Capitolo XLIII. Santi e Mostri


Musica consigliata: "A beautiful delusion" di Peter Gundry.

https://youtu.be/zp6OXPLxa-c

1533
Firenze, Italia

La primavera ormai era terminata e da un po' di giorni aveva cominciato, poco a poco, a cedere il passo a un tepore che presto si sarebbe tramutato in autentico caldo con l'arrivo dell'estate.
Nel giardino segreto della residenza di campagna appartenente da generazioni intere ai De Piacentis la natura offriva un incantevole spettacolo a chiunque poteva avere l'onore di accedervi e sostarvi. Celato da un vero e proprio piccolo bosco ben curato di alberi come cipressi, lecci e arbusti di mirto, ospitava un regno di fiori dal profumo inebriante e variopinto. Le margherite selvatiche sul prato sembravano una silenziosa sudditanza che recava omaggio alle vere regine, le rose, situate in curate aiuole e rosse come il sangue, come il campo sul quale da tanto tempo svettava orgoglioso lo stemma di famiglia, ovvero una fiera salamandra avvolta da fiamme arancioni e azzurre che le scivolavano fuori dalla bocca spalancata, il tutto immortalato su una distesa scarlatta.
Non molto distante dalla panca di marmo su cui sedeva il fratello minore di Filippo vi era un albero di lillà dai fiori fra il rosa e il violetto raggruppati in profumati grappoli.
Filippo non poté non pensare che suo fratello, fra l'aria cupa che aveva, i capelli e gli occhi talmente scuri da sembrare neri e gli abiti color blu notte, sembrasse quasi fuori posto, stridere con ciò che lo circondava.

Sospirò e si decise a superare l'arco di pietra all'ingresso del giardino e a raggiungere il ragazzino che si trovava lì da ormai almeno un paio d'ore. In silenzio prese posto al suo fianco e cercò di trovare le parole giuste per intessere una conversazione.

«Nessuno, a parte il sottoscritto, sapeva dove venire a cercarti» disse infine, il tono di voce tranquillo. «Io, però, ti conosco talmente bene da sapere che ami rifugiarti qui, specie in giornate come questa.» Fece un lungo respiro, inalando il profumo dei fiori. «Avrò solo diciotto anni, ma penso di non aver mai visto una fioritura così bella, da che ne ho memoria.»

Suo fratello, più giovane di lui di cinque anni, serrò le labbra e si limitò a fissare un punto ben lontano dallo sguardo di Filippo, il quale si decise ad affrontare il vero problema: «Ammetto di essere grato di esser tornato a casa in tempo. Mi sembra assurdo che nostro padre si comporti in modo così severo e ingiusto con te, anche se ormai hai tredici anni».

Quando era sopraggiunto nella sala dove gli avevano detto che si trovavano suo padre e Dario, era rimasto attonito nel vedere il fratello minore a terra e suo padre a poca distanza da lui e in procinto di picchiarlo.

Era intervenuto appena in tempo, prima che altri danni ben più seri di qualche schiaffo e di uno spintone potessero venir causati.

Si comporta così da quando nostra madre morì e non ne ho mai compreso la ragione.

A volte Dario poteva essere esuberante e un po' troppo testardo, da piccolo di capricci ne aveva fatti, ma Filippo era dell'umile opinione che un bambino non potesse imparare altro che le cose peggiori dalla violenza fisica e verbale subite. L'educazione si poteva impartire anche con l'uso del buon vecchio garbo, senza ricorrere a mezzi estremi. La cosa assurda era che suo padre da anni si comportava a quel modo solo con Dario, come se nei suoi confronti avesse sviluppato man mano un sempre più cocente e feroce rifiuto. Come se non lo considerasse suo figlio al pari degli altri, ma una creatura diversa e inferiore, qualcuno cui riservare solo rimproveri, ceffoni e castighi.

Da anni Filippo era costretto sempre a intervenire per limitare i danni e tentare di rabbonire il padre, ma temeva che un giorno, prima o poi, sarebbe successo qualcosa di veramente grave e irreparabile.

E pensare che Dario era un ragazzino intelligente e spigliato, uno di quelli che i maestri della prestigiosa scuola che frequentava a Venezia erano soliti lodare e stimare, anche se di tanto in tanto si comportava un po' da attaccabrighe.

Non si poteva non essere fieri del percorso che stava intraprendendo, eppure non tutti lo erano, come ad esempio l'uomo che chiamavano entrambi ‟padre".

Si sporse in avanti con discrezione e vide che il fratello minore recava su un lato del viso segni inequivocabili che testimoniavano la violenza perpetratasi due ore prima.

«Accidenti, ci è andato pesante, stavolta» sentenziò rammaricato. «Però adesso sono qui e per un paio di settimane non avrai niente da temere. Cercherò di far rasserenare nostro padre e di parlargli. Questa situazione deve finire.»

Non poteva lasciar correre, non dopo quanto aveva visto, e temeva che dopo il suo matrimonio, il quale ormai stava per essere celebrato, senza più lui in quella casa tutto potesse peggiorare. Non biasimava Dario per essere così ansioso di fare ritorno a Venezia dagli zii che erano soliti ospitarlo quando doveva recarsi alla scuola.

Finalmente il ragazzino parlò, la voce bassa e quasi impercettibile: «E quando tu e Francesca sarete sposati?»

Era chiaro che avesse paura del domani, del futuro che lo attendeva senza più il fratello a difenderlo.

Filippo si morse il labbro inferiore. «A quel punto, se vorrai, potrai venire da noi. Saremmo felici di ospitarti.» La sua futura consorte era una ragazza di buon carattere e di sani principi, sicuramente non avrebbe detto di no. Si era rivelata una fortuna che lei e Filippo si fossero conosciuti tanti anni prima, da bambini, e avessero trascorso molto tempo assieme.

Avvolse un braccio attorno alle spalle del fratello e gli sorrise con affetto. «Visto? Solo perché sarò più lontano, non significa che ti abbandonerò. In parte, però, forse potrai approfittare della mia assenza per stringere finalmente qualche amicizia.»

Strano ma vero, Dario di amicizie non ne aveva, non nel senso reale del termine. Sin da piccolo era sempre stato riservato e selettivo, tanto da sembrare un vero solitario. Era più probabile beccarlo nella loro biblioteca privata, anziché fuori con altri ragazzi della sua età. Purtroppo alcuni suoi coetanei, per quel suo atteggiamento, lo avevano bollato come uno strano o, peggio ancora, uno che si dava tante arie e si riteneva superiore a chiunque, così tanto da preferire la compagnia di se stesso a quella altrui. Non era così, ma non si aveva potere su ciò che le persone decidevano di vedere o capire.

Il tredicenne storse le labbra e roteò gli occhi. «Nessuno vuole essere mio amico» tagliò corto. «E poi sto meglio da solo.»

«Fanfaluche!» Filippo gli scompigliò giocosamente i capelli. «Dici questo soltanto perché non hai ancora trovato le persone giuste con cui passare il tempo. Vedrai che un giorno cambierai idea!»

Il giovane Dario guardò il fratello. «A me basti tu come amico» disse sincero, stringendosi nelle spalle.

Filippo abbozzò un lieve sorriso. «Lo so, ma non guasta mai allargare i propri orizzonti. Io ti sarò sempre accanto, lo sai, ma non per questo devi isolarti. Non ti fa bene e sei troppo sveglio per non condividere con altri i tuoi pensieri. Voglio che tu mi prometta che cercherai di farti degli amici. Fallo per te stesso e per nessun altro. Un amico serve sempre, credimi.»

Il ragazzino sbuffò. «Va bene, va bene» borbottò.

Filippo, soddisfatto, gli batté una mano sulla spalla e lo fece alzare. «Dai, torniamo dentro, ora. Nostro padre ora si è calmato ed è uscito. Abbiamo la casa tutta per noi.»

Dario annuì e lasciò che il fratello maggiore lo prendesse per mano e conducesse fuori dal giardino segreto.

*    *    *

Si chiuse velocemente la pesante porta alle spalle e calò la sbarra di legno in modo da bloccarne l'accesso, infine quasi si afflosciò contro di essa, il respiro corto e le gambe che tremavano. Scattò in avanti non appena dei colpi violenti e ripetuti percossero l'unica superficie che lo separava da tre Specter che avevano tutta l'intenzione di fargli la festa. Quello di Filippo pareva in assoluto il più deciso e inarrestabile. Dario non nascondeva che aver visto il fratello trasformato in una specie di zombie dagli occhi scintillanti e vuoti fosse stato il colpo peggiore ricevuto fino a quel momento.

Sembravano ancora più lontani i giorni in cui lui e Filippo erano stati due fratelli uniti dall'affetto e da un rapporto speciale. Era come se quei ricordi appartenessero a un'altra persona, anziché a lui.

Un altro colpo. Il legno della porta scricchiolò in modo sinistro e il vampiro, allora, si sbrigò a trovare una via di fuga. Benché quello non fosse il vero castello di Specula, bensì una dimensione alternativa e infernale, la struttura doveva pur aver mantenuto un minimo l'aspetto originale e lui sapeva che la fortezza era colma di passaggi segreti e cunicoli d'ogni tipo. Su tutto quanto regnava un'atmosfera rossastra, sembrava di stare davvero all'inferno.

Dario si avvicinò alla parete a sinistra e in fretta tastò il muro. Scostò due degli arazzi malconci e sfilacciati e finalmente, dietro uno di essi, scovò un punto che gli parve sospetto. Vi fece pressione e la pietra si infossò, poi un lento, pesante gemito roccioso provenne dall'altro capo. Un bel po' di polvere di sollevò, la parete tremò e piano piano si aprì come una porta scorrevole. Dalla fessura che diveniva sempre più grande proveniva un gelo ancora più intenso di quello che regnava nella stanza.
Gli Specter, nel frattempo, erano sul punto di buttare giù la porta.

«Avanti, bastardo, apriti!» sbottò sottovoce Dario, scegliendo infine di sgusciare dentro il passaggio anche se non si era aperto fino in fondo. Per una volta fu grato di non essere esageratamente alto e d'esser magro come un fuscello.

Tanti in passato l'avevano deriso e preso per i fondelli proprio perché non sembrava affatto uno da temere o capace di compiere chissà quali imprese o massacri, ma poi ogni singolo individuo si era dovuto ricredere, in un modo o nell'altro. Non che fosse basso. Diamine, vantava un metro e settantacinque d'altezza, ma in confronto a gente come ad esempio Athanase Allaire, temuto per via non solo della reputazione, ma anche dei muscoli e della forza bruta di cui era capace, aveva spesso lasciato le persone perplesse e restie a credere che avesse potuto farsi un nome che ancora faceva tremare chiunque, novellini e non.

Era assurdo come le persone tendessero sempre a basarsi sull'aspetto fisico per esprimere un giudizio circa la pericolosità di un individuo. Non per niente Gareth l'aveva soprannominato sin da subito ‟piccolo scorpione", dato che quell'animale, pur essendo di ridotte dimensioni, fosse lo stesso in grado di procurare molte grane a creature dieci volte più grandi grazie al pungiglione velenoso che recava sulla coda.

La gente si affidava troppo alla vista e troppo poco all'istinto e ai messaggi nascosti e silenziosi che il resto del corpo cercava di inviarle, e non si parlava solo degli esseri umani, ma di tante altre creature.

Chiamando di nuovo a mo' di esempio Gareth, inizialmente anche lui aveva sottovalutato molto Dario, proprio come il resto dei suoi uomini i quali, alla fine, forse per il puro gusto di vedere il Capo delle Guardie dei Vampiri mangiare la polvere e ingoiare l'orgoglio, avevano spinto entrambi ad affrontarsi in duello. Gareth ne era uscito pesantemente sconfitto e poi si era guadagnato pure un soggiorno nelle segrete del castello, dopo aver dimostrato di essere in apparenza un autentico e irrispettoso piantagrane.

Come poi avessero finito per innamorarsi, restava ancora un mistero, per certi versi, ma Dario avrebbe dato qualunque cosa pur di avere Gareth al suo fianco in quel preciso istante, mentre vedeva il passaggio richiudersi e gli Specter sopraggiungere un attimo troppo tardi.

Il buio lo avvolse completamente, ma non era un problema e il vampiro subito comprese che c'erano dei gradini alle sue spalle. Andavano verso il basso, magari conducevano a gallerie segrete o a una sala in particolare.

In ogni caso era meglio proseguire. Indietro non poteva tornare, d'altronde, e qualcosa dentro di lui continuava a sussurrargli che era la strada giusta, che stava per arrivare a una conclusione importante.

Iniziò a scendere gli scalini. Erano tanti, ripidi, stretti e scivolosi. Parevano interminabili, ma non era così e dopo chissà quanto tempo Dario finalmente giunse all'ultimo, lo superò e si ritrovò in un breve tratto di corridoio. Alla fine di esso v'era una porta di ferro pesante dall'aspetto antico. Cercò di aprirla, ma era bloccata.

Ti pareva.

Sbuffò sonoramente, solo per poi tacere all'istante quando gli sembrò di udire qualcosa nel buio pesto che lo circondava.

Si coprì la bocca e il naso appena percepì un odore ripugnante e che a malincuore conosceva ormai a memoria.

Non si trattava degli Specter. Da qualche parte, neppure troppo lontano, c'era un Ghoul, forse più di uno, e sapeva di essere osservato. Li udiva strisciare sopra di lui, sul soffitto, e ancora aggirarsi in quella specie di rudimentale e oscura anticamera. Striduli gorgoglii, versi disgustosi. Probabilmente avevano l'acquolina in bocca.

Per qualche motivo Dario non riusciva più a vedere nel buio come di consueto, come se quelle tenebre fossero anomale e persino oltre la portata di un vampiro navigato come lui.

Il buio nella sua forma più arcaica e nefasta.

E adesso che faccio?

Non aveva un'arma con sé, era stato troppo impegnato a scappare dagli Specter per cercarne una, e non si sognava neppure di affrontare dei Ghoul a mani nude.

Così imparo a improvvisare.

Sentì le dita fremergli, la punta di esse pizzicare, come se dalle sue mani qualcosa volesse scaturire con crescente impeto. Una voce arcana, simile alla sua, eppure diversa, gli sussurrava che sapeva cosa fare, non doveva far altro che lasciarsi andare.

Gli disse che non aveva altra scelta, se non usare quel maleficio, quel potere oscuro e infallibile che gli avrebbe assicurato una veloce e sicura vittoria.

Sapeva a cosa si riferiva, ma non voleva farlo, non voleva affidarsi alla magia nera, al Settimo Anatema, perché sapeva anche che usandolo non sarebbe più stato lo stesso. Mai più.

Quella roba cambiava le persone, la loro stessa mente, riduceva in mille pezzi la coscienza e l'anima, lasciava una macchia indelebile.

Deglutì a vuoto e inutilmente spaziò con lo sguardo ovunque, ormai disorientato e in preda al terrore.

Oltre quella maledetta porta c'era qualcosa di importante, forse proprio ciò che stava cercando, ma non poteva aprirla e se fosse rimasto lì, fermo come un palo, i Ghoul lo avrebbero divorato.

Doveva andarsene, e in fretta.

Scattò in avanti e si servì della memoria per raggiungere la gradinata e percorrerla a rotta di collo, alle calcagna almeno tre Ghoul famelici che emettevano versi orrendi e più volte furono sul punto di ghermirlo con gli artigli.

Il vampiro corse più forte che poté e poi, con le mani che tremavano, a tentoni cercò il punto per far riaprire il passaggio segreto. Fra i Ghoul e gli Specter, preferiva di gran lunga quest'ultimi.

Riuscì a trovare la pietra giusta, la schiacciò e dopo un'attesa che gli parve infinita, sgusciò nell'apertura. Azionò il meccanismo per sbarrare la strada alle creature. Fece appena in tempo a fare questo prima di voltarsi e di avvertire una spiacevole e gelida stretta al collo.

Delle dita gli serravano la gola e lo tenevano sospeso ad almeno dieci centimetri da terra.

Guardò in basso e vide il viso di Filippo, i suoi occhi un tempo neri e profondi trasformati in fiammeggianti lucciole scarlatte.

Un senso di impotenza e una forte disperazione impedirono a Dario di reagire. Sentiva solo il dolore allo stato puro, una morsa al cuore da togliere il respiro e la vista gli si stava offuscando per via di lacrime ormai prossime a scendere.

Non poteva arrendersi, ma non aveva neppure mezzi con cui contrattaccare e salvarsi.

Cercò di allentare la presa di Filippo, ma servì a ben poco. Gli Specter, purtroppo, erano dotati di una forza spaventosa. I peggiori erano i parenti stretti del bersaglio, sembravano avere un vantaggio maggiore, forse per via del piano psicologico e affettivo.

Gli tornò in mente ciò che Dante, tempo addietro, gli aveva detto: ‟Accetta ciò che sei davvero o muori restando ciò che non sei e mai sei stato".

All'epoca non aveva compreso quella frase, non nel modo corretto, ma in quel momento gli appariva chiara come il sole, per quanto amara.

Strinse le labbra per ricacciare dietro un singhiozzo e avvertì il sapore salato e ferroso delle lacrime che ormai gli bagnavano il viso e lo striavano di rosso.

Allontanò una mano e la tenne sospesa proprio di fronte al viso del fratello, anzi di ciò che un tempo era stato suo fratello. Non aveva altra scelta e lui doveva tornare a casa.

Doveva farlo per Fedra, per Gareth, per Andrew e sì... anche per Max.

In fin dei conti la sua anima si era già macchiata molto tempo addietro con l'omicidio, il peccato peggiore di tutti.

Non era innocente, non lo era più da un bel po', e non poteva lasciarsi sviare dai sentimenti.

Filippo era morto e quell'essere non aveva niente a che fare con lui. Era solo un corpo che era stato riportato all'aspetto originale e ricolmato di magia oscura. In quegli occhi non c'era niente di niente. Non vi era vita, non vi era spirito.

«Rasya» sussurrò il vampiro. Un attimo dopo dalla sua mano si sprigionò un bagliore scarlatto, un lampo di luce rosso sangue e con esso il suono di quella che sembrava una lontana orda di anime dannate, un eco orribile e straziante.

Lo Specter lo lasciò andare e cadde a terra, immobile, e Dario rimase fermo sul pavimento, la schiena a ridosso del muro e gli occhi spalancati, fissi sul cadavere.

Non si sentiva affatto meglio. In realtà era come se un cratere si fosse aperto dentro di lui, una specie di buco nero che sembrava minacciare di risucchiare i pochi ricordi belli e felici che possedeva, i buoni sentimenti che era ancora in grado di provare. Nelle profondità di quella voragine famelica, tuttavia, c'era il dolore.

La sua parte irrazionale gli urlava che aveva perso per la seconda volta Filippo, che era stato lui stesso a ucciderlo, proprio come aveva fatto col resto della famiglia. Per istanti intollerabili ricordò se stesso molto più giovane, quasi diciassettenne, aggirarsi in fretta e furia per i corridoi di una ricca dimora e urlare invano il nome del fratello, chiamare una persona di cui ancora non aveva voluto accettare la scomparsa. Gli avevano detto che era morto, ma lui non aveva voluto ascoltare, non aveva voluto crederci.

Non avrebbe mai immaginato di dover di nuovo attraversare un'esperienza del genere.

Faceva male proprio come all'epoca. Niente era mai cambiato.

Non resisté all'impulso di gattonare fino a quel corpo esanime e stringere una delle due mani fredde e rigide.

Ti giuro che Grober la pagherà per questo. La pagherà per averti trasformato in uno dei suoi burattini!

Il dolore mutò, si trasformò in rabbia. Mentre osservava i resti di Filippo ingrigirsi e infine sgretolarsi come un cumulo di cenere, si rimise in piedi e decise di tornare di nuovo laggiù, in fondo al passaggio segreto.

Gli occhi di Dante erano lì, lo sapeva, e non se ne sarebbe andato a mani vuote. Non si sarebbe arreso.

Dante aveva ragione: doveva abbracciare ciò che era, ciò che sarebbe ancora stato. Non serviva a niente nascondersi, non più, e senza la capacità di usare i poteri e tenerli sotto controllo, era solo un'inutile minaccia per le persone che gli erano care.

Forse il tempo dei mostri era davvero giunto e se era così, allora lui sarebbe stato in prima fila. Magari essere un mostro non era sempre una cosa negativa, dipendeva tutto da quale parte si sceglieva di servire.

È ora di fare un po' di pulizia.

Schiacciò la pietra e appena il passaggio si aprì, il Ghoul che si fece avanti, desideroso di attaccare e di mangiare, ottenne come unico premio un lampo di luce rossa dritto in faccia. La stessa cosa accadde ai suoi due simili.

Carico com'era di furia repressa e ormai lasciata libera di sgorgare come sangue da una ferita, Dario scelse la forza bruta per tentare di aprire la porta.

Inizialmente si trattò di qualche spallata e di un bel po' di metallico e sordo rumore. Dario era così furioso, voglioso di trovare un modo, uno qualsiasi, per scaricare la rabbia che aveva accumulato, da non provare dolore né altro mentre prendeva la rincorsa e colpiva ripetutamente la sola cosa che gli impediva di accedere a quella camera.

Vi riversò contro i pugni, il metallo si macchiò di striature scarlatte. «Apriti, maledizione!» ringhiò il vampiro, calciando senza pietà la porta che diede i primi segni di cedimento, deformandosi. I cardini stavano cedendo.

«Al diavolo» sibilò Rio, afferrando da un lato la porta e tirando con forza disumana, quella di un non-morto che aveva dimenticato la propria umanità e dato libero sfogo al mostro sotto la pelle.

Dopo l'ennesimo strattone la porta venne via e lui se la gettò alle spalle, respirando a scatti e piegato in avanti, le mani sulle ginocchia.

«Era ora» esalò, passandosi poi il dorso di una mano sulla fronte. La sala era vuota, non c'era niente di niente, ma nel buio Dario vide brillare due piccole sfere sospese a mezz'aria. Era come se del luminoso fumo rosso vorticasse all'interno di un paio di biglie dalle dimensioni, più o meno, di noci mature.

Lì per lì si convinse che doveva essere uno scherzo, ma ragionando meglio si disse che niente era mai come appariva.

Dovevano essere quelli i famigerati occhi.

Si avvicinò e senza tante cerimonie li afferrò al volo.

Un istante dopo gli sembrò di essere stato risucchiato via e quando quella spiacevole sensazione terminò, cadde a terra, su un pavimento diverso da quello della sala.

Accanto a sé vide Dante, il quale imprecò a denti stretti nella sua lingua madre e ricambiò il suo sguardo. Per un attimo Dario si chiese cosa avesse visto sin dal principio quell'Efialte ogni volta che lo aveva guardato.

«Dimmi che non hai sul serio trovato quegli affari.»

Il vampiro, tuttavia, gli mostrò il bottino. «Bel ringraziamento per averti salvato la pelle. Non c'è di che!»

«Proprio non capisci, vero? Adesso ci ritroviamo con in mano qualcosa di davvero pericoloso e tu...»

Dante ammutolì quando una terza gelida voce si aggiunse: «Davvero sbalorditivo».

I due si alzarono e squadrarono Grober con espressioni molto simili e decisamente poco amichevoli.

Dario rimase dov'era. «Un patto è un patto. Ho trovato gli occhi, perciò ora lasciaci andare e finiamola qui!»

Non vedeva l'ora di mettere via quelle due sfere, perché verso di esse avvertiva un'attrazione spaventosa, un legame smanioso e inquietante. Non voleva averci niente a che fare, voleva solo tornare dagli altri.

Si accorse, però, di un particolare che gli fece ribollire il sangue per la rabbia: «Dov'è Godric? Hai detto che avresti liberato anche lui!»

«Godric si è liberato da solo e se n'è andato più di tre ore fa» replicò glaciale Grober. «Gli ho offerto la possibilità di andarsene, a patto che Dante rimanesse qui, in attesa dell'esito della tua prova. Non fare quella faccia, sapevi sin dall'inizio che i vostri destini erano legati l'uno all'altro. In quanto a Godric, trovo che la sua scelta sia stata la più sensata di tutta la sua esistenza.»

Dario squadrò la divinità con aria sprezzante. «Sciocchezze. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Non avrebbe abbandonato Dante, non sapendo cosa c'è in gioco!»

Grober rise. «È commovente vedere come tu sia convinto che il resto del mondo condivida con te lo spirito di sacrificio e di abnegazione in nome di una causa! Ed è altresì divertente vederti poi sbattere il muso contro la dura e fredda superficie della realtà! Tu credi che tutti i tuoi compagni siano disposti a qualsiasi cosa per sconfiggermi, ma credo sia proprio ora che tu ti dia una svegliata e cominci a scremare le fila, perché di anelli deboli ce ne sono tanti. Al tuo posto, Dario, sarei molto preoccupato e in ansia.»

Dario, senza volerlo, guardò subito in direzione di Dante. Doveva ammettere che sin dall'inizio lo aveva considerato come uno di quei fantomatici anelli deboli. Lo sorprendeva che Godric avesse fatto una scelta così estrema, ma non riusciva fino in fondo a non capirlo e a non dargli ragione.

In certi casi, quasi tutti decidevano per sé e mettevano da parte il resto in nome dello spirito di autconservazione. Non era un atto di tradimento o di egoismo, era insito nella natura di chiunque.

«Credo che la sua sia stata una scelta ben ponderata e mirata» sentenziò laconico. Grober rise di nuovo, lo fece di gusto. «È per questo che ti detesto e ti adoro, sai? Sei capace di incassare e di attutire qualsiasi colpo, poco importa quanto sotto la cintura e contro ogni tua aspettativa! Ci sei rimasto male, ma non vuoi darmela vinta. Adorabile!»

Il vampiro un po' si sentì a disagio e sì, anche offeso. Adorabile? Sul serio?

«Adesso basta. Lasciaci andare. Rispetta la parola data» disse, mantenendo il contegno.

Grober fece un cenno con la mano. «E va bene. Potete andare. Suppongo che ci rivedremo a cose fatte, giusto? Ormai credo manchi davvero poco, perciò vi consiglio di iniziare a dire addio alle persone che vi sono vicine. Lo consiglio a te, Dario, più che altro. Da quel che so, a Dante non rimane nessuno.»

Il vampiro strinse un braccio all'Efialte. «Non prestargli attenzione. Lo dice solo per indisporti.»

«Oh, no! Lo dico perché è la pura verità!»

«Non stavo parlando con te.»

«Oh, giusto. Parlavi con quel fallito del tuo gemello cattivo. Perdonami.»

Dario cercò di non dar a vedere la sorpresa quando si rese conto che Dante non aveva spiccicato parola né reagito allo scherno. La cosa lo preoccupò non poco. Per la prima volta provò pena per quell'Efialte, ma si guardò bene dal dirlo ad alta voce.

Le porte alle loro spalle si aprirono e Grober fece spallucce. «Siete liberi. Mi complimento con te, Dario, e sono curioso di vedere cosa ne farai del tuo bottino.»

«So già cosa farne» mentì spudoratamente il vampiro. «E indovina un po', non sono affari tuoi.» Non aggiunse altro, afferrò per un braccio Dante e lo convinse in silenzio a seguirlo fuori dalla sala.

«Non mi piace per niente che vi abbia lasciati andare così facilmente.»

Distolse lo sguardo dalle tue piccole sfere che in apparenza sembravano di vetro lucido e luccicavano al riverbero del camino acceso. Le ripose nella tasca dei pantaloni e sollevò lo sguardo per incrociare quello di Gareth e degli altri. «Neanche a me, ma... sono contento che le cose siano andate così, almeno finché non avremo capito il motivo per cui ha onorato l'accordo.»

A quanto pareva, si era perso un mucchio di cose durante l'assenza, fra le quali anche la rappacificazione tra Skyler e Brian e poi un considerevole peggioramento delle condizioni di salute di Sophie. Al momento pareva essere piombata in uno stato vegetativo, il che non faceva ben sperare.

In quanto a Godric, gli avevano detto che da quando era tornato si era rinchiuso nella propria stanza e non aveva voluto saperne di parlare ad anima viva.

Dante, invece, era attualmente in infermeria, sotto le cure di Jake.

Skyler sospirò. «Non mi piace questa storia. Qualcosa non torna.»

«Io non sono sorpreso, invece» intervenne James. «D'altronde è il Diavolo, no? Si sa che il Diavolo è uno di parola. Credo che il suo e di Lucifero sia un vero e proprio obbligo. Sono vincolati a rispettare i patti, quando li stipulano.»

Gareth inarcò un sopracciglio. «Perciò vorresti dirmi che Grober, volente o nolente, si è visto costretto a mantenere gli accordi presi?»

«Esattamente. Quel che non si aspettava, era che Dario riuscisse a cavarsela e ad arrivare al termine della prova incolume. Non mi sorprende che ci fossero dei Ghoul a guardia di quella sala sotterranea. È chiaro che ti ha sottovalutato.» Wolf guardò il vampiro. «È comunque un sollievo vedere che non hai riportato ferite di alcun tipo.» Lo vide passarsi due dita sugli occhi cerchiati dalla mancanza di riposo. «Credo che ora tu debba riposare. Te lo sei guadagnato ed è giusto che ogni tanto tu faccia una pausa. Skyler, andiamo.» Raggiunse l'amico e con un'occhiata ben mirata gli fece intendere che dovevano lasciare la stanza.

Prima che però anche l'Imperatore uscisse, Dario lo richiamò, poi gli sorrise. «Sono contento che tu e Brian abbiate risolto i vostri problemi.»

Langford deglutì. «Io e lui abbiamo deciso di... uhm... di assentarci per qualche giorno. Vuole... vuole farmi conoscere la sua famiglia, rendermi parte del suo mondo, quello a cui lui appartiene, e io ho accettato.»

Il vampiro fece un cenno. «Mi sembra un modo più che accettabile di ricominciare da zero» sentenziò con molto giudizio. «Quando partirete?»

«Credo fra un paio di giorni, però... ecco...», Skyler sospirò. Si sentiva un po' stupido. «Onestamente pensavo che non avresti gradito la cosa. Con tutto quello che sta succedendo, con il rischio continuo che corriamo tutti...»

«Invece sono d'accordo» replicò Dario, sincero. «E tu hai l'aria di uno che ha davvero bisogno di una tregua. Non potrà farti che bene conoscere persone nuove, specialmente la famiglia della persona che ami.»

Per un attimo i suoi occhi incrociarono quelli di Gareth, il quale era stato per molte ragioni il solo, secoli prima, ad avergli presentato la propria famiglia al completo e ad averlo reso parte di essa. Conosceva bene l'ansia che scorgeva nello sguardo di Skyler. La paura di non piacere ai congiunti della propria dolce metà, di non sentirsi all'altezza.

«Non temere. Andrà bene» disse, per incoraggiarlo e anche perché era sicuro che sarebbe andato tutto bene.

Skyler annuì un paio di volte. Esitò, alla fine parve vincere una lotta interiore, si avvicinò al vampiro e si chinò per abbracciarlo. Dario non poté non restare lievemente di sasso. «Ehi, come mai tutto questo affetto, all'improvviso?» chiese scherzoso, ricambiando tuttavia il gesto. Skyler si scostò e lo guardò. «È solo che per la prima volta mi sono fermato a pensare e a realizzare che sono qui anche grazie a te. Se tu... se tu quella volta non fossi stato lì, pronto a donare il tuo sangue per fare un ultimo disperato tentativo per farmi uscire dal coma, probabilmente sarei morto tanti anni fa. Mi dispiace solo non averci mai riflettuto o averlo fatto e averti odiato per avermi strappato alla morte. Sono stato uno stupido a pensarlo, non avevo idea di quante cose mi sarei perso. Ho ritrovato Andrew e incontrato qualcuno che è finalmente riuscito a farmi dimenticare completamente quanto accaduto con David, qualcuno che non mi ha mai messo da parte e che forse non merito neppure al mio fianco. Ho trovato amici disposti ad accettarmi e spalleggiarmi, una ragione per lottare, un'identità.»

Nonostante fossero tutti sull'orlo del precipizio, era contento lo stesso, grato di poter esser giunto fino a quel punto.

Dario, quasi mezzo stordito, cercò di riprendersi. «N-Non devi ringraziarmi, Skyler. Non occorre, sul serio.»

«Invece sì. Penso, anzi, che Obyria intera dovrebbe farlo. Fra i tanti protettori che ha avuto, credo che tu sia ancora il più valido di tutti. Non importa chi eri una volta, cosa tu abbia potuto fare o non fare in un attimo di debolezza e di solitudine, in un momento in cui magari soffrivi e non avevi nessuno al tuo fianco. Non importa ciò che sei anche adesso. Per me, per tutti noi, sei una speranza. Hai tenuto testa a Grober per l'ennesima volta e questo dimostra ampiamente chi sei e per cosa combatti.»

Langford fece un passo indietro e accennò a Gareth. «Lui comunque mi sta simpatico. A mio parere siete una bella coppia.»

Gareth, il quale non era un vampiro al cento per cento, non riuscì a celare il rossore che di colpo gli animò le guance.

Skyler tornò serio. «In quanto a Lorenzo, non preoccuparti. James diceva la verità: sta bene, è fuori pericolo e fra un paio di giorni dovrebbe riprendere conoscenza.»

Dario schiarì la voce e riacquisì un certo aplomb. «Temo che per allora io non sarò presente» ammise. «Devo... Devo ripartire. Ho assoluta necessità di fare una cosa molto importante. Abbiamo bisogno di alleati pronti a lottare al nostro fianco e non possiamo più aspettare. Posso... uhm... posso trattenermi un altro giorno, al massimo, e intanto cercare di capire cosa fare con quegli affari che ho ottenuto nella sfida contro Grober.»

Sentiva che restituire tutti quei poteri a Dante sarebbe stato un grosso errore, ma non farlo sarebbe stato peggio e per giunta controproducente. Avevano in mano un'arma di grosse proporzioni e che nessun altro possedeva. Tanto valeva trovare la maniera giusta di sfruttarla.

L'Imperatore annuì. «Capisco, però... se io mi assenterò e se poi anche tu lo farai, chi rimarrà qui a controllare la situazione? Certo, ci sono Cynder e Samantha, per non parlare di James, Iago e ora anche Alice, ma... insomma, capisci cosa voglio dire? È un rischio.»

Il vampiro sospirò. «Lo so, Skyler, ma dobbiamo riporre fiducia in loro. Non credo che Grober muoverà altre offensive molto presto. Abbiamo tempo fino a quando... beh... fino al ritorno di Andrew, presumo.»

«Parlando di Andrew...» insisté Langford. «Siamo sicuri che dopo quel che presto accadrà ad Alex, lui sarà ancora disposto ad aiutarci? Non è sfiducia nei suoi confronti, è solo che... voglio dire... sarà distrutto.»

Dario deglutì a fatica. Non era ancora successo niente e già gli si spezzava il cuore al pensiero del dolore che avrebbe provato Andrew, dolore con il quale il ragazzo avrebbe dovuto convivere, volente o meno. «Rispetteremo la sua scelta, Skyler, qualunque essa sarà. Gli dobbiamo almeno questo, non pensi?»

«Sì, ma...»

«Sarebbe un grosso errore costringerlo a combattere una guerra che per allora potrebbe non sentire più come sua. Grober, a quel punto, avrà assunto le sue reali sembianze e per Andrew potrebbe rivelarsi uno shock, una fonte di sofferenza. Vedrà il corpo della persona che amava venir posseduto da un'entità malvagia che potrebbe portare ogni cosa alla distruzione. Andrew ha già fatto abbastanza per tutti quanti noi, non possiamo chiedergli altro. Non possiamo pretendere da lui più sacrifici di quanti già non ne abbia fatti. Sono io a non consentire a chicchessia di chiedergli di fare qualcosa che non desidera fare. Non lo permetterò, Skyler, voglio che sia ben chiaro. Non pensate nemmeno lontanamente di scavalcarmi, non questa volta, perché potrei reagire molto male. Fino ad ora ho preferito restare neutrale, ma in questo caso il mio schieramento è ben delineato.»

Su quel punto non intendeva discutere né contrattare. Se la volontà di Andrew fosse stata quella di farsi da parte e rinunciare a lottare, l'avrebbero rispettata tutti quanti loro, nessuno escluso. Non sarebbe rimasto di nuovo in silenzio di fronte a tutta Obyria pronta a riversarsi in tutto il suo titanico peso sulle spalle di un ragazzo che solo fino a tempo addietro era stato chiamato mostro e demonizzato da un bel po' di persone.

Skyler annuì, capendo che non c'era niente di cui discutere. «Ho paura, però, che lui...», fece un bel respiro. «Andrew è sempre stato una persona fragile. Dentro di lui il bambino ancora vivo nei miei ricordi non se n'è mai andato fino in fondo. Anche se ora sembra sicuro di sé, indurito dal trattamento ricevuto da Arwin e da quello che ha patito, io... io penso che basti un niente a farlo crollare. Per lui Alex è un faro di speranza, la colonna portante del suo mondo, del suo futuro. Quando Alex non ci sarà più, tutto questo diventerà cenere fra le sue mani. Ho paura di cosa potrebbe fare un uomo come Andrew nel realizzare che quella speranza si è spenta.»

«È il mio stesso timore» ammise Dario. «Mi è bastata la sua reazione quando gli dissi, quasi un anno fa, che Alex era morto dopo aver perso la lotta contro il cancro. Io ero lì, Skyler. Ho visto quel piccolo barlume di fiducia nel domani dissolversi. Ho paura che la cosa si ripeta e a quel punto non avrei nulla con cui risollevargli l'animo. Nonostante ciò che ha detto Metatron a Cynder, non siamo sicuri che le cose andranno davvero per il verso giusto.»

Il giovane Imperatore celò il luccichio dello sguardo puntando quest'ultimo altrove. «E se dovesse cedere di nuovo al suo lato oscuro?» chiese rauco.

«No, non lo farà. Se ho ben chiaro cosa succederà, per allora certi istinti dentro di lui si saranno sopiti. Non ho paura della sua rabbia, ma del suo dolore. Il dolore è cento volte peggio, fa molti più danni. L'ira prima o poi si placa, batte in ritirata, ma la sofferenza può protrarsi anche per anni, per decenni.» Il vampiro incrociò gli occhi cerulei di Skyler. «Io so solo questo: se anche dovesse scegliere di ritirarsi, dovremo comunque rimanergli accanto. Dovrai farlo tu, specialmente. Sei la persona più vicina a un fratello che abbia, forse l'unico, a parte Alex, ad averlo sempre compreso. Credo che permetterebbe solamente a te di aiutarlo.»
Schiarì piano la voce ed estrasse da una tasca una fiala. «Ne era rimasta un po' e per scrupolo l'avevo messa via. Skyler, sii gentile e falla assumere in qualche maniera a Sophie. Ha funzionato con Godric, perciò non vedo perché non potrebbe fare lo stesso con una delle streghe migliori dell'ultimo secolo.»

Skyler, perplesso, prese la fiala. Sapeva del filtro che Petya aveva preparato per salvare Godric, ma era ben altro a farlo esitare. «Ma la volontà di Sophie la conosciamo tutti. Lei ha detto che...»

«Lo so, ma mi risulta che anche con il sottoscritto sia stato usato un bel pugno di ferro. Quando si sarà ripresa, ditele pure che sono stato io ad avere questa idea.»

Langford non riuscì a celare un sorriso commosso al pensiero di Sophie di nuovo in salute. «Aspettati una gran bella bastonata in testa a tradimento.»

«Cercherò di guardarmi le spalle, allora» scherzò a sua volta Dario. «Piccole dosi, mi raccomando. Non devi somministrargliela tutta in una sola volta.»

Aveva dato a lui quel compito in particolare perché Skyler, dopotutto, era un mago e un dottore, e non vi era combinazione migliore per un lavoro del genere.

L'Imperatore decise di congedarsi e di provvedere subito a iniziare a curare quella che in fin dei conti era anche sua nonna.

L'espressione del vampiro tornò seria. «Credo sarebbe meglio che andassi a parlare con Dante. l'ho visto parecchio giù di corda e dobbiamo parlare, comunque, di come affrontare la questione degli occhi. Avrei già una mezza idea, ma prima ho bisogno di parlarne con lui. Dobbiamo stare dalla stessa parte o andrà tutto a rotoli.»

La prospettiva di alzarsi e di affrontare l'ennesima conversazione seria e decisamente pesante gli piegava le ginocchia. Al momento tutto dentro di lui gridava in segno di protesta, il suo corpo chiedeva un po' di pace e di riposo, ma sapeva che la sua mente gli avrebbe impedito di chiuder occhio.

Gareth si fece coraggio: «So che è importante, ma ti consiglio di guardarti allo specchio. Non sei nelle condizioni di sforzarti più di quanto tu abbia già fatto. Concedi del tempo anche a te stesso».

Lo vedeva che era stremato e non poteva restarsene zitto e lasciarlo semplicemente fare. «Parlerai dopo con lui.»

«No, devo farlo adesso. Devo battere il ferro finché è caldo. Fidati, non riuscirei a riposare comunque. Preferisco restare sveglio e vigile e, nel frattempo, rendermi utile. Di tempo non ne resta molto, Gareth. Ci sono cose che per quando Grober farà ritorno in grande stile, dovranno essere sistemate e appianate.»

Poteva comprendere che Dante al momento avesse sì e no l'umore praticamente sotto una bella lapide, specialmente dopo quanto accaduto con Godric, ma al momento vi erano priorità al di sopra di tutto quanto.

L'idea che aveva in mente era, forse, pericolosa e azzardata, persino audace, ma non c'era altro modo e se davvero lui e Dante erano due parti separate della medesima entità, allora v'era un alto tasso di probabilità che quel piano avrebbe funzionato. Era il primo a esserne un po' terrorizzato, a non desiderare di fare una cosa simile a se stesso proprio quando la vita gli stava offrendo finalmente un lieto fine, un po' di pace, ma sapeva anche che quel sacrificio avrebbe comportato molti vantaggi. Andava affrontato e basta.

Si rimise in piedi e guardò Herrick. «Conosco quello sguardo, ma ti prego di fidarti di me. Ti chiedo di avere fede, Gareth.»

«Non mi hai neanche detto cosa intendi proporre a Dante.»

«Lo so e mi dispiace lasciarti all'oscuro così, ma per il momento è bene che rimanga fra me e lui.» Il reale timore di Dario era che Reth sicuramente si sarebbe opposto alla sua idea, deciso com'era ad agire in virtù del suo benessere. Era un piano con più contro che pro e per tale ragione era necessario tenerlo segreto.

Non ne conosceva le possibili conseguenze né i rischi, non con esattezza. Non sapeva neanche se sarebbe rimasto lo stesso di sempre dopo averlo messo in atto, eppure sentiva di dover farlo, di dover provarci.

Si chinò e baciò castamente sulle labbra l'ibrido che tanto amava e desiderava avere al proprio fianco per sempre. «Intanto vai tu a riposare. Appena avrò terminato di parlare con Dante ti raggiungerò. Almeno così dormirò sentendomi più al sicuro.»
Non fu semplice per lui scostarsi dopo essersi scambiato un altro bacio con quello che ormai era sicuro di voler definire il suo fidanzato.

Vinse contro l'impulso di restare lì e cedere alle lusinghe delle carezze del suo uomo e abbandonò la stanza.

Questo è uno schizzo digitale di come immagino le sfere che racchiudono "gli occhi" di Dante:

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