «sembri un po' dubitarne».

«Questo perché conosco Grober da una vita e se c'è una cosa che mai gli ho visto fare, è prendere qualcuno con la forza.»

«Stai dando a Dorothy della bugiarda, dunque?»

«No, ma sai com'è, Brian: in questi anni di scandali sessuali ce ne sono stati a iosa e non tutti erano propriamente basati su fatti reali. Non sempre la verità è come la si immagina e nessuno di noi ha mai chiesto direttamente a Grober se davvero avesse violentato Dorothy o meno.»

Herden rise, sarcastico. «Oh, certo! Perché lui sembra proprio il tipo con il quale poter intessere una piacevole e civile conversazione, vero?»

Lucifero non ribatté. In parte perché non c'era nulla da dire, in parte perché sapeva a malincuore che la colpa non era di Grober, non davvero: la colpa era di ciò che da millenni lo stava consumando ed era consapevole di aver solo incattivito l'Oscurità che lo divorava dall'alba dei tempi.

La responsabilità di tutto quel disastro andava imputata solamente a lui e a Tredar, a loro che avevano scelto la violenza al posto del dialogo. Invece di cercare di ragionare con Grober e di salvarlo, lo avevano condannato. Si erano comportati da vigliacchi, ecco qual era la verità.

Si erano resi sordi e ciechi al suo evidente bisogno di essere aiutato. Invece di tendergli una mano, lo avevano spinto nel precipizio.

Prima di ucciderlo, voglio tentare un'ultima volta di parlare con lui e farlo ragionare. Voglio che sappia che mi dispiace per tutto quanto, specialmente per averlo abbandonato.

Forse, in fondo in fondo, un po' lo amava ancora e si ostinava a sperare che ci fosse un modo per tornare indietro e riparare alle tante ingiustizie commesse da tutti loro.

Voleva credere che ci fosse per Grober ancora un minimo di speranza.

«È instabile, questo è certo, ma persino con uno come lui è possibile trovare un punto di incontro. Basta solo far leva sulla cosa giusta.»

«Se anche fosse così, è il dio non solo della guerra e della morte, ma anche delle bugie» gli ricordò Brian. «Non ci si può fidare, Lucifero. Direbbe solo e soltanto quello che più gli converrebbe rivelare.»

«Sia come sia, è sempre meglio non dar retta tutte le volte ai pregiudizi» tagliò corto l'Angelo Caduto. «Comunque siamo arrivati.» Fermò finalmente l'auto e accennò alla piccola e monotona casa situata nel Bronx, a poca distanza da Baker Avenue. C'erano un piccolo vialetto e un giardino dall'aria non molto curata e in cima ai tre gradini che portavano all'ingresso della casetta – che dava l'idea di essere un vero e proprio monolocale – videro seduto quello che aveva la parvenza d'esser un uomo fra i trenta e i quaranta, con corti capelli scuri e limpidi occhi chiari. I suoi tratti affilati – che un po' ricordavano quelli di uno d'altri tempi – erano al momento distesi in un lieve, ma garbato, sorriso di benvenuto.

Li osservò scendere dalla costosa auto di Lucifero e dirigersi tutti e tre in sua direzione.

La Stella del Mattino, vedendolo alzarsi in piedi, scendere i gradini e raggiungerlo, sorrise a sua volta con sincero affetto. Si scambiarono un breve ma intenso abbraccio, poi Lucifero si scostò e con un gesto della mano presentò Brian e Cynder a colui che ormai era chiaro fosse Metatron, l'Angelo Profeta.


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