Capitolo XIV. Non piangere
Musica consigliata:"Tear it from my chest" di Peter Gundry.
https://youtu.be/mV50K0Frh7g
Andrew per un attimo lanciò un'occhiata ad Alex, il quale – malgrado come lui e Frederick stesse ascoltando Iago ragionare sulla mappa e sulla via che ancora dovevano percorrere – sembrava con la testa da tutt'altra parte.
Venne subito richiamato dall'Efialte, però: Iago, sollevando gli occhi ambrati, lo apostrofò severamente di non gingillarsi e di aprire bene le orecchie.
Il vampiro sbuffò tra sé. «Sì, va bene.»
«Come stavo dicendo» riprese Iago, «qui finalmente troveremo il porto dal quale salperemo per raggiungere la terra dei Græber. La buona notizia è che siamo quasi arrivati, suppongo che... be', a occhio e croce ci vorranno dieci, forse quindici giorni di cammino e...».
Nessuno seppe mai cosa avrebbe voluto aggiungere Iago riguardo il percorso da seguire, perché Alex lo interruppe: «A tal proposito, Iago, pensavo che forse potremmo procurarci dei cavalli, o qualcosa di simile. Dieci o quindici giorni di marcia sono troppi e non disponiamo di tutto questo tempo. Guarda quanto è esteso l'Oceano di Cristallo, e quanto poi ci vorrà sicuramente per raggiungere le sponde del Continente d'Ombrascura. Dobbiamo risparmiare tempo in qualche maniera, o rischiamo di arrivare tardi per Kyran, e non possiamo permettercelo».
«Sono d'accordo con lui» intervenne Frederick. «Zio, dobbiamo trovare il modo di raggiungere brevemente il porto, così da partire al più presto possibile. L'idea di Alex non è affatto malvagia.»
Alex sorrise appena, grato a Rick per avergli dato man forte. Tornò a guardare la mappa e gesticolò con l'indice: «Qui ci sono molte città e altrettanti villaggi, o quello che siano. Probabilmente saremo costretti a sostare da qualche parte, per rifocillarci e far mente locale in vista del viaggio per nave. Suggerirei di fare due fermate: la prima qui, a Vadnasyl. Qui potremmo trovare dei cavalli, o qualcosa del genere, e poi...». Continuò a scorrere con la mano, concentrato nel sondare città dopo città, villaggio dopo villaggio, mentre sulla mappa la distanza fra di essi e il porto di Kiladys si accorciava sempre di più. «Qui, ecco: Lylgard. Qui invece potremmo fare un'ultima sosta.»
Iago annuì, pensieroso. «Sì, in effetti. A giudicare da quanto poi rimarrebbe da percorrere, direi che nel giro di un paio di giorni raggiungeremmo Kiladys. In tutto potremmo risparmiare quasi tre giorni di cammino, o forse di più.»
Andrew agitò le mani. «Va bene, va bene, e fin qui siamo tutti d'accordo» disse. «Come faremo, però, una volta arrivati al porto? Voglio dire... ci presentiamo e tutti allegri chiediamo a non so chi di consegnarci una nave per solcare acque temute ed evitate come la peste da gran parte della popolazione? E poi c'è qualcuno, tra noi, che sappia almeno le regole basilari sul condurre una nave, o almeno una barca?»
Iago parlò di nuovo: «Be', è da tanto che non vado per mare, ma spesso mi toccava imbarcarmi su una nave, a causa dei miei lunghi viaggi».
«Ed eri tu a manovrare la bagnarola?»
«Be'... no.»
Andrew fece un cenno. «Appunto.»
Alex sospirò. «In qualche maniera ce la faremo. Per il momento restiamo concentrati sull'obiettivo del porto di Kiladys. Ci verrà in mente qualcosa. Siamo arrivati fin qui, d'altronde, giusto?»
Gli altri annuirono, ma Andrew lo fece in maniera incerta.
Iago arrotolò di nuovo la mappa e sollevò lo sguardo verso il cielo che ora si poteva intravedere molto più chiaramente. Il bosco non era più fitto come prima, iniziava a diradarsi. Il giorno seguente finalmente sarebbero usciti da lì e tanto bastava a rasserenarlo. Iniziava ad averne abbastanza di quei boschi.
«Inizia ad imbrunire» osservò. «Possiamo permetterci di riposare un po'. Siete stanchi, ve lo leggo in faccia. Stasera potremo riposarci tutti, è una zona molto tranquilla questa.»
Lanciò un'occhiata ai due vampiri, poi strinse una spalla al nipote. «Tu vieni con me. Io e te abbiamo bisogno di metter anche qualcosa sotto i denti.»
Alex li osservò allontanarsi. «Rick?» Rivers allora si voltò a guardarlo. «Prendi il mio arco. Con quello caccerete molto meglio.»
L'ex-Cacciatore lo ringraziò e poco dopo sparì nella boscaglia insieme allo zio. Alexander, dunque, si concentrò su Andrew e lo vide versarsi in gola dell'acqua dalla borraccia.
Se solo non avesse avuto troppa paura di contaminarlo in qualche maniera, gli avrebbe ceduto un po' del proprio sangue, ma non poteva rischiare. Gli faceva comunque male vederlo ormai allo stremo delle forze.
Gli si avvicinò e si inginocchiò di fronte a lui, che era seduto su ciò che restava della base di un albero che probabilmente era stato abbattuto da un fulmine, o qualcosa del genere.
«Stai bene?» gli chiese, sinceramente preoccupato per lui e per la cera che aveva. Si rammaricava di non avergli posto molto spesso quella domanda. Magari non l'aveva fatto perché Andrew, fra di loro, sembrava il più forte e resistente, la roccia nella loro coppia che forse era in fin dei conti azzardata e malassortita, forse invece no.
Però anche le rocce, col tempo, tendevano a sgretolarsi.
Drew fece un cenno di assenso. «Sì, sì. Tranquillo» replicò rauco, come uno che nemmeno sotto tortura avrebbe ammesso di esser giunto al capolinea.
«Vorrei poter aiutarti, ma... lo sai, no? Non mi va di correre il rischio di avvelenarti in qualche maniera.»
Andrew si chinò per guardarlo meglio in faccia. «Ehi, non devi sentirti responsabile per me. Sto bene, Lexie, dico sul serio. Un po' stanco, ma so resistere più di quanto immagini.»
Alex, però, non demorse. «Nemmeno tu devi dimostrarmi alcunché, Andrew.» Si rimise su e lo fece alzare a sua volta. «Ti devi nutrire e qui ci sono un sacco di animali. Sono sicuro che uno fra loro sarà commestibile anche per un vampiro.»
«E Iago e Rick?» chiese l'altro.
«Lasceremo appeso a quell'albero un messaggio. Sono andati in quella direzione e probabilmente ripercorreranno la strada a ritroso per tornare.»
Alex frugò nella borsa da viaggio di Iago e trovò la penna e il taccuino sul quale aveva visto l'Efialte scrivere. Per un attimo fu tentato di curiosarvi, ma subito si vergognò di quel pensiero e si sbrigò a lasciare un breve messaggio a Iago e a Frederick. Fatto ciò, si guardò in giro e trovò a terra una pietra sbeccata e piuttosto affilata. Puntò il foglio sul tronco dell'albero che aveva scelto prima e lo appuntò conficcando nella corteccia e nella carta la pietra.
Prima di voltarsi e tornare da Andrew, tuttavia, si accorse di essersi tagliato il palmo della mano. Non lo stupì vedere che il taglio non si era rimarginato, come in realtà sarebbe dovuto accadere.
Si limitò a chiudere il pugno e a raggiungere l'altro vampiro. Gli sorrise. «Andiamo, allora, su!»
Andrew, però, notò quasi subito il sangue rappreso che spuntava fra le dita chiuse di Alexander. «Sei ferito» osservò, un po' teso.
«Non è niente, davvero» lo rassicurò Woomingan. «Sono stato sbadato, come al solito. Colpa di quella pietra, ma è solo un graffio.»
In realtà faceva piuttosto male, la ferita pulsava, come c'era da aspettarsi, ma in confronto a ben altro era qualcosa di assolutamente tollerabile.
«Alex...»
«Drew, sto bene, davvero» insisté Lex. «Ora come ora, voglio solo che tu ti rimetta in forze. Cerchiamo di trovare qualcosa, prima che arrivi il buio. Per fortuna, presto non avrai più questi problemi.»
Andy rallentò il passo e lo guardò. «In che senso?»
L'altro vampiro si rese conto di aver parlato davvero troppo. «Uh... che cosa?» Si finse del tutto ignaro.
«Hai detto, mi pare, che presto non avrò più questi problemi.»
«Problemi? Quali?»
«Non lo so, dimmelo tu.»
«Non ricordo di aver detto niente del genere!»
Andy, per un attimo, si ritrovò a pensare che era lui a cominciare ad avere le traveggole. Eppure era sicuro di averlo sentito dire quella cosa che, quasi, sicuramente, riguardava le molte problematiche sull'essere un vampiro e, specialmente, su quanto a volte fosse difficile nutrirsi.
Seguì un silenzio imbarazzante, finché non fu Alex a chiudere la questione e a dire: «Be', proseguiamo, su!».
C'era mancato davvero poco. Che stupido era stato a farsi sfuggire una cosa come quella!
Per un bel po' rimasero in silenzio, entrambi decisi a restare concentrati sullo scovare qualche preda. Dopo una ventina di minuti trascorsi invano a sondare la foresta in cerca di qual si volesse abitante dei boschi in cui affondare letteralmente i denti, finalmente scorsero qualcosa fra gli alberi secolari. Sembrava uno strano incrocio fra una cerva e qualche altro animale dotato di zoccoli: aveva il manto chiaro, salvo per una linea scura che attraversava il garrese fino alla punta della coda a prisma; le zampe a loro volta tendevano a sfumarsi in una tonalità sempre meno chiara. Le orecchie erano piccole, il muso ricordava molto vagamente quello di un'antilope; sulla fronte si ergeva un unico corno di medie dimensioni e dalla forma a spirale. Gli occhi dell'animale erano grandi e chiari, puntati proprio su di loro.
Quello era un valdrek, un esemplare femmina a giudicare dal corno. I maschi ne erano sprovvisti.
Era la prima volta che ne vedevano uno e Alex sapeva di conoscerne il nome per ragioni tutto fuorché rassicuranti. Sapeva che era un valdrek e basta, era quello il problema. Non lo disse, naturalmente, a Andrew.
«Non ucciderlo. Prendi ciò di cui hai bisogno e basta» si raccomandò con lui, senza arrischiarsi ad affermare che si trattava di un esemplare in realtà femminile.
Andrew annuì. «Sì, tranquillo.»
La femmina di valdrek continuava a scrutarli, tre metri di distanza la separavano da loro. Non sembrava impaurita, anzi tutt'altro: aveva uno sguardo fiero e indomito, quasi territoriale.
«Qualcosa mi dice che quest'animale non è timido e schivo come un cervo» commentò Drew. «Spero solo che non usi quel corno per farmi fare la fine dello spiedino.»
Alex decise di prendere l'iniziativa: gli disse di aspettare, poi lentamente si fece avanti fra gli arbusti e non appena fu a poca distanza dalla bestia, si accovacciò e tese la mano sana verso il valdrek, il quale però restò dov'era, squadrandolo e continuando a ruminare lentamente. Le piccole orecchie fremevano, il naso scuro simile a quello di un cerbiatto inspirava ed espirava adagio; uno zoccolo nero e aggraziato raspava il terreno.
«Alex, forse non dovresti...»
«Shh. Va tutto bene, Andrew.» Alexander tornò a guardare la femmina di valdrek negli occhi. «Non avere paura. Vieni qui.»
Il flessuoso collo dell'animale si chinò leggermente in avanti e lentamente le zampe si mossero, così da accorciare la distanza.
Lex sorrise. «Bravo, così. Vieni.»
Andrew rimase a fissare la scena a bocca aperta, mentre Alex invece si alzava piano piano e, spinto da un istinto che veniva da chissà dove, allungava la mano sana; con le dita accarezzò la mandibola inferiore del valdrek, che si rivelò molto mansueto e collaborativo.
Drew vide l'altro sussurrare qualcosa alla bestia, la quale poco dopo si accovacciò a terra accanto ad Alexander e adagiò il capo e il collo sulle sue ginocchia, come addormentata.
«Andrew, vieni.»
Collins, malgrado la sorpresa, capì di avere il via libera e allora si fece avanti e raggiunse i due.
«Piano, ora» lo riprese tranquillamente Woomingan, per fargli capire che doveva essere delicato.
Il vampiro dagli occhi verdi cercò di non lasciarsi trascinare dalla vorace sete che gli artigliava le viscere e si sforzò di bere solo quanto gli era necessario per placare per un po' quel bisogno primario.
Non appena fu certo di essersi nutrito abbastanza, ritrasse i canini e lasciò che del sangue sfuggitogli dalle labbra dischiuse si posasse sui fori ancora freschi. Grazie alla saliva contenute in quelle poche gocce, le ferite si rimarginarono.
Alex, dunque, si scostò a sua volta e fu come se il valdrek si fosse risvegliato da una trance: barcollante scattò di nuovo su e dopo un attimo di smarrimento se la diede a gambe fra gli alberi, sparendo dalla loro vista.
«Ti senti meglio, ora?» chiese Alexander al fidanzato. Questi annuì, solo per poi rendersi conto che era stato l'unico a rifocillarsi. «Tu come intendi fare, scusami?»
«Uh?» Lex tornò a guardarlo, mentre si accingevano a tornare indietro.
«Non ti sei nutrito.»
Alex si strinse nelle spalle. «Non ne sentivo il bisogno, tutto qui.» Sapeva che era una bugia e di averne bisogno eccome, anche se il suo corpo ormai pareva incapace di trasmettergli certi segnali, ma aveva poco senso preoccuparsi di certe cose, con quello che lo attendeva.
«Lex, non dirmi cavolate. Hai un pessimo colorito e sei sempre più stanco ogni giorno che passa.»
Alexander si fermò e prese delicatamente per le spalle Andrew, per poi guardarlo. «So che non sembra, ma ti giuro che sto bene. Per me, ora come ora, conta solo di saperti in forze. La sete ti impedisce soprattutto di concentrarti, e non puoi permetterti distrazioni. In un posto come questo potrebbero esserti fatali e non voglio che ti accada qualcosa di male. È tutto ciò che desidero.»
«Lexie...»
«Tu sarai a posto per un po', è questa la sola cosa a contare per me» terminò Alex, sincero. «Se tu sei in buona salute, nient'altro ha importanza.»
Andrew, tuttavia, continuava a percepire quell'asfissiante stretta allo stomaco. Ultimamente l'avvertiva sempre.
Per tutto il tragitto di ritorno non disse niente. Quando, però, giunti di nuovo nel punto in cui avevano deciso di accamparsi, fu a un passo dal rompere il silenzio, ecco che Iago e Rick ricomparvero. Il secondo recava in spalla una corda a cui erano legate due bestiole ormai morte che somigliavano vagamente a delle lepri, benché possedessero un bizzarro manto marrone scuro e tigrato. Ciascuna era appesa per una zampa.
«Uhm, sicuri che possano bastarvi? Non sono granché grandi.» In effetti erano di ridotte dimensioni.
«Non abbiamo trovato di meglio» ammise Rivers. «Però suppongo saranno sufficienti, almeno per stasera.»
Più tardi di nuovo si ritrovarono attorno a un piccolo falò, immersi nel buio della foresta. La selvaggina era stata già divorata e, come c'era da aspettarsi, a malapena era riuscita a saziare Frederick e lo zio di questi.
Il fuoco scoppiettava e Alex si ritrovò ad esserne quasi ipnotizzato. Quando però, a un certo punto, gli comparve davanti agli occhi la visione di fiamme del tutto differenti, nere, che non irradiavano alcuna luce e anzi sembravano divorarla, fiamme che invece di trasmettere calore davano vita a un insolito senso di gelo e vuoto, distolse gli occhi e se ne stropicciò uno.
Nonostante tutto, ormai si era abituato a stare all'aria aperta e coricarsi – quel poco che riusciva a dormire – senza un cuscino né un morbido materasso ad accogliere la sua schiena.
Iniziava quasi a non ricordare più come fosse riposare su un letto.
Quand'era stata l'ultima volta in cui aveva chiuso davvero occhio, o quando si era nutrito apprezzando appieno il sapore della linfa cremisi che piano piano si versava nella sua gola assetata?
Quand'era stata l'ultima volta in cui si era sentito davvero vivo?
Non lo ricordava più. Era come se tutto fosse stato un semplice sogno, prima di tornare a una realtà grigia e infelice.
Grober non aveva torto: gli aveva concesso di vivere sul serio, prima di farlo tornare coi piedi per terra, alla consapevolezza di essere nient'altro che un contenitore, un custode provvisorio di spoglie che in realtà mai gli erano appartenute.
Forse... forse farei meglio a cominciare a fare davvero i conti con l'idea che questi siano stati gli ultimi mesi di vita per me.
Da tempo non si sentiva così, con le ore, i giorni contati, consapevole che presto tutto sarebbe finito e il buio lo avrebbe inghiottito.
Niente era cambiato e la paura c'era ancora, più forte che mai.
Guardò uno ad uno i suoi compagni, si soffermò di più su Andrew e si accorse che stava cercando di instaurare una conversazione leggera con Frederick. Alex sorrise tra sé appena e li lasciò fare, non avendo in ogni caso voglia di parlare e preferendo di gran lunga restarsene in disparte, quasi come un fantasma.
In fin dei conti era questo, sotto tanti punti di vista, giusto? Era solo uno spettro che attendeva di essere rispedito nella tomba e quanto era accaduto nell'intermezzo altro non era stato che una condizione di stallo, un soggiorno in un limbo dolce-amaro di promesse destinate di nuovo a infrangersi contro la gelida e dura superficie della realtà.
Rimase perciò in silenzio, si limitò a osservare, ad essere un semplice spettatore, quasi come a non voler disturbare gli altri.
Questo, però, non ebbe altro risultato se non di farlo sprofondare ancora di più nei pensieri, in una realtà che apparteneva solo a lui e che gli altri, neanche volendo con tutto il cuore, avrebbero potuto raggiungere o calpestare.
Non era poi un vero e proprio male, giacché si sentiva di troppo, quasi un estraneo che non avendo niente da dire preferiva non scocciare al prossimo.
I suoi occhi si trasferirono sulla foresta buia e fitta; il suo udito si concentrò sul sospiro frusciante delle foglie sollecitate dalla fredda brezza notturna; poi proseguì, più su, verso il cielo stellato, la luna e su di essa si fermò. Avvertì una stretta al cuore inspiegabile nel guardarla, una tristezza che non seppe spiegarsi e, dopo qualche minuto, capì di sentirsi per qualche ragione indegno di rimirarla.
Ricordava che da piccolo era sempre stato convinto che il cielo di notte fosse un manto nero-bluastro e le stelle diamanti che splendevano e ammiccavano a coloro che puntavano gli occhi sul firmamento; la luna, invece, una strana, bellissima ed evanescente perla. Sorrise mestamente e con nostalgia ripensando a tutte le volte in cui, inutilmente, le sue piccole mani avevano cercato di afferrarla, solo per restare sempre vuote.
Però per tutta la sua infanzia un altro fantasioso parere sul cielo lo aveva assillato: che in realtà non fosse altro che un sottile e fragile velo oltre il quale, però, si estendeva solo un infinito e oscuro vuoto, un niente assoluto. Tutte le volte che ci aveva pensato aveva sempre provato un forte senso di solitudine al pensiero che in realtà il cielo fosse finto e lassù non ci fosse alcunché.
Rimpiangeva di non essersi mai goduto appieno quegli anni di innocenza e beata ignoranza; di essere cresciuto troppo presto, di aver avuto molte volte fretta e di aver bruciato tante, tantissime tappe e solo ed esclusivamente per sfuggire a quel maledetto cratere dentro l'anima.
Nel quartiere nel quale aveva abitato da ragazzino, a tredici anni era stato il solo ad aver già avuto un'esperienza con una ragazza e per giunta più grande di lui. E cosa gli era rimasto di tale esperienza? Cosa gli aveva dato in più? Cosa gli aveva sottratto, piuttosto?
Non era stato meglio dell'aver ceduto quel poco che restava della sua dignità a Logan, poco ma sicuro. In fin dei conti la storia si era limitata a ripetersi, solo in maniera diversa.
Ormai aveva quasi del tutto dimenticato persino il giorno del matrimonio con Fiona, anche se non era stato poi così male. Ricordava invece piuttosto bene la nascita di Anthony, si rivedeva in quel corridoio, seduto su una seggiola in attesa che un'infermiera uscisse per dargli qualche notizia.
Per tutto il tempo non aveva distolto lo sguardo da quelle porte, ma aveva percepito fino all'ultimo istante gli occhi gelidi, inquisitori e scontenti dei suoceri.
Tutto, però, era scivolato nel dimenticatoio quando aveva sentito finalmente i primi vagiti di Anthony. Era scattato su come un pupazzo a molla e aveva quasi travolto l'infermiera nell'entrare in sala parto.
Quel giorno gli promisi che lo avrei sempre protetto e reso felice, fiero di essere mio figlio.
Cosa ne era stato di quella promessa, però? Se Anthony avesse saputo delle sue intenzioni in merito a quella faccenda, se avesse saputo di chi era stato tanti anni addietro, sarebbe stato fiero di suo padre?
Probabilmente mi avrebbe considerato un vigliacco e un debole, e non avrebbe avuto torto.
Forse, a conti fatti, era stato molto meglio non averlo rivisto prima di partire, avergli cancellato la memoria e convinto a non cercarlo mai più, neanche da adulto, specie perché in quel caso la sua sarebbe stata a quel punto una ricerca veramente vana.
Eppure suo figlio gli mancava da morire e avrebbe dato neanche sapeva cosa in cambio di un solo ultimo istante in sua compagnia. Avrebbe venduto l'anima a chiunque, se fosse servito a fargli riabbracciare Anthony per l'ultima volta.
Gli si mozzò il fiato in gola ripensando a tutte le volte in cui avrebbe potuto stare con lui, abbracciarlo ed essere un padre più presente, invece di pensare al lavoro e a tenere in piedi un matrimonio destinato comunque a sgretolarsi.
Alla fine aveva commesso gli stessi errori di suo padre, non si era dimostrato migliore di lui, anzi forse era stato addirittura peggio di Daniel, che comunque era riuscito a recuperare e a migliorare.
A lui quella possibilità era stata preclusa e forse si era meritato quella porta in faccia.
Era orribile arrivare alla soglia di trentadue anni e rendersi conto di non aver fatto niente di concreto per nessuno di coloro che si amava. Aver avuto tanti e tanti anni di tempo per essere una brava e valida persona e capire di averlo sprecato fino in fondo.
Cosa avrebbe lasciato di sé al mondo che era sul punto di abbandonare per la seconda e ultima volta? Quale segno aveva impresso?
Niente. Non sarebbe rimasto niente.
Già... a Anthony era toccato proprio un gran bell'esemplare di padre. Il perfetto esempio di genitore da dimenticare e del quale vergognarsi e basta.
Non era stato capace di amare decentemente suo figlio, perché dunque si meravigliava della piega che la sua storia con Andrew aveva preso? Non c'era da stupirsi affatto.
Forse si era illuso per anni di aver capito cosa fosse l'amore, mentre invece continuava a brancolare nel buio della più totale ignoranza.
Forse, dato chi era in realtà, l'amore e il suo significato gli erano preclusi a prescindere. In fin dei conti era la metà mancante di colui che sulla Terra veniva denominato Satana. Quale creatura più lontana dall'amore e dall'esser degna di riceverlo poteva esistere?
«Tu mi devi questa vita» aveva detto Grober. Quale vita, per l'esattezza? Davvero era stata così piacevole? Davvero era valsa la pena? Quale vita gli doveva? Un'esistenza di mediocrità e vuoto? Poteva anche riprendersela, allora. Avrebbe potuto direttamente non concedergliela, invece di causare tutto quello scompiglio.
Prima o poi se la riprenderà.
Probabilmente, se ogni cosa fosse andata per il verso giusto, sarebbe stato meglio così per tutti.
Ormai la sua era un'esistenza che si limitava a trascinarsi nel tempo, forse non aveva più un reale scopo, magari mai lo aveva avuto realmente.
Fece una lieve smorfia e si tastò piano il collo, sul quale avvertiva un leggero e vago dolore simile a quello che avrebbe potuto causare un livido. Eppure lì non c'era niente, la pelle era normale, non v'era alcun segno. Niente che potesse provare che c'era stata un'aggressione, o qualcosa di simile.
Cercò di non badarci, perché in ogni caso c'era ben poco che potesse fare. Occhio non vede, cuore non duole.
I suoi occhi grigio opaco, non più come lucido e scintillante argento ribollente di vita, si posarono su Iago e lì indugiarono, in parte curiosi, in parte immersi in una certa dose di riflessione.
Solo allora si accorse che l'Efialte pareva esser maturato nell'aspetto sul serio, specialmente vedendo delle linee argentee interrompere l'uniforme pigmentazione corvina della sua chioma. Da quel che sapeva, gli Efialti invecchiavano molto, molto più lentamente, alcuni impiegavano tanti secoli prima di risentire seriamente dello scorrere del tempo, altri invece restavano come fuscelli sempreverdi. Misha, ad esempio, fino all'ultimo aveva dato a tutti l'impressione di non avere più di trent'anni, forse persino qualcosa in meno.
Vi era ancora molto mistero sul corso della vita degli Efialti, su quali particolarità possedessero in realtà.
Iago era tale e quale a Desya e anche a Petya, nonché a James, eppure lo si distingueva da loro senza difficoltà alcuna, riusciva comunque ad apparire diverso, unico. Era senza dubbio un bell'uomo, i suoi tratti somatici esprimevano raffinatezza e persino regalità, non passava inosservato e con affetto del tutto innocente e privo di inflessione erotica o simili, Alex non se la sentì di dare torto a Zelda per aver in fin dei conti ceduto al suo fascino che, per giunta, era del tutto spontaneo e naturale, non ricercato e costruito. Iago, nonostante il pessimo e complicato carattere, sapeva essere a modo suo magnetico. Se entrava in una stanza, lo si notava senza problemi. Forse anche grazie a queste sue doti naturali era riuscito, tanto tempo addietro, a raccogliere dei seguaci e a guadagnarsi l'altisonante titolo di Re Stregone di Varesya.
Alex aveva sempre cercato di evitare quel discorso con lui, sapendo che ricordare gli faceva male, ma in parte avrebbe tanto voluto sapere di più riguardo quel periodo che Iago definiva il più buio che avesse mai attraversato e conosciuto, lo stesso che aveva spinto persino Godric a contrastarlo, un Efialte che aveva cresciuto Iago come un figlio e lo aveva addestrato a regola d'arte.
Continuava a essere per certi versi una vera incognita l'uomo che Alex stava osservando senza farsi notare.
Qualcosa lo riportò alla realtà e capì che si trattava di Andrew. Abbassando lo sguardo, vide le pallide dita del solo uomo che amasse avvolte attorno alle sue. Sollevò nuovamente gli occhi e incontrò quelli verdi dell'altro vampiro. Osservò il riverbero delle fiamme riflettersi nelle iridi color giada e ora puntate su di lui; in esse Alexander, solo per un momento, ebbe l'impressione di aver appena scorto una certa e silenziosa disperazione.
Qualcosa angosciava Andrew e nulla aveva a che vedere con la storia di Grober. Lo tormentava e Drew continuava imperterrito a non volerne parlare apertamente.
Alex, incerto, ricambiò debolmente la stretta, come a volerlo rassicurare. Per giovare ancora di più alla sua ricerca di serenità, gli si accostò un altro po' e si rannicchiò nell'incavo del suo braccio che subito lo accolse. Chiuse gli occhi per qualche secondo, concentrandosi solo sulla fragile e preziosa pace concessagli dalla mano di Andrew che gli accarezzava le spalle, poi la schiena e infine risaliva e ricominciava da capo. Esalò un lieve e rinfrancato sospiro quando le dita di Andy affondarono fra i suoi capelli, un po' giocando con essi e un po' come a bearsi della loro morbidezza.
Si sarebbe quasi potuto addormentare a furia di ricevere tante piacevoli attenzioni, ma non voleva che accadesse. Per lui ogni singolo istante era prezioso, perché sapeva che non sarebbe più tornato, come sapeva che presto la pace che stava sopendo il suo strazio gli sarebbe stata per sempre preclusa.
Pur non meritando di assaporarla, non poteva far a meno di bearsene. Andrew era una calamita molto strana: più Alex cercava di allontanarlo da sé e più, invece, finiva per farlo avvicinare ulteriormente e questo, lo sapeva purtroppo molto bene, era un punto a sfavore. Gli avrebbe reso più difficile mantenere la rotta verso un orizzonte da cui non ci sarebbe stato ritorno, non per lui.
Sollevò di nuovo lo sguardo.
Se penso a quanto dovrai soffrire, mi sento male, pensò, accoccolandosi meglio nella sua piacevole e salda stretta. In un atto di spontanea e rammaricata devozione posò un delicato e lieve bacio sulla pelle del suo petto non coperta dagli abiti, proprio dove si trovava il cuore. Baciò quel punto come a voler guarire in anticipo la ferita che presto avrebbe dovuto infliggere a quell'organo che tanto amava sentir battere. Una ferita che non avrebbe sparso sangue alcuno, ma che lo stesso avrebbe impiegato del tempo per guarire, o almeno così sperava.
Voglio che tu non pianga a lungo per me. Voglio che tu torni presto a stare bene e ad avere al tuo fianco qualcuno che ti ami e soprattutto ti meriti.
Lo sentì trattenere il fiato, percepì il suo sguardo sondarlo con intensità e persino stupore. Lex si chiese quanto dovesse essere cambiato in quei mesi, per aver suscitato tanta meraviglia. Doveva essersi allontanato parecchio, ma non abbastanza.
Non voglio pensarci, non ora.
Finché fosse rimasto in vita, avrebbe dato a Andrew l'amore che questi desiderava, di cui aveva bisogno, benché avrebbe avuto tutti i validi motivi del mondo per respingerlo e gettarlo, giustamente, via.
Alex cercò di mantenere il controllo sulle proprie emozioni che minacciavano di irrompere in un silenzioso e disperato pianto, tentò di farlo soprattutto quando Andrew gli fece sollevare il viso per guardarlo in faccia. I loro occhi per qualche istante indugiarono gli uni negli altri; Drew sembrava alla ricerca di risposte, come al solito, e Lex invece lottava per tener alta la facciata e non renderlo custode di un fardello che spettava portare solo e unicamente a lui.
Era orribile, però, specie perché gli ricordava di quando lo aveva tenuto all'oscuro di qualcosa di ben diverso e infinitamente spregevole. Ancora una volta gli stava mentendo, lo stava illudendo, pur sapendo che così sarebbe finito per fargli del male.
Si chiese se non fosse in qualche modo destinato a essere crudele, sempre e comunque. Se magari non fosse nella sua natura dover per forza indossare una maschera persino con coloro che amava.
Si domandò quanto a lungo avrebbe retto ancora a mandar avanti tale recita.
Con molta, straziante fatica riuscì a piegare le labbra in un sorriso che cercò di non far tremare per nessun motivo, ma non si rese conto che Andrew lo stesso era riuscito a capire che quel sorriso non si rifletteva nei suoi occhi, non ce la faceva a riscaldarli e a illuminarli. Restavano spenti, quasi vuoti, prosciugati della luce.
Lo sguardo di Alex era quello di chi stava soffrendo senza rivelarlo apertamente, eppure lo stesso si sforzava di sembrare normale. Non gridava aiuto né altro, era solo rassegnato.
Il cuore di Andrew mancò un battito, la gola parve restringerglisi così tanto che ebbe l'impressione di non riuscire più a respirare. Andrew finalmente capì, eppure al tempo stesso si rese conto di non sapere cosa avesse compreso.
Conosceva mille risposte e, tuttavia, ignorava le domande che le avevano scaturite.
Aveva smascherato Alex, ma non riusciva a dare un nome al vero viso che gli si era appena palesato di fronte, ora che la maschera era stata strappata via.
Di impulso ritrasse la mano e puntò altrove i propri occhi. Ora il suo volto era contratto in un'espressione cupa e indurita dai pensieri che ristagnavano nella sua mente.
Quello che subito dopo udì, però, lo lasciò a bocca aperta: Alex, con un filo di voce, gli chiese scusa e nel farlo gli parve quasi un bambino che chiedeva perdono al padre per chissà quale grave malefatta.
Andy, confuso e spiazzato, tornò a guardarlo. «Non hai fatto niente» disse, senza però ottenere alcuna risposta, ignaro del fatto che mai l'avrebbe ottenuta, neppure in futuro.
Alex si scostò da lui e laconicamente disse di essere stanco e che sarebbe andato a riposare.
Andrew squadrò Iago e Frederick e vide che erano incerti e spaesati quanto lui.
Fu allora che l'Efialte, come volendo approfittare dell'assenza di Alexander, estrasse dalla propria casacca un foglio di carta ripiegato fino a sembrare un piccolo quadrato. Lo dispiegò e con espressione funerea e abbattuta lo consegnò a Andrew. Questi, reticente, lesse: era da parte di Skyler, ma non fu questo a farlo sprofondare nel più totale panico e nella rabbia, ma ciò che scoprì poco dopo. Lo stesso uomo che aveva rischiato tutto pur di salvare Alex dal cancro e di difenderlo da Grober, mettendo persino a repentaglio la sicurezza di Obyria, in quella lettera trasudante rammarico e dolente senso del dovere comunicava che presto il Consiglio Obyriano avrebbe probabilmente indetto una votazione per stabilire qualcosa che fece divampare nel cuore di Andrew la collera: se lasciare che Grober si appropriasse indisturbato del corpo di Alex, e quindi permettergli anche di ucciderlo, o meno.
Rinunciò a leggere il resto. Non ne aveva la forza. Si sentiva in preda non solo di una forte nausea, ma anche della rabbia, nonché tradito dall'ultima persona che mai si sarebbe immaginato potesse rivelarsi fino a questo punto insensibile.
Tornò a guardare Iago, poi Frederick e capì che quest'ultimo già sapeva. Si vedeva dal modo in cui ricambiava la sua occhiata: rattristato e sconvolto quanto lui.
«Non ditemi che siete d'accordo» li apostrofò, la voce che rischiava di spezzarsi. «Davvero appoggiate la sua presa di posizione? Avete dimenticato che Alex è vostro amico? Che si trova qui per salvare uno di voi?»
«No, Andrew. Non lo abbiamo scordato» rispose Iago. «Dico solo che secondo me non sono parole sue. Non è stato lui a decidere. Skyler non è tipo da fare certe cose.»
«Non saprei, sai?» replicò gelido Drew. «Ora come ora, dopo quel che ho letto, mi aspetto di esser pugnalato alle spalle da chiunque.»
L'istinto e l'ira gli imponevano di rispondere alla lettera di suo pugno e sottolineare che se Alex maledettamente fosse uscito da quella storia morto, poi tutti loro se la sarebbero vista non solo con Grober, ma anche con lui. Se si fossero azzardati a tradirli e ad abbandonarli nel momento del bisogno, allora poi si sarebbe aggiunto un altro gran bello spauracchio alla loro lista nera.
Voleva tanto farlo, sfogarsi in quel modo e sì, dirne quattro a modo suo a Skyler, ma riflettendoci sapeva che non avrebbe ottenuto niente.
L'ultima volte che aveva scritto una lettera dando ascolto alla rabbia, qualcuno ci aveva rimesso la vita.
Il punto, però, era che poco gli importava che quelle non fossero le parole di Skyler, il quale in ogni caso aveva avvallato una simile carognata. Gli amici non si comportavano così, poco ma sicuro.
Restituì a Iago la lettera. «Non mi importa di cosa intendono fare loro. Sono pronto a difendere Alex da solo, se necessario. Grober non lo prenderà e dovrà prima passare sul mio cadavere freddo di una seconda morte, prima di poter anche solamente sognarsi di metter le mani addosso a lui.»
Era disposto a tutto pur di salvare Lexie. A tutto, e niente e nessuno si sarebbe messo sulla sua strada. «Chiunque cercherà di fermarmi, non potrà che perdere.» Lanciò un rapido e penetrante sguardo all'Efialte, come a ricordargli di non sfidare una seconda volta la sua pazienza cercando di uccidere Alex. «Non è un cavallo che si è rotto una gamba e non potendo camminare, allora si decide di abbatterlo con un colpo di pistola. Alex è una persona e ha sofferto anche troppo, lo avete detto anche voi. Non pensate che meriti di meglio? Credete che non meriterebbe più appoggio di quel che gli è stato concesso fino ad ora? Se pensate che abbiano ragione loro, allora tanto vale ucciderlo adesso, perché quello che ha intenzione di fare Skyler è mille volte più disumano e crudele.» Si alzò. «Vi avverto, però: se in realtà intendete porre fine a quest'agonia, badate di farlo non in mia presenza, perché non rimarrei a guardare. Ho ucciso tante volte, non mi spaventa farlo una seconda, una terza volta, o altre cento.»
Se succede qualcosa a lui, giuro che è la volta buona che mi ammazzo.
Il suo fu un pensiero veloce, certo, ma anche spontaneo e pieno di rabbia impotente, nonché voglia disperata che tutto quanto terminasse, in un modo o nell'altro.
Guardò verso Alex e si avvicinò; si inginocchiò a poca distanza e vide che per una volta sembrava dormire davvero. Dormire e basta.
Eppure, tanto era il suo terrore in quel momento, che non riuscì a frenare l'impulso di accostare le dita con delicatezza al suo polso e cercare il battito. Lo trovò, ma era appena percepibile, debole e pigro. Un battito che si trascinava attraverso i secondi, i minuti e le ore.
Negli occhi di Iago e Frederick aveva letto la contrarietà a quanto stabilito da Skyler, ma lo stesso non riusciva a fidarsi. Per tale motivo, alla fine, si distese accanto all'amato e cercando di non ridestarlo, lo avvicinò e trasse a sé, al sicuro fra le sue braccia.
Dormiva davvero pesantemente, perché non diede segno di essersi accorto di niente. Non si svegliò neanche quando Andrew, piegato da tutto quanto, cedette alle lacrime.
Non so cosa tu abbia in mente, ma ti prego, Alex... ti prego... non mollare.
Lo aveva ritrovato e non avrebbe accettato di perderlo una seconda volta.
Si domandò se dovesse fargli presente la situazione, ma una voce dal profondo rispose con sepolcrale e criptico tono che forse Alex già lo sapeva.
Una cosa era certa, però: erano rimasti da soli, a casa non c'era più nessuno ad attendere il ritorno di entrambi, a sperare in un finale positivo.
Forse lui era il solo a credere ancora che tutto potesse risolversi nel migliore dei modi. Il solo a nutrire una simile sciocca fantasia.
Per la prima volta da quando si era illuso che potesse esserci per loro due un futuro, o ancora da quando era stato portato via dalla prigione, Andrew provò una desolante e orribile solitudine.
Un brivido spiacevole e freddo gli attraversò la colonna, tale da indurlo a malincuore a scuotere piano Alex e a richiamarlo sottovoce, giacché nel frattempo Iago e il nipote si erano a loro volta coricati.
Non era il gelo della notte ad averlo sfiorato con troppa insistenza, ma un gelo dall'interno, che proveniva da ben oltre le ossa, e non si sentiva capace di fronteggiarlo con le proprie forze.
Alex inizialmente continuò a dormire, poi però si decise a ridestarsi; stanco e intontito sbatté le palpebre pesanti e mise a fuoco piano piano il viso di Andrew che gli parve sin da subito stravolto e inquieto.
Si accostò. «Che succede?» gli domandò sottovoce, allungando una mano per sfiorargli il volto e cercare di riportarvi un po' di serenità. «Andrew, che cos'hai?»
Andrew scosse il capo e parlò senza rendersi conto di quel che diceva: «Se per qualche ragione dovesse andare tutto storto, allora... allora ti prego, Alex, portami dovunque avrai intenzione di andare. Non importa se all'inferno o nell'oblio, non mi importa. Non lasciarmi di nuovo indietro, ti chiedo solo questo». Piangeva come un bambino, mai lo si era visto in quello stato.
Alexander sbatté le palpebre e tentò di elaborare quanto aveva appena udito, ma più lo faceva e più il fiato gli mancava. «Ma cosa dici? Drew, ti prego, non fare questi discorsi. Non voglio nemmeno pensare a una cosa del genere.» Che abbia capito? Sperava di no, lo sperava per tante ragioni.
«Sai bene cosa sto dicendo» insisté Andrew. «Lo sai, è inutile che fingi il contrario. Io so che hai qualcosa in mente e se la tua intenzione è quella di non fare mai più ritorno da Sverthian, allora io ti seguirò. Per me niente, a quel punto, avrebbe più un significato.»
Per la prima volta da un bel po' di tempo, Alex avvertì una tale carica d'impeto, quasi di rabbia, che scattò avanti e posando le mani ai lati del capo dell'altro, appena di poco sospeso sopra di lui, disse: «Andrew, voglio che ora tu mi ascolti molto bene: per me solo una cosa ormai conta ed è di saperti vivo, al sicuro e incolume. Lo capisci? A me non importa più di stare bene, di essere vivo o morto. Mi importa solo di te, della tua sorte che di certo non è morire qui a Sverthian. Se io andrò in luoghi dove non potrai seguirmi, tu dovrai semplicemente lasciarmi andare. Vedilo come un ordine da rispettare». Gli prese il viso fra le mani. «Io ti ordino di vivere, Andrew Thorne. Di vivere, di aggrapparti alla vita con tutte le tue forze e a qualsiasi costo.»
«Anche senza di te?» chiese Andrew, un po' provocatorio e insidioso. «Ancora una volta devo rinfrescarti la memoria su un paio di cosette?» I suoi occhi luccicavano come pietre preziose ed evanescenti a causa delle lacrime a stento trattenute.
Alex sospirò. «No. Lo so, lo ricordo molto bene, ma voglio che tu lo faccia per me. Okay? Fallo per me.»
Andrew, però, stava guardando il suo torace che si intravedeva attraverso i lembi del mantello e della camicia che si era inavvertitamente aperta quasi del tutto: non c'era alcun segno del marchio e si accorse, a quella distanza, quando il legame fra vampiro e Creatore era più intenso e marcato e si riuscivano ad avvertire sensazioni in modo maggiormente chiaro e nitido, di percepirne la presenza in modo meno marcato e gravoso.
Non era un buon segno, lo sapeva, ma la sua attenzione presto venne attirata dalle dita di Alex che slacciarono il nodo del mantello e poi quello della camicia, ormai prossimi in ogni caso alla disfatta.
Per lui che riusciva a vederci molto bene anche in assenza di luce, non fu difficile distinguere la forma di quel corpo che amava e da tanto non vedeva più in quello stato.
Deglutì a vuoto quando, osservando con maggiore attenzione, ne colse la magrezza un po' troppo marcata.
Alex gli mancava anche in quel senso, ma sembrava così fragile e provato che...
«Forse... forse non è una buona idea» ammise.
Si sentì sprofondare vedendo l'altro fraintendere le sue parole e dire, con un sorriso di scuse che pareva quasi precedere le lacrime, di sapere di non essere un bello spettacolo e che lo capiva benissimo.
Andy subito lo trattenne, prima che potesse scostarsi. «Non è questo. Prendimi per cretino, se ti va, ma ho solo paura di farti male. Fa anche freddo e non vorrei ti prendesse un accidente.»
Che diamine! Come se non sapesse che lo avrebbe sempre desiderato, in qualsiasi forma e stato! Per chi diavolo lo aveva preso?
So che vuoi solo essere amato, lo so bene, ma non voglio che poi tu debba stare male pur di compiacere me.
«Non sei costretto, Alex.»
Lex, tuttavia, gli fece sollevare il viso e gli sfiorò le guance, guardandolo negli occhi. «Amami, Andrew. Amami e basta, come nessuno ha mai fatto prima.»
Lì per lì Drew non fu certo se avesse già sentito altrove quelle parole che suonavano molto familiari, poi però capì, ricordò e guardò l'amato a bocca aperta: ricordava ancora quello che si erano detti nel corridoio di scuola, prima che Arwin venisse ad interromperli e succedesse quel grande e orribile trambusto nel bosco.
Ecco, stava di nuovo per mettersi a lacrimare come un ragazzino.
«Non credevo che...»
«Sei l'amore della mia vita, Andrew. Ricordo ogni singolo istante che ho trascorso con te.» Alexander si chinò per baciarlo con naturale dolcezza, quasi goffa. «Ho iniziato a vivere solo dal momento in cui hai varcato la soglia di quella classe. Non so niente di Dio o di Gesù Cristo, ma so che un ragazzo vestito di nero e con il cuore di un poeta quattordici anni fa, in una scuola qualsiasi nell'Oregon, ha riportato in vita qualcuno che prima era morto e poi è tornato a respirare.» Lo baciò ancora. «Sei l'uomo più straordinario che abbia mai conosciuto e l'esempio vivente che chiunque può risorgere dalle proprie ceneri. Splendi come il sole del mattino, Andrew.»
Andy, udendo le sue parole, rimase mezzo intontito per qualche istante. «I-Io... tu...» Cercò di riguadagnare un po' di respiro, ma il cuore che batteva freneticamente glielo impediva.
Era intrappolato in un vortice di emozioni contrastanti e intense, ma sapeva per certo di desiderarlo più di prima. Eppure lo stesso cercò di ricordargli che non erano da soli. «Se si svegliano, poi voglio vedere come farai a spiegargli perché sei mezzo nudo e a cavalcioni sul sottoscritto» gli disse a bassa voce.
Un sorriso, però, comparve sulle sue labbra spontaneo quando lo sentì sghignazzare di cuore al suo orecchio. Doveva essersi figurato la scena meglio di quanto avesse fatto lui, evidentemente, ma non sembrava preoccuparlo più di tanto.
«La prendi con filosofia, vedo.»
«Un po' di pericolo non guasta mai, sai com'è» lo provocò con tono complice Alex, scendendo con le labbra sul suo collo e posando su di esso una scia di vogliosi baci. Non stava fingendo e desiderava sul serio trascorrere un po' di tempo con lui come se non fossero entrambi a un passo dal baratro. Aveva bisogno di un minimo di normalità. «Ti prego» lo implorò, simile a un bimbo che era ansioso di ottenere la caramella tanto agognata.
Decise di fare la prima reale mossa e a tentoni gli slacciò la cintura, poi fece scivolare le dita dentro i suoi pantaloni, finché non venne in contatto con la sua pelle serica e fredda; scese ancora e sorrise tra sé percependo provenire da lui un sussulto e il suo respiro farsi ansimante in reazione al suo tocco diabolicamente esperto ed esigente.
«Lexie» esalò Andrew, attirandolo di più a sé con la mano sulla sua schiena in parte nuda e in parte ancora coperta dalla camicia che era scesa ben oltre le spalle. Fece risalire le proprie dita finché non affondarono nei suoi lunghi capelli dorati. Scostò il viso per incontrare le sue labbra, che reclamò in con un bacio ribollente di urgenza e rinnovata lussuria. Alex, quasi come a volerlo stuzzicare di più, si separò da quel focoso contatto e tornato al suo collo percorse un breve tratto di pelle con la lingua, come un felino che pregustava la preda.
«Amo il tuo sapore» sussurrò lascivo, spogliato dell'autocontrollo.
Andrew non ci vide più e stringendolo a sé lo forzò a terra, sulla fredda e umidiccia distesa di erba e foglie morte. Per qualche secondo rimase immobile per guardarlo, a osservare il suo torace espirare e inspirare velocemente, le sue braccia mollemente adagiate accanto al capo, come se si stesse offrendo completamente alla sua mercé.
Si domandò come potesse essere ancora così vitale, seppur fragile, con il digiuno e tutto il resto.
Non so davvero se sia una buona idea.
Di nuovo sopraggiunse l'incertezza. Alex, capendo, scosse la testa. «Non puoi farmi del male. In ogni caso, sono io a volere tutto questo.»
Drew, tuttavia, non se la sentiva di farlo restare su quel freddo e umido tappeto di foglie morte, muschio e viscida erba. «Lascia almeno che prenda qualcosa per...»
«No, non fa niente. Sto bene qui» lo rassicurò Alexander, pur essendo strana la sensazione di essere a diretto contatto con il terreno. «Voglio solo te, Andrew.» In fin dei conti un vampiro normale non badava a certe cose e lui non voleva destare il minimo sospetto.
Ignorò il brivido di freddo che gli era appena corso sulla schiena. Ignorò tutto quanto e se ne estraniò completamente quando il suo amato si chinò per baciarlo; fu un bacio famelico e bisognoso, in parte sapeva di disperazione. Alex gli sfiorò il torace con carezze che salivano e scendevano su quel petto ampio da atleta; rimase in ascolto del fiato di entrambi che diveniva via via più irregolare e pesante. Sentì l'amato armeggiare coi pantaloni e decise di aiutarlo a calarseli, lanciando solo per un breve momento un'occhiata verso i loro compagni addormentati. Stavano ancora dormendo, non si erano svegliati, per fortuna.
Deglutì a vuoto quando poi Andy, spinto dall'impazienza e dal non voler avere più alcun ripensamento, gli tolse i pantaloni, divaricò le sue gambe e lo prese, tentando come poteva di soffocare un gemito roco e strozzato non appena avvertì nel suo corpo i chiari segnali di un'involontaria resistenza.
Alex, dentro di sé, dovette ammettere che faceva più male di quanto ricordasse e di non aver provato un dolore del genere da anni, per quanto era certo che Andrew avesse cercato di essere il più delicato possibile. Restava un vampiro in buona salute, però, e al momento si sposava ben poco con il suo pessimo stato che forse lo rendeva più fragile di un comune essere umano.
Ricacciò indietro un singhiozzo e tenne gli occhi serrati, affondando le dita nelle spalle di Andrew, il viso solleticato dai suoi capelli neri come le piume dei corvi; scendevano come volute d'ebano sulle clavicole e il torace.
Era talmente stupendo da non sembrargli reale. Per un momento ebbe il timore che si trattasse solo di qualche altro scherzo di pessimo gusto di Grober. Temette che fosse solo un'illusione, o un sogno. Eppure sapeva che era reale, davvero tale. Lo era quel corpo che lo sovrastava e stava reclamando man mano il suo; lo erano quelle dita gentili e tremanti – per lo sforzo impiegato nel trattenersi – che gli accarezzavano il retro del capo, come a volerlo tranquillizzare.
Il fiato irregolare esalato dalle labbra incolori di Alexander produceva nel frattempo arabeschi di vapore nella fredda aria notturna che sempre più si insediava fin dentro le sue ossa. Scacciò quel malessere crescente e si spinse in avanti, verso Andy, e si aggrappò con ambedue le gambe alle sue anche, così da fargli intendere che poteva proseguire e in modo da poter avere, intanto, un punto di riferimento al quale aggrapparsi. Riaprì le palpebre e questo lasciò la strada libera a nuove lacrime che, trasparenti e del tutto prive della tipica colorazione cremisi, in rigoroso silenzio scesero sulle sue guance ceree e smagrite.
Eppure sorrideva, perché sapeva di essere amato. Lacrime di gioia e dolore, ecco cos'erano. Ne arrivarono altre, irrefrenabili, quando finalmente cominciò la vera danza ed ebbero inizio le spinte. Sentendo le gambe molli e troppo deboli, lasciò che ricadessero giù, divaricandole ulteriormente in maniera da facilitare i movimenti al fidanzato.
Andrew stava facendo tutto il possibile pur di essere delicato e non fargli male, ma un vampiro in certe occasioni faticava terribilmente a reprimere certi istinti, a limitarsi in momenti di estasi. Probabilmente percepiva il malessere di Alexander, in quanto suo Creatore e avendo soprattutto con lui un forte legame difficilmente distruttibile. Avvertiva la sofferenza del partner come se fosse la sua, cosa che a lungo andare, forse, avrebbe reso quell'amplesso più una tortura, che un piacere.
Ciascuna di quelle spinte trattenute e in parte goffe pareva lo stesso voler tagliar in due dall'interno Alex, squarciare la sua carne e riplasmare dall'interno il suo corpo; il dolore era indescrivibile, pulsante e in costante crescendo, ma non aveva importanza. Dietro alle palpebre chiuse, una distesa scarlatta e vuota fremeva come un organo palpitante; aveva l'impressione di riuscire a percepire il battito e il respiro di entrambi fondersi in un'unico suono che vibrava attorno a lui e dentro di lui. Nonostante ciò, erano diversi: un battito era scalpitante di vita come un purosangue imbizzarrito, l'altro invece procedeva tramite degli stenti, simile a un cavallo zoppo e ormai troppo vecchio e menomato per permettersi certe prodezze.
Affondò una mano nei lunghi capelli corvini dell'uomo che tanto avrebbe voluto sposare e affiancare nella vita immortale da vampiro. Per un attimo i loro occhi si incrociarono e vide in quelli di Andrew la propria, identica sofferenza. Si sporse per baciarlo, come a volerlo rassicurare e dirgli che andava tutto bene, poi si ritrasse e serrò denti e occhi per l'ennesima spinta che gli tolse il fiato e gli fece girare la testa.
«Mio Dio» gemette, ma di nuovo il suo parve di più un singhiozzo, un lamento che non racchiudeva alcuna percezione del piacere. Sembrava molto di più qualcuno sottoposto a tortura, che un amante fra le braccia della propria metà in un attimo di passione. Fece vagare le proprie dita tremanti e talmente magre da risultare quasi ossute sulla schiena dell'amato, poi scese ancora e serrò la presa sui fianchi, su quei muscoli che sotto il suo tocco si contraevano e fremevano. Poi risalì ancora e stritolò la stoffa della camicia di Andrew che sembrò sul punto di cedere e strapparsi.
Il malessere, intanto, avanzava, dilagava nel suo corpo affaticato e scosso da un tremore incontrollabile; era come avere dentro una fornace, un incendio ormai fuori controllo e impossibile da estinguere. L'ultima volta che si era sentito così, Skyler gli aveva diagnosticato una grave infezione, la stessa che poi lo aveva non molto tempo dopo ucciso nel sonno.
Stava morendo per la seconda volta e quelli erano i risultati, ma stavolta era un'agonia che non avrebbe condiviso con nessuno. L'avrebbe sopportata in silenzio, senza lamentarsene, e tratto dalla sofferenza l'unico dono di nozze che a quel punto potesse fare all'uomo che amava. Non sarebbe stato un regalo materiale e nessun fiocco sarebbe stato mai tanto lungo e resistente da racchiudere una cosa come la vita nell'essenza più pura.
Il tuo corpo tornerà a essere caldo come una volta, te lo prometto, pensò, ricacciando indietro l'ennesimo gemito più simile a un lamento quando un'altra spinta lo colse alla sprovvista. «Andrew, amore!» Avvolse le braccia attorno al collo del fidanzato mentre quella danza in un certo senso sacrificale proseguiva. Talmente erano vicini da essere un tremante tutt'uno in quel sepolcrale e notturno silenzio.
La comunione dei loro spiriti, al momento, tanto era profonda, che gli parve di riuscire a percepire nell'uomo che stringeva a sé un senso di disagio, nonostante tutto. Andrew dava l'idea di voler solo accontentare lui, e di accumulare secondo dopo secondo sempre più reticenza e incertezza, forse persino paura. Paura di farlo a pezzi.
Basta soffrire per via delle sete di sangue. Basta farti convivere con questa eterna maledizione e con i tuoi sensi di colpa.
Ormai a malapena riusciva a capire se fossero i singhiozzi a impedirgli di respirare per bene, la probabile febbre o il magnifico e allo stesso tempo doloroso amplesso che stava vivendo.
Strinse di più a sé Andy e affondò il viso nell'incavo della sua spalla.
Non sarebbe mai dovuta finire così. Mai saresti dovuto morire. Non avresti mai dovuto soffrire fino a questo punto.
«Ti amo» esalò, cercando di far passare il pianto come semplice respiro affannoso dato dallo sforzo. «Ti amo così tanto!» La cosa peggiore era che Andrew stava piangendo a sua volta, senza riuscire però a mascherare il pianto.
Quello che mesi fa non sono riuscito a dirti, è che la reale ragione per cui non riesco a vivere è il ricordare costantemente la notte in cui sono rimasto a guardare mentre Arwin si cibava di te. Ti ho voltato le spalle e questo mai potrà essere perdonato, né da me né da te.
Ripercorse con la mano la sua schiena scivolosa al di sotto della camicia.
Merito solo di andare all'inferno e di bruciarvi in eterno, ed è lì che presto andrò. È lì che non potrai seguirmi, dove non voglio vederti neanche fra mille anni a venire.
Fra le parti in cui Grober si era frammentato, lui era con certezza quella più debole e priva di valore. Aveva capito qualcosa che gli altri invece ignoravano, tutti quanti: non sarebbe servito a niente sconfiggere Grober, perché ciò lo avrebbe soltanto reso il problema di qualcun altro. La questione andava risolta alla radice e l'uomo che Alex aveva visto annegare in eterno nella Fonte andava salvato e riportato a chi era in origine. Ciò significava che la Fonte, probabilmente, avrebbe richiesto che qualcun altro si facesse avanti per placare la sua fame insaziabile.
James gli aveva detto che con il metodo che intendeva usare, sarebbe riuscito a salvare tutti quanti. Non sapeva, però, che lui non sarebbe tornato dalla discesa nel Limbo personale di Grober, dalle viscere del Monte Arnak. Alex sapeva molto bene che quello sarebbe stato un viaggio di sola andata e che ad attenderlo avrebbe trovato un'eternità di patimenti, o forse un nulla irreversibile, ma sapeva anche che era giusto che qualcun altro finalmente prendesse il posto di Grober, il quale aveva sofferto abbastanza.
Il cuore di Alexander non era puro, si era macchiato di un crimine orribile e consegnandosi spontaneamente alla Fonte, l'avrebbe distrutta. Chi si sarebbe immolato spontaneamente a un simile destino, d'altronde?
Sentiva nelle ossa di essere l'unico tassello capace di far inceppare quegli ingranaggi infernali e farli esplodere.
Grober non voleva il suo corpo, ma la sua anima e per un unico motivo: la Scintilla che si credeva fosse andata perduta millenni prima. Ascoltando il racconto di Tredar, Alex aveva finalmente compreso cosa andava fatto. L'unico modo per restituire a quella divinità decaduta e sofferente la Scintilla e liberarlo per sempre dall'Oscurità, era sacrificarsi spontaneamente e portare alla distruzione l'anima che la racchiudeva, così che potesse tornare al vero proprietario.
Ecco perché Grober lo aveva chiamato ladro, ed ecco perché lui era sicuro che non ne sarebbe uscito vivo.
James era il custode di ciò che restava di Tredar e per questo aveva scelto a sua volta di rinunciare per sempre alla vita, terrena e non. Era il solo modo per far sì che la divinità facesse finalmente ritorno, com'era giusto che fosse. Tuttavia, sbagliava a pensare che la sola soluzione fosse abbattere Grober, sbagliava a sottovalutare il senso del dovere che ormai riecheggiava con prepotenza nel cuore di Alex.
Per lui era una questione di dovere, di mettere le cose a posto una volta per tutte. Era una di quelle rare volte in cui il nuovo avrebbe ceduto il passo all'antico, stravolgendo le regole della natura e del tempo. Non poteva lasciarsi sviare dal proprio egoismo e Valknut, contrariamente a quello che credeva James, per sua volontà sarebbe stato ceduto in custodia a Andrew. Non poteva permettere che qualcosa così potente e in certi ambiti utile andasse perduto, non sapendo che mentre lui sarebbe stato chissà dove per tentare l'impossibile, Grober avrebbe nel frattempo dato sfogo a tutto l'odio e il rancore accumulati nei millenni. Andrew andava protetto, perché sapeva che sarebbe stato fra gli obiettivi principali dell'orribile forza distruttrice della divinità Sverthiana. Grober avrebbe fatto di tutto per distruggerlo e lui non voleva che accadesse. Avrebbe cercato di eliminarlo perché presto avrebbe capito che in realtà era lui il solo e unico Portatore di Valknut, lui e nessun altro; Alex non era altro che uno specchietto per le allodole, una riproduzione distorta e fallace. Il vero Portatore era colui che aveva sconfitto la morte, simile a una fenice risorta dalle ceneri, e molto presto anche Andrew si sarebbe risollevato dalle proprie, rinascendo a nuova vita. Quella era la vera vittoria sulla morte, quella e nessun'altra.
Alexander strinse l'amato in un abbraccio quando questi, giacendo fra le sue braccia dopo il termine della loro unione carnale, diede sfogo nuovamente alle lacrime e iniziò a singhiozzare come un bambino, come se avesse già capito tutto e inteso che sarebbero stati separati e non ci sarebbe più stata una prossima volta, una prossima vita nella quale incontrarsi e poter stare assieme.
No, non ci sarebbe stata alcuna nuova possibilità. Quella era stata per loro l'ultima danza, l'ultimo incontro. Il ciclo infinito di nascita, morte e rinascita per uno di loro sarebbe volto al termine per sempre e Andrew, a quel punto, sarebbe stato finalmente libero, non più una pedina di coloro che li avevano entrambi preceduti.
«Non piangere» gli sussurrò Alex, passando le dita fra i suoi capelli nel tentativo di rincuorarlo e placare il suo pianto, quel dolore sordo e silenzioso che ambedue avvertivano nel profondo dell'animo. «Va tutto bene.»
Non era vero, ma vi erano volte in cui si era costretti a mentire per il bene della persona amata.
Rimasero in quel modo per un tempo indefinito, forse per mezz'ora, forse meno o magari di più, ma a un certo punto Andrew si scostò dall'amato e rimpianse per tante ragioni di averlo fatto.
Non subito lo fece. In un primo momento, stanco sia per il viaggio fatto fino ad allora, sia per il rapporto carnale appena terminato, si distese di nuovo accanto ad Alex, il quale intanto – a causa del freddo che non gli dava tregua e dei brividi fattisi più intensi che mai – si rannicchiò da un lato su se stesso, sperando che l'indomani mattina tutto sarebbe passato. I suoi occhi, per quanto stanchi e roventi a causa del pianto recente, non osarono staccarsi dal compagno e lo osservarono mentre si risistemava i vestiti e si ravviava indietro i capelli con un lungo sospiro.
Entrambi per la prima volta si sentivano spiacevolmente a disagio, come se fosse successo qualcosa di davvero sbagliato e non un evento di comune all'interno di una coppia.
Andy non riusciva a guardare in faccia la persona che più amava al mondo. Si sentiva quasi colpevole e si odiava per aver infine ceduto alle lusinghe della nostalgia e di un bisogno primordiale e animale, pur consapevole del fatto ormai evidente che Alex non fosse in forma smagliante e avrebbe necessitato di riposo, non di certo dell'ennesimo motivo per sentirsi uno straccio.
Non deve accadere ancora. Non finché non tornerà a stare bene e non saremo di nuovo a casa, al sicuro.
Si ripromise di mantenere da quel momento in poi il controllo assoluto sui propri istinti, per il bene di Alex.
Si girò a guardarlo e fu proprio allora, mentre lasciava vagare gli occhi affetti da una grande e insondabile malinconia nel realizzare quanto fosse deperito, che si accorse di qualcosa. Fu allora che vide il sangue, il modo in cui l'altro cercava di non dar a vedere il malessere fisico, il dolore ancora presente e più accentuato.
Si sentì quasi svenire a quella vista.
Che cosa aveva fatto? Com'era potuto succedere? Mai era accaduto le volte scorse, mai!
Tornò con prepotenza il senso di colpa, si maledisse in primo luogo per averlo svegliato e costretto a parlare di qualcosa che probabilmente aveva spinto infine Alex a dirottare la sua attenzione altrove, pur di evitare la faccenda.
Lui, troppo impegnato a soddisfare i propri capricci, non si era accorto di esser stato talmente indelicato da aver causato quello strazio.
Solo in quel momento vide che non smetteva di tremare come una foglia, anche da vestito. Le labbra che aveva baciato mezz'ora prima incolori e dischiuse esalare un respiro pesante e affaticato.
Gli si avvicinò. «Perché non mi hai detto niente? Avremmo smesso subito se tu...»
Alex scosse la testa. «T-Tranquillo, va bene così. Adesso passa.»
«Non va bene affatto!» sbottò Andrew, di nuovo sull'orlo delle lacrime. «Non sarebbe dovuto accadere, e lo sai benissimo!»
Gli pose una mano sulla fronte, per semplice impulso dettato dal voler assicurarsi che non avesse qualcosa, ma ritrasse immediatamente le dita quando registrò il gelo della sua pelle: più fredda del ghiaccio, di quella di un vampiro. Fredda e cerea come quella di un morto qualsiasi, non un morto che si nutriva di sangue e possedeva la tipica evanescenza dei vampiri.
Non aveva scelta. Doveva dirlo a Iago e a Rick, immediatamente. Magari loro avrebbero saputo cosa fare, perché lui al momento era incapace di ragionare a mente lucida.
Alex cercò di fermarlo, ma fallì miseramente e ricadde a terra, trattenendo per miracolo un penoso lamento. Chiuse con forza le palpebre, pregando che il dolore si placasse all'istante e il freddo smettesse di penetrargli fin nelle ossa.
Furono preghiere vane, tuttavia, e quando il mattino seguente arrivò il momento di partire, solo l'urgenza di salvare Kyran al più presto costrinse gli altri a prendere una decisione drastica, ossia di rimettersi in cammino malgrado uno di loro non fosse nelle condizioni di muoversi.
N.d.A.
Credo che a questo punto... sia chiaro a tutti quanti cos'abbia in mente di fare Alex. Lo farà davvero? Chi può saperlo.
Comunque, la scena "d'amore" a fine capitolo so che forse darà una sensazione strana addosso, forse di disagio, e se è così mi spiace ammettere che era proprio quello che volevo 🙈
Come si può vedere, Alex non sta bene né fisicamente né dal punto di vista psicologico e questo capitolo lo ha mostrato appieno. Però... devo dire che a farmi davvero una pena infinita è Andrew, ora come ora. Dico solo che saranno molte le occasioni in cui dovrà essere forte nonostante tutto. Detto ciò, il capitolo nuovo è già in stesura e massimo fra qualche giorno riuscirò forse a pubblicarlo! Alla prossima e ricordate: non è finita finché non sarà davvero finita 😉
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