Capitolo VIII. Io non ti merito
Musica consigliata: "Heart of the Forest" di Peter Gundry.
https://youtu.be/Bco_upzElkk
Quando Alexander riaprì gli occhi rimase molto sorpreso nel rendersi conto di non trovarsi più disteso su un manto di umide foglie, con il capo abbandonato su un tronco morto e Andrew seduto su di esso, a poca distanza e vigile; non c'era più lui con il suo viso evanescente illuminato dagli ultimi bracieri del fuoco che ardeva lì vicino, né tanto meno Iago e un esausto e addormentato Frederick.
Ma dove sono? — si chiese, rimettendosi su stancamente e guardandosi attorno.
Quella non era la foresta in cui si erano fermati per riposare, ma... una stanza qualsiasi, in una casa qualsiasi, o forse un appartamento.
I suoi polmoni inspirarono di colpo un dolce e delicato profumo trasportato da una piacevole e calda brezza estiva; le cicale frinivano fuori dalla portafinestra aperta, il balcone era illuminato dagli ultimi bagliori del tramonto, come se fosse cosparso d'oro.
Si avvicinò e osservò con un lieve e spontaneo sorriso i cespugli di rose che rigogliosi crescevano in grandi vasi di pietra ai lati del balcone: rosse e bianche.
Sono bellissime. Proprio come quelle che avrei voluto io.
Quel pensiero gli fece stringere lo stomaco e avvertì una sensazione sorda e pungente all'altezza del cuore, o forse molto più in profondità.
Non succederà mai.
Eppure si trovava lì, tutto era reale.
Forse... forse fino ad ora ho solo sognato, era solo un incubo.
Doveva per forza esserlo stato. Insomma, nella vita reale le cose non potevano andare fino a tal punto male!
Sì, magari era davvero solo un sogno!
Quel pensiero lo fece sorridere per il sollievo. Niente era mai successo! Niente di niente! Niente Grober, né apocalisse alle porte, né guerre né intrighi!
Era tutto vero: riusciva ad avvertire ogni sensazione in maniera fin troppo nitida perché potesse essere un sogno.
Non si accorse di un lieve suono in avvicinamento né di non essere più da solo, almeno finché qualcosa, o meglio qualcuno, non gli si aggrappò alle gambe e tirò un suo braccio per reclamare attenzione.
«Papy!» squittì una deliziosa e infantile voce.
Si voltò e per un attimo restò inebetito: perché non ricordava quella bambina?
Si inginocchiò di fronte a lei e continuò a fissarla, un po' stordito.
«Papy, che hai?» gli chiese la bimba, non doveva avere più di sette anni.
«Uh... io...» biascicò Alex. «S-Scusami, piccola, ma... non ricordo come ti chiami.»
Lei inclinò di lato la testa e lo squadrò stranita. «Eh? Ma sono Daisy, papy!» Sbuffò e pestò un piedino in terra, imbronciata.
Daisy?
«E... la mamma dov'è?»
«La mamma?» ripeté Daisy, accigliata. «Chi è la mamma?»
Non capisco... Se lei è Daisy, allora sono passati anni e anni e... a questo punto sono ancora sposato, o forse Fiona e io abbiamo divorziato, ma...
Qualcosa non gli tornava. Si sentiva strano. Gli girava quasi la testa e per tale ragione si portò una mano alla tempia e socchiuse gli occhi.
«Papy, stai bene?» chiese preoccupata la bambina, posandogli tutte e dieci le piccole dita su una spalla.
Un attimo dopo giunse correndo un ragazzino di poco più grande di Daisy. Diversamente da lei, che aveva una chioma corvina e inanellata e occhi scuri, lui era biondo e aveva due bei occhi color nocciola.
Alex fu sul punto di sentirsi male sul serio quando vide arrivare insieme al ragazzino...
Rimase a bocca aperta. «Andrew?» Sembrava avere sui trent'anni, massimo trentacinque; vestito in giacca e cravatta, col viso rasato e un aspetto che sbatteva in faccia a chiunque quanto fosse in salute, era più bello di quello che ricordava.
Soprattutto, però: era vivo, lo si capiva dal suo colorito, da tanti particolari.
Andrew gli sorrise di sbieco, ma con fare amorevole e sincero. Accennò ai ragazzini che si stavano contendendo le attenzioni del povero e sperduto Alex.
«Alla fine sono uscito prima dal tribunale e già che c'ero sono andato io a prendere le pesti. Tua madre è una vera radio, se ci si mette d'impegno. Inizio a capire da chi hai preso, sai?»
«M-Mia madre?»
Andrew si strinse nelle spalle e si allentò la cravatta. «Mi hai telefonato tu chiedendomi di passare a prendere i ragazzi. Ti sei persino alterato quando ti ho detto che forse non ce la facevo prima delle sette!»
«Ma... tu... voglio dire...» Alex non capiva. Perché non ricordava niente di niente, prima di quel sogno assurdo? Che avesse sbattuto la testa? Che fosse svenuto? Per questo si era risvegliato sul pavimento?
Scosse il capo, cercando di fare chiarezza nella sua mente che al momento era nel pieno caos.
Andrew, vedendo che qualcosa non andava, disse ai bambini di andare in salotto e accordò loro il permesso di guardare la televisione.
Si avvicinò ad Alex e lo aiutò a tornare su. «Ehi, che cos'hai?» gli chiese, preoccupato.
L'altro era sul punto di piangere, perché tutto gli sembrava in un certo senso assurdo e sbagliato.
O forse era lui a sentirsi tale?
Gesticolò, cercando di spiegarsi: «I-Io... non lo so, davvero. Mi sono risvegliato sul pavimento e... per qualche ragione non ricordo niente! Non ricordo Daisy o...».
Andrew si accigliò e posò una mano sulla sua fronte. «Non hai la febbre» disse tra sé. «Probabilmente hai avuto un mancamento.» La sua espressione si incupì e rattristò, poi ad essa seguì un sospiro. «Non dovresti lavorare, te l'ho detto. Stai facendo la terapia e ti ostini a continuare a scrivere. Ah, Gesù! Se prendo il tuo editore, giuro che...»
«Il mio... il mio cosa? Terapia?» Alex era sconvolto.
«Be'... certo» replicò l'altro, esitante. «So che non ti piace parlarne, neanche a me piace, d'altronde. Diventa sempre più difficile nascondere tutto quanto ai ragazzi.» Fece una pausa. «Però sono sicuro che il tumore guarirà. Il medico ha detto che stai rispondendo positivamente alla terapia, no? Ce la faremo.»
Non può essere.
Alex cercò di stare calmo, ma come poteva farlo in una situazione del genere?
«Cosa... cosa sto scrivendo?» chiese, cercando di calarsi in quei panni che per qualche motivo continuava a non sentire come suoi.
Andrew abbozzò un sorriso. «Il seguito del tuo romanzo. Roba sui vampiri e simili! Sei stato un genio a ricamare sopra la storia di Hanging Creek! Non so come ti siano venute tutte quelle idee!»
Vampiri...
«Ma... ma tu sei un vampiro!» disse, rievocando quella verità da qualche anfratto della mente.
Il suo compagno lo fissò stranito, poi: «Grazie tante! Lo so che gli avvocati non hanno una fama immacolata, ma addirittura un vampiro...!».
«Andrew, ti prego, ascoltami!» Alex tremava, era confuso, si sentiva sull'orlo di una crisi di panico.
L'altro gli cinse le spalle con le mani, cercando di rassicurarlo. «Lexie, respira» gli disse a bassa voce. «Fai come ti ho insegnato, su.»
Non sembrava la prima volta, quella, a quanto pareva.
«Io... non mi sento molto bene» esalò Alexander, ormai sul punto di piangere. «M-Mi dispiace, non...»
«Va tutto bene» lo tranquillizzò Andrew, baciandogli la fronte. «Ti vuoi stendere un po'? Se vuoi chiedo qualche giorno al lavoro, così posso starti vicino e aiutarti in casa. Dovresti riposare, non pulire, cucinare e badare da solo ai bambini tutto il santo giorno.»
Si sentiva chiaramente in colpa.
«Sono proprio un egoista. Penso solo a lavorare, mentre tu stai male e intanto ti tocca star dietro a tutto il resto.» Sospirò. «Vieni, dai. Penso io alla cena, anche se hai detto che cucino da far pietà!»
Alex era troppo scosso ed esausto per protestare o far capire a Andrew che qualcosa veramente non andava.
Si lasciò accompagnare in camera da letto, arredata in modo grazioso e ordinato, poi si distese con l'aiuto di Andrew sulle lenzuola a motivi floreali.
Lanciò una breve occhiata su uno dei comodini e trattenne il fiato vedendo la fotografia che vi era adagiata sopra: lui e Andrew sorridenti; lui vestito di bianco, quello che scoprì essere suo marito invece era vestito di scuro, con una rosa bianca riposta con cura nel taschino. Era stupendo, più giovane di qualche anno e guardava lui con l'amore negli occhi, come se fosse la cosa più importante nell'universo.
Possibile avesse dimenticato il giorno del loro matrimonio?
«Mi sembra solo ieri, lo sai?» Andrew lo riportò al presente, con un sorriso dolce sulle labbra. «Quando ti ho chiesto di sposarmi sei andato in brodo di giuggiole! Saltellavi come un folletto qui e là, è stato un miracolo se i vicini del piano di sotto non ci hanno buttati fuori!»
Con una stretta al cuore, Alex volle fare un'altra prova: «Riguardo lo scherzo di anni fa...».
«Amore, abbiamo detto di non parlarne più» disse subito suo marito. «Voglio dire... ti ho perdonato e anche se all'inizio sembrava un disastro, poi siamo tornati insieme. Smettila di guardarti indietro, io non l'ho mai fatto, perciò non farlo neanche tu, non ce n'è bisogno.»
Lex deglutì a vuoto. «S-Senti... puoi ricordarmi cosa è successo? Non ricordo più molto bene, forse è la terapia.»
«Alex...»
«Ti prego.»
Andrew non sembrava molto felice di rievocare tutto quanto, ma non pareva di volontà abbastanza salda per rifiutare. «Be'... se mi guardi con quegli occhioni spalancati...!» Si accomodò meglio accanto a lui. «Come sicuramente ricorderai... trovai il tuo cellulare incustodito e feci l'errore di curiosarvi. C'erano quei messaggi, il gruppo, poi... poi tu tornasti e allora discutemmo. In realtà fui io a fare una scenata, tu invece ti limitasti a subire. Dalla tua espressione era chiaro che fossi convinto di meritare ogni insulto. Ci siamo persi di vista per un paio di anni, finché...»
Alex sussultò quando lo udì ricacciare indietro un singhiozzo.
«U-Una sera stavo per rientrare a casa, quando mi arrivò una chiamata da parte tua. Lo ammetto: non volevo rispondere, non ci sentivamo da due anni e poi ecco che di colpo ti rifacevi vivo, ma alla fine risposi e...» L'uomo si asciugò le guance velocemente. «Piangevi, non riuscivi quasi a parlare. Mi sentii male sapendoti in quello stato. È stato allora che scoprii quel che stavi passando: eri fidanzato con quel bastardo che ti picchiava e... e abusava di te, almeno le volte in cui non si ubriacava o drogava. Tu alla fine non ce la facesti più e mi chiamasti. Non so perché telefonasti proprio a me, ringrazio però ogni giorno che tu lo abbia fatto. Dio solo sa cosa sarebbe successo, se le cose fossero andate diversamente.»
Era chiaro che ricordare quelle cose gli faceva davvero male.
«Non volevi che ti salvassi o roba simile, volevi... volevi solo parlarmi. Poi a un certo punto dicesti una cosa che mi mise in allarme, era come se mi stessi dicendo addio. Dicesti che volevi risentire la mia voce un'ultima volta.»
Il cuore di Alex sprofondò nel sapere tutto quanto e nel vedere il marito piangere come un bambino. Nonostante tutto non ebbe la forza di non far niente e lo abbracciò.
«Sapevo che eri a Miami, avevi seguito tuo padre e James fin laggiù e ci eri rimasto. Ogni tanto parlavo con Brian e, come sai, non resistevo e gli chiedevo come stavi, eccetera. Appena potei partii subito, ma non eri in casa. Mi recai allora da tuo padre proprio quando lui stava scendendo dalla macchina insieme a James. Era distrutto e venni a sapere che tu... tu avevi cercato di...»
Cercai di uccidermi? Come ho fatto a dimenticare una cosa del genere?
«Mi dispiace» mormorò Alex, sentendosi in colpa, responsabile del dolore che stava provando Andrew. «Non dirmi più niente. Ricordo tutto il resto, tranquillo.» Non era vero, ma non avrebbe retto a vederlo in quello stato ancora per molto.
Anche se Andrew sembrava diverso, quasi alieno in un certo senso, restava sempre chi era, l'amore che Alex provava per lui era reale, lo era l'uomo che stava abbracciando, il calore del suo corpo che percepiva attraverso il completo leggero ed elegante.
Si sporse e lo baciò sulle labbra. «Adesso sono qui. Siamo qui, tutti e due. Io, te e i bambini.»
Suo marito annuì più volte e fece un bel respiro, guardandolo. «Lexie, devi... devi giurarmi che ce la metterai tutta per sconfiggere quel mostro. Non permettergli di portarti via da me, dai nostri figli. Abbiamo bisogno di te e io... io sento che non riuscirei a vivere senza più te al mio fianco.» Gli accarezzò le guance. «Sei la cosa più importante che ci sia per me. Senza di te il mio mondo sarebbe grigio e insignificante.»
Forse è colpa del cancro. Per questo non ricordo quasi niente.
Alex gli accarezzò il torace, così atletico e forte, uguale a com'era nel suo sogno, o forse era più un incubo.
Era tutto reale, lo era l'uomo di fronte a lui che gli cingeva i fianchi in un abbraccio.
«Ti amo, Andrew» disse sincero. «Comunque andranno le cose, ricorda che ti amo.»
Si strinsero l'uno all'altro e Lex si sentì meglio grazie alla sua vicinanza.
«Mi sei mancato tanto» sussurrò, inspirando il suo profumo, una fragranza puramente maschile, in armonia col suo aspetto elegante e professionale. «Per fortuna era tutto solo un brutto incubo.»
Andrew si scostò leggermente. «Di che incubo si trattava?» domandò incuriosito.
«Ah, lascia perdere!» scherzò Alexander. «Probabilmente è colpa di quello che scrivo!»
«Oh, be', fatto sta che a un bel po' di gente piace quello che scrivi!» rise Andrew. «E io... io sono fiero di te, Alex. Di quello che abbiamo costruito insieme, di tutto quanto. Alla fine abbiamo realizzato i sogni che avevamo da ragazzi e la realtà è meglio di tutto quello che avremmo mai potuto immaginare.»
«Mi dispiace averti fatto soffrire» disse poi Alex. «Sono stato uno stupido.»
«Più stupido di quando ti sei ubriacato e hai iniziato a ballare contro un palo della luce come se fossi un ballerino di lap dance? Oh, se lo ricordo! Stavo per chiamare il manicomio! Capisco che eri felice per via della proposta di matrimonio, ma a tutto c'è un limite!»
Alex avvampò. «Oh, Dio. D-Davvero l'ho fatto?»
«Eccome!» Andrew rise di gusto. «Poi hai iniziato a spogliarti sul marciapiede, come uno spogliarellista.»
Lex si coprì il viso, come a voler sparire. «Ti prego, non dire più niente!»
«Mi limito a concludere dicendo che volevi fare sesso nel vicolo poco più in là.»
Alexander lo spintonò. «Come se tu non avessi mai fatto niente di imbarazzante!» si lagnò.
«Non fino a questo punto!»
«Che stronzo» borbottò Alex, un po' offeso. «E pensare che ti ho persino sposato! Ad averlo saputo prima, mi sarei trovato un sosia di Jason Momoa e me ne sarei andato ai Caraibi!»
Andrew gli rivolse un'occhiata sorniona, poi lo spinse per gioco sul materasso e gli trattenne i polsi, guardandolo negli occhi.
«Francamente, anima mia, sono molto meglio io.»
Lo baciò a tradimento e Alex lo lasciò fare, avido di riassaporare i suoi baci, tali e quali a quelli che aveva sognato fino a un'ora prima. «Ci sono i bambini» biascicò.
«Faremo piano, allora.» Andrew tornò a baciarlo e Lex, già inebriato, non resisté alle attenzioni del marito. Si lasciò stuzzicare e sedurre, poi spogliare; con mani tremanti privò il compagno della giacca, poi della camicia; quando Andrew gli diede man forte, si decise a passare nel frattempo ai suoi pantaloni: li slacciò, gli ci vollero due tentativi per farlo, talmente era impaziente e desideroso di lui, del suo corpo, del suo amore.
«Ti amo» disse rauco Andrew, baciandogli il torace, poi il plesso solare, l'interno delle cosce, l'inguine.
Alex mugolò, deliziato dalle sue focose premure. Si morse il labbro inferiore e trattenne un gemito quasi violento. «A-Andrew, amore...!»
Serrò le dita sui suoi capelli, incapace di respirare; si contorse ad ogni sollecitazione della sua bocca esperta e audace.
Il resto fu meglio di qualsiasi altra esperienza che avevano condiviso insieme: suo marito fu dolce, ma passionale; fu premuroso, gli concesse del tempo per abituarsi, condusse la danza fino all'apice, quando si strinsero l'uno all'altro e soffocarono a stento le grida di piacere.
Appena ebbero recuperato un po' di respiro, suo marito coprì il suo corpo con le lenzuola e a malincuore dovette rivestirsi, anche se era non poco intorpidito per via dell'amplesso.
Lo baciò. «Ogni tanto tornerò da te. Intanto preparo la cena. Vuoi che te la porti qui?»
Alex scosse la testa e lo guardò con amore. «No, tranquillo. Non voglio perdere neanche un istante di questa vita. Ogni minuto per me è prezioso.»
Drew gli sorrise dolcemente. «Lo dici sempre, e hai ragione.»
Si baciarono un'ultima volta, poi Lex lo guardò uscire dalla camera.
Si accoccolò sotto le coperte, senza smettere di sorridere trasognato.
E dire che per un momento, uno soltanto, aveva iniziato a credere che i suoi incubi fossero reali. Invece non lo erano, quella era la sua vera vita e... Dio, la amava e avrebbe fatto di tutto per sopravvivere e vedere i propri figli crescere, per invecchiare accanto a Andrew e tanto altro ancora.
La porta si riaprì e lui sbuffò una risata. «Hai dimenticato qualcosa?» chiese, poi però vide che non si trattava del marito.
Fuori dalla camera era tutto buio, tenebre impenetrabili e inquietanti.
Nella penombra vide rilucere due occhi di un pungente color oro, simili a lucciole nella notte.
Deglutì e lentamente si tirò su, quanto bastava per capire chi fosse quell'individuo.
«Ma che...»
Lo vide avanzare: pelle bianca, quasi cadaverica; capelli corvini e lunghi tirati indietro e lasciati liberi sulle spalle; occhi dalle sclere completamente nere, eccezion fatta per quelle iridi dorate e lampeggianti; indossava abiti scuri e i suoi passi non facevano il minimo rumore.
Quello che lo sconvolse, però, fu scoprire che era uguale a lui.
Lo erano il suo viso, la corporatura, tutto quanto, o quasi.
«C-Chi sei?» chiese Alex, tremando. «Dove... dove sono i miei figli? E mio marito?»
L'uomo, se tale si poteva definire, si fermò di fronte al suo letto e inclinò il capo da una parte. «Come dici, prego?»
Persino la voce era come la sua, ma aveva qualcosa di diverso; forse era l'inflessione, il modo di parlare e porsi!
Alex ripeté e allora lo sconosciuto sorrise di sbieco, in maniera poco rassicurante.
Schioccò la lingua in segno di disapprovazione e si sedé sul bordo del letto, così vicino che Alex percepiva il suo freddo respiro.
«Davvero non hai ancora capito?» gli domandò. «Eppure sei così intelligente!»
«C-Cosa dovrei aver capito?»
«Oh, cielo!» esclamò l'altro, con teatrale dispiacere. «Che situazione imbarazzante!»
«Perché?»
Il suo doppio per così dire demoniaco non disse niente e, sollevata una mano sulle cui dita vi erano tre anelli e unghie a mandorla curate, ma dal colore nero e lucido, gli sfiorò il viso con fare fintamente dolce. «Perché non era reale, Alex.» Gli si rivolse come se avesse a che fare con un bambino stupido. «Io però lo sono. Sono qui dentro.» Fece scivolare la mano sul suo collo, poi sul petto e lì la fermò. «Come tu sei qua dentro.» Mise l'altra mano sul proprio torace.
Alex sentì il panico tornare. «N-No... non è vero! Tu... tu sei solo un'allucinazione! Adesso tornerà tutto come prima!»
«No, Alex. Non accadrà.»
«Invece sì!»
Il suo doppio scosse la testa e pose le dita ai lati del suo capo. «Shh. Tranquillo, adesso. Va tutto bene.»
Suo malgrado, nonostante fosse spaventato, Alexander si sentì stranamente meglio, rassicurato, il tocco di quella creatura era familiare; in realtà, ragionò, era come se stesse confortando se stesso.
Come se le mani del suo alter ego fossero di entrambi, una cosa sola.
Percepiva finalmente quel legame invisibile, era chiaro come il sole.
Guardò in quegli occhi neri dove splendevano quei due soli dorati e sinistri, come un cielo oscurato da un'eclissi.
Non disse niente.
L'altro sorrise, fu un vero sorriso il suo, stavolta. «Lo senti anche tu, vero? Sai che ci apparteniamo, dentro di te lo sai.» Gli scostò i capelli dalla fronte. «Tra non molto torneremo ad essere uniti, non temere. Il tuo corpo sarà il mio corpo, le nostre voci un unico suono. Troppo a lungo siamo rimasti separati.»
Fece una pausa.
«Ti strapparono da me e portarono lontano, dicevano di voler salvare il bene che restava dentro di me. L'ultima volta che ti ho visto eri una piccola e fragile creatura, la parte di me rimasta intatta nonostante tutto. Io sono te e tu sei me, eppure allo stesso tempo siamo come padre e figlio. Ora, però, è tempo che tu torni qui dentro.»
Si sfiorò il petto, forse l'anima stessa.
«Troppo a lungo hai vagato nelle ere, fragile, solo e destinato al dolore. Presto, però, potrò di nuovo proteggerti, potrai tornare a riposare, al sicuro e lontano da tutto quanto.»
Le mani affusolate e da musicista tremarono, le dita sottili e pallide ebbero più di un sussulto. «So che non è giusto, so che avresti voluto un destino diverso per te stesso, ma io ti ho concesso di vivere più di una vita, di conoscere l'amore e il dolore, la gioia e la tristezza, il calore di una famiglia, l'orgoglio di una prole. Ti ho fatto conoscere la vita senza che tu dovessi dipendere da me, ma ora è tempo che tu torni a casa, che tu torni a dormire.»
Sembrava quasi sul punto di piangere.
«Il mio cuore tornerà ad essere la tua culla. Deve essere così, lo capisci? Ho bisogno di te, che tu torni qua dentro. Voglio tornare a vivere interamente, a provare emozioni reali, avere un corpo vero. Se solo non mi avessero privato del mio, ti avrei lasciato stare, ma sono stato tradito. Tu mi devi questa vita, Alex. Se sono stato troppo perfido e insistente chiedo scusa, ma non puoi immaginare quanto sia terribile non essere altro che un'ombra.»
Alex piangeva, ma dentro, nel profondo, percepiva il dolore anche di Grober. Era lui, lo sapeva, quello era il suo reale aspetto. Lo percepiva e comprendeva.
Non sapeva cosa dire, però.
Non voleva morire. Avrebbe solo voluto vivere al fianco di coloro che amava, solo questo.
Ciononostante, non oppose resistenza quando Grober lo cinse con le braccia e lo trasse a sé. In quel sogno, sempre che fosse tale, era palpabile, una presenza materiale, riusciva a sentire quel torace a ridosso del suo; quelle dita quasi simili a ragni, sottili e leggere che scivolavano sulla sua mascella, poi sul collo e invitavano quest'ultimo a inclinarsi lateralmente.
Si sentiva come una bambola di pezza, inanimato e privo di volontà, mansueto come un agnello.
Il gelido respiro di Grober solleticava la sua pelle; percepì le sue labbra sfiorarlo, assaporarlo.
Poi... poi un dolore pungente e da mozzare il fiato irruppe in quella sonnacchiosa calma.
Alex si agitò come un uccellino tra le spire di un serpente che lo stava soffocando; si divincolò, ma la presa di Grober era salda, ferrea, i suoi canini appuntiti e taglienti come rasoi lo tenevano inchiodato nella paura e nella confusione.
Alexander si lamentò debolmente, in maniera stridula, simile a un impotente topo che poteva solo squittire tra le fauci del gatto.
«T-Ti prego, no» singhiozzò. «N-No... per favore, no...!»
Serrò le dita deboli e tremanti sulla sua spalla, lo pregò sottovoce di non proseguire, di non bere il suo sangue.
Non era pronto ad andarsene. Non ancora, non così!
I canini si ritrassero e il suo alter ego si scostò quanto bastava per guardarlo in faccia. L'espressione era cupa, ma anche consapevole. Le labbra erano macchiate di cremisi.
Trattenne un sospiro. «È vero. Non sei ancora pronto.» Lo lasciò andare. «Prima o poi, però, dovrà accadere, e lo sai.»
Alex vide che stava per andare via e lo fermò. «Davvero niente di quello che ho visto era reale?»
Non voleva tornare all'altra vita, dove aveva sofferto e continuava a soffrire, a far soffrire gli altri, specialmente Andrew.
Oh, Andrew!
In quel sogno a occhi aperti lo aveva visto come l'uomo che sarebbe potuto diventare se le cose fossero andate diversamente. C'era stato dolore, ma anche gioia, soddisfazione, traguardi raggiunti e superati.
Grober tacque, finché: «No, era vero. Ti ho concesso soltanto di visitare una delle tante realtà alternative. Ti ho concesso di vivere per un po' la vita che avresti voluto, che tu e Andrew non avrete mai qui. Volevo sapessi che anche se in questa realtà le cose sono andate così, non vuol dire che altrove tutto debba andare storto. Credevo sarebbe stato più facile per te arrenderti, ma mi sbagliavo».
Alex si sentì sprofondare. Non che non avesse ormai capito che il lieto fine per lui e Andrew fosse impossibile da ottenere, ma lo stesso...
«Quindi... Quindi io e lui...»
Grober sembrava davvero dispiaciuto, quasi umano. «Se vuoi evitare che il peggio accada, sai cosa fare. Hai visto ogni cosa, sai come andrà a finire se non prenderai una decisione. Sai di avere un debito da saldare, Alexander, e sai che in un modo o nell'altro ti avrò di nuovo con me e torneremo ad essere una sola entità. Se sceglierai la strada giusta, hai la mia parola che ricambierò la cortesia.»
Gli tese una mano, con essa voleva sancire un vero e proprio patto con il Diavolo.
Alex, però, sentiva di star sbagliando tutto.
«Se... se ti lascerò prendere il mio corpo, tu distruggerai tutto.»
Grober si incupì di nuovo. «Non sono stato io a decidere e voglio che tu torni da me per aiutarmi. Se vuoi salvare tutti quanti, questo è il sentiero che sei costretto a percorrere. C'è solo una via, Alex, solamente una. Chiunque ti abbia detto che ve ne sono altre, ti ha solo mentito e ha peccato di ottimismo.»
«Ma tu vuoi uccidere le persone che amo! Vuoi distruggere il mio mondo!» sbottò in lacrime Alex. «Non posso lasciartelo fare! Non te lo permetterò! Riuscirò a cambiare il destino!»
Grober sospirò e si chinò in avanti, guardandolo negli occhi. «Se vuoi capire le mie ragioni, comprendere ogni cosa fino all'ultima e soprattutto il futuro, allora c'è un segreto che giace nelle ere passate: è sepolto nelle Terre dell'Ombra e tu, solo tu, hai il potere di riesumarlo e fare buon uso delle sue spoglie. Quando lo avrai fatto io sarò qui, ad aspettarti.»
Gli posò le mani sulle spalle, un gesto che sembrò quasi gentile. «Io ti sto chiedendo di aiutarmi, Alex. Aiutami, ti prego. Se non lo farai tu, nessun altro potrà.» Chinò la testa, quasi schiacciato da emozioni che Alex riusciva vagamente a percepire. Erano opprimenti, soffocanti. «Salvaci entrambi» sussurrò infine il suo alter ego, stremato. «Solo così potrai salvare gli altri.»
Il buio calò su entrambi, poi Alex si sentì spinto indietro, risucchiato via. Fu solo allora che riaprì davvero gli occhi e capì di essersi svegliato, di non trovarsi più in un sogno, ma nella realtà.
Era ancora buio, il fuoco però ormai era spento.
Faceva così freddo!
Cercò di riguadagnare un po' di respiro, ma non era semplice. Un tocco lieve, ma lo stesso imprevisto, lo distolse dall'angoscia.
Sussultò e si girò, guardò in alto, incontrando il viso preoccupato di Andrew.
Non poté far a meno di scattare su e cingerglielo con le mani tremanti, per accettarsi che fosse reale e non il frutto di un sogno.
«Sei... sei qui, vero? Sei davvero qui?» gli chiese trafelato, ignorando i tentativi dell'altro di farlo calmare. «Sì... sì, sei reale. Sei reale!»
Alex scoppiò a piangere, senza riuscire a trattenersi, e lo abbracciò forte.
Malgrado le liti che c'erano state ultimamente, malgrado ogni cosa, solo in quel momento capì che quello era il solo e unico Andrew che avrebbe sempre continuato ad amare.
Nonostante l'altro fosse amorevole, premuroso, non era in sintonia con lui, con ciò che era diventato lui. Non gli apparteneva veramente.
«Lex, così mi strozzi!» si lamentò il vero Andrew, il quale era confuso e allo stesso tempo commosso. «Come mai sei così espansivo, di colpo?»
«Sta' un po' zitto!» singhiozzò l'altro, stringendolo ancora e finendo per far perdere l'equilibrio al fidanzato, il quale ricadde all'indietro e trascinò, dunque, anche lui a terra.
Forse per semplice sfogo, forse no, Alex scoppiò a ridere, ma non accennò a lasciar andare il fidanzato.
Andy rinunciò a protestare e sospirò. «Non so cosa ti sia preso, ma...»
«Niente.» Lexie si scostò per guardarlo e gli sorrise, lo fece per davvero, dopo tanto tempo che pareva aver dimenticato come farlo. Guardò Andrew con attenzione, come se fosse la prima volta che lo vedeva. Sì, era quello l'uomo che amava. Lui e lui soltanto. «Assolutamente niente, cuore mio» rispose commosso, sfiorandogli il volto con le nocche.
Collins sospirò e gli scostò i lunghi capelli dal collo e dal viso, fermando le dita su di una sua guancia. «Mentre dormivi ti agitavi parecchio. Un altro incubo?»
Non posso dirgli la verità — realizzò Woomingan.
«Credo di sì, ma non ricordo cosa, come o perché. Adesso sono sveglio, conta solo questo.»
«Alex, per favore, non prendermi in giro» lo apostrofò duramente Andrew. «Sono il tuo Creatore, ricordi? Certe cose le percepisco: sento che non sei tranquillo, che non stai bene. Abbi rispetto per questo e tanto altro, ti prego.»
Il sorriso dell'altro vacillò. «Non devi preoccuparti per me.»
«Come posso non farlo?» Andrew, in un modo o nell'altro, si tirò parzialmente su, sostenendosi con le mani sul terreno. «Sei la persona più importante nella mia vita. Sei il mio fidanzato, ti ho chiesto di sposarmi e non l'ho fatto perché non avevo di meglio da fare quella volta e questo, Alex, te l'ho già detto una volta. Te lo ripeterò, perché voglio ti entri in testa finalmente: ti ho chiesto di sposarmi perché ti amo e voglio renderti felice, ma non posso se tu continuerai a non permettermelo e a rifiutare il mio aiuto! Sto cercando di salvarti! Possibile tu non riesca a capirlo?»
L'euforia si spense nel cuore di Alex, il quale tornò a sentirsi oppresso da quella situazione. «Forse dovresti semplicemente lasciarmi andare» disse, prima ancora di rendersi conto di cosa significassero tali parole. Ormai, però, era tardi per rimangiarsi tutto.
Andrew rimase interdetto. «Cosa?» Sapeva di aver sentito bene, purtroppo. L'udito di un vampiro raramente faceva difetto.
Alexander gesticolò, cercando di parlare e di spiegarsi: «Hai... Hai mai pensato che forse sono io a impedirti di essere felice? Voglio dire: se tu avessi scelto qualcun altro, magari ora non saresti qui a soffrire per colpa mia; magari nella tua vita ci sarebbe gioia e tu, soprattutto, saresti al sicuro. Forse la verità è che non potrò mai renderti felice come pensavo di poter fare. Ti sto solo facendo del male e trattenendo, incapace di lasciarti andare».
Dall'espressione di Collins, era chiaro che quel discorso lo avesse ferito, in un certo senso. «M-Ma cosa stai dicendo?» balbettò il vampiro dagli occhi verdi, sperando che stesse solo scherzando.
«I-Io non posso essere salvato, Andrew. Lo capisci questo? È tutto inutile, dentro di me so che è così.» Alex non riuscì a trattenere le lacrime. Doveva dirglielo, doveva almeno metterlo in guardia. «Prima di partire per venire qui, ho.. ho avuto un'altra visione.»
Andrew non disse niente, troppo sconvolto per pronunciare una sola sillaba.
«Riguardava te, Andrew. Tu... tu stavi morendo e io, in quella visione di un futuro che so che si avvererà, non sono riuscito a impedire che accadesse, né a salvarti. In quell'incubo, in quella profezia, tu sei morto fra le mie braccia. Ho visto i tuoi occhi spegnersi e il mio mondo crollare su se stesso come un sipario di cartapesta. L'ho visto e l'ultima cosa che desidero è metterti in pericolo, più di quanto già non abbia fatto in passato e negli ultimi tempi.»
Si asciugò le guance, ma servì a poco. Piangeva e non riusciva a fermarsi.
«Non voglio che succeda di nuovo. Non devi morire una seconda volta per colpa mia! Lo capisci? Ti prego, cerca di farlo! Cerca di metterti nei miei panni!»
Andrew gli afferrò le spalle. «Alex, io non morirò! Skyler è riuscito a salvarsi, anche quando sembrava che la tua visione si stesse per avverare! Accadrà ancora! Ne usciremo vivi tutti e due, credimi!»
Alex, però, sapeva che sarebbe successo. Se lo sentiva nelle ossa, eppure sapeva anche di poter piegare la sorte, di fare in modo che la storia prendesse un corso differente. Sapeva di doverlo fare per tutti quanti, ma soprattutto per Andrew, l'uomo che amava e da cui era amato senza neppure meritarlo. Un altro, dopo quel che era successo anni e anni prima, lo avrebbe abbandonato a se stesso da un bel po', non riaccolto fra le braccia. Andrew era troppo buono, sempre lo era stato con lui, e quelli erano i disastrosi risultati di tanta benevolenza.
Una voce dentro di lui gli ricordò ancora una volta, però, una regola fondamentale: la morte esigeva comunque una vita, sempre. Per un'anima che le veniva sottratta, un'altra andava rimpiazzata e le anime non erano tutte uguali. Era stato James a spiegargli che ognuna di esse aveva un valore ben preciso, alcune ne possedevano uno immensamente superiore a quello delle altre.
Forse la risposta alla domanda la conosco già e non sarebbe poi così ingiusto. In fin dei conti gli devo un regolamento di conti da quasi quattordici anni. In questo modo riuscirei finalmente a saldarlo e allo stesso tempo a salvarlo da tutta questa miseria. Se ciò che ho visto dovrà compirsi, che si compia secondo la mia di volontà e non quella del caso. Andrew sarà salvo, in un modo o nell'altro lo sarà.
Andrew deglutì a vuoto. «Dimmi come dovrà accadere. Magari riuscirò a...»
«Non posso rivelarti il futuro, Andrew.» Alex fu categorico nel negargli uno sguardo a quell'infausto avvenire.
Nemmeno volendo avrebbe potuto spiattellargli tutto quanto. Poteva fornire solo alcuni stralci, un abbozzo, ma non ogni cosa nei minimi dettagli, e la sua volontà c'entrava davvero poco: ci aveva già provato con Skyler e, semplicemente, qualcosa gli aveva impedito di parlare, di aggiungere altro. Era stato messo a tacere perché non era permesso far conoscere al prossimo avvenimenti futuri: andava contro le regole e le leggi che reggevano l'intero universo, o roba simile. Sophie gli aveva detto che quella veniva chiamata Maledizione di Cassandra: il non venire ascoltati, nonostante i Sibillini cercassero sempre di mettere in guardia il prossimo; il non poter più rivelare niente nei particolari, invece, era una legge stabilita per tutelare il libero arbitrio, legge protetta da magie arcane e potenti, da incantesimi infrangibili che apponevano le rispettive regole con severità.
Non era poi tanto insensato: se tutti di colpo fossero venuti a conoscenza del proprio futuro, nessuno sarebbe stato più libero di scegliere, sapendo che tutto era stato già deciso e scritto, e in ogni caso a ben pochi eletti era concesso di sapere ogni cosa e l'essere umano, i mortali in generale, ma anche i sovrannaturali, erano indegni di un simile e oneroso privilegio. In fin dei conti, c'era anche da considerare che il futuro poteva sempre esser piegato poiché a determinarlo erano soprattutto le scelte di una persona, sempre e comunque. Le visioni dei Sibillini erano una traccia, non un percorso prestabilito; un avvertimento che però raramente veniva preso in seria considerazione.
Andrew poteva essere salvato, ma quella scelta avrebbe appunto comportato un prezzo, una conseguenza. C'era sempre un risvolto della medaglia, niente era mai tutto bianco o tutto nero. Il vero colore del mondo e della realtà stessa, era il grigio in tutte le sue sfaccettature.
Alex si rimise in piedi ed esitò a lungo prima di compiere lui una scelta, tanto dolorosa quanto necessaria e, molto probabilmente, persino giusta e lecita: ricacciò indietro le lacrime e con la mano che tremava, si sfilò l'anello di fidanzamento dall'anulare sinistro e lo mise sul palmo di Andrew, facendogli richiudere il pugno. Non lo guardò negli occhi, sapeva che vi avrebbe visto il dolore, la delusione e tanto altro ancora, e non aveva anche la forza necessaria a sopportare una tale vista.
«Un giorno lo farai indossare a qualcuno che meriti l'onore di stare accanto a un uomo meraviglioso come te» disse, sincero. «Io non sono quella persona, Andrew. Non merito questa felicità. Ti porterò solo alla rovina.»
Lo sentì comunque piangere, un suono straziante che mai avrebbe voluto udire ancora.
Un giorno qualcuno arriverà a cancellare tutto il dolore che ti ho causato.
Avrebbe voluto avvicinarsi e stringerlo forte, dirgli che lo amava e lo stava facendo solo per salvargli la vita, per dargli la forza di allontanarsi finché era ancora in tempo, ma sapeva che Andrew non avrebbe capito. Forse perché non c'era niente da capire ed era lui a vaneggiare, o magari, semplicemente, non sempre si poteva venir compresi.
Quando fu sul punto di voltarsi e allontanarsi, convinto che Andrew non lo volesse attorno dopo quanto accaduto, Collins scattò su come un pupazzo a molla e lo raggiunse, poi lo fece voltare. Sembrava arrabbiato, come da ormai molto tempo Alex non lo vedeva più.
Alexander cacciò via l'impulso di arretrare, ma quegli occhi verdi che lampeggiavano d'ira lo atterrivano e gli facevano credere che di lì a poco, forse, avrebbe a malincuore dovuto veder riemergere il lato peggiore di Andrew, quello rimasto fino ad allora dormiente.
«Credi che questo basterà ad allontanarmi? Pensi che facendo così avrai la coscienza più pulita, quando sicuramente farai la scelta peggiore di tutta la tua esistenza? Davvero sei convinto che non farò niente per impedirti di distruggerti con le tue mani? Allora sei solo uno stupido! Ti sbagli, e anche un bel po'!»
«Ormai ho preso una decisione» si arrischiò a replicare Woomingan, cercando di restare saldamente aggrappato ai propri obiettivi che per una volta, una soltanto nella sua vita, erano tutto fuorché imbevuti dell'aspro sapore dell'egoismo. Lo stava facendo solo per l'uomo che amava.
«E chi se ne importa, dico io!» sbottò Andrew. Nel frattempo Iago si era avvicinato a loro, vedendoli discutere, e Frederick si era inevitabilmente ridestato. Sia lui che lo zio fissavano a bocca aperta i due litiganti.
Alex si sentì inevitabilmente a disagio. «Perché devi polemizzare sempre? Perché non puoi accettare che...»
«PERCHÉ TI AMO, CAZZO!» esplose Collins, esasperato. «Possibile che tu non ci arrivi? Davvero te lo devo dire io?»
«Andrew» intervenne Iago, «urlare non servirà a niente. Per favore, calmati».
«Calmarmi, dici? Mi piacerebbe tanto farlo, peccato però che con le buone questo stronzo fino ad ora non abbia inteso un bel niente! Quando si ha a che fare con una testa di legno, purtroppo ci vogliono mezzi disperati!»
Rick si alzò e si avvicinò ai due vampiri. Guardò Andrew. «Calmati e basta, va bene? Non so cosa sia successo, ma litigare non risolverà nulla, lo sapete. Credo, anzi, che farebbe solo peggiorare Alex e ti basterebbe guardarlo bene, per capire che è già in una situazione critica! Guardagli gli occhi: non ce la fa più e tu...»
Andrew, però, sembrava aver perso la ragione: «Come diavolo faccio a calmarmi, me lo spieghi? Come?». Lanciò un'occhiata ad Alex, poi di nuovo a Rivers. «Lui si è arreso. Lo ha ammesso, l'ho sentito con le mie orecchie! Neanche io ce la faccio più, ma non mi sogno neanche di darmi per vinto!»
«Non è come pensi...» tentò di spiegare Alexander, ma lo sguardo penetrante e furibondo dell'altro lo scoraggiò dal parlare ancora.
«E allora com'è? Era solo una scusa per piantarmi in asso? Perché sai, Alex, sarebbe solo l'ennesima di tante pugnalate da parte tua! Pugnalate che ti ho alla fine sempre perdonato! Quante volte avrei dovuto mandarti al diavolo, e quante volte invece ho cercato di capire e di trovare una soluzione? Quante altre volte intendi farmi a pezzi? Quando sarai finalmente soddisfatto?»
«Andrew, tu non... tu non capisci...» Alexander sentiva che di lì a poco si sarebbe sentito male, davvero male, perché udire Andrew dire quelle cose, accusarlo di voler soltanto farlo a pezzi, portarlo all'esasperazione quasi per semplice sadismo, era troppo logorante.
«No, invece. Capisco benissimo. Credo di aver finalmente recepito la lezione e compreso come stanno sul serio le cose, qua!» Drew fece dei passi avanti e non appena gli fu di fronte, gli afferrò una mano e vi abbandonò con veemenza l'anello. «Quale che sia la tua fantomatica scelta, io questo l'ho dato a te. Fanne quel che ti pare.» Lo avvicinò a sé con un involontario strattone causato dalla semplice e momentanea rabbia, così come dal famoso limite di sopportazione che era stato appena superato. «È la tua ultima occasione per essere sincero: c'è qualcosa che dovrei sapere? Qualcosa che magari, e dico magari, hai continuato a nascondermi fino ad ora? Dillo adesso, perché forse non avrai altre occasioni per farlo! Sii sincero per una cazzo di volta!»
Alex vide i suoi occhi verdi saettare per qualche secondo in direzione di Iago con un'insolita carica di odio, prima che essi tornassero a guardare i suoi, in attesa di una risposta. Cos'era quella storia? O forse gli stava solo chiedendo di dirgli la verità sul piano studiato assieme a James? Quale verità pretendeva di sapere, per l'esattezza?
Woomingan non riusciva a capire, era terribilmente confuso e il cuore gli batteva all'impazzata in una morsa a metà fra la paura e l'agitazione. «Te l'ho già detto. Non c'è altro. Non ti sto nascondendo niente.» Probabilmente voleva davvero sapere di quel che aveva stabilito di fare con l'aiuto di Wolf. Cos'altro poteva esserci?
Perché, allora, aveva scoccato quell'occhiata a Iago? Perché guardarlo così male, con una tale dose di rancore del tutto inspiegabile e fuori luogo? In tutta onestà, era Alex a sentirsi all'oscuro di qualcosa che invece avrebbe dovuto sapere. L'equivocità della situazione si percepiva persino nell'aria che respiravano.
Intanto, un piccolo angolo del suo animo rimpiangeva l'Altro Andrew, quello dolce e premuroso, umano e di professione avvocato, l'uomo che aveva sposato l'Altro Alex e cercava di restargli vicino senza badare a quanto potesse costargli. Dall'altro lato, però, si sentiva in colpa in un modo davvero bizzarro, sapendo di aver tradito — seppur in sogno, non per davvero — l'Andrew originale. Ma davvero si poteva trattare di tradimento, visto che si trattava della stessa, identica persona? O forse erano due personalità distinte e differenti? E perché lui, in un momento del genere, si ritrovava a pensare a simili sciocchezze?
Mi gira di nuovo la testa — pensò. È come se Grober mi avesse prosciugato sul serio delle forze, mordendomi e bevendo il mio sangue. Eppure era solo un sogno! Come avrebbe potuto fare una cosa del genere?
O forse non era stato fino in fondo un mero frutto della sua mente. Forse lui e Grober avevano davvero parlato, come in effetti avevano già fatto più volte. Più volte Grober aveva superato le difese del suo inconscio, specialmente in sogno, e Alex si era ritrovato a dover fronteggiarlo in totale solitudine e assenza di difese esterne. Grober era a conoscenza della verità più orribile di tutte: non v'era luogo dove nascondersi, quando il nemico si annidava nella mente. Non lo aveva mai aggredito, come aveva fatto quella volta a New Orleans, quando erano andati a salvare Kyran: gli aveva parlato, a volte invece si era mostrato crudele lo aveva tempestato di visioni raccapriccianti del futuro, o costretto a rivivere più volte i ricordi più terribili che possedeva. Era stato sin da subito un continuo alternarsi di miele e veleno; di sollievo e tormento; tortura e piacere. Le aveva provate sì e no tutte pur di piegarlo fino a farlo spezzare in due come un bastoncino inerme, finché non aveva osato di più quella notte e lo aveva messo di fronte ai suoi desideri più nascosti che ormai, per tanti motivi, si erano tramutati in cenere da quando Andrew era tornato dopo tredici anni.
Era stato quando Alex lo aveva visto totalmente cambiato e non più umano che aveva compreso che niente sarebbe più stato come prima; quando Andrew aveva confessato senza tanti complimenti di aver commesso quei delitti e poi lo aveva aggredito, gli aveva dato la prova concreta di come ormai il Paradiso fosse precluso a entrambi e tutti e due fossero condannati a vagare in un limbo di afflizione per l'eternità. Certo, poi le cose erano migliorate, addirittura si erano ripromessi di sposarsi, ma Andrew ora pareva star abbandonandosi di nuovo ai vecchi vizi e gli faceva paura; oltre a ciò, era doloroso vedere come non stesse neppure cercando di indovinare le sue reali motivazioni e si fosse già fatto un'idea tutta sua di ogni singola cosa.
Possibile che le sue reazioni dovessero sempre essere così sbagliate e sì, a volte persino ingiuste?
Andrew di nuovo squadrò ora lui, ora l'Efialte. Lasciò andare Alex, quasi sprezzante. «Smettila di mentire a te stesso.» Si rivolse poi a Iago e pur sapendo che poi si sarebbe di certo pentito di quelle parole, disse d'impulso: «Spero sarai contento! Adesso è tutto tuo! Non hai più ostacoli davanti a te! Complimenti, Iago, hai avuto ciò che volevi! Perdonami se non avrai la mia benedizione! Di sicuro capirai!».
Iago serrò le palpebre. «Andrew, per favore, ragiona!» Dalla voce, non era certo se stesse per piangere o esplodere a sua volta in una sceneggiata.
«Mi sono stancato di ragionare, quando è evidente che sono l'unico a farlo!» tuonò Andrew in risposta.
Alex era quasi tentato di coprirsi le orecchie per sfuggire a quell'infernale chiasso che stavano facendo, o scappare via lontano da entrambi, fuggire da tutto quanto, rintanarsi sottoterra e mai più riemergere pur di metter fine a quella situazione e avere un po' di pace.
Basta! Smettetela! Basta, vi prego, basta!
Si sentì quasi tornaro bambino, nel corpo di un minuscolo essere umano di cinque anni che impotente era costretto ad ascoltare i genitori litigare ferocemente oltre la porta socchiusa di quel salotto che aveva continuato a odiare finché non c'era stato il trasloco; uno stupido bambino che invano cercava di trattenere sua madre mentre lei invece tentava di convincerlo che sarebbe tornata non appena sarebbe trascorso il Natale. Si sentiva esattamente come quella volta: impotente di fronte a una situazione oltre la sua portata e troppo fragile per tenere insieme le estremità di una fune che in realtà si era già da tempo spezzata.
«Smettila» sibilò l'Efialte, col chiaro intento di avvertire Andrew. «Stai sollecitando una bomba che già dall'inizio rischia di esplodere! Non aggiungere anche questo peso, ti scongiuro! Ha ragione Frederick: guardalo, Andrew! Guardalo davvero e dimmi se ritieni necessario anche questo! Possibile tu non sia più dotato di un briciolo di pietà? Non credi stia soffrendo anche più del necessario, più di quanto una persona sarebbe capace di tollerare? Fermati!»
Il punto era che non ce la faceva a vedere Alex in quello stato. Era troppo per lui e non sopportava di vedere Andrew urlargli addosso in quel modo, o metter in tavola un discorso così insidioso e anche imbarazzante ed equivoco. Senza contare che aveva sì e no accusato il fidanzato di provare sentimenti che chiaramente non esistevano.
Lui ti ama, maledetto testardo! Glielo si legge negli occhi! Come diavolo fai a non vederlo? — pensò, disperato.
Andrew sbuffò una risata forzata e sorrise ironico. «Bene! Sono tornato a essere il cattivo! Dico davvero, mi mancava essere dipinto come lo stronzo che rovina sempre tutto, specialmente la vita all'innocente Alex! Ora sono io a inventarmi fesserie, come no!»
Alex avrebbe voluto contraddirlo, ma era troppo dissociato da tutto quanto per spiccicare parola. Non era Andrew il cattivo, probabilmente continuava ad esserlo lui, anche dopo anni e anni. In fin dei conti c'era una ragione se Grober voleva che tornassero ad essere un tutt'uno.
Frederick riuscì in tempo a frenare suo zio prima che quest'ultimo potesse dare addosso come una belva a Collins. Fu davvero difficile, però, tenere fermo Iago, il quale sembrava una belva inferocita e ansiosa di sbranare il proprio bersaglio. Era arrivato anche lui al limite.
La rabbia dell'Efialte si placò quasi immediatamente quando Alex si decise a intervenire: «Ha ragione lui. Smettetela di litigare» disse con un filo di voce, ma sicuro di quel che stava dicendo.
Ancora non capiva a cosa si fosse riferito poco fa Andrew quando aveva parlato a Iago, e non voleva neanche saperlo. Sapeva solo di aver fatto un disastro e che forse sarebbe stato meglio proseguire quella marcia della morte da solo. Ormai gli era chiaro che quello di Kyran fosse un mero pretesto per avere in realtà lui al centro del bersaglio, pronto per essere colpito e affondato. Se davvero le cose stavano in quel modo, preferiva farla finita al più presto possibile. In fin dei conti, lui e James avevano trovato il modo di scongiurare l'effetto a catena provocato dai sigilli e ridurre al minimo i danni, per quanto tutti continuassero a non credere alle sue affermazioni sibilline e frammentarie. Aveva provato ad avvertirli tante volte, ma non avevano voluto ascoltare, perciò avrebbe mostrato loro tramite i fatti su cosa verteva il fantomatico piano.
Certo, quel metodo avrebbe richiesto un prezzo, ma quale azione non ne aveva uno, buona o cattiva che fosse?
Avrebbe continuato il cammino da solo, nel frattempo cercato di scoprire il mirabolante segreto che si celava nel passato di Grober e di Sverthian, poi liberato Kyran e alla fine affrontato l'inevitabile. Più si cercava di evitare l'inevitabile, e più ci si avvicinava ad esso senza rendersene conto. Quando qualcosa non si poteva aggirare, non restava altro che affrontarlo e lottare contro le temibili belve chiamate conseguenze.
Andrew ci aveva visto giusto, in parte: il solo modo per salvarlo era allontanarlo, e continuare il viaggio da solo avrebbe impedito ad Alex di trascinarlo in altri guai. Avrebbe cambiato il corso del Fato, che era attualmente avverso all'uomo che amava e a cui, purtroppo, era costretto a spezzare di nuovo il cuore.
Sarebbe andato avanti da solo. In fin dei conti, sin dal principio gli era stato chiaro che quello sarebbe stato un cammino solitario e pieno di desolazione e rinunce dolorose.
La più grande rinuncia era stata appena compiuta, cosa sarebbe potuto esserci di peggio, ancora?
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