Capitolo XL. Caccia al tesoro
Allora... prima di lasciarvi al capitolo, vi devo le mie scuse. Sul serio, mi sento un cane. Vi faccio aspettare secoli per un aggiornamento di "Tenebre" e questo un po' toglie tutta la suspance, lo capisco e me ne rammarico, davvero. Perciò, a chi ancora ha voglia di seguire la storia, voglio dire un grosso grazie. Grazie, perché in fin dei conti è per voi che pubblico le mie storie qui, altrimenti le terrei nel PC e buonanotte, ma invece ho deciso di condividerle con gli altri. Quindi, ragazzi, grazie a chi ha letto e leggerà ancora quello che scrivo. ❤️
Ad AuroraTheOtakuGirl voglio dire che sto scrivendo la one shot su Cynder e Samantha, non me ne sono dimenticata, e spero di poter fartela leggere presto ❤️
Vi lascio questi come regalo. Da un po' ho iniziato a imparare i rudimenti del disegno e questi, per ora, sono i risultati! ❤️
Fatto ciò, buona lettura!
Musica consigliata: "The Belonging" di VIVEK ABHISHEK.
https://youtu.be/0JT08-qWeHk
Alice strizzò bene via l'acqua dal panno umido, le gocce che si infrangevano sulla superficie semitrasparente e liquida che via via aveva assunto un colore sempre più tendente al cremisi.
Tamponò delicatamente la pelle di Lorenzo, del suo amato sposo, del amico più caro e sincero, odiando sempre di più Grober per aver ripagato a quel modo la lealtà del vampiro.
Era così che ricompensava i suoi alleati? Con torture e una lenta, dolorosa agonia? E tutto solo perché, quasi sicuramente, puntava in realtà a Dario, ad attirarlo in trappola, sapendo che non avrebbe mai permesso che il figlio, ribelle o meno, soffrisse fino a tal punto.
In tutta franchezza iniziava a credere che forse avrebbero fatto meglio a dissociarsi da tutto quanto, prendere Stefano e cambiare radicalmente vita e conoscenze.
A Obyria, più che in qualsiasi altro luogo, presto ci sarebbero stati per tutti quanti solo sofferenza e morte. Non voleva che accadesse qualcosa anche alla sua famiglia, avevano già rischiato abbastanza e per giunta invano.
Guarisce troppo lentamente, non è normale nel suo caso, rifletté preoccupata, le candide sopracciglia aggrottate.
«Perché non guarisci? Ti ho visto riprenderti da stati peggiori di questo» disse a mezza voce, pur consapevole che non poteva risponderle né forse sentirla.
Coi nervi tesi che aveva, ci mancò poco che, scattando in piedi, rovesciasse la seggiola. Si voltò e vide qualcuno sulla soglia della porta aperta. Skyler, poco convinto, non subito aveva scelto di cedere una delle tante stanze all'interno del palazzo a lei e a Lorenzo. Solo quando Dario gli aveva scoccato un'occhiata che lo metteva in guardia dal fare ulteriori storie si era deciso a dar ascolto alla ragione e al buonsenso.
Alice si era già ripresa a quel punto dal mancamento che le aveva procurato il colpo finale di James durante il duello nell'Oltrespecchio, e non aveva potuto far a meno di rivedere in quell'uomo Lorenzo. Si somigliavano molto, in effetti, e in certi atteggiamenti quella somiglianza lasciava pressappoco di sasso. Davvero ironico, considerando che Lorenzo detestava suo padre.
La donna non si rilassò vedendo che si trattava del fratello, della persona con la quale poteva solo dire di aver un tempo, tanti anni prima, condiviso il grembo materno, dato che erano gemelli.
Squadrò Wolf con aria torva e guardinga. «Che ci fai qui?»
James non riuscì a nascondere completamente l'ombra del dispiacere negli occhi di fronte alla freddezza della sorella. Sapeva di averle voluto bene, tanto tempo addietro. Anche se i suoi ricordi di Alice erano stati estirpati via da suo zio, il defunto Virgil, i sentimenti erano una questione ben diversa e più complicata. Non bastava cancellare la memoria di qualcuno per eliminare ciò che si provava per tale persona, specie se si trattava di un parente molto stretto. Forse le voleva ancora bene, altrimenti non si sarebbe potuto spiegare in alcun modo il motivo per cui si ostinava a voler aiutarla e perdonarla, anche se aveva quasi ucciso Skyler e fatto altre cose orribili.
«Volevo solo sapere come stavate» rispose, il tono di voce cordiale.
Alice si incupì ulteriormente. «Come credi che stiamo? Come pensi che stia mio marito dopo essere stato torturato da Grober in persona?»
James non replicò ed entrò nella stanza. Fece per avvicinarsi al letto, ma la donna gli si parò di fronte, un gesto istintivo. Era sempre stata protettiva e territoriale con chi le era caro, specie con Lorenzo. Ammetteva di aver una volta quasi scagliato una maledizione su una tizia e solo perché aveva avuto la brutta idea di approcciare il vampiro con lei a soli pochi centimetri di distanza.
Wolf mise in mostra le mani. «Non voglio fargli del male» le assicurò. «Voglio solo capire se posso aiutarlo in qualche modo.»
«Se ha bisogno di aiuto, posso dargliene in gran quantità io.»
«Sei coinvolta emotivamente, Alice. Non ti sei mai chiesta perché per un medico sia difficile curare un parente a lui caro, specialmente quando si tratta di una malattia grave? Io conosco appena Lorenzo, per me è meno complicato agire.»
«Deve solo riprendersi, tutto qui.»
«Sai che non è vero.»
«Perché dovrei fidarmi?»
«Se avessi voluto farvi del male, lo avrei fatto da un bel po', senza disturbarmi a portarvi qui, al sicuro dalle grinfie di Grober» le ricordò James, paziente. «Lascia che lo aiuti.»
Alice, combattuta e apprensiva, fece balenare gli occhi sul marito inerme disteso sul letto: aveva una cera pessima, invece di migliorare pareva peggiorare. Guardò di nuovo James. «Va bene» acconsentì. «Anche se non so cosa mai potresti fare più di quanto non abbia tentato di fare io. Abbiamo le stesse capacità.»
«Questo è vero, ma abbiamo maniere del tutto differenti di usare i nostri poteri» la corresse lui, abbozzando un lieve sorriso. Si chinò per esaminare da vicino e con attenzione Lorenzo, quello che era a tutti gli effetti il cognato, in realtà. «Qui c'è in ballo uno degli Anatemi, riesco a percepirne la carica negativa.» Non lo sorprendeva che a lei fosse sfuggito quel particolare: Alice era avvezza alla magia nera e non le prestava particolare attenzione, essendo una materia così familiare e quotidiana. Quando una cosa la si aveva sempre sotto il naso, capitava che si finisse per dimenticarne l'essenza e il sapore. «Solo che... non saprei dire quale» ammise.
Alice imprecò a denti stretti. «Quel figlio di puttana» sibilò tra sé, sempre più propensa a tornare nell'Oltrespecchio per suonarle di santa ragione a Grober. Se ne fregava delle conseguenze. Non avrebbe dovuto toccare Lorenzo. «Allora c'è poco da fare. Quasi tutti possono essere annullati da chi li ha evocati.»
«Non è esatto» la corresse di nuovo James, indulgente. «In realtà, di recente, mi è stato detto che negli Anatemi esistono piccole falle che a occhi nudo passano in secondo piano e sono comunque difficili da sfruttare. Si può aprire una breccia nel sortilegio, bisognerà solo impegnarsi un pochino.»
«Mi stai sottilmente suggerendo che dovremmo collaborare?»
«Esatto.»
«Una collaborazione magica ha effetti eccezionali solo quando v'è affinità tra le parti. Per quanto mi riguarda, però, la tua persona mi è sì e no indifferente.»
«Non sei disposta a seppellire temporaneamente l'ascia di guerra neppure per salvare tuo marito?»
«Non so quanto gli farebbe poi piacere venire a sapere di esser stato salvato da uno dei suoi acerrimi nemici.»
«Per me non è tale. A mio parere, Alice, siete due persone cresciute con una mentalità che sono stati altri a inculcarvi in testa. Ad ogni modo, potrai anche dirgli che lo hai salvato da sola, se lo vorrai.»
Alice sorrise in modo forzato. «Eccolo qui, il nobile Ispettore Wolf! Così prodigo nel voler dare una mano, da addirittura rinunciare al prendersi certi meriti per favorire sua sorella che da quando lo ha rivisto non ha fatto altro che attentare alla sua vita. Masochista fino all'ultimo.»
James non batté ciglio. «Accetti il mio aiuto?»
«In cambio di che cosa? Non propinarmi la stupidaggine che vuoi solo fare il bravo cittadino.»
«Voglio tre cose.»
«Come volevasi dimostrare.»
Lui proseguì, fingendo di non aver sentito quell'ultimo, caustico commento. «La prima cosa che ti chiedo, Alice, è una storia. La tua storia. Voglio sapere cosa ti è successo, come sei diventata a tua volta una Bestia e tutto il resto. La seconda richiesta consiste in una promessa per me molto importante: promettimi di sopravvivere fino alla fine di questa faccenda e di trovare un giorno il coraggio e la voglia di tornare dai nostri genitori, anche solo per un saluto. La terza e ultima cosa che desidero è un giuramento, ancora più importante di una promessa: giurami che metterai una pietra sopra il passato e sopra la magia usata per scopi offensivi nei confronti del prossimo. Giurami che diventerai una persona migliore e che lo farai in primo luogo per tuo figlio. Stefano ha bisogno di te e di Lorenzo, Alice. Lascia perdere il resto, perché prima o poi ti ritroverai a rimpiangere ogni secondo trascorso lontano da lui. Sii una donna migliore.»
Alice lo scrutò a lungo e in silenzio. «Perché dovrei tornare dai nostri genitori, punto primo? Punto secondo: fino ad ora la magia mi ha sempre fatta restare in vita e impedito a un bel po' di persone di mettermi i piedi in testa. Se ti riferisci alla magia oscura, James, allora ecco una notizia fresca di stampa: io sono una Strega del Buio, le Tenebre fanno parte di me, del mio essere, di ciò che sono da tanti anni. Non rinuncerei alla mia identità per niente al mondo e non ha mai rappresentato un problema o un ostacolo con Stefano. Lorenzo mi ama per ciò che sono, con tutti gli orrendi difetti che mi porto appresso, e lui a sua volta è ben lontano dalla perfezione. Siamo felici così, per quanto assurdo possa apparire.»
Wolf sospirò. «Capisco il tuo punto di vista. Non volevo criticarti od offenderti, stavo solo...»
«So che non volevi offendermi, altrimenti ti avrei già strappato gli occhi a mani nude, fidati.»
«Almeno prendi in considerazione il tornare dai nostri genitori. So che ci odi tutti quanti per averti dimenticata, ma sai anche che io non ho avuto voce in capitolo negli eventi che ci hanno tenuti separati per tanti anni. Ero un bambino, Alice, proprio come lo eri tu. Rivolgi il tuo odio ai veri responsabili del tuo rancore e della tua frustrazione, ricorda che è stato Grober a strapparti dalle braccia mie e di mamma e papà. Siamo stati noi a piangere per te, convinti che eri stata uccisa, assassinata da chissà quale assassino di bambini.»
A lui era stato concesso di dimenticare Alice grazie all'intervento di zio Virgil, su richiesta del disperato fratello di quest'ultimo, Brandon Peterson. Lui e l'ex-moglie, Gwen, avevano scelto di ricordare e di non far mai più parola di Alice con l'unico figlio che erano convinti fosse loro rimasto. James rimpiangeva e sempre avrebbe rimpianto quell'infelice scelta presa da qualcun altro che, in realtà, non aveva diritto di manomettere i suoi ricordi in modo tanto invasivo e permanente. Avrebbe preferito ricordare e provare giustamente dolore per la perdita di sua sorella, piuttosto che vivere nella falsa convinzione di esser sempre stato figlio unico.
Prese una mano ad Alice e lei si irrigidì appena. «Loro sanno che sei viva. Cerca di perdonarli, Alice. Nemmeno con me si sono rivelati dei genitori modello, a esser sincero. Sono state molte le occasioni in cui avrei avuto bisogno di loro e invece ero da solo contro un mondo che consideravo troppo enorme e insidioso per me. Per un po' li ho detestati, lo ammetto, ma alla fine ho capito che la famiglia resta sempre la famiglia.»
La donna storse debolmente le labbra. «Mi risulta che tu abbia saputo ricolmare il vuoto della mia assenza a meraviglia.»
«È vero: Amelia sin da subito è stata come una sorella per me.»
«E ora?»
«Ora ne ho due, tutto qui!»
Alice tacque, poi fece sgusciare lentamente la mano dalle dita di quella di James. «Ci farò un pensierino» concesse. «Su tutto quanto.»
James annuì debolmente. Lanciò un'occhiata apprensiva a Lorenzo. «Meglio se decidi in fretta, Alice. Non so quanto tempo rimanga a tuo marito.»
Skyler smise di giocherellare con aria assente con il tagliacarte quando sentì qualcuno entrare nel suo studio e chiudere le porte delicatamente.
Sollevò lo sguardo e incrociò quello di suo fratello. Cynder si avvicinò in silenzio e si fermò a due passi dalla scrivania, le braccia conserte e un'espressione insolitamente dura e severa negli occhi verdazzurri.
Skyler subito distolse i propri.
«Cosa ci fai qui?» chiese.
«Qui a Obyria non è più costume farsi visita tra fratelli?» chiese sarcastico il re.
L'Imperatore respirò col naso. «Non sono in vena di scherzi.»
«Neanch'io, fidati.» Innervosito da quel continuo sibilo d'aria, per quanto appena udibile, Cynder afferrò il tagliacarte puntellato sul mobile e lo sottrasse a Skyler, il quale serrò le labbra e per un momento, uno soltanto, fu tentato di mollargli un cazzotto.
«Non hai nessuna moglie infelice da consolare, stamani?» fece a denti stretti, la voce resa profonda dalla rabbia trattenuta per miracolo.
Il minore mise via l'oggetto e si strinse nelle spalle, senza farsi scalfire da quelle parole. «No, ora ho un fratello da consolare e da strappare all'autocommiserazione. E poi c'è chi dice che non sono un uomo impegnato!»
«Cynder...»
«Smettila di comportarti in modo patetico e stammi a sentire, una volta tanto. Fino ad ora hai sempre fatto di testa tua e dato ascolto ai consigli sbagliati. Io, in qualità di tuo fratello, sto per offrirtene uno che spero deciderai di prendere almeno in considerazione. Posso parlare o devi portare a termine qualche altro ciclo di auto-distruzione, prima?»
Prese il silenzio del gemello come una risposta affermativa.
«Bene. Samantha...»
«E ti pareva che non c'entrasse lei!» commentò caustico Skyler.
«... mi ha detto cos'è successo per filo e per segno con Brian» continuò Cynder, indurendo il tono di voce. «Dunque ho parlato anche con Brian, naturalmente, e ho formulato una soluzione che forse potrebbe lievemente giovare alla vostra relazione.»
«Non stiamo più insieme.»
«Fandonie. Finché ci sono i sentimenti, qualcosa c'è, e ti assicuro che Brian sta soffrendo come un cane mentre tu, invece, te ne stai qui, chiuso nel tuo guscio di orgoglio, a rimuginare senza arrivare a nessuna conclusione. Non ha una gran bella considerazione di te, al momento, ma per una volta prova a metterti nei panni del prossimo, anziché pensare che tutto l'universo si sia coalizzato per accopparti o farti vedere i sorci verdi.»
Skyler restrinse lo sguardo. «Lo sai con chi stai parlando, vero?»
«Lo so benissimo: con l'unico fratello che io abbia e che, purtroppo per me, è anche un emerito imbecille. Stavo meglio quando stavo peggio, a volte proprio non posso non pensarlo.»
Il maggiore dei gemelli sogghignò in modo forzato. «Si sente che hai trascorso un po' di tempo in compagnia di Andrew, eh! Ti ha dato lezioni su come avere una lingua velenosa?»
«Quando sono stato salvato sapevo già parlare alla perfezione, non preoccuparti, e no, Andrew non ha dovuto insegnarmi un bel niente. Francamente, però, si è comportato più da fratello lui di quanto abbia fatto tu.»
«Oh, certo. Come al solito si è rivelato migliore di me. È proprio come quando eravamo bambini, non è cambiato niente. Era il preferito di tutti.»
«Ora sei geloso anche di lui? Di coraggio ce ne vuole, visto e considerato la vita orribile che ha condotto negli ultimi quattordici anni. Non si è scelto il proprio avvenire meno di quanto abbia fatto tu. Sei tu ad avere un complesso d'inferiorità perenne nei confronti del prossimo, Skyler, scusa la franchezza. E poi come puoi essere geloso di tuo cugino, sapendo cosa dovrà affrontare, a cosa lo stiamo tuttora sottoponendo? Brian su una cosa ha ragione: la corona ti sta dando alla testa. Non avresti mai detto certe cose, mesi fa.»
Deciso a fugare ogni dubbio, Cynder si avvicinò e a tradimento gli afferrò il braccio sinistro e sollevò la manica. Non fu sorpreso nel vedere impresso su di esso un marchio che trasudava magia arcana, tra le più antiche. Era proprio come pensava.
Il marchio rappresentava un disegno abbastanza complesso, ma chiaro ed esaustivo nel significato: un ettagramma circondato da un cerchio, sovrapposto vi era il teschio di un canide, probabilmente di un lupo; attorcigliato sulla forma circolare e su una delle linee che formavano l'ettagramma, invece, vi era un serpente dall'aria bieca e a zanne scoperte, come se fosse pronto ad attaccare.
Sapeva cosa significava, in un certo senso aveva fatto i compiti con diligenza: Skyler aveva perso la lotta che per anni aveva condotto con la sua natura ancora incerta. Skyler, da Vesperino, era divenuto uno Stregone del Buio. Ciò, secondo la visione di Cynder scevra di ogni pregiudizio tipicamente obyriano, non significava che suo fratello fosse diventato malvagio.
Anche Zelda era una Strega del Buio, ma aveva provato a tutti, a lui soprattutto, di non essere affatto una persona cattiva.
Skyler rinunciò a ritrarre il braccio, ma non osò guardare negli occhi il gemello.
Cynder lo lasciò andare con delicatezza. «Ecco cosa ti tormenta da un po' di tempo a questa parte» sentenziò. «Ecco il vero problema. Dico bene?»
L'altro non rispose.
«James non è il primo sul quale hai quasi usato uno dei Sette Anatemi, vero? Quel marchio compare solo quando se ne usa uno. È ovvio, però, che hai cercato di resistere fino ad ora, ma un bel po' di cose, alla fine, ti hanno spinto oltre il baratro. Quando è successo? Ha a che fare con Feridan Town?»
Tutto aveva più senso. Spiegava perché Skyler si fosse incattivito a poco a poco, il motivo di tutto quel suo astio rivolto anche a persone che non lo meritavano, persone che diceva di amare e voler proteggere. Spiegava quanto accaduto con James e tanto altro ancora. Spiegava perché Skyler non avesse voluto lottare sul serio per far ricredere Brian sul suo conto e perché, soprattutto, avesse iniziato a mostrare per Samantha un interesse che prima era stato assente: le Tenebre tendevano a far affiorare e a portare agli estremi qualsiasi cosa presente nei lati più oscuri dell'anima. Poteva darsi eccome che fra Skyler e Samantha ci fosse stata una grande intesa, anni prima, ma l'arrivo dell'Oscurità aveva acuito quella che era semplice attrazione fisica.
«Dio santo, Skyler, perché non ce lo hai detto subito? Avresti evitato di scatenare un bel po' di putiferio.»
Ancora una volta ricevette in risposta un desolante silenzio. Non si fece scoraggiare e si sedé alla scrivania, di fronte a suo fratello. In tal modo gli fu possibile scorgere un luccichio tremulo negli occhi color fiordaliso dell'Imperatore. Cynder, colto da un accesso di apprensione e dispiacere, gli strinse una mano con forza. «Per me non fa differenza. Resti sempre mio fratello. Devi dirlo agli altri, specialmente a Samantha e a Brian. Hanno il diritto di saperlo, Skyler, e di aiutarti e starti accanto. Sentimenti e rancori a parte, restano comunque tua moglie e l'uomo che ami.»
Rimase in silenzio quando lo vide scuotere la testa e scoppiare in lacrime. Sembrava vergognarsi come il peggiore dei criminali, gli si leggeva negli occhi che avrebbe solo voluto sparire.
Cynder si alzò, aggirò il mobile, si chinò e strinse forte fra le braccia il fratello. «Ehi, ehi» disse piano. «Va bene anche così, Skyler. Capito?» Iniziava ad avvertire un lieve e insistente pizzicore agli occhi, ma non voleva dargli ascolto. Voleva essere forte per entrambi, perché Skyler ne aveva bisogno. Aveva bisogno di non sentirsi una specie di mostro.
L'altro Langford, incapace di parlare, serrò le dita sui vestiti del gemello e chiuse con forza le palpebre, quasi come se, in silenzio, stesse implorando aiuto.
«Tranquillo.» Cynder gli accarezzò la schiena e i capelli. «Per quanto vale, ci sono io al tuo fianco. Dimmi come posso aiutarti e lo farò, Skyler.»
Non si meritava anche questo, pensò furioso, ma non verso il fratello, bensì verso tutti quelli che avevano portato Skyler sulla strada sbagliata e lo avevano spinto oltre il confine dal quale non era possibile tornare indietro. Oh, Grober! Meriteresti proprio una bella lezione!
Si scostò e gli prese il viso fra le mani, asciugandoglielo. «So cosa dicono sul conto degli Stregoni del Buio, ma so anche che sono tutte scemenze. Posso farti almeno tre esempi di persone nella tua stessa situazione che hanno scardinato ogni regola in merito alla questione. Prendi Iago. Lui, nonostante tutto, è una persona buona e ha deciso di schierarsi contro Grober, contro il male. E Zelda? Grazie a lei molte vite sono state salvate, la notte in cui l'Oltrespecchio è stato attaccato, e ora ha deciso di aiutarci. Cosa dire di Andrew? Serve davvero aggiungere altro? Non c'è alcun male nell'essere chi sei, Skyler. Non determina la tua identità e non devi permettere alle tue paure di trasformarti in ciò che non sei.»
Skyler scosse il capo. «N-Non capisci, Cynder! Loro... loro non hanno come padre un mostro!»
«Ed è qui che di nuovo hai preso un abbaglio.» Il minore sorrise, raggiante. «Grober può essere chi è fino in fondo solo nel corpo al quale appartiene realmente. Ciò significa che io e te siamo figli di André, il vero André, non Grober. È il sangue dei Langford a scorrerci nelle vene, non quello di una perfida divinità. Grober ha influenza su di te, soprattutto, perché al momento il corpo in cui risiede ha un legame di sangue stretto con noi due.»
Era stato James a confermare tutto quanto e lui non era di certo un sempliciotto, era molto informato su tante cose e Cynder, anche per questo, si era intestardito nel voler salvare in qualche maniera André. Quel pover'uomo non aveva colpe, era una vittima come tutti loro e, in un modo o nell'altro, meritava un po' di pace.
Skyler cercò di arrestare le lacrime e guardò a occhi spalancati il gemello. «Cosa?»
Cynder sorrise. «Ti spiegherò meglio tutto solo se ora vieni con me e andiamo a dire la verità a Samantha e a Brian.» Si rimise su e gli tese una mano.
Skyler deglutì, poi lentamente sembrò convincersi e seguì Cynder fuori dallo studio.
Grober in silenzio osservò la figura farsi più vicina e infine sparire oltre la sua visuale, diretta sicuramente alle porte della fortezza immersa nel buio e nel silenzio della notte.
Un sorriso vittorioso e sinistro piegò le sue labbra, diede ai lineamenti un'aria quasi innaturale e realmente demoniaca.
«Finalmente lo squalo ha abboccato» disse tra sé. «Senza macchia e senza paura fino all'ultimo!»
Se Dario pensava di uscirne vivo, allora si sbagliava di grosso. Lui non stava più giocando ed era tempo di fare sul serio.
Rasya sarebbe tornato finalmente in vita, che lo volesse o meno. Aveva un'eternità di schiavitù cui far fronte e un bel po' di lavoro da sbrigare.
Kilmar, a pochi passi dall'oscura divinità, chiese: «Vuoi che lo sistemi io per te?»
Considerava quel vampiro un avversario indegno del Padre delle Tenebre e con piacere avrebbe consegnato al suo signore il cadavere di quell'infima creatura.
Grober si voltò a guardarlo e abbozzò un sorriso sereno, quello di chi era sicuro di sé e delle proprie capacità. «Oh, no, non ce ne sarà bisogno. Ho voglia di divertirmi un po' e lui è il giocattolino di cui avevo un gran bisogno. Non morirà subito. Sarebbe troppo semplice e magnanimo come destino. Gli spetta una punizione esemplare per avermi sfidato ripetutamente. Pagherà non solo per la sua insolenza, ma anche per quella del suo avo.»
Rasya lo aveva pugnalato alle spalle, aveva tradito il suo padrone e andava punito. Quale punizione migliore di quella di render vani tutti i suoi piani e i suoi sacrifici? Avrebbe condotto sia Dante che Dario nell'abisso della disperazione e convinti che non vi fosse altro da fare, se non togliersi la vita e far cessare quelle inutili sofferenze che stavano solo allungando un brodo ormai stantio. Che sfortunata coppia di fratelli!
In fin dei conti erano tali, no? Seppur nati da famiglie diverse, provenivano da un ramo comune e i loro genitori erano gli uni controparti degli altri, perciò, a fronte di una situazione così singolare e accattivante, agli occhi di Grober erano una coppia di fratelli a tutti gli effetti. Due gemelli dalle particolari origini e in apparenza opposti, ma nel profondo tanto simili da essere sovrapponibili.
«Lascialo pure entrare e venire qui. Se il piccolo scorpione vuole giocare, io sono pronto. Troverà qualcuno che non vede l'ora di schiacciarlo ben bene.»
Non poteva aggredirlo direttamente, ma c'erano tanti modi per distruggere un essere vivente, specialmente uno capace di provare dolore e rimorso, di temere per ciò che gli restava da amare.
Dario era uno scorpione, ma persino il più coriaceo di quegli insetti doveva far attenzione a non restare schiacciato. Per quanto velenoso e temibile, rimaneva un insetto.
«Assicurati che le guardie non siano un impedimento. Che avanzi pure indisturbato» disse a Kilmar. Quest'ultimo fece un cenno e uscì dalla sala. Quando giunse nell'atrio del castello, vide in effetti che due guardie impedivano al vampiro di proseguire oltre. «Fatelo passare» ordinò l'Efialte. «È Grober a comandarlo.»
Le guardie esitarono, poi si fecero da parte e seguirono con un'occhiata gelida il percorso del nuovo arrivato. Kilmar restrinse lo sguardo di fronte all'insolente calma che Dario mostrava. «Non hai la più pallida idea del guaio in cui sei andato a cacciarti, dico bene?» lo apostrofò, schernendolo.
Dario si fermò e lo soppesò con glaciale distacco. «Non credo di conoscerti.»
«No, in effetti no, e non c'è bisogno che mi presenti. Non uscirai vivo da qui.»
«Questo è da vedere» tagliò corto il vampiro.
Kilmar, ahilui, compì un errore madornale, figlio della propria arroganza, nel sottovalutare e badare poco al sinistro luccichio appena visibile negli occhi scuri del nuovo ospite.
Infatti, appena Dario ebbe fatto qualche passo avanti, lasciandosi alle spalle Kilmar e le guardie, stabilì che quello era il momento giusto per agire. Agì, lo fece con letale rapidità, simile a un'aspide: estrasse dal piccolo fodero sul fianco una lama nera e scintillante, veloce come la luce scattò verso Kilmar e quest'ultimo, nonostante tutto quello che era, non si rese conto subito di avere la gola aperta. Il taglio era giunto come una sorta di lieve pizzicore, ma ci impiegò pochi secondi ad aprirsi e a grondare copiosamente rosso.
Il destino delle due guardie lì presenti non fu più clemente: dopo aver attaccato all'unisono, si fermarono di botto quando a una venne conficcato il pugnale dritto in faccia e all'altra, invece, venne trapassato il torace dal braccio del vampiro, il quale lo ritrasse e lo mosse a mo' di frusta per liberarsi del sangue e della carne maciullata.
Si ripulì con l'altra manica il viso dalle gocce color rubino che ne macchiavano il pallore, poi si voltò a guardare le buie scale dell'atrio. «Che tu sia pronto oppure no, Grober, sappi che sto arrivando e che stavolta sono davvero incazzato» sibilò tra sé.
Neanche lui stava più giocando.
Conosceva la strada a memoria e non fu difficile per lui liberarsi del resto delle guardie che, non essendo state allertate da Kilmar, invano cercarono di aggredirlo e solo per fare poi a loro volta una brutta fine.
Non passò tanto tempo prima che finalmente ebbe raggiunto la sala del trono.
Spalancò le porte ed entrò. Grober era lì, ad attenderlo, e non sembrava colpito o colto alla sprovvista. Passò in rassegna l'aspetto del vampiro e sogghignò. «Vedo che finalmente l'Oscuro Carnefice ha deciso di uscire di nuovo allo scoperto. Era anche ora, dico io! Non ne potevo più del tuo snervante auto-controllo, quando in realtà sappiamo entrambi che sei una belva assetata di sangue e perennemente affamata.»
Dario si chiuse dietro le porte con un calcio, poi avanzò in direzione dell'avversario. «Tu, invece, sei sempre più patetico e spregevole. Se volevi di nuovo godere della mia presenza, Grober, ti sarebbe bastato mandarmi un regolare invito, senza per forza coinvolgere Godric e Dante.»
I suoi occhi, da castano scuro, avevano assunto un'ardente tonalità color topazio. C'era elettricità nell'aria, tutto nella fortezza, compreso il tempo, pareva essersi fermato. Entrambi sapevano che l'uno non doveva sottovalutare l'altro.
Grober rise, pur consapevole di dover tenere alta la guardia. Dario non era un nemico da prendere alla leggera. L'errore di Kilmar era stato proprio quello. «Vedo che hai ancora un po' di sano senso dell'umorismo.»
«Piantala di tergiversare e lasciali andare. Volevi me ed eccomi qui. Non hai bisogno di loro.»
«Non darti tante arie.» Grober si avvicinò. «In realtà pianificavo in ogni caso di liberarmi di entrambi da tempo. Ora mi ritrovo con ben tre squali nella mia rete. Sai, Dario, c'è una falla nell'essere i pesci più temuti dell'oceano: quando si è troppo grossi, sfuggire alla rete del pescatore diventa assai complicato.»
Il vampiro diede un breve sguardo all'orologio d'argento e sporco di sangue che portava al polso. «Mhm, certo. Intanto sono trascorsi ben cinque minuti e ancora non hai fatto esattamente niente per cercare di cancellarmi dalla faccia del pianeta» disse con noncuranza, un sorrisetto sghembo come colpo di grazia. «Non che io sia un esperto, ma a naso direi che tu abbia qualche problemino nel fare le cose da solo. Prova ne è che sono ancora vivo, anche dopo tutti i tuoi esilaranti tentativi di farmi la festa. Voglio dire: se tu davvero avessi avuto il potere di farmi del male, lo avresti fatto un bel po' di tempo fa. Non ti ha mai detto nessuno, Grober, che quasi sempre è meglio fare le cose da soli? Che bisogna munirsi di armi adeguate per la caccia alle belve pericolose? Con me i fucili e i soliti trucchetti non funzionano.»
Grober non sorrideva più. «Io spero» disse lentamente, «che tu non abbia ancora ben chiaro di star giocando con il fuoco. Non ti crogiolare nel fatto di essere uno degli Eredi di Rasya, Dario. La tua controparte ha commesso quest'errore e infatti, adesso, è in trappola».
«Potrei sapere di essere sul filo del rasoio e allegramente fregarmene. Ci hai mai pensato?»
«Te lo ripeto: attento a tirare la corda con me.»
«Altrimenti cosa? Ormai è chiaro a tutti che sei solo uno scarognato incapace e pigro, così indolente da mollare sempre ai tuoi tirapiedi gli incarichi più scomodi. Sei solo un lumacone perditempo. Scemi noi a temerti! Ci vorrebbe solo che qualcuno ti rimettesse in riga, insopportabile bambino viziato!» Di colpo l'intero castello fu attraversato da una lieve scossa che fece scricchiolare ogni singola pietra e tremare le vetrate. Dario trattenne il fiato, senza smettere di sogghignare. «Oh, qualcuno si sta arrabbiando!» Fece un fischio e mosse la mano, come a voler attirare l'attenzione della divinità. «Allora? Sto ancora aspettando. Se vai avanti così, finirò per crepare di noia o per addormentarmi. Di questo passo, Grober, tanto vale ch'io faccia da solo!» Di nuovo il castello subì una specie di scossa di terremoto. Della polvere abbandonò il soffitto e dei granelli minuscoli di pietra si staccarono da esso e caddero sul pavimento con un quasi impercettibile acciottolio.
Grober si fece più vicino. «Ti leggo negli occhi che hai qualcosa da propormi. Parla, avanti!» sibilò spazientito.
Dario si strinse nelle spalle. «Non ho visto in giro né Godric né Dante. Nel castello aleggia qualcosa di diverso, di più malvagio rispetto al solito o all'ultima volta che sono stato qui. So riconoscere il disgustoso sentore di un sortilegio oscuro in piena attività. Ho avuto già a che fare coi tuoi trucchetti e la tua pennellata è riconoscibile. Non rinunci mai a giocare sporco. Non impari mai, Grober, vero?»
Il Padre delle Tenebre rimase impassibile. «Davvero acuto» commentò seccato. Se solo avesse potuto torcere liberamente il collo a quel vampiro! Era esasperante non poter toccarlo, non poter infilzarlo con una lama azraelita in santa pace. Dopo quel che era successo con Alexander aveva purtroppo imparato eccome la lezione.
«Bene...» Dario schiarì la voce. «Ciò mi porta a unire i punti e a pensare che entrambi siano qui dentro, ovviamente, ma allo stesso tempo no. È corretto?»
«Continua e ti saprò dire se come al solito ti sei rivelato il primo della classe.»
«Sei esperto dei Sette Anatemi e mi risulta che alcuni tra quei malefici abbiano il potere di rinchiudere la vittima nella sua stessa mente. Tuttavia non è il nostro caso. No, qui c'è qualcosa di diverso, di più spettacolare, se vogliamo. Ti piace da morire impressionare le tue vittime e i tuoi nemici, non rinunci mai a un tocco di volgare opulenza.»
Grober di nuovo non batté ciglio.
«Dante e Godric si trovano intrappolati in una dimensione alternativa, forse simile all'Oltrespecchio. Un luogo di punizione, una specie di inferno creato su misura per entrambi dal quale non potranno uscire, se non con un aiuto esterno o con il tuo permesso.» L'espressione del Padre delle Tenebre fece sorridere il vampiro. «Ero amico di Reida, Arian e Richard. Hanno plasmato a loro piacimento Obyria che altro non è se non una realtà parallela, una proiezione concreta del mondo umano. Io c'ero quando Obyria nacque. Magari te lo sei dimenticato, ma non sono del tutto ignorante sulla magia. Ho assistito ai suoi prodigi di persona e lasciatelo dire, Grober: copiare il lavoro altrui è la più bassa forma di cattivo gusto. Quasi mi deludi, sai?» Aver avuto Petya come insegnante aveva dato un po' di frutti, tutto sommato.
Grober piegò le labbra in una brutta smorfia. «Di nuovo: molto acuto. Dunque?»
«So che ti piacciono le sfide, per non parlare dei patti. Sei Satana, d'altronde. Ecco, dunque, la mia proposta: mi guadagnerò la libertà di tutti e tre per mezzo di una prova. Va così dall'alba dei tempi, giusto? Ogni tanto è bene rispolverare le antiche tradizioni.»
«Ah!» Grober rise appena, ma in modo forzato. «Quindi il piccolo scorpione ha ancora una voglia matta di giocare!»
«Non ne hai la più pallida idea» lo apostrofò gelido Dario. «Allora? Cosa ne dici?» Sapeva di essersi assunto un rischio altissimo, ma intanto aveva appurato che Grober, in fin dei conti, non poteva fargli niente, almeno dal punto di vista fisico. Poteva influenzare la sua mente, ma non il corpo. Il Sigillo di Rasya glielo impediva, proprio come valeva per Valknut. La prima parte del piano era andata come si aspettava.
«Ti va una caccia al tesoro?» flautò Grober. «So che sei bravo a trovare le cose e le persone perse. L'esempio epocale di ciò è senza dubbio Asher. Un gran bel lavoro, quello, dico sul serio!»
Dario non si lasciò scalfire dalla frecciatina. Sorrise amabilmente. «Beh, mi risulta che alla fine, anche se con un netto ritardo, io lo stesso sia riuscito a ritrovarlo. Mi piace lavorare lentamente, ma con cura. Gira che ti rigira, caro Grober, ti ho beccato con le mani nel sacco e poi gli altri ti hanno smascherato, rivelando a tutti la bestia che sei in realtà. L'errore che feci la bellezza di quarantadue anni fa so di averlo pagato a caro prezzo. Se solo avessi saputo, mi sarei assicurato di metterti i bastoni fra le ruote già da allora. Mi sarei risparmiato un bel po' di rammarico.»
Grober sogghignò, gli occhi che scintillavano maligni. «Invece ti sei fatto abbindolare come tutti gli altri. Persino tu eri convinto che André Langford fosse solo un ragazzo che aveva bisogno di trovare la giusta via! Commovente il discorsetto che facesti all'epoca! Dicesti che tu stesso eri pronto ad aiutarmi! Ti avrei con piacere riso in faccia! Eri così in buona fede, Dario, da suscitare in me un vago senso di tenerezza!»
Dario fece altri passi in avanti, lo sguardo che ora dardeggiava. «Ho visto nascere André, brutto bastardo» sibilò. «E credimi quando ti dico che te la farò pagare per averlo tenuto in trappola tutti questi anni. È arrivato il momento che tu sconti la tua pena, Grober. È giunta l'ora di saldare il debito.»
«E tu, invece?» Grober avanzò a sua volta. «Tu pensi davvero di aver regolato i conti con il tuo sanguinoso passato? Con i tuoi peccati? Sai cosa mi stupisce, Dario? Che Markus e Scarlett, consapevoli di chi eri e di cos'eri stato capace di fare in passato, ti abbiano affidato il loro unico figlio e la sua sicurezza. Questo sì che fa ridere! E pensare che Markus disprezzava me senza essere sicuro di cosa stavo combinando e nel frattempo trattava te coi guanti di velluto, pur sapendo di avere davanti un efferato assassino! Poi vieni qui a farmi la predica, come se ne avessi il diritto! Non sei la persona più adatta a punire uno come me, dato che già le tue mani sono sporche di sangue!»
Dario lo colse decisamente alla sprovvista quando, furioso, gli mollò un calcio e lo mandò a sbattere contro la parete di pietra, facendogli fare un volo sì e no di dieci metri.
Grober, però, si rimise in piedi e scoppiò a ridere di gusto. «Oho!» esclamò. «Ho toccato un nervo scoperto!» Benché si fosse fatto qualche graffio ben visibile, non era di certo sufficiente prenderlo a calci per metterlo al tappeto. «E dire che di solito tutti non fanno che parlare del modo posato, garbato ed elegante con cui sempre accogli le offese o le accuse! Qualcuno si è leggermente stancato di fare il bravo vampiro della porta accanto!»
Guardò le mani chiuse a pugno di Dario, il modo in cui le serrava. Talmente forte da far sanguinare i palmi. «Muori dalla voglia di scatenarti. Ammettilo! Sii sincero con te stesso, una volta tanto!» Gli leggeva negli occhi che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di dar retta alla bestia che nel profondo del suo animo aveva iniziato a gorgogliare e a reclamare sangue. «Non ne hai il coraggio, vero? Provo quasi pena per te. Così abituato a startene in catene come un animale dello zoo, da aver ormai paura di fare anche solo un passo falso! Guai se osi alzare la cresta! Fallo e i tuoi carcerieri si arrabbiano! Non sei diverso da un leone che non potendo più ruggire, si limita a fare le fusa come un micio da salotto!»
«Tengo alla mia dignità, sai com'è» rispose secco il vampiro. Iniziava ad averne abbastanza di quegli insulti, di quello scherno.
«Non è un po' tardi? Hai trascorso più di cento anni a fare lo zerbino di Atlas e di Obyria intera, permesso a tutti loro di farti indossare la mordacchia e comandarti a bacchetta come un ubbidiente ronzino. E per cosa? Perché poi il tuo stesso figlio riuscisse a spingere al tradimento i tuoi collaboratori, le persone di cui ti fidavi? Ti sei persino fatto rubare da sotto il naso la tua preziosa figlioletta! È stato sufficiente farti abbassare la guardia colpendo quella sciocca di tua moglie!»
Dario tacque, poi: «Stipuliamo il patto e finiamola qui. Non avrai quello che stai cercando di ottenere».
Non poteva farsi provocare a quel modo. Doveva ricordare che là dentro, da qualche parte, c'era anche André, il vero André. Colpendo Grober avrebbe solo eliminato l'involucro, non il veleno da esso custodito. Quel che il mostro aveva appena detto su sua moglie, su Leda, non l'aveva colto alla sprovvista. Il sospetto che fosse stato lui a metterci lo zampino lo aveva perseguitato per due lunghi anni, dunque aveva solo ricevuto la conferma ufficiale: Leda era morta perché era stato Grober a volerlo, forse maledicendola. Era una fortuna che Fedra fosse stata risparmiata, per un motivo o l'altro. Anziché ucciderla, l'avevano tenuta nascosta e le avevano permesso di crescere al sicuro e in salute. Una magra consolazione, ma pur sempre meglio di niente.
Vide Grober sul punto di replicare, ma lo precedette: «Dimmi, inizi ad avere un po' di fretta? Vuoi che sia io a eliminarti, così da liberarti del guscio che occupi al momento e poter prendere subito il corpo di Alex? Così poi, magari, la colpa ricadrebbe su di me. Verrei forse odiato, magari, dalla persona che sono deciso a proteggere. Sei sempre più volgare e disgustoso, Grober».
«Oh, no!» fece allegro l'altro. «È solo per il gusto di vederti furioso. È come infastidire un gatto!»
Il vampiro sciabolò le sopracciglia, senza però alcuna enfasi. «Si vede che non hai un cazzo da fare tutto il giorno» lo rimbeccò, in una chiara caduta di stile. «Allora, torniamo alle cose serie: qual è la tua proposta?»
Il sorriso di Grober si fece più convinto, più ilare e sadico. Gli occhi scintillavano biechi. Qualunque cosa avesse in mente, non sarebbe stata gradevole da affrontare.
Sotto lo sguardo a tratti confuso del vampiro, l'oscura divinità fece un bel fischio e qualche istante dopo le porte alle spalle di Dario si aprirono lentamente. Un lugubre, prolungato cigolio da mettere i brividi, poi dei passi lenti e cadenzati sul solido pavimento di pietra. Si trattava di più di una persona.
«Vediamo come te la cavi coi demoni del tuo passato, Oscuro Carnefice» disse Grober, così tronfio da essere insopportabile. «Tu sarai pure un non-morto, ma voglio proprio vedere come te la cavi con chi è già morto da tempo ed è risorto dal proprio sepolcro col solo scopo di farti a pezzi nella mente e sì, anche nel corpo.»
Dario deglutì senza farsi notare e si decise a voltarsi. Lo fece pian piano, il cuore che batteva furiosamente, un'ansia senza nome lo pervadeva. I suoi occhi scuri si spalancarono, le labbra tremarono. Di colpo parve diventare un bambino spaventato e sull'orlo delle lacrime, di un pianto irrefrenabile e terrorizzato.
Se l'era aspettato, eppure, ora che aveva di fronte loro, faceva tutto un altro effetto.
Per quanto vedere sua moglie, il suo cadavere rianimato e assoggettato all'Oscurità, fosse straziante, lo riempisse di indignazione, di rabbia e rimorso mai sopitosi, non era paragonabile al vedere suo fratello tornato dall'Aldilà, di nuovo con carne e muscoli addosso, i vestiti tali e quali a quelli con cui era stato tumulato nella cripta di famiglia.
Poi... poi vide...
Fece un passo indietro, due, tre.
Più avanti rispetto agli altri due, c'era Jacopo Arrighi. Il pittore, il suo primo amante, il suo primo amore. Era lui, ma non era lui. Era qualcos'altro, proprio come Filippo e Leda. Dario non avvertiva alcun segno di vita nei tre: non v'era respiro, gli occhi erano freddi e vuoti allo stesso tempo, puntati su di lui. Uno sguardo tetro, quasi accusatorio. Tre mastini dalle sembianze umane impossibili da annientare perché già falciati dalla Mietitrice e richiamati da un potere troppo oscuro, orrendo e disgustoso da concepire. Fra i vari rituali di zombificazione che esistevano al mondo, l'Empia Evocazione non poteva neppure esser definita loro sorella, ma un aborto, una concezione malata e perversa, lo strumento di tortura peggiore per chi di fardelli sulla coscienza ne recava tanti.
Grober incrociò lo sguardo di Dario che era tornato a guardarlo con gli occhi che ardevano per la rabbia. «La sfida ha inizio ora. Le regole sono semplici: sconfiggi gli Specter, i tuoi demoni, e libererò Godric e Dante. Arrenditi o fallisci, e sarai mio, ti piegherai alla mia volontà e porrai fine alla tua insensata e inutile fuga da ciò che sei destinato a essere. Fallisci e sarai assoggettato a me per l'eternità. È questa la mia proposta, arrogante che non sei altro.» Gli si avvicinò. «È stato un grosso errore cedere la tua spada al tuo prezioso Andrew. Adesso ti ritrovi privo di difese e di armi, e non pensare nemmeno a tentare di gareggiare con me in fatto di magia nera. Risponderanno solo alla mia volontà. L'unico modo per avere la meglio, è avere un'arma adeguata, purtroppo per te.» Schioccò la lingua in segno di disapprovazione. «Stavolta sei in grossi guai, caro Dario, e non te la caverai neanche servendoti delle tue famosi doti di assassino. Quando sarai piegato e ridotto allo stremo, ricordati che ti sei costruito da solo i tuoi demoni. Ricordatelo quando ti trascineranno all'inferno. Non parlo di quello fatto di fiamme o ghiaccio. Parlo dell'inferno dentro la tua mente.»
Dario mantenne un minimo di contegno e non fiatò. Era stato lui a scegliere quella sfida. Lui aveva lanciato il fantomatico guanto e Grober, semplicemente, l'aveva raccolto.
«Intendo aggiungere una piccola caccia al tesoro. Ti va?» cinguettò poi Grober. «Secoli fa una coppia di genitori sottrasse a un bambino, al loro prezioso figlioletto, un potere tanto grande quanto terribile. Gli strapparono dagli occhi non solo la capacità di uccidere a vista, ma anche la capacità di vedere, rimpiazzandola con qualcosa che gli permettesse di sapere sempre chi aveva davvero di fronte a sé, di capire l'anima del prossimo.» Vedendo che Dario aveva già capito, il dio Sverthiano ghignò in modo spregevole e rise piano. «Oh, hai colto il messaggio! Ti dirò anche questo, però: gli occhi di Dante, in modo metaforico, vennero racchiusi in due piccole sfere di vetro molto simili a biglie. Erano contenitori sacri, in realtà, che servivano a tenere intrappolato il nero potere con cui Dante era venuto al mondo. Io li ho trovati tanto tempo fa e ora ti sfido a scovarli a tua volta. Si trovano qui, da qualche parte. Indovina il loro nascondiglio e lascerò andare tutti e tre, avrete persino un vantaggio su di me non indifferente. Se fallirai, però, farò uccidere Godric, poi farò sprofondare Dante nella disperazione e quanto a te, adorato nemico... a te spetterà la punizione peggiore, quella che meriti per aver avuto la presunzione di presentarti di nuovo qui e avanzare pretese! Non dimenticare che la caccia al tesoro verrà ostacolata dai tuoi demoni personali che faranno di tutto per annientarti.»
La divinità, il Demonio, anzi, sollevò una mano e con l'indice, in una posa che ricordava quella dei faraoni nei bassorilievi dell'Antico Egitto, indicò l'avversario: «Fategli vedere cosa accade a chi sfida le Tenebre. Non avrete pace né requie finché non lo avrete trascinato al mio cospetto domato e rassegnato». Le sue iridi azzurre ebbero un guizzo scarlatto mentre indugiavano di nuovo sul non-morto. «Fossi in te, mio caro, comincerei a scappare. Corri, coniglietto, corri!»
Dario vide gli Specter guardarlo nello stesso, medesimo istante, e capì di dover veramente correre fuori da quella sala. Scattò versò le porte e uscì a rotta di collo.
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