Capitolo XLIV. L'accordo


Musica consigliata: "Avalanche" di Nick Cave & The Bad Seeds.

https://youtu.be/MEj2DK5-PeY

Quando entrò, dopo aver bussato, vide Jake che aveva ormai ultimato di medicare le ferite di Dante. L'Efialte gli dava le spalle, ma Jake invece lo vide e gli fece un cenno con la testa a mo' di saluto piuttosto stringato. Non c'era da stupirsi, visti i recenti trascorsi con Max, anche se Dario non pensava di meritare un simile trattamento. Non aveva incoraggiato in nessun modo Maximilian a troncare la relazione con Andersen. Per una volta si reputava innocente.

Scelse di lasciar perdere. Appena ebbe finito, Jake lo raggiunse e gli parlò a bassa voce: «Il mio consiglio è di ripassare più tardi. Gli ho dato qualcosa per il dolore, perciò non è del tutto in sé. Ha bisogno di riposare e di calma. Non so bene cosa sia accaduto laggiù, però è ancora scosso».

Era chiaro che stesse parlando in qualità di medico, professione alla quale mai aveva del tutto rinunciato, per cause di forza maggiore o meno.

Il vampiro, tuttavia, si vide costretto a ignorare il parere del dottore. «Abbiamo tutti bisogno di riposare, ma al momento le priorità sono ben altre. Mi dispiace, ma devo parlargli adesso. Non posso attendere, Jake.»

Andersen lo squadrò. «Sin da quando ti ho conosciuto di persona mi ha sempre assillato una domanda: come fanno gli altri a non accorgersi di quanto tu sia in realtà fra le persone più crudeli al mondo?»

Dario decise di incassare. «Come ho sempre detto a tanti altri, lascio che sia il prossimo a decidere cosa vedere in me. Non impongo a nessuno di vedermi come il buono o il cattivo, Jakov, e ti pregherei di non confondere la vera opinione che hai di me con la rabbia che chiaramente provi nei miei confronti. Detto fra noi, tra l'altro, credo che tu stia abbaiando contro l'albero sbagliato.»

Andersen si fece più vicino. «Lo sapevo che prima o poi, riavvicinandosi a te, si sarebbe allontanato da me. Me lo sentivo nelle ossa e alla fine è successo. Non ti senti neanche un po' responsabile? Davvero ti credi così innocente?» Il vampiro cercò di replicare, ma Andersen glielo impedì. «Non mi stupisce che tu e Petya ve la intendiate così tanto. Nel profondo del vostro animo siete uguali. Entrambi vi siete macchiati le mani di sangue ripetutamente, pur di perseguire i vostri obiettivi. Tutti e due avete distrutto le vostre famiglie e adesso cercate un'assoluzione che non esiste, che non avrete mai. Dite di combattere per gli altri, ma in realtà lo fate per il gusto di combattere fine a se stesso. Avete i vostri piani personali e guai a chiunque osi disturbarli. Vi rivoltate contro il disturbatore come delle aspidi.»

Dario ne aveva sul serio abbastanza. «Stai passando il limite, Jake, ti avverto.»

«Le minacce con me non funzionano. Ricordi?»

«Non era una minaccia, ma sta per diventarla.»

Jake sorrise, schernendo apertamente il vampiro. «Oh, senti, senti! Biancaneve ha detto la sua!»

«Chiedo scusa?»

«Non lo sai? È così che un bel po' di gente ti ha chiamato per anni.»

Il non-morto restrinse lo sguardo, poi, irritato in modo irreparabile, afferrò gli abiti del medico e diede un lieve, ma risoluto, strattone. «Lo sai che cosa succede a scocciare troppo una belva feroce, anche se incatenata? Stai per scoprirlo, Jake Andersen» sibilò.

Il dottore sorrise di sbieco. «Ecco. Proprio di questo parlavo, poco fa. Senza contare che da quando sei tornato hai convenientemente evitato di parlare del modo con cui ti sei liberato degli Specter. Non sarà che nascondi forse un piccolo e sporco segreto?»

Una terza voce interruppe la discussione che stava andando fin troppo oltre il limite. «Adesso falla finita, Andersen. Non si è scopato il tuo ex-fidanzato e tutti sappiamo che quel vampiro ha la fantomatica abilità di agire e solo dopo fermarsi a riflettere. Adesso, se non ti è di disturbo, lasciaci soli. Credo che ci siano degli affari di cui discutere.» Dante si era alzato dal letto sul quale poco fa era rimasto seduto e benché fosse chiaro che si reggeva in piedi a fatica, il suo sguardo era determinato e serio, non ammetteva repliche, a meno che non si volesse adirarlo sul serio.

Jake si vide costretto a fare come gli era stato intimato, ma non mancò di superare prima con una spallata sprezzante il vampiro.

Appena la porta si fu richiusa, Dante roteò gli occhi. «Non ci sai proprio stare lontano dai guai, dico bene?» Represse una smorfia e solo grazie alla testardaggine riuscì a rivestirsi. «Che cazzo ci fai qua, me lo spieghi?»

Dario fece qualche passo avanti e incrociò le braccia. «Come va la spalla? Quando siamo tornati hai quasi perso conoscenza.»

«Non fingere che te ne freghi un accidente di come sto» quasi ringhiò in risposta l'Efialte. 

«Forse è per via di questa tua condotta e di questa aggressività che là fuori non c'è una sola anima al mondo a fregarsene di come stai. Ci hai mai pensato?»

Dante sogghignò. «Biancaneve, eh? Ora so come chiamarti. Anzi, no! Dimenticavo che sono stato io a divulgarlo e renderlo virale! Scusa, ma non ho proprio saputo resistere!»

«Davvero simpatico, congratulazioni. Ora non sono davvero stupito che alla fine persino Godric si sia arreso con te.»

«Te ne vai o devo essere io a cacciarti fuori da questa stanza a calci nel culo? Giusto per sapere se devo scomodarmi.»

Dario scelse saggiamente di non proseguire oltre la disputa. «Prima di iniziare, mi interessa davvero sapere come stai al momento.»

L'Efialte fece una smorfia scocciata. «Intossicazione da acciaio melanio. Pare che fosse quasi la volta buona, ma si sa: l'erba cattiva è dura a crepare.»

«Intossicazione?»

«Sì, a volte succede, specie se vengono colpiti organi vitali. Quello Specter ha avuto la brillante idea di beccare un polmone.»

«Come diavolo hai fatto a resistere tutto quel tempo, allora?»

«Non è la prima volta che vengo pugnalato alle spalle» replicò Dante, forse volutamente ambiguo. «Andersen ha detto che devo prendere tutto più alla leggera, ma non rientra nel mio stile. Sostiene che di questo passo potrebbe non essere lontano il giorno in cui ci rimetterò le penne. Auguriamoci tutti e due che la cosa avvenga dopo che Grober sarà stato rimesso in riga.»
La cosa assurda era che Jake gli aveva riferito quell'avvertimento come se in ogni caso gliene sarebbe potuto importare qualcosa.

Dario sospirò. «Quale che sia il tuo stile, da' retta a lui. Come medico è irreprensibile e ha molta esperienza e non è solito dare spesso consigli del genere. Vuol dire che una persona è messa piuttosto male, Dante, e in effetti non hai una bella cera.»
«Oh, allora è una fortuna che io non possa vedermi allo specchio. Vanesio come sono, mi sarei sparato in testa!»

«Non sto scherzando. Possiamo essere quanto ci pare i discendenti di una divinità della morte, ma rimaniamo vulnerabili e tu resti pur sempre un mortale, anche se più longevo e più forte di un essere umano.»

Dante sorrise di sbieco. «Mi chiedo cosa succederebbe se un domani non molto lontano io stabilissi che non me ne importa più un cazzo di niente di questa guerra, di Grober e di ciò che potrebbe succedere se decidessi di dare forfait. Lo confesso: provo un perverso piacere all'idea di voialtri immersi nei casini fino al collo.»

Dario avrebbe voluto sbattere la testa contro un qualsiasi spigolo di quella stanza, per la frustrazione che stava provando. «Va bene, mettiamola così: sarai libero di fare di te stesso ciò che vorrai dopo che avremo risolto questa faccenda. Okay?»

«Tu dici? E come la mettiamo con il nostro odioso vincolo? Davvero rinunceresti ai tuoi sogni di gloria alla James Dean per darmi la possibilità finalmente di essere in pace? Lo faresti, pur così vicino all'ottenere ciò che vuoi? Chi ti dice che Rasya non sia peggiore cento volte di Grober in persona? Lo sai bene cosa succede se crepiamo tutti e due. Non sei tipo da condannare chissà quante persone per il fine egoista di un solo uomo.»

Dario sorrise amaramente. «Tu dici? Non sarebbe la prima volta, se la memoria purtroppo non mi inganna. Ignori tutte le occasioni in cui ho dovuto seppellire la coscienza e la reputazione per volere di un solo uomo che ora mi ritrovo a odiare. Può darsi che per quando sarà tutto finito, avremo trovato un modo per svincolarci. Così, almeno, saremo liberi di prendere strade differenti: io di rifarmi una vita, tu... beh... di fare qualunque cosa tu abbia in mente di voler fare.»

«Non saremo mai liberi. Non lo capisci? Non ci sono permesse scelte egoiste e unilaterali, a meno che non finiamo per concordare sul fatto che forse sarebbe ora di ritirarci dalle scene e lasciare che siano gli altri a imparare a ripulire da soli i loro casini.» Dante si avvicinò. «Insomma, non dobbiamo un bel niente a nessuno di loro. Io, soprattutto, non devo niente a nessuno. Hai sentito poco fa Jake? Forse è ciò che tutti quanti in realtà pensano di te, solo che sono troppo vigliacchi per ammetterlo.»

«Non sto facendo tutto questo perché lo devo a chicchessia.»

«E allora perché?»

«Perché, Dante, è giusto che io faccia la mia parte. È il lavoro non di una vita, ma di più vite tutte assieme. Sono secoli che inseguo Grober, che seguo la scia di sangue che si lascia alle spalle e invano tento di fermarlo. Adesso che ne ho la possibilità, non ho intenzione di tirarmi indietro. Se tu non hai più nulla da perdere, io ho ancora molto da proteggere, invece. Ci sono persone che non posso in alcun modo abbandonare e conti in sospeso che intendo regolare una volta per tutte. Farai meglio ad arrenderti a questa prospettiva e a collaborare, a smettere di essere uno degli anelli deboli presenti qua dentro.»

«Quindi è questo ciò che sono? Un anello debole?»

«Lo sei perché vuoi esserlo! Forse perché sei stanco o neanche io so cosa ti passa per la testa, ma ti conviene ritrovare un po' di determinazione e smetterla di ostacolarmi!» Dario fece un respiro profondo, poi estrasse le due sfere dalla tasca e se le rigirò in mano. «E ora presta molta attenzione: forse ho trovato un modo per far sì che questi non possano più cadere nelle mani sbagliate.»

Pareva quasi che Dante, pur cieco com'era, riuscisse lo stesso a vedere o a percepire la presenza di quei due piccoli oggetti. Non sembrava granché contento, però. «E quale? Distruggerli?»

«Certo che no.» Il vampiro fece una pausa. «L'unica maniera è far sì che uno di questi occhi faccia ritorno al suo legittimo proprietario.»

«E l'altro?» incalzò l'Efialte, per nulla entusiasta.

«Sarò io a portarne il peso. Così facendo, il fardello sarà distribuito equamente, lo porteremo entrambi e... beh, in cambio, io ti cederò uno dei miei occhi. In questo modo saremo ancora in grado entrambi di vedere e lo scambio sarà bilanciato.»

Dante sbuffò una risata sardonica. «Non hai la più pallida idea di cosa voglia dire convivere con un potere come quello, vero? Certo che non lo sai. Non c'eri quando venivo bollato come un mostro e per una capacità che non ero in grado di capire né di controllare. Non c'eri nemmeno quando poi ho dovuto imparare a vivere circondato dal buio, affidandomi solo agli altri quattro sensi. E tutto questo per via di quei maledetti occhi che non avresti mai dovuto portare via da quella fottuta sala!» Agitò le mani. «Non ci sto. Punto e basta! Non puoi costringermi anche a questo! Non è giusto e non è corretto!»

«Allora quale altra idea avresti, sentiamo? Aspettiamo che Grober torni a riprenderseli? Che magari ci uccida entrambi e li usi per controllare a bacchetta Rasya? Il gatto è già fuori dal sacco, Dante, non lo capisci? Non abbiamo una reale scelta!»

Dante, quasi percependo che c'era dell'altro, chiese: «Non vuoi fare una pazzia del genere solo per questo, dico bene? Di che si tratta veramente?»

Il vampiro rimise in tasca le piccole sfere. «Perché mi servi anche tu per ciò che ho intenzione di fare. Muniti entrambi di un occhio ciascuno, saremmo a quel punto sul serio come una sola entità e il potere di Rasya vero e proprio mi serve, se voglio sperare di realizzare il piano che ho in mente.»

«Quale piano?»

«Voglio rendere liberi i miei simili, i vampiri che al momento sono tutti sotto il giogo dell'impostore che ha soppiantato Azrael. Serve un'entità di pari potenza e Rasya è l'unica risposta a questo appello.» Una pausa. «Non ho intenzione di chiamare a raccolta tutti i massimi esponenti dei vampiri del mondo solo per tirarli dalla mia parte. Fra di loro ce n'è uno che mi vedrò presto costretto a uccidere: Orfeo.»

Dante inaspettatamente rise di gusto. «Oh, sicuro! Certo!»

«Qualcosa ti diverte?»

«Eccome! Mi diverte che tu voglia misurarti con il progenitore di tutti i vampiri munendoti di poteri che non sai chiaramente usare! E cosa dire dei possibili effetti collaterali?»

«Non ce ne sarebbero, invece.»

«E come fai a dirlo?»

«Lo so e basta» replicò impulsivo Dario.

«Lo sai e basta» lo imitò Dante. «E poi sono io l'arrogante! Dovrebbero star a sentire te in questo preciso istante, allora.»

Hai scelto tu di spingermi a usare le cattive, pensò Dario, scegliendo di passare alle maniere forti.

Lentamente mise una mano sotto la giacca e quando essa ricomparve, reggeva saldamente una pistola. Con uno scatto preciso e abile la caricò e si premurò che l'altro potesse sentire bene tale suono. Magari non poteva vedere che gliela stava puntando contro, ma sicuramente avrebbe almeno potuto immaginare di avere una pistola a pochi centimetri dalla testa.

L'Efialte sorrise di sbieco. «Per curiosità» disse lentamente, il tono tranquillo, «muoio anche io dalla voglia di scoprire come hai fatto a sconfiggere tre Specter che avevano l'ordine preciso di farti fuori. Non avevi armi con te, perciò hai scelto un'offensiva più raffinata. Ho ragione?»

Il vampiro non batté ciglio. «Sai benissimo cosa sono stato costretto a fare. Non prendiamoci in giro.»

Dante sbuffò una risata. «E tu sai molto bene che basta una sola volta, basta indugiare per poco con lo sguardo in quel nero abisso e si è dannati per sempre, marchiati nell'anima e nella mente. Non si torna più indietro, una volta che hai permesso a un solo Anatema di manifestarsi e di agire su tuo ordine. Benvenuto nelle Tenebre, Dario! Alla fine hai scelto di mescolarti ai cattivi, a quanto pare.»

«Diciamo che utilizzo il male per conto del bene» replicò sibillino Dario, senza perderlo d'occhio. «In quanto alle Tenebre, temo di non averle mai abbandonate e di esser stato purtroppo arruolato un bel po' di tempo fa. Non me ne sono mai andato da lì. Mi sono limitato sempre a tenere a bada il buio.»

«Non mi risulta che tu abbia sempre fatto un lavoro egregio, o forse la storia del Macellaio è solo una leggenda metropolitana?»

«No, in realtà è l'eccezione che conferma la regola, Dante, e non osare farmi la predica. Anche io so cosa sei stato capace di fare. So quante persone hai ucciso e solo perché ti andava, per il puro gusto di udire i loro pianti e le loro grida di terrore. La differenza tra me e te è questa: a te sta bene essere un mostro e venir dipinto come tale, io invece lo detesto e rinnego le azioni di cui mi sono macchiato in passato e che non voglio più ripetere. Non per me stesso o la mia reputazione, ma perché voglio che quando mia figlia sarà grande, guardandomi veda semplicemente suo padre e non un vampiro pieno di rimpianti e di vergogna.»

L'Efialte rimase impassibile. «Non ha senso minacciare di morte un uomo che ha voltato le spalle alla vita.»

«Questo è vero» concesse Dario, «ma so che non mi rispetti né mi ritieni tuo pari e questo significa un'altra cosa, Dante: non permetteresti mai al sottoscritto di porre fine alla tua esistenza. Lo riterresti quasi un disonore, perciò assecondami e falla finita una buona volta di fare il bastian contrario».

«Forse Jake non stava sproloquiando, dopotutto.»

«In parte no, hai ragione. Sono tempi disperati e bui, questi, e io sono determinato a fare tutto ciò che posso per fronteggiare Grober e aiutare le persone a cui tengo. Decidi, Dante: o con me o via dalla mia strada, perché non esiterò un attimo a passare sopra il tuo cadavere e a quello di chiunque sarà così sciocco da tentare di fermarmi. Meglio non farmi perdere del tutto la pazienza.»

«Uccidendomi, però, sguinzaglieresti forze che nessuno di voi potrebbe sperare di controllare.»

«Se tu muori, al massimo potrei perdere solo metà di ciò che sono, ma vivrei comunque, forse persino otterrei qualche vantaggio, ma ti ho già spiegato che è meglio bilanciare le capacità di entrambi. Ti sto offrendo la possibilità di tornare a vedere, di non dover più brancolare nel buio.»

«Potrebbe non interessarmi. In fin dei conti ci sono abituato.»

«Appunto per questo, prima di venire qui, ho riflettuto meglio.» Dario abbassò la pistola. «E se a quel punto avessimo la possibilità di riportare indietro, fra le tue braccia, Talia?»

Vide Dante, persino nell'espressione, mettersi sulla difensiva e tradirsi. «Non so di chi parli.»

«Non fare lo scemo. So di lei.»

«La privacy è un lusso per pochi, eh? Chi te l'ha detto? Petya?»

«Sì, è stato Petya. Sa bene che è soprattutto per quella ragazza che ce l'hai a morte con lui. La prima volta che vi siete rivisti eri sul punto di farlo fuori e gli hai detto che prima o poi gliel'avresti fatta pagare cara per non aver aiutato abbastanza Talia né averla protetta dalla crudeltà di Misha. Le tue azioni hanno parlato per te, Dante.»

L'Efialte per una volta non ribatté, chiaramente colto alla sprovvista e incapace di rinnegare una seconda volta la defunta Talia.

«Se tu mi aiuterai, poi io ti aiuterò a mia volta. Serviamo entrambi l'uno all'altro. Collaborando, non ci sarà bisogno di far tornare Rasya, Dante. Avremo le sue capacità e manterremo intatte le nostre identità. Io libererò i vampiri da ciò che li vincola da millenni alla Morte e tu sarai finalmente capace di vedere di nuovo davanti a te un futuro, una seconda possibilità al fianco della donna che ami e che puoi riavere al tuo fianco.»

Dante deglutì. «Te lo concedo, sai colpire nei punti giusti, quando ti pare.»

«Che devo dirti? Rimango pur sempre un uomo d'affari.»

«Non mi stai prendendo per i fondelli, vero? Non ti rimangerai tutto quanto non appena ti avrò dato una mano a eliminare quel tizio, giusto?»

«Ti sembro uno che si rimangia le promesse?» Dario alzò gli occhi al cielo. «Ti do la mia parola, e fidati che non la concedo mai con leggerezza.» Tese una mano. «Siamo d'accordo, allora?»

Dante come al solito ci mise qualche istante più del consueto a effettuare la stretta. Non era sempre facile per lui destreggiarsi nelle sue condizioni e anche a distanza di secoli aveva qualche attimo di smarrimento o di incertezza. «E sia. Come la mettiamo, però, con il metodo con cui richiameremo dalla morte Talia?»

Il vampiro abbozzò un sorriso in parte furbesco. «Quando quella ragazza morì, se non erro fu Azrael a occuparsene, come di consueto, e se ho capito come le cose funzionano, allora ciò che Azrael ha fatto, Rasya può disfarlo. Ciò significa che non violeremmo alcuna regola e dopotutto abbiamo dalla nostra parte, adesso, una Padrona della Vita e della Morte. Sarà un gioco da ragazzi pensare ai dettagli e ho modo di credere che Alice abbia un debito nei confronti di tutti quanti noi, compreso il sottoscritto. Se io non avessi parlato neppure per sbaglio di voler salvare in qualche maniera Lorenzo, nessun altro si sarebbe azzardato a farlo, anche se alla fine sono stati James e Iago a occuparsene.»

Dante annuì. «Mi sembra fattibile. Manca, tuttavia, un'ultima cosa: per un'anima che ritorna dalla morte, un'altra deve prendere il suo posto. Queste regole valgono anche per noi, perciò... facciamo così: io ti confermerò la mia partecipazione al tuo piano se prima tu troverai quell'anima da dare in pasto all'Aldilà per far tornare Talia. Trova quell'anima e avremo un accordo. Se però per te è troppo, allora scordati il mio aiuto.»

Dario guardò altrove e si trattenne dallo sbuffare sonoramente. «Va bene. Hai qualche indicazione da darmi? Giusto per non rischiare di dover redigere una lista di candidati!»

L'Efialte ci pensò su, anzi finse di farlo. «Mhm, vediamo...» fece, incrociando le braccia. «Avrei tanto voluto condannare a una simile fine mio zio, ma come ben si sa è morto e sepolto da secoli, però il suo socio è ancora in vita. Parlo di Cornelius.»

Il vampiro sospirò. «Cornelius ha perso la memoria, Dante. Non ricorda più chi è né cosa possa aver fatto o meno in passato. Sarebbe come uccidere un innocente.»

«Oh, capisco! Non esiti un secondo a puntarmi una pistola alla testa, ma nei confronti di quel bastardo che ha sempre denigrato e screditato anche te, invece, provi compassione! Sei proprio un bel tipo, lo sai?» 

«Non possiamo toccarlo, Dante. C'è troppo in gioco e se gli accadesse qualcosa, si creerebbe un grosso guazzabuglio!»

«Io lo voglio morto. O così o dovrai fare da solo. A te la scelta. Questo è il mio ultimatum e credimi, Dario, prima o poi troverò lo stesso il modo per avere il suo sangue sulle mie mani. Non pensare neanche per un secondo che anche se lo risparmiassi ora, sarebbe in futuro al sicuro! O morirà per permettere a un'altra anima di tornare oppure lo ucciderò da solo, per il puro gusto di sentirlo urlare come un maiale al macello! Cornelius ha ancora molti nemici e ti posso assicurare che io sono il più ragionevole e il più pacifico. Potrei persino concedergli una morte rapida e indolore, giusto per evitare eventuali lagne da parte tua.»

Dario si rese conto di non avere molto margine di scelta. Odiava quelle situazioni.

«E come la mettiamo con Godric? Mi è giunta voce che in parte sembra essersi affezionato al nuovo Cornelius.»

Dante non batté cigliò né diede segno di essere interessato alla questione. «Quello che potrebbe nuocere o meno a Godric ormai non è più affar mio. Che pianga e si disperi perché il cattivo Dante ha ordinato la morte dell'ultimo animaletto che ha curato e salvato. Gli passerà.»

Dario non riuscì a celare un'aria palesemente sdegnata. «In un frangente troviamo un punto d'incontro, Dante: una cosa che mai avrai da parte mia, è il rispetto.» Fece un passo indietro. «A cose fatte penseremo a limare i dettagli. Intanto vedi di riprenderti, perché verrai insieme a me al vertice fra gli esponenti dei vampiri che sto organizzando. Uccidiamo Orfeo, poi il resto verrà da sé.» Si diresse alla porta, ma non uscì. «Pensavo che quanto accaduto qualche ora fa ti avesse dato ottimi spunti per riflettere e farti un esame di coscienza, ma vedo che niente è capace di scalfirti sul serio. Non importa quanto tu possa perdere o soffrire, non abbandonerai mai la superbia e l'orgoglio, anche se sono stati la tua rovina.»

Dante serrò i pugni. «Forse sono tutto ciò che mi resta.»

Il vampiro sorrise amaramente. «Allora ti compatisco, Dante. Non posso che provare pena per te.» Non avendo altro da aggiungere, abbandonò la stanza.

Petya si appoggiò con la schiena al caminetto e squadrò il vampiro. «Ti spiacerebbe ripetere?»

«Hai sentito molto bene.»

L'ex-sovrano dell'Oltrespecchio fece un respiro profondo. «Ti ha messo nel sacco, gira che ti rigira.»

«Già, e ha stretto ben bene il nodo, come se non bastasse» confermò Dario, cupo. «Non ho altra scelta ed è troppo importante la sua collaborazione. Ci serve, Petya, non possiamo far altrimenti.»

«Lo sai che cosa mi fanno tutti gli Efialti presenti qui a Obyria, se Cornelius muore senza io che muova un dito per oppormi e salvarlo? Hai idea della grande influenza che ha ancora quell'uomo, anche se ormai è innocuo come un bambino in fasce?»

«E tu sai cosa succederà, se non distruggeremo il legame fra i vampiri e chi ha preso il posto di Azrael e potrebbe comandarli quasi tutti a bacchetta? Farebbe in modo di farli diventare i suoi burattini per dispensare morte e orrori sia qui che nel mondo umano, e allora tu poi verresti da me, Petya, disperato, e mi diresti che avremmo dovuto uccidere Cornelius per risparmiare a tanti innocenti una fine terribile.»

Yakovich sibilò un'imprecazione sconcia in francese. «Saresti dovuto venire prima da me, invece di fare di testa tua.»

«Non pensavo di aver bisogno del tuo permesso. Non sono uno dei tuoi galoppini, Petya» lo rimbeccò Dario, gli occhi dardeggianti d'irritazione. «E comunque, ho condotto la trattativa con Dante in fretta e furia perché ho degli impegni imminenti cui far fronte e non potevo aspettare. La prossima volta ti manderò un invito via lettera con stampate delle margheritine e ci riuniremo tutti e tre attorno a un tavolo davanti a una tazza di tè. Contento?»

«Non ti azzardare a fare del sarcasmo con me, mi senti?» Petya scosse la testa. «Beh, ormai è andata. Ho le mani legate, quindi... fa' ciò che ritieni opportuno, ma se la cosa dovesse saltar fuori, negherò ogni responsabilità in merito all'accaduto e alle azioni tue e di Dante. Non passerò di nuovo per il cattivo della situazione, mi sono spiegato?»

«Mi sta bene.»

«Comunque... beh... abbiamo ancora un po' di tempo. È giusto che almeno Godric lo sappia. Glielo dirò io. Si sa, prima bisogna lisciargli il pelo. Nel caso peggiore, sarò io a beccarmi un pugno sul naso o un Anatema dritto in faccia.»

«L'unica cosa che posso assicurarti, è che farò in modo che Cornelius non soffra. Lo chiarirò anche con Dante, onde evitare incomprensioni. Non posso far altro e ho le mani legate quanto te. Devo pensare a ciò che è bene per tutti, non solo per un pugno di persone.»

Petya si passò una mano sul volto. «Hai preso in considerazione la possibilità che i poteri di Rasya potrebbero sfuggire di mano a te o a Dante?»

«Certo che sì, ma di questi tempi assumersi qualche rischio è meglio del non rischiare affatto.»

«E dire che tu per primo non sempre vedi di buon occhio l'utilitarismo.»

«A volte è obbligatorio e non possiamo farci niente. Non sempre si possono far contenti tutti. Ci sono occasioni in cui va guardato il benessere comune e basta, e d'altronde Cornelius, memoria perduta o meno, resta un traditore, un Efialte che ha venduto i propri compagni in cambio del potere sulle terre che prima appartenevano a Dante e alla sua famiglia. A pensarci bene, Petya, è semplice questione di giustizia.»

«Ma il fatto che Cornelius non rimembri il proprio passato non lo renderebbe automaticamente una persona diversa e priva di colpe?»

«Non se il resto del mondo ricorda suddette colpe.»

«Allora dovreste uccidere anche me. Dopotutto io sapevo e ho taciuto, seppur in nome del bene comune. Sono colpevole quanto lui, no?»

«Perché ci tieni tanto a proteggerlo, me lo spieghi?»

«Perché mi ha comunque sostenuto mentre ero con l'acqua alla gola e tutti gli altri funzionari e responsabili dell'Oltrespecchio mi avevano già voltato le spalle. Ha dato riparo e ristoro a me, a mio figlio e a chi era insieme a noi. Forse in passato può aver agito ingiustamente e da vigliacco, ma è sempre stato leale verso di me.»

«Forse solo perché eri a conoscenza del suo piccolo, sporco segreto.»

«Come se tu non avessi scheletri nell'armadio, vero?»

«Scheletri che il tuo bisnipote o quello che sia non ha mancato di dissotterrare davanti a tutti.»

«Ah, quindi si tratta di questo? Ti brucia che James abbia rivelato a un bel po' di gente che sei umano e fragile come tutti?»

«Sai benissimo che non è questo il punto!» perse le staffe Dario. «Chiudiamola qui, Petya! Assicurati che Godric non sia d'intralcio e smettila di psicanalizzarmi, già che ci sei!»

Calò il silenzio nell'elegante sala di ritrovo. L'Efialte guardò in direzione del basso tavolo di cristallo. «Non hai nemmeno toccato la razione di sangue» constatò. «E sono giorni che non riposi e non la smetti di pensare e di pianificare. Di questo passo sarai tu stesso a spianare la strada a Grober e offrirgli il fianco dove piantare la lama.»

«Sto benissimo, grazie per l'interessamento.»

Petya si fece forza. «Evocare il potere di quell'Anatema in particolare ti cambia dentro, ti cambia per sempre. Lo so meglio di chiunque altro.»

«Non voglio parlarne.»

«Invece devi parlarne. Non conta niente che tu lo abbia fatto per difenderti né che lo abbia usato contro degli Specter. Non erano ombre qualsiasi. Erano di persone che hai amato, che ami ancora.»

«Ne ho dovuto eliminare solo uno.»

«Uno o cento, non cambia niente.» Il non più sovrano fece una pausa. «Una volta che hai visto quel lampo di luce rossa, quel suono orribile, quel ronzio nella testa che poi si propaga per tutto il tuo corpo e nella stessa anima, non dimentichi più la sensazione. Estirparne il ricordo è impossibile.»

Si era trattato comunque di un trauma, di un evento drammatico da molti punti di vista. Era orribile, comunque la si rigirasse. «Gli eri affezionato e ti ha distrutto aver dovuto ricorrere a quell'Anatema. Ti leggo negli occhi la vergogna che provi nell'aver dovuto farlo, Dario. Non puoi mentire a me.»

Lo vide passarsi in fretta il dorso della mano sotto gli occhi.

«N-Non è di quello che mi vergogno. Non è solo per aver usato quella Maledizione che non riesco a trovare pace. È per ciò che so avvenire a chi viene colpito da essa. È la consapevolezza di aver posto fine per sempre alla sua esistenza sia in questo mondo che in quello dei morti.» Di nuovo scacciò le lacrime, ma più lo faceva e più ne affioravano, come acqua rossa da una diga che stava cedendo. «Non esiste più. Ho distrutto la sua anima. N-Non s-sono s-stato capace di aiutarlo neanche stavolta. Se per qualche motivo dovessi andarmene, non potrei rivederlo e riabbracciarlo, scusarmi con lui per essere stato altrove mentre stava morendo.»

L'uomo che un tempo era stato solito chiamare padre, al suo ritorno, gli aveva detto che non era stata la malattia a stroncare Filippo, ma l'apprensione e il dolore inflitti dalla sua partenza per il fronte avvenuta in modo clandestino, con lui che si era spacciato proprio per suo fratello pur di andare in guerra.

Ciò che allora aveva provato, però, non era paragonabile a quel che provava in quel preciso momento.

Se Petya fosse stato un altro, gli avrebbe detto sicuramente che non aveva avuto scelta, che aveva dovuto agire per salvarsi, invece tacque, perché sapeva che non c'era niente da dire.

Il dolore era irrazionale e cercare di ragionare con esso era pertanto inutile. Certe ferite guarivano solo col tempo.

Estrasse dal taschino della giacca un fazzoletto di trina inamidato e lo porse a quello che nonostante tutto, malgrado le liti recenti e la tensione che si era accumulata fra di loro, restava un suo caro amico, forse il migliore che avesse mai avuto, escludendo Desya e Jake.

«So che non puoi prorogare l'incontro e non ti chiederò di farlo, ma finché rimarrai qui, concediti del tempo per te stesso. Per un po', Dario, convinciti di essere una persona qualsiasi che deve elaborare un lutto o qualcosa del genere. Ne hai il diritto e... beh, mettiamola così: ti ordino di farlo.»

Il vampiro si asciugò le guance macchiate di rosso sbiadito. «Scusa se prima... se prima ti ho aggredito a parole e ho detto quelle cose. Ultimamente non so cosa mi stia prendendo.»

«Non ce la fai più, ecco tutto» tagliò corto Petya, il tono leggero per fargli capire che non era arrabbiato e non se l'era presa. «Io ti chiedo di scusarmi se inizialmente ho dubitato di Gareth e ti ho accusato di non prendere quanto accaduto con Max con serietà. Non avevo il diritto di giudicarti. Penso che Gareth sia un brav'uomo e meriti una persona come lui al tuo fianco, dopo tutto quello che hai passato.» Una breve pausa, poi si sedette accanto a lui sul divano. «Un po' di tempo fa, uh... io e Grace ci siamo ritrovati a parlare, prima del più e del meno, poi di te. Lei era preoccupata, diceva che non ti vedeva stare così male da quando avevi rotto con un certo vampiro di nome Cassian. La conversazione risale a prima che Gareth tornasse, tra parentesi. Posso chiederti cosa accadde con quel tipo? Penso di aver sentito parlare di lui. È un vampiro abbastanza famoso, più antico di te, vero?»

Dario cercò di non far notare che si era appena irrigidito come una statua di pietra. «Cassian, dici?» fece, senza guardarlo. «Sì, è più vecchio di me.»

«Grace mi ha raccontato che dopo aver rotto con lui... come dire... desti l'impressione di...»

«Cosa?»

«Di esserti depresso o qualcosa del genere. In realtà Grace sembrava più propensa a credere che a giudicare dal tuo atteggiamento, rasentavi i chiari sintomi che seguono un forte shock o un trauma.»

Il vampiro forzò un sorriso e scosse la testa. «Sai com'è fatta. Si preoccupa per la minima cosa! Non bisogna sempre darci peso!»

Petya lo osservò. «Eppure ti tremano le mani.»

«Sarà la stanchezza.»

«Dario, lungi da me il voler sgonfiarti l'aureola, ma è molto probabile che al vertice sarà presente anche quel Cassian, se ho capito di chi stiamo parlando, e se con lui hai avuto in passato uno scontro o simili, allora ti consiglio di prepararti bene e di munirti di tutto l'aplomb che sai mostrare. Non puoi mostrarti debole in alcun modo.»

«Petya, sul serio, siamo solo ex-fidanzati, niente di più. Si trattò di qualche lite, tutto qui.»

«Allora ve le siete anche date di santa ragione, se ti è rimasto un tale trauma da farti tremare ancora le mani.»

Dario si alzò e gli restituì il fazzoletto. «Grazie per avermi permesso di parlarti subito, anche se sono le tre del mattino. Adesso penso che andrò a riposare, come mi hai caldamente consigliato. Sarà meglio che anche tu torni a dormire.» Si congedò con un breve saluto informale e lasciò la sala di ritrovo, non volendo dare all'Efialte modo di indagare più a fondo nella questione di Cassian.

C'erano cose che gradiva lasciare sepolte e ben nascoste, specialmente in virtù del suo amor proprio e della dignità. Alcuni segreti dovevano restar tali.

Quando finalmente raggiunse la stanza di Gareth, un po' si sorprese nel vedere che era rimasto fino ad allora sveglio con la chiara intenzione di aspettarlo. L'ibrido si mise seduto sul letto e lo guardò bene. «È successo qualcosa?» chiese.

Il moro tacque. Non si sentiva abbastanza in forze e con la mente limpida per spiegare tutto quanto anche a lui. «T-Ti dà fastidio se rimandiamo le spiegazioni a domani?» chiese esitante.

Con lui non aveva bisogno di fingere una sicurezza che non possedeva fino in fondo né munirsi di una corazza più fragile di quanto non apparisse.

Con lui era libero di essere se stesso, difetti e mancanze compresi.

Gareth capì immediatamente e annuì. «Tranquillo. Non sei obbligato a parlare, se non vuoi.» Picchiettò sulle lenzuola per dirgli di raggiungerlo. «Adesso mi importa solo di vederti dormire per qualche ora.»

Dario si avvicinò. «Petya ha detto che domani dovrei cercare di non pensare a niente e fingere di essere una persona qualsiasi.» Si lasciò cadere accanto al fidanzato. «Il punto è che non sono così. Non sono più nemmeno una persona, a voler essere pignoli.»

«Perché sei un vampiro?»

«Non solo per quello.»

«Beh, ti sbagli. Resti comunque una persona, sono d'accordo con Petya, e sì, dovresti proprio staccare la spina, anche solo per un giorno.»

«Ho paura che se osassi farlo, tutto quello che a cui sto lavorando andrebbe subito in malora.»

«Questo è assurdo» replicò Gareth, sorridendo di sbieco. «Sai anche tu che ho ragione.»

Il vampiro esitò ancora una volta. «Devi... devi promettermi una cosa.»

«Ovvero?»

«I-Io non so come andrà a finire questa faccenda, Reth. Potrebbe andare come ha detto Metatron o... n-non lo so, rivelarsi una sconfitta eclatante per tutti noi.» Parlarne per lui non era semplice. Aveva paura di turbare troppo Gareth o di non essere compreso fino in fondo. «Potrebbe accadere qualcosa. Io stesso potrei non arrivare a vedere il finale di questa tragedia, perciò... ho una richiesta da farti. Forse ti sembrerà infantile, ma... se dovesse accadermi il peggio, voglio che tu vada avanti, Gareth. Voglio che tu trovi il modo per essere di nuovo felice, anche se con qualcun altro. La tua vita non deve finire solo per colpa mia e della mia avventatezza, della mia debolezza, perché magari non sono stato abbastanza forte. Se dovesse succedere, voglio che tu ti rifaccia una vita, ma che in un piccolo angolo del tuo cuore conservi il mio ricordo, p-perché se... se dovessi cedere... se dovessi morire, ciò significherebbe che tutto quello che sono e sono stato verrebbe cancellato in pochi attimi, come quando si passa un panno bagnato su una lavagna. Non ho una famiglia, mia figlia mi conosce solo di nome e tramite terze persone, è comunque troppo piccola per conservare un mio eventuale ricordo in futuro. Ti chiedo di ricordarmi, il minimo indispensabile per dimostrare che sono esistito, che ci sono stato davvero e non me ne sono andato come un fantasma alle prime luci dell'alba.»

Non era della morte che aveva paura, ma di essere dimenticato. Non nel nome, ma nelle azioni, nell'essenza della persona che era stato ed era diventato, malgrado tutti gli errori, tutte le azioni imperdonabili, i crimini ripugnanti che aveva commesso in passato.

C'era un motivo se in antichità non v'era stata cosa più temuta dell'oblio, della damnatio memoriae, di non essere più ricordati da nessuno, ogni effigie, ogni documento contente il nome e le azioni di un individuo distrutti, cancellati dalla faccia della Terra e destinati a scomparire del tutto con l'avanzare delle generazioni.

Non era il buio a essere temuto, ma il nulla che vi si annidava dentro e che sempre era in agguato.

Gareth, quasi sentendosi male, gli prese le mani e lo guardò dritto negli occhi. «Te l'ho detto giorni fa, te lo ripeto ora: se tu muori, io muoio con te. Non ti ho dimenticato per secoli e pensi che potrei farlo ora o fra un anno, dieci o cento?»

«Reth...»

«Chiedimi di saltare da un dirupo e lo faccio. Chiedimi di venir di nuovo separato dalla persona che amo e mi è ora di fronte, e rido per non piangere. Come si fa a vivere senza cuore, dimmi? A me hanno detto sempre che è impossibile e persino per noi immortali vige questa regola. Se tu te ne vai, a me non rimarrà più alcun battito nel petto e allora tanto vale morire. Sarebbe preferibile, meno doloroso e più immediato.»

«Ma non è ciò che voglio per te.»

«È una mia scelta. Non è tua né di nessun altro. È mia da prendere e da mantenere. La responsabilità non dev'esser tua in alcun modo e non lo sarà mai. Sono io a scegliere la morte al posto di una vita trascorsa in un mondo dove tu non sei più presente. Ben venga l'oblio, se servisse a lenire il dolore.»

«Non dirlo neanche per scherzo.» Dario cercò di cancellare dalla memoria quanto aveva appena udito. Gli bastava il solo pensiero di Gareth di nuovo morto, sul serio tale, per farlo sprofondare.

«E tu allora non dire più simili fesserie. Puoi farcela e ce la farai. Quando ti ho conosciuto eri fra le persone più forti e testarde che avessi mai incrociato, e in tutto questo tempo non puoi che esserti rafforzato. Non c'è motivo per cui dovresti perdere contro quel pallone gonfiato. E se la tua forza non dovesse bastare, allora prenderai la mia, tutta quanta, finché ce ne sarà da donare, e scordati di pensare che ti lascerei da solo a fronteggiare un simile casino. Io sono con te fino all'ultima battuta della tragedia, se questo dovrà essere. Fino alla fine, in qualunque maniera vorrà palesarsi.»

Dario non poté non chiedersi come potesse amare Gareth più di quanto già non avesse fatto e stesse ancora facendo. Eppure era così, in quel momento sentiva di amarlo più di chiunque altro al mondo, più di qualsiasi altra cosa.

Si chiedeva anche cosa avesse fatto per meritare un uomo così buono e coraggioso, leale e fedele fino all'abnegazione.

Le sue labbra tremarono nel curvarsi in un sorriso. «Il mio lupo» mormorò.

Gareth aveva lo sguardo velato di lacrime. Gli prese il viso fra le mani, un gesto dolce e delicato. «Andrà tutto bene. Ne usciremo insieme, capito? Io ti starò vicino, non dubitarne mai. Non importa quale prezzo dovrò pagare, quanto lontano dovremo andare. Ti seguirei anche all'inferno.»

Il vampiro sbuffò una risata lacrimosa. «Allora è una fortuna che a me piacciano i luoghi caldi, non trovi?»

Herrick sghignazzò. «Fottiti!» replicò divertito. «Io cerco di fare un discorso romantico e serio, e tu te ne esci così!»

«Ehi, che vuoi da me? Ogni tanto ho bisogno anch'io di dire una cazzata.»

«Sì, ma non adesso, stronzo!» Reth a tradimento gli afferrò le spalle e lo spinse giù sul materasso. «Ti spetta una bella penitenza, ora» sussurrò sulle sue labbra. «E detto fra noi, è meglio approfittarne, prima che Petya o qualcun altro decidano di entrare da quella porta e guastare l'atmosfera per l'ennesima volta.»

Dario sogghignò. «Che succede, Gareth? Sei come un quindicenne e non resisti di fronte alle tue pulsioni?» lo provocò.

«Continua a guardarmi in quel modo e avrai subito una risposta.» L'ibrido gli sfiorò uno zigomo, poi le labbra, il collo. «Sai... sembri quasi la stessa persona che ho conosciuto tanto tempo fa.» Lo aveva conosciuto con abiti ben diversi, eppure l'aspetto in generale ricordava molto quello che il vampiro all'epoca aveva presentato.

Una delle cose che aveva sempre amato di lui, dal punto di vista fisico, erano i suoi capelli. Aveva perso il conto di tutte le volte che lo aveva sentito lamentarsi di quanto fossero scarmigliati dopo le tante notti che avevano trascorso assieme in un letto a fare l'amore.

Cosa dire di quegli occhi? Se n'era innamorato subito, anche se all'inizio non avevano fatto altro che squadrarlo con altero disprezzo e con diffidenza. Aveva dovuto sudare parecchio per conquistarsi il loro rispetto, la loro fiducia, il loro calore.

La prima volta che l'aveva visto, ricordava di avergli fatto l'occhiolino, da esuberante e sfacciato lupo mannaro qual era. Rideva ancora alla faccia che Dario aveva fatto: aveva alzato gli occhi al cielo e storto il viso in una smorfia irritata e scocciata. Gli era parso altezzoso e frigido, uno che non sapeva mai prendere le cose in maniera scherzosa, solo per poi ricredersi la prima volta che finalmente l'aveva visto sorridere di rimando a un suo tentativo di rompere il ghiaccio e farsi perdonare l'iniziale mancanza di rispetto e tatto.

Per mostrarsi capace di sostenere un confronto con lui si era dato da fare, aveva iniziato ad acculturarsi, a mostrare un vorace e sincero interesse per la letteratura, la musica e tante altre arti.

Piuttosto che strappargli dalle mani un libro per fargli un dispetto, aveva imparato a sedersi al suo fianco e chiedergli di cosa trattasse l'opera, a confrontare il pensiero di entrambi su svariati campi.

Che bello era stato vederlo aprirsi e confidarsi, ricambiare un saluto, rimanere anziché alzarsi e andare altrove, capire che non erano così diversi e che un punto d'incontro poteva sempre esistere fra specie differenti.

Gli sfiorò i lunghi capelli scuri e mossi che al tatto sembravano seta, onde brune che incorniciavano un viso che ora gli sembrava ancora più bello di quello che per tanto tempo aveva rimembrato.

Dario gli prese una mano e se la portò al torace. «Questo è tuo. Te lo affido. Fanne ciò che desideri. È a te che scelgo di donarlo per sempre. Ne hai sempre posseduto la chiave, d'altronde.»

Dopo quasi tre anni era finalmente grato di sentirlo battere, di avere qualcosa dentro quella gabbia d'ossa da mostrare con orgoglio alla persona che aveva saputo farne tesoro.

Di concreto non aveva niente di meglio da offrire, a conti fatti. Niente di più prezioso e che in circostanze normali mai sarebbe riuscito a cedere a qualcun altro.

A pensarci bene, non c'era mai riuscito con nessuno. Neppure con sua moglie o con Max, men che meno con gli altri suoi amanti. C'erano stati solo due esseri viventi ai quali aveva mostrato il fianco, con cui aveva scelto di rischiare fino all'ultimo respiro.

La prima persona gli aveva insegnato ad amare, amare davvero e in modo incondizionato, viscerale e devoto. La seconda gli aveva ricordato che provare emozioni e sentimenti non era un male né una debolezza, che la fragilità, la tenerezza, una parola gentile di tanto in tanto, non facevano di un uomo meno un uomo.

Non smise di guardarlo negli occhi neppure per un momento quando, subito dopo aver proferito quella specie di giuramento d'amore eterno, si sbottonò la camicia. Gareth sorrise e si chinò per baciarlo ancora una volta: sulle labbra, sul viso e infine il collo, dov'era risaputo che un vampiro fosse particolarmente sensibile.

«Il mio cuore è tuo da secoli» sussurrò, sfiorando la sua giugulare con la punta del naso diritto.

A tentoni, fra un'effusione e l'altra, riuscirono entrambi a svestirsi a vicenda e quel che seguì, fatto di parole dolci appena sussurrate, sospiri lascivi e movimenti frenetici, diede a entrambi l'impressione e la soave illusione che il tempo mai fosse trascorso, e come le danze si furono concluse, non trascorse poi molto prima che ricominciassero. Si amarono intensamente, più volte, baciati dalla pallida luce dell'alba, unica e silenziosa spettatrice, loro complice e testimone. 

Per la prima volta dopo tanto tempo, anche quello di Dario fu un riposo sereno. Malgrado il pericolo incombente, i suoi sogni non vennero calpestati da ombra alcuna, quasi come se la presenza di Gareth, le sue braccia che lo stringevano, le dita della mano sinistra che affondavano fra le volute brune dei suoi capelli, fungessero da scudo. 

N.d.A

Lo so che volevate la scena integrale (non negatelo 😏😂) una di quelle alla Aldrew o Bryler, ma con Rio e Gareth non ci sono riuscita. Non perché non ami la loro coppia, non vedevo l'ora che tornassero insieme, francamente xD Ma perché... non lo so, volevo che fosse un momento solo e unicamente loro, segreto e personale. So che suona stupido e assurdo, ma nel loro caso ho troppo rispetto dei loro personaggi per invadere un suolo così delicato. 
...
Va bene, lasciamo stare, lol 🤣 Non badate a me.
Ad ogni modo... credo che ormai manchi poco, perciò mi premunisco di un bello scudo per eventuali lanci del coltello contro la mia persona o altre azioni offensive e possibilmente letali per me. Credetemi, alla fine vorrete staccarmi la testa.
Alla prossima!

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