Capitolo LIV. Dolce veleno
Musica consigliata: "Reflections on a hero" di Trevor Morris.
https://youtu.be/tns6yK86gII
Il viaggio per arrivare a Græb'ar Volak stava per volgere al termine e quella di Andrew non era una semplice impressione. Bastava volgere lo sguardo all'orizzonte e scorgere la sagoma delle impervie montagne circondate da una coltre di nubi spettrali per capire che lassù, protetta dalla roccia come l'enorme nido di un'aquila, se ne stava appollaiata la città più potente dei Græber, così come Palazzo delle Ombre, la dimora della regina.
Quando lui e Alex erano tornati dai soldati capitanati da quel tale, Argor, Andrew aveva deciso di chiarire sin da subito di voler collaborare, spiegando poi al capitano del gruppo di militari, in privato, che la sua unica preoccupazione fosse di affiancare fino alla fine Alex, anche se ciò gli fosse costato la vita. Argor aveva soppesato la situazione per un paio d'ore prima di decidere di lasciar vivere l'altro vampiro e portare anche lui al cospetto di Syrma.
Ogni volta che si fermavano per riposare, però, si premurava di far sempre incatenare Andrew per evitare che gli saltasse in testa di convincere di nuovo Alex a scappare o far fuori altri soldati.
Quella sera, dunque, toccò a lui assicurare le catene del nuovo prigioniero a uno degli obelischi rocciosi che costellavano l'area in cui si erano fermati per la notte. Lì era dove la vegetazione cessava completamente di esistere o quasi. C'erano solamente pietre, arbusti spinosi, nodosi e dotati di bacche velenose o, ancora, alberi morti, ritorti e dalla corteccia nera
«Non per mettere in discussione le tue decisioni, grande capo, ma siamo sicuri che quest'affare non finirà per crollarmi in testa?» chiese Andrew, senza disturbarsi a celare il tono tagliente e ben poco amichevole.
Argor roteò gli occhi. «Mi duole dirti che sono obbligato a rischiare» replicò laconico. In fin dei conti Syrma voleva solamente uno dei due vampiri, non entrambi, perciò per lui non sarebbe stata una gran perdita se quell'odioso tizio fosse venuto a mancare per qualche tragica fatalità. «Probabilmente è il destino migliore in cui potresti incappare. Non credo tu abbia fino in fondo compreso che non appena saremo arrivati a Græb'ar Volak, il tuo compagno verrà condotto dalla regina e tu, con ogni probabilità, invece verrai gettato in una cella a marcire o semplicemente ucciso. Avresti dovuto pensarci due volte prima di intrometterti in una situazione che oramai va ben oltre le tue capacità. Sei uno sciocco a credere di poter averla vinta sulla regina o, peggio ancora, di poter avere con lei un dialogo. Quelli come te, per lei, valgono meno degli scarafaggi.»
Andrew restrinse lo sguardo. Se solo quelle catene non fossero state stregate e rese impossibili da infrangere o da togliere, con piacere avrebbe preso a pugni quel tale. «Alex non è solo il mio compagno. Io e lui siamo sposati e ho promesso di restargli vicino sempre e per sempre, nel bene e nel male.»
Argor sbatté le palpebre. «Davvero commovente, complimenti. E allora?» incalzò indifferente, non sapendo proprio cosa potesse importargliene di simili sottigliezze.
«E allora le tue minacce non mi sfiorano.»
Il capitano delle guardie Græber non tentò affatto di nascondere quanto la conversazione lo stesse annoiando. Non era la prima volta che aveva a che fare con degli individui che provavano in ogni maniera a intimidirlo o a impietosirlo, visto e considerato che toccava a lui assicurarsi che l'ordine venisse mantenuto in città. «Non ti ho minacciato. Ti ho messo di fronte a un semplice dato di fatto. La differenza è molta fra la prima e la seconda cosa, sai?»
Fra i due calò il silenzio, attutito solo dal resto dei soldati che si stavano preparando a dormire all'addiaccio. In disparte c'era Alex seduto su una piccola roccia simile a uno scoglio di medie dimensioni e con lo sguardo puntato all'orizzonte, proprio in direzione delle montagne. Andrew non poteva negare che il cuore gli facesse male ogni volta che si arrischiava a osservarlo. «Che cosa succederà a lui, invece?» domandò rauco. «Quali piani ha Syrma per lui, esattamente?»
Il Græber lo squadrò. «Mi sembra di averti già detto che...»
«Sono destinato a crepare, perciò non avrebbe alcun senso nascondermi la verità. Morirò lo stesso, no? Tanto vale dirmelo e farmi andare sottoterra con l'anima in pace.»
Argor inizialmente lo fissò con aria indecisa, poi: «Non so cosa gli accadrà nello specifico, ma non penso che la sorte di quell'uomo si rivelerà migliore della tua. Nulla sarà certo finché non arriverà l'alleato di Syrma a stabilire il da farsi. Non chiedermi quando ciò avverrà, perché non lo so».
«Parli di Grober?»
Il soldato parve trattenere a stento un brivido. «Sì... lui.»
Andrew serrò i pugni con tanta di quella forza da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani. «Quindi è come pensavo. Sarà allora che si impossesserà del corpo di Alex. Per mesi ho avuto la verità davanti agli occhi e ora eccone la prova!»
«A quanto pare sai più cose di me a riguardo» constatò sarcastico Argor, accostandosi al proprio cavallo per lisciargli la criniera e dargli qualche gentile buffetto sul muso.
Thorne lo squadrò. «Sembri essere una specie di braccio destro di Syrma e poi non sai neppure cosa le frulla in testa? Questo sì che è bizzarro.»
Il capitano, recuperata la borraccia che era appesa alla sella, si versò in gola dell'acqua. «Siamo persino parenti, io e lei» replicò con una scrollata di spalle. «Syrma, tuttavia, rimane la regina e io non sono nessuno per ficcanasare nei suoi affari. Quanto a me, non muoio dalla voglia di farle saltare la mosca al naso. Testa bassa e non ti impicciare, tiro avanti così da quando sono entrato nell'esercito e ho fatto carriera.»
Andrew si accigliò. «Aspetta un attimo...» Si prese un secondo per rianalizzare nella mente la frase che aveva appena udito. «Tu e la regina siete imparentati?»
«Da queste parti lo sanno anche i sassi, ma non ha importanza. Diciamo che... beh, che discendo dal ramo marcio dell'albero genealogico. Non vengo neppure considerato realmente parte della famiglia di Syrma.» Da come parlava, era chiaro che Argor avesse voluto far intendere all'interlocutore che non c'era nulla di essenziale e importante sui piani di Syrma che egli potesse carpire da lui.
Il vampiro, ad ogni buon conto, comprese il motivo per cui gli occhi di Argor gli avevano ricordato più volte quelli di Iago. «Come mai il ramo da cui discendi è ritenuto marcio?» domandò, provando a mantenere un tono di voce vago.
Il capitano delle guardie di Græb'ar Volak restrinse di poco lo sguardo in un modo che, di nuovo, fece tornare in mente al non-morto l'Efialte che ormai conosceva bene. «Come mai tutto questo interesse per i miei natali?» chiese a sua volta guardingo.
Thorne si incupì. «Fa' come se no avessi chiesto niente, allora» rispose d'impulso, odiando se stesso per non esser riuscito a fregarlo. Eppure era sempre stato convinto di avere doti di persuasioni migliori di un simile obbrobrio.
«Non sono cieco né stupido e ho notato il modo in cui mi hai guardato più di una volta in questi giorni. Fuori il rospo, avanti.»
Il vampiro si strinse nelle spalle. «Mi ricordi una persona che conosco, tutto qui.»
Con sua sorpresa, vide che Argor pareva sapere di chi stava parlando. «Se ho compreso a chi ti stai riferendo, sappi che non mi piace venire accomunato a gente simile. Quell'uomo e i suoi fratelli sono la principale causa dei problemi che hanno sconvolto queste terre negli ultimi secoli. Molto del dissenso nato all'interno dei clan Græber affiorò per colpa dell'unione dell'Imperatore Rhydian I con Asteria e si inasprì non appena si venne a sapere dell'arrivo di un erede al trono imperiale. Re Hangar fu miope a pensare che un matrimonio avrebbe appianato dissapori millenari e come c'era da aspettarsi, con la sua morte e quella dell'ultimo Imperatore, la situazione esplose. Quindi no, non mi piace ricordare di avere un legame di sangue con colui che hai nominato.»
Andrew per una buona manciata di secondi fissò l'uomo con aria ebete. «Legame? Che cosa c'entrano Iago e i suoi fratelli con...»
Il Græber incrociò le braccia. «Quell'uomo non si chiama Iago, ma Rhydian II Rowinster. Quando parlo dell'erede al trono, vampiro, è a lui che mi riferisco. Per quanto riguarda il popolo al quale appartengo, sarebbe stato molto meglio per tutti se Rhydian il Mai Incoronato non fosse mai venuto al mondo» precisò gelido. «E dal momento in cui siamo venuti a sapere che lui e uno dei suoi gemelli erano ancora vivi, Syrma sembra aver perso col tempo sempre un po' di più il senno con cui è nata. Solo gli dèi sanno quanto mi abbia assillato perché mi impegnassi di più nel rintracciare quei due! Roba da matti! La sua è diventata un'ossessione, non solo una sorta di missione per conto di Grober, la divinità alla quale ha scelto di giurare lealtà. Se ho ben capito non hai in simpatia Grober ed è per questo che ritengo le tue intenzioni ridicole: Syrma morirebbe nel nome del suo dio, crede in Rasverthen, l'avvento della Grande Epurazione, ciò che lei vede come la fine di un'era e l'inizio di un'altra che, a suo parere, dovrebbe condurre a un nuovo inizio anche il nostro popolo. La tua è una speranza vana e le argomentazioni che hai intenzione di portare all'attenzione di Syrma sono deboli e prive di fondamento, almeno secondo la sua visione.»
Argor non aveva mai dovuto preoccuparsi un granché delle questioni politiche, essendo figlio del bastardo di re Hangar e non avendo mai avuto voce nel capitolo riservato alla successione al trono o altre sciocchezze, ma era lo stesso rimasto invischiato in quelle baggianate, per un motivo o l'altro. Ovviamente non aveva intenzione di dire a un perfetto sconosciuto, per giunta un prigioniero, che il vero e principale motivo per cui era al servizio della regina e della famiglia reale fosse che a un certo punto si era ritrovato a vivere di stenti. Suo padre, figlio del re o meno, era nato da una schiava ed era vissuto a sua volta come tale, lavorando per la famiglia alla quale lui stesso era appartenuto. Un giorno, poi, si era ammalato gravemente e non aveva avuto la possibilità di curarsi. Argor aveva dovuto imparare sin da bambino a tollerare lavori gravosi e pesanti, a pulire i pavimenti con l'aiuto di un mero straccio fino a rovinarsi le dita e le nocche e, infine, a tornare negli alloggi della schiavitù per assistere Lycus, suo padre. Un giorno, però, alla famiglia reale era apparso evidente che quell'uomo fosse allo stremo delle forze e troppo debole per sopravvivere, perciò, secondo le usanze dei Græber, era stato fatto portare via e da quel momento Argor non lo aveva mai più visto, né vivo né morto, ma a furia di chiedere agli altri schiavi dove avesser portato Lycus, uno di loro si era impietosito e lo aveva accompagnato fuori dalla città e aveva indicato un ripido e scosceso pendio soprannominato la Gola degli Schiavi: laggiù, fra migliaia e migliaia di scheletri e cadaveri in diversi stati di putrefazione, laddove per secoli e secoli erano stati gettati gli schiavi moribondi, il dodicenne Argor aveva scorto la chioma nivea e gli abiti logori del padre. Non molto tempo dopo le figlie di re Hangar, che avevano approfittato della recente morte del sovrano per liberarsi del fratellastro una volta per tutte, di comune accordo avevano ordinato che Argor fosse buttato fuori dal palazzo.
Credevano di averlo condannato a morte, ma lui aveva resistito, anche se a stento, pur conducendo un'esistenza miserabile e ancora peggiore di quella da schiavo, cavandosela grazie a continui furti e, a volte, assassinii. Aveva imparato fin troppo presto che la vita non era un gioco e spesso ci si faceva molto male, così come che fosse importante non essere d'impiccio alcuno ai potenti. La fortuna gli aveva sorriso solamente quando un giorno era stato imprigionato e poi obbligato a entrare nell'esercito per essere usato come quella che veniva chiamata carne da cannone. Dei tumulti erano sorti fra i Græber, infatti, quando lotte intestine tra le figlie guerriere del defunto re Hangar si erano risolte con la sconfitta, nonché uccisione, di Nykta, sorella di Asteria, e la vittoria di Zelina, la più anziana. La causa del conflitto, il quale si era protratto per quasi un decennio, era stata proprio la voce, anzi l'autentica leggenda, che in realtà i figli di Asteria fossero riusciti in qualche modo a sopravvivere ai genitori e forse un giorno sarebbero tornati per reclamare il trono del padre e persino quello del nonno, Hangar.
Zelina, che mai aveva approvato le nozze fra la sorella e l'Imperatore di Sverthian, aveva espresso la volontà di voler rintracciare i nipoti e farli uccidere per porre fine per sempre alla stirpe Rowinster, così come al potere della casata. Nykta si era mostrata contraria a un simile piano e aveva deciso di schierarsi apertamente contro la sorella maggiore. Nykta era rimasta uccisa in battaglia, decapitata da Zelina dopo un sanguinoso duello all'ultimo sangue nel bel mezzo dello scontro finale fra gli eserciti. Argor sin da subito era riuscito a capire chi avrebbe potuto vincere il conflitto e aveva scelto di arruolarsi al servizio di Zelina, benché quella sua stessa zia non avesse battuto ciglio quando Nykta aveva ordinato alle guardie di afferrarlo e gettarlo letteralmente fuori dalle porte del palazzo reale, dritto nel fango.
Avrebbe potuto vendicarsi, visto che era diventato un guerriero capace a furia di vivere prima per strada e poi sopravvivere a ogni singola battaglia della guerra tra le zie, ma non lo aveva fatto. Perché? Semplice: per quanto un tiranno fosse terribile, uccidendolo ci si ritrovava di fronte alla possibilità di portare la pace, certo, ma anche di favorire l'ascesa di un individuo più meschino e pericoloso del precedente. Il tradimento veniva ripagato con il sangue e nessuna azione, neppure quella destinata al bene superiore, rimaneva impunita. Senza contare che per legge chi eliminava il re o la regina precedente aveva poi l'obbligo di raccogliere lo scettro e brandirlo, che lo volesse o meno, perché se si aveva avuto il fegato di versare sangue reale, allora lo si aveva anche per guidare un popolo intero, e Argor mai e poi mai avrebbe accettato un simile compromesso, di regnare pur sapendo di non esser adatto al compito, di non aver alcun interesse per la vetta da molti ambita. Più pericoloso di un re folle o crudele era un sovrano incapace. Odiava la società che sin da subito lo aveva considerato una nullità, un oggetto, ma i Græber rimanevano i suoi compatrioti e fra di loro v'erano anche persone innocenti, persone come un tempo era stato lui, donne, uomini e bambini senza colpa, e come avrebbe mai potuto metterli a rischio a quel modo o causare persino l'ennesima guerra civile?
A fronte di quella decisione, aveva visto Zelina regnare con rigido rigore sui Græber, poi diventare madre di due figli, morire e vedere Volkos, il figlio maggiore, salire al trono. Il poveretto era durato appena due settimane prima che, come si vociferava in giro, sua sorella avesse complottato contro di lui fino al punto da riuscire a toglierlo di mezzo alla vecchia maniera e avere dunque per sé la corona. Da allora Syrma era stata in grado di tenersi stretto il potere e nessuno aveva osato provare a toglierglielo. Syrma era una donna aggressiva e passionale, scaltra e crudele, allieva di Zelina e da lei aveva ricevuto lezioni fondamentali su come riuscire a restare in cima alla montagna senza rotolare a valle.
Col senno di poi Argor sapeva che avrebbe fatto molto meglio ad assassinare sin da subito Zelina e assicurarsi che entrambi i suoi figli facessero la stessa fine in tenera età, ma non gli era mai garbato guardarsi indietro e ripensare agli errori commessi, alle opportunità che gli erano scivolate via dalle mani. Tanto valeva provare a chiudere il mare in un'ampolla.
«Non ti ascolterà mai» aggiunse, ritornato al presente, al vampiro che lo fissava e aveva capito che non aveva intenzione di rivelargli nulla sul suo passato. «Non avresti mai dovuto consegnarti. Hai detto che quell'altro, Alex, voleva che tu facessi ritorno a casa. Avresti dovuto fare come ti aveva suggerito e andartene in tempo.»
Andrew lo squadrò con sincera acredine. «Si vede proprio che non sai neppure da che parte abitino cose come l'amore e il rispetto per chi si ama» sputò fuori.
«Io so solo questo, vampiro: se ti ostini a voler far rimanere a galla non solo te stesso, ma anche qualcuno che palesemente sta sprofondando, finirà che verrete trascinati entrambi a fondo. Non serve a niente voler salvare chi non può esser salvato. È fatica sprecata. Tante lacrime per poi rimanere con un pugno di cenere in mano.»
Argor aveva voluto bene a suo padre fino all'ultimo, ma a cos'era servito? L'amore non era abbastanza e la compassione non abbelliva la cruda realtà. Quell'Alex era destinato ad affondare proprio come era accaduto a Lycus e non sarebbe di certo stato un vampiro qualsiasi a riuscire a mettere i bastoni fra le ruote a Syrma.
Che follia.
Andrew non replicò. Era chiaro che le loro opinioni divergessero oltre ogni speranza di reciproca comprensione e non intendeva di certo imporre la propria speranza a una persona cinica e disillusa qual era Argor.
«Sai una cosa?» disse dopo un po', sentendo di dover chiarire un particolare. «Di' quello che ti pare e piace di Iago, ma a conti fatti è un uomo di gran lunga più coraggioso e di sani principi di quanto lo sia tu. Lui ha scelto di rischiare la vita, di lottare contro Grober anche a costo di morire. Iago possiede una cosa che tu invece ignori: la speranza.»
Argor sorrise amaramente. «Parli come un ragazzino che ancora crede che gettando una moneta in un pozzo i suoi desideri più tormentati diventeranno realtà.»
«No, invece. Ho trentadue anni e ho imparato dai diciotto in avanti che la vita è un maledetto incubo. Ho conosciuto soglie di crudeltà che non puoi lontanamente immaginare, ho sguazzato nelle Tenebre e ho quasi permesso loro di metter radici dentro di me, ma alla fine le ho respinte. Ho visto che in alto, fra le onde nere, c'era uno spiraglio di luce e ho nuotato finché non sono arrivato in superficie. Io so benissimo cosa vuol dire non avere speranza e so che una cosa non diventerà reale solo perché ci spero. Non ho mai detto di sperare in qualcosa, non a questo punto. Parlavo di Iago, non di me. E se il mio destino è quello di marcire in una cella o morire accanto all'uomo che amo e ho seguito verso la fine, allora così sia. Porterò la disperazione che in questo preciso istante provo come una cazzo di corona e sarà quella a darmi la forza di sputare in faccia a Syrma, se è davvero così affezionata a Grober da aver acconsentito ad assassinare una persona innocente! Alex vale mille volte più di quel viscido bastardo e di Syrma, e non perché sia un guerriero senza pari, ma perché ha un coraggio straordinario. Grober pensa di averlo messo nel sacco, ma è stato lui a scegliere di consegnarsi. È stato lui a decidere come e per cosa morire. Ha affrontato un viaggio logorante per mesi, accettato di perdere se stesso, tutti i ricordi che amava, per il bene superiore. Lui non teme la morte come fa Grober. Grober che si dice ancora tremi al solo sentir nominare la sua nemesi, Rasya. La morte spaventa Grober e spero tanto che Iago e gli altri gliene offrano una terribile e lenta! Si è messo contro le persone sbagliate e ha fatto incazzare tutti quanti una volta di troppo! Gli faranno passare la voglia di combinare casini a destra e a manca, dillo pure a Syrma e a quel gran figlio di puttana del suo padrone!»
Non sapeva da dove gli fosse uscito tutto ciò, ma se quella era la fine, allora voleva urlare al cielo, al mondo intero, come la pensava e cosa sperava sarebbe accaduto. Lui e Alex sarebbero morti, ma altri avrebbero preso il loro posto e combattuto, spinto giù a forza nella gola di Grober l'apocalisse che egli tanto sperava di provocare.
L'avrebbe pagata, ne era sicuro, era l'unica speranza che sarebbe sopravvissuta anche dopo la sua scomparsa.
Argor, solo per un secondo, parve colpito dal discorso di Andrew. «L'ottimismo degli sconfitti, suppongo» sentenziò infine.
«Vittoria e sconfitta sono meri punti di vista» lo rimbeccò Thorne, altrettanto criptico. «Da quel che ho potuto vedere fino ad ora, non sono altro che questioni relative. Dipende da come si guarda l'insieme.»
«Contento tu.»
«So che magari non ti darò che l'ennesima ragione per compatirmi, ma ti sono comunque grato per avermi concesso di rimanere insieme ad Alex. Oserei persino azzardare che tu sia una persona migliore di quanto tu stesso pensi.»
Argor strinse le labbra e per la prima volta distolse lo sguardo. Per un secondo osservò la figura lontana di Alex, poi sospirò. «Non l'ho fatto perché mi addolorava separare due piccioncini o per sciocca compassione» ribatté rauco. «Penso solo che nessuno, neppure il peggior criminale esistente, dovrebbe morire da solo. Specialmente le persone più fragili e indifese.» Nel parlare numerosi e brevi squarci di passato gli tornarono alla mente: suo padre che, ormai malato gravemente, reso dal morbo che lo aveva condannato incapace di reggere in mano uno straccio per i pavimenti o un semplice cucchiaio di legno, veniva aiutato da lui a nutrirsi; lui che lo pregava di avere speranza, che gli assicurava che forse le cose sarebbero migliorate, che magari tutto si sarebbe risolto, mentre raschiava con la posata nella scodella e incoraggiava quell'uomo a mangiare, anche solo un pochino. E suo padre che celava le lacrime di umiliazione e il silenzioso desiderio di morire, di smettere di essere un peso per il suo unico figlio, tenendo il capo chino.
Lycus era morto da solo, trascinato da dei soldati come un sacco di carbone ormai vuoto e inutile, gettato nella Gola degli Schiavi ancora vivo, lasciato lì ad agonizzare e poi a marcire.
No... nessuno meritava quel tipo di crudeltà, la solitudine nel peggiore momento della propria vita. Neppure due persone che agli occhi di Argor non erano che ombre, semplici e fugaci comparse su uno sfondo piatto e monotono.
Andrew, a quelle parole, avvertì una fitta al petto dolorosa e familiare, qualcosa che per quasi un anno intero non aveva più sentito. Era fin troppo consapevole del significato di cos'aveva detto Argor, ne conosceva bene la dolorosa importanza. Sapeva che nessuno avrebbe dovuto fronteggiare la fine da solo, in preda al terrore e alla sofferenza, lontano dagli affetti, dal conforto di un abbraccio, di una mano che stringeva la sua e una voce che gli sussurrava che tutto sarebbe andato per il meglio.
Aveva cercato di non ripensare più ai propri ultimi istanti di vita come essere umano, ma ora ecco che stralci rapidi, eppure chiari, tornavano in superficie a tormentarlo. Era così che era morto: da solo, tra le grinfie di Arwin, dell'aguzzino che per sette anni aveva dovuto assecondare in cambio della bugiarda promessa che prima o poi sarebbe potuto tornare a casa. Tanto era il dolore che aveva spesso patito, dopo aver ricevuto come al solito le bieche attenzioni di Arwin, da aver invocato nel buio e nel silenzio della propria prigione il nome di Alex, sussurrandolo e basta, temendo che anche quell'ultimo ricordo di normalità, di felicità ormai perduta, gli venisse sottratto.
Pur consapevole che Alex lo avesse quella notte lasciato indietro, abbandonato, la solitudine lo aveva spinto ad accantonare ogni cosa, a raschiare il fondo alla disperata ricerca di speranza, di luce in fondo a quell'interminabile tunnel.
Aveva pensato ad Alex e alla propria famiglia anche mentre si era ritrovato a giacere a terra, riverso nel proprio sangue, lasciato lì come spazzatura, come rimasugli di cibo. Aveva ripensato a loro e non si era mai sentito più solo e infelice.
Alex lo aveva condannato a quel destino atroce, lo aveva fatto perché era nella natura umana lasciare indietro chi era ormai perduto, perché era la legge della sopravvivenza, ma lui, dopo aver capito, dopo aver perdonato e ricordato di esser stato a sua volta umano e fragile, era determinato a ricambiare il crudele gesto con un atto di estremo amore e perdono, di vicinanza e affetto, di amicizia disinteressata.
Lo amava e ciò univa le loro sorti in modo indissolubile. Non erano come il bianco e il nero, il bene e il male, destinati ad annullarsi e a rincorrersi a vicenda in eterno. Erano il grigio, la somma di entrambe le cose. Dopotutto la vita stessa era un argenteo spettro dove non c'era posto per gli estremi, ma solo per i compromessi, per la via media.
Nel loro caso, purtroppo la sorte non sarebbe stata favorevole, ma almeno l'avrebbero affrontata insieme, mano nella mano, consapevoli di amare ed essere amati, e non c'era nulla di più prezioso per due anime che oramai si tenevano aggrappate alla vita attraverso un sempre più sottile filamento.
Giunto a Græb'ar Volak avrebbe visto il proprio viaggio terminare, ma diversamente dalla prima volta se ne sarebbe andato sapendo di non essere da solo, di esser stato amato in modo sincero e unico, con dolcezza e ardore.
Avrebbe accolto la morte conscio di essere assai più ricco di quanto fosse stato prima di diventare un vampiro.
Tornò a guardare Argor e questi, senza aggiungere una sola parola, si allontanò e andò da Alex; fra loro si dipanò una breve conversazione che Andrew, indebolito dal digiuno e dallo sfinimento psicologico, non riuscì a carpire nei minimi dettagli. Gli parve comunque di capire che stavano parlando proprio di lui e alla fine vide solo Alex dirigersi verso di lui e sorridere appena, con quella malinconia di fondo nello sguardo che era ormai diventata un suo tratto caratteristico.
«Ha detto che possiamo rimanere insieme, ma solo a patto che non decidiamo di giocargli un altro tiro mancino. Credo che non dovremmo tradire la sua fiducia e poi... beh, ci siamo quasi, Andrew.»
Thorne solo allora notò che reggeva sull'esile spalla una fiasca da viaggio dotata di un lungo manico che la faceva sembrare una borsetta a tracolla. Alexander se la sfilò dal braccio e svitò con calma il tappo, poi la avvicinò al viso del compagno. «L'ho implorato perché uno dei suoi soldati si procurasse qualcosa con cui potessi nutrirti. Ora come ora il sangue di animale è il meglio che questi luoghi possano offrirci, ma dovrebbe bastare.»
Andrew avrebbe tanto voluto afferrarlo e abbracciarlo, ma le catene che gli impedivano di allungare troppo le braccia e lo facevano sentire un cane al guinzaglio legato a un grosso tronco d'albero non gli permisero di far altro che sollevare una delle braccia e cercare invano di accarezzare il viso al suo dolce e sempre più smemorato Alex.
Trattenne un sospiro. «S-Sto bene. Ora tocca a te nutrirti un po'. Bevilo tu, Lexie.»
«No, Andrew. Non stai bene. Hai le labbra screpolate e la tua pelle sembra quasi dello stesso colore della cenere, i tuoi occhi sono spenti. Se non ti sostenterai, non riuscirai a superare neppure quel poco di viaggio rimasto da compiere.»
«Non cambierà il corso degli eventi. Te l'ho detto, Alex, non vado da nessuna parte senza...»
«Invece dovrai farlo» lo interruppe Alex. Per quanto non fosse stato né brusco né scortese, nella sua voce risultò evidente un tono che non ammetteva repliche. «È qui che la storia deve concludersi per me, ma per te non è così. Non è questo il tuo epilogo e perciò dovrai rimanere forte nell'anima e nel corpo. Adesso... ti prego, Andrew, bevi e recupera le forze, riposati. Io rimarrò qui, te lo prometto.»
Thorne ricacciò indietro l'esasperazione. «A una sola condizione: faremo a metà. O così o preferisco morire di fame. A te la scelta.»
Forse un'altra persona se ne sarebbe infischiata delle sue pretese e magari gli avrebbe afferrato il viso e lo avrebbe forzato a bere il sangue, che lo volesse o meno, ma Alex non era fatto in quel modo. Neppure se le sue condizioni fossero state ottimali, nemmeno se i suoi ricordi e la sua stessa personalità fossero rimasti intatti avrebbe avuto una simile forza di carattere dal retrogusto brutale. Forse la verità era che Andrew, persino nel momento in cui si era sentito più sedotto e assoggettato ad Alex, fosse sempre stato lui a condurre le danze, a stabilire le regole di potere nella loro relazione, quello la cui indole tendeva a prevaricare e a vincere.
Alex, infatti, decise di accettare il compromesso e benché sembrasse ormai disinteressato a qualcosa che avrebbe fatto sragionare qualsiasi altro vampiro denutrito, fece uno sforzo e bevve. Gli ci vollero molti sorsi per terminare la propria razione e non appena ciò avvenne, accostò una seconda volta la fiasca al marito e la inclinò per permettergli di nutrirsi a sua volta. Fu delicato e premuroso, gli concesse molte pause e, quasi come per rendere quel momento più intimo e familiare, di tanto in tanto gli accarezzò i capelli dolcemente, cosa che per un attimo diede a Andrew l'ingannevole illusione che nulla avrebbe potuto infrangere il loro legame, la loro speranza di poter ancora avere un avvenire assieme.
Un dolce veleno nel quale una piccola parte di lui ancora si ostinava a indugiare, irretita dalle sue profumate e speziate esalazioni che lo inducevano a coltivare sogni che la razionalità avrebbe decretato infantili e poco realistici.
Si sentì rinvigorito quando Alex allontanò da lui la fiasca ormai vuota e con il dorso della mano gli ripulì gentilmente un rivolo che gli colava dall'angolo della bocca. «Va meglio, adesso, vero?»
«Vieni più vicino e te lo dirò» lo apostrofò Andrew, la voce arrochita e bassa. Come lo ebbe a solo un paio di centimetri da sé, si sporse e gli afferrò le spalle, lo baciò e risalì con le dita fino a cingergli le guance incavate, il bel viso sciupato come quello di un moribondo, simile all'immagine rimasta impressa nella sua mente per settimane dopo che aveva saputo della sua morte a causa del cancro.
Il bacio ben presto subì un'evoluzione al contrario e divenne un disperato, bisognoso abbraccio.
Perché su di te il sangue non ha alcun effetto?
Andrew serrò le palpebre con forza e gli baciò i capelli la cui tonalità castana stava un po' alla volta cedendo sempre più terreno a quella delle piume di un corvo. Non c'era bisogno di dire cosa ciò significasse. Quasi ogni singola fibra di Alex, anzi del suo corpo, l'involucro terreno che fino a poco tempo addietro aveva ospitato un'anima splendida, era ormai pronta per accogliere l'arrivo di un nuovo, crudele e disumano padrone.
Cosa davvero aveva spinto Andrew a continuare ad amare Alex, anche quando la loro relazione pareva esser giunta a un punto morto, era stata l'umanità di quell'uomo rimasta incorrotta dalla trasformazione in vampiro. Alex non aveva mai accettato di definire se stesso un vampiro prima ancora che un uomo, un essere umano, e non l'aveva fatto per debolezza o per illudersi di non essere cambiato e di vivere in un incubo dal quale si sarebbe presto riavuto, ma perché mai aveva avuto dubbi circa per quale fazione combattere. Si era schierato dalla parte degli umani e aveva messo in chiaro che per loro avrebbe in primo luogo lottato.
Com'era ironico e crudele, dunque, che un essere dalla visione del tutto opposta avrebbe presto preso il posto di Alex.
Non so come farò, ma in qualche modo riuscirò a rimanerti vicino fino all'ultimo. Ti terrò stretto fra le mie braccia e ti ricorderò che ti amo fino alla fine.
Per come la vedeva lui, non sarebbe di certo stata una come Syrma a impedirgli di tener fede a quella promessa che aveva fatto a se stesso e allo stesso Alexander.
Era pronto a mozzare teste e arti, ad arrancare nel sangue altrui, pur di non lasciar andare la presa e continuare a stringere la mano all'uomo che amava.
A quel punto dei fatti, con l'Armageddon alle porte o comunque si volesse definire ciò che Grober avrebbe scatenato, non gli importava più di essere una persona perbene o lo stesso, identico mostro che aveva abbandonato Hanging Creek in catene.
Era disposto a scatenarsi un'ultima volta per Alex, pur di guardarlo negli occhi un ultimo istante.
Si scostò appena un poco da lui e si chinò in avanti per baciargli la fronte e guardarlo bene in faccia. «Nei miei sogni io e te siamo sempre insieme, Lexie. Fino alla fine. Persino nel momento più buio della mia esistenza quei sogni, quelle speranze, sono riusciti a salvarmi e a ricordarmi chi ero davvero, e non permetterò a niente e a nessuno di sottrarmeli o ridurli in cenere» sussurrò. «Ricordati questo, Alex: io e te siamo insieme in questa storia. È iniziato tutto con te e con me e sarà sempre così che finirà.»
Alex tacque, anche se avrebbe voluto dire molte cose. Lasciò che Andrew lo stringesse a sé, gli permise di credere che le cose sarebbero andate secondo il suo volere e che nulla sarebbe stato in grado di separarli. Gli lasciò credere che sarebbero rimasti insieme da morti, così com'erano stati in vita.
Non poteva sbattergli in faccia la verità, contraddirlo e ripetergli che no, le cose sarebbero andate molto diversamente, che entrambi avevano ancora una parte da impersonare prima che il sipario calasse.
Mentre teneva la fronte contro il torace dell'altro vampiro i suoi occhi corsero per l'ennesima volta, pieni di rassegnazione e tristezza, alla montagna sulla quale sorgeva l'antica e minacciosa città di Græb'ar Volak e di nuovo Alexander avvertì nel profondo dell'animo quella sorta di oscuro e ipnotico richiamo da qualche parte, lì, fra le coltri e le fumose volute di nebbia spettrale.
Ricordava di aver avvertito qualcosa di molto simile una volta, ma non avrebbe saputo in alcun modo rievocare con precisione tale ricordo. Gli unici e fugaci particolari che la sua mente ormai ottenebrata gli consentiva di sottrarre all'oblio gli restituivano rapidi e casuali flash dove era certo che c'entrassero il sangue e il dolore. Non dolore fisico, bensì di natura ben più radicata e inestinguibile. Sangue nell'acqua e poi il buio, denso e silenzioso, piacevole, un rifugio sicuro dalla sofferenza. In qualche maniera continuava a essere stupidamente convinto che Andrew avesse a che fare, in un modo o nell'altro, con quegli stralci di un passato che lui non riusciva più ad afferrare, ma questo era impossibile.
Guardava Andrew negli occhi e non vedeva altro che una persona buona. Una persona buona che per colpa sua stava soffrendo, che era disposta a sacrificare se stessa per lui, per rimanergli vicino fino alla fine.
Non era giusto che lui fosse lì, Alex questo lo sapeva, lo sentiva fin nelle ossa. Sentiva di non meritare così tanto disturbo e tutto quel dolore.
Non credo che rifugiarti nei sogni ti salverà dalla realtà, pensò amareggiato, senza osare sollevare lo sguardo, continuando a rimanere in quella salda, protettiva stretta. Non siamo noi a scegliere quando e come finirà tutto quanto.
Andrew pensava di poter disporre del proprio futuro in totale libertà, di poter scegliere e morire insieme a lui, ma la verità era ben altra. Spesso, anzi quasi sempre, non esisteva una scelta e la strada era una soltanto. Quella che avevano imboccato loro era buia, fredda, e non avrebbe condotto a nessuna luce.
Cynder sospirò e di nuovo si guardò in giro: Samantha dava loro le spalle e se ne stava alla finestra, una sigaretta accesa fra le dita mentre fissava il cielo torbido e scuro che regnava su una Obyria meno maestosa e ancora da ricostruire; Brian, invece, malgrado nei primi giorni dopo il rientro dal viaggio con Skyler fosse parso più rilassato e motivato, attualmente era teso e recava sul volto un'espressione cupa.
In quanto a Skyler, aveva lasciato la stanza da quasi un'ora e ancora non aveva fatto ritorno.
Cynder alla fine non ne poté più e scattò in piedi. «Basta, vado anch'io. Non resisterò un minuto di più e devo sapere.»
Brian si alzò a sua volta dal divano che si trovava di fronte a quello dal quale si era sollevato il re delle Ninfe e lo raggiunse. «Ehi, vedi di non iniziare a svalvolare proprio tu. Skyler è un medico ed è normale che voglia rimanere lì per controllare la situazione. Come Imperatore non sarà un granché, ma come dottore è scrupoloso. James è in buone mani e comunque... voglio dire... lo sapevamo, no? Sapevamo che sarebbe accaduto.»
Il sovrano contrasse la mascella e piantò altrove lo sguardo con fare caparbio, gli occhi velati di lacrime. «Q-Questo non mi fa sentire meglio. Non adesso.»
«Lo so, Cynder, e so come ti senti. So cosa provi. Lo so benissimo, ma ti prego... fa' un bel respiro e aspetta qui. Se stesse accadendo il peggio, sono sicuro che Skyler sarebbe tornato e ti avrebbe detto di andare con lui.»
«S-Sì, ma...»
«Fidati di cosa dice Brian, Cynder. È l'uomo più onesto e in buona fede che io conosca, oltre a te» intervenne Samantha, la quale riuscì a convincere il giovane re a sedersi di nuovo, per poi prender posto accanto a lui. «Dobbiamo sforzarci di ricordare che James e Alex stanno agendo per il nostro bene. Sono uomini coraggiosi, Cynder, e ora come ora possiamo solamente tifare per loro e sperare che questo sacrificio non si riveli inutile.»
Sam non aveva idea di come stesse Alex a Sverthian in quel preciso istante, ma per quanto riguardava James... ormai a stento riusciva a rimanere cosciente, appariva sempre più svuotato della vita e dei ricordi, di ciò che aveva fino a tempo addietro reso quell'involucro James Wolf.
«Quello che un po' mi preoccupa, onestamente, è che quella stronza si trovi nella stessa stanza insieme a Skyler» disse poi Brian. «Insomma, ha cercato di ammazzarlo.»
«Vero, però... ha aiutato Erik, Anthony e Dorian a fuggire, no? Alice ha dato prova che possiamo fidarci di lei» disse dopo un po' Cynder, dopo aver ripreso un po' il controllo di sé. «Lei e Lorenzo prima stavano dalla parte di Grober perché pensavano volesse migliorare le cose, ma dopo aver capito cosa stava realmente facendo hanno deciso di fare la cosa giusta. Prima non vi fidavate di Zelda, ma fatto sta che ora lei combatterà insieme a noi.»
Samantha fece uno strano, ma chiaramente sprezzante, verso nasale. «Senza offesa, Cynder, ma l'unico motivo per cui ho accettato a denti molto stretti di tollerare la sua presenza qui è perché Iago se la porta ovviamente a letto.»
«E stanno pure per avere un figlio» aggiunse Brian.
Il re delle Ninfe sospirò. «So che avete un conto in sospeso con lei tutti e due, e non vi biasimo, ma... non potreste darle un po' di tregua? Sta rischiando il collo proprio come noi ed è pure incinta. Ora come ora dovrebbe stare a riposo e fare tutto quello che di solito fanno le donne in gravidanza, e invece, proprio ora, insieme a Iago, a Desya, a Dante e a Godric sta studiando un piano di difesa per proteggere questi confini. E comunque... è stata anche la mia carceriera, ma mi ha sempre trattato abbastanza bene e mai ha alzato un dito su di me, anche se ne aveva il potere e la possibilità. È stata cresciuta da Grober in un certo modo e la colpa non è sua. Ciò che conta è chi alla fine abbia scelto di essere, no?»
Vedendo che Samantha non era convinta, Cynder le strinse una mano e aggiunse: «Sai anche tu che non ha chiesto a te e a Skyler di tenere al sicuro Erik per secondi fini. Voleva solo che suo figlio potesse godere di un po' di protezione in più. Zelda è tante cose, ma prima di tutto è una madre, proprio come te. Tu non avresti fatto lo stesso, al posto suo?»
«Ciò non toglie che continui a essere una stronza.»
«Beh, quello è il suo carattere.»
«Io ormai chiamo lei e Iago la Coppia degli Stronzi» intervenne Brian. «Cynder ha ragione, Sam. Capisco che Zelda non sia una simpaticona e che abbia dato non pochi problemi in passato, ma ha le sue ragioni per lottare al nostro fianco. Possiamo fidarci di lei. E poi andiamo... abbiamo accettato la presenza dello stronzo a caratteri maiuscoli per eccellenza, ovvero Dante il Lestofante.»
Loro malgrado, nonostante tutto, Cynder e Samantha scoppiarono a ridere di cuore.
Sam, poi, si terse gli occhi. «Se devo esser onesta, di lui ancora non mi fido del tutto. Mi fido più del fatto che di tanto in tanto becco lui e Godric a scambiarsi occhiate smielate. E pensare che ero convinta che si odiassero.»
Cynder rifletté. «Beh... se ho ben capito le dinamiche... se si fossero davvero odiati, avrebbero potuto sistemare una volta per tutte le cose quando sono stati intrappolati da Grober. Era chiaro che lui mirasse a spingerli a massacrarsi a vicenda, ma così non è stato. In tutti e due ho avvertito, sin dall'inizio, solo una marea di dolore e rimorso. So riconoscere certe sensazioni, ormai, e so distinguere una persona realmente cattiva da una che aspetta solo un segno che le faccia intendere che non tutto è perduto. Avevano bisogno di speranza e penso l'abbiano ritrovata l'uno nell'altro, e penso sia una cosa davvero dolce e poetica. Ora, così, Iago ha di nuovo la sua famiglia al completo o quasi.»
«Che vuoi dire?» incalzò Brian, perplesso.
«Iago una volta, prima che partisse con Alex e gli altri per Sverthian, si è fatto sfuggire che c'è stato un tempo in cui considerava Godric e Dante i suoi genitori adottivi. Lo vedevo che era triste e sono rimasto lì con lui finché non si è deciso ad aprirsi con me. È così che ha iniziato a dirmi di come fosse preoccupato dopo il ritorno di Dante e avesse paura che lui e Godric, a lungo andare, si sarebbero fatti del male com'era già accaduto in passato. Diceva che quella situazione lo logorava, che avrebbe solo voluto riavere indietro la sua famiglia, i suoi genitori. È stato allora che ho fatto due più due.»
Brian lo fissò un po' stordito. «Tu non sei un re, Cynder Langford. Tu sei un dannato psicologo in erba. Cavolo, hai fatto cantare Iago come un canarino!»
Samantha sorrise e non poté far a meno di pettinare via delle ciocche ribelli dalla fronte dell'uomo che non riusciva a non amare. «Lo è eccome. Senza il suo supporto non sarei mai riuscita ad accettare la questione di Andrew, di Hanging Creek, Obyria e tutto il resto.»
«Praticamente sei il nostro Yoda, amico» sentenziò Brian, tra il serio e il faceto.
Cynder arrossì violentemente. «Fatela finita» borbottò imbarazzato, incollando gli occhi al pavimento.
Sam però gli fece sollevare di nuovo il capo. «Guarda che diciamo sul serio. Senza di te non sarebbe la stessa cosa. In questo momento, ora più che mai, tu sei l'ancora di tutti quanti noi, Cynder. Mi stai facendo persino avere dei ripensamenti su Zelda, non so se comprendi l'importanza cosmica di una cosa del genere!»
Langford, ancora rosso in volto, seppur per motivi diversi, per un attimo accostò il viso a quello di lei, come se volesse baciarla, ma alla fine parve ripensarci. «N-Non sta bene baciarsi davanti altri altri» spiegò impacciato. «Brian si sentirebbe a disagio, dopo.»
Herden inarcò un sopracciglio, roteò gli occhi e poi diede una spinta tra le scapole all'amico. Samantha colse al volo l'input e baciò sulle labbra Cynder.
«Disagio un corno. Parteggio per voi due da secoli» borbottò tra sé Brian. Non riusciva a credere che Cynder potesse essere un simile puritano.
Si alzò e allontanò per dar loro un po' di intimità in più e fu il suo turno di concentrarsi sulla finestra e ciò che si stagliava oltre di essa.
Alcune ore fa avevano ricevuto, per una volta, una buona notizia, ovvero che gran parte dei signori dei vampiri delle altre nazioni avevano deciso di schierarsi con loro e contro Grober. Malgrado Brian avesse sempre ritenuto Dario una specie di vampiresca Barbie al maschile e un finto santarellino del cavolo, doveva ammettere che, a giudicare dal risultato appena ottenuto, quel vampiro non era poi così male e irrecuperabile. Forse un giorno si sarebbe persino scusato con lui per aver detto che a suo parere avesse cercato di provarci con Alex, cosa della quale non era più tanto sicuro. Forse aveva visto solo ciò che aveva voluto vedere e forse aveva aiutato Alex, quella volta, per motivi ben diversi dal voler ingraziarselo.
Samantha lo stimava e Cynder... beh, Cynder adorava Dario, visto e considerato che era stato fra i primi a trattarlo come un essere umano e a fargli capire di voler aiutarlo e proteggerlo, non usarlo. Alex si era sempre fidato di quell'uomo, ma per quel che riguardava l'opinione di Andrew, quella era ancora una grossa incognita.
Ora che ci pensava, non aveva visto mai o quasi Andrew e Dario interagire, il che era parecchio strano considerando che la regal sanguisuga si era fatta in quattro pur di dar loro una mano a salvare Andy dal capestro. Oltre a quella volta, quando Dario aveva spiegato a Andrew la ragione dietro all'atteggiamento strano di Skyler, Brian non li aveva più visti parlare o scambiarsi anche solo un'occhiata.
Davvero inspiegabile come atteggiamento per uno che aveva accettato di ottimo grado di fare la figura dell'idiota davanti a Obyria facendosi sfuggire casualmente dalle mani un vampiro condannato alla forca e ritenuto un pericoloso criminale. Tanto disturbo per qualcuno che poi aveva sì e no ignorato.
O quel vampiro con la corona era scemo oppure c'era sotto dell'altro, e Andrew si era accorto eccome dell'anomalia e con Brian aveva ammesso, una volta, che Dario lo avesse fatto fuggire di prigione solo perché lui e Sophie erano amici e perché sapeva, dopotutto, che il vero colpevole fosse sempre stato Arwin.
Un favore a una vecchia e cara amica che non avrebbe sopportato di vedere il nipote venire giustiziato. Poteva essere, ma... non collimava con l'impegno minuzioso con il quale Dario aveva gestito l'incontro dopo il quale avevano stabilito quando e in che modo salvare Andrew. Da parte sua v'era stata una sorta di premura di fondo e aveva scartato a priori tutte le opzioni che avrebbero messo fin troppo in pericolo non solo loro, ma soprattutto Andrew. Una volta aveva usato quel particolare avverbio e poi se n'era uscito con quella battuta infelice, quando aveva detto che se Alex fosse stato catturato, lui e Andrew almeno avrebbero affrontato la fine insieme in modo molto romantico. Ripensando a quel momento, esaminandolo di nuovo nella propria mente, Herden realizzò di aver visto un bel po' di preoccupazione e ansia negli occhi del signore di Athanasia. Altro che storie, Dario aveva dimostrato di tenere in un certo senso a Andrew, anche se poi, di colpo, aveva iniziato a evitarlo, più che ignorarlo. Ogni scusa era stata buona per non ritrovarsi mai da solo con Andy, per un motivo o l'altro.
Beh, conosce Sophie da una vita e così pure Skyler. A lui vuole bene, è evidente, quindi... forse vale lo stesso con Andrew. Io, però, non ignoro le persone a cui tengo.
In qualunque modo stessero le cose, a contare era il fatto che avessero degli alleati in più, alleati piuttosto forti. Brian non sapeva come avesse fatto Dario a convincere gli altri vampiri a schierarsi apertamente contro Grober, ma gli bastava sapere che ci sarebbero stati anche loro pronti a prendere a calci nel deretano Grober e le sue schiere, specialmente quei disgustosi esseri chiamati Ghoul.
La cosa un po' strana era che il Principe della Notte avesse mandato Max a dire tutto ciò, anziché esser lui stesso a dare la buona nuova. Wildbrook, interrogato circa tale stranezza, aveva solamente risposto che Dario aveva altri affari da sbrigare altrove. Non aveva voluto saperne di aggiungere altro.
Certo che è un gran bel tipo. Fa le cose e poi sparisce.
Venne riportato alla realtà dal suono delle porte che si aprivano. Si voltò e vide Skyler muovere qualche passo verso di loro. La sua espressione non era delle migliori.
«Io... io credo che ormai ci siamo quasi. In fin dei conti... la data prefissata si sta avvicinando, perciò...»
Non aggiunse altro e neppure gli altri osarono fiatare. Cosa c'era da dire, dopotutto? Tra pochi giorni avrebbero perso Alex e James in una sola volta e Grober avrebbe ottenuto ciò che voleva: distruzione, caos e morte.
Samantha si alzò in piedi e si passò velocemente le mani sulle guance. «Lo... lo dirò io agli altri.»
Se tutto fosse andato come da programma avrebbe rivisto suo fratello, ma si chiedeva cosa sarebbe rimasto di lui dopo un'esperienza del genere.
Tutto ciò di cui Andrew avrebbe avuto bisogno era una semplice vittoria dopo aver perso tutto o quasi, dopo tanta sofferenza e tanto disprezzo, e invece avrebbe fatto ritorno sconfitto per l'ennesima volta.
Se aveva ben capito, a Andrew era stata affidata la custodia di Anthony, ma come avrebbe fatto un uomo distrutto a occuparsi di un ragazzino di undici anni che fino ad allora non aveva fatto altro che chiedere, ogni singolo giorno, quando avrebbe fatto ritorno suo padre? Nessuno di loro aveva avuto il coraggio di dirgli la verità, di dirgli che fosse già tardi per Alex, ma presto avrebbero dovuto fare i conti con le loro menzogne e allora sì che ci sarebbe stato da rimangiarsi i gomiti.
Fu Brian, un po' per distogliere la propria attenzione da quel futuro triste e difficile, ad andare alle porte per aprirle non appena udirono bussare.
«Max, che succede?» chiese subito al vampiro, notando la sua espressione tesa.
Max esitò, come se dentro di lui vi fosse una lotta interiore fra il parlare e il non farlo. «M-Mi avete chiesto perché Dario non è tornato con me a Obyria e io... io ho risposto che aveva altro da fare e non sapevo dove si trovasse ora, ma... n-non è così.»
Herden lo fece entrare e si scambiò un'occhiata con gli altri alla ‟ve l'avevo detto". «Quindi?»
Wildbrook parve non poterne più di tener tutto per sé. «È andato nell'ultimo posto dove sarebbe dovuto andare, visto che Grober ha messo una taglia sulla sua testa, all'incirca. Ho cercato di dirgli che era troppo pericoloso, ma è un testone e voleva a tutti i costi vedere coi suoi occhi la famosa Fonte e... assicurarsi che non accadesse qualcosa di male a Andrew, visto cosa sta per accadere. Credo sia stato più forte di lui, non sopportava di restare ad aspettare senza far niente. Sentiva di dover andare prima che fosse tardi.»
Brian, mezzo stordito, si riprese e commentò: «Beh... meglio, no? Almeno sappiamo che qualcuno darà una mano a Andrew e forse anche ad Alex. Giusto?»
Skyler e Cynder, invece, la pensavano diversamente. Il primo era ancor più pallido del secondo. «È un guaio, Brian. Grober verrà a sapere ancora prima qualcosa che speravamo scoprisse più tardi. E Max ha ragione: Dario è nel mirino delle schiere di Grober, tutti i suoi sostenitori non aspettano altro che lui si allontani dall'unico posto in grado di offrirgli un minimo di protezione.»
Samantha si fece avanti, torva. «E a mio fratello non pensi? È lì da solo, chissà dove, forse in pericolo di vita. Se non altro Dario ha un po' di fegato e ha avuto il coraggio di fare quel che noi siamo troppo vigliacchi per fare: aiutare Andrew!»
«E cosa accadrà quando Grober riuscirà ad asservirlo come fece con Rasya? Non è più solo Dario, Samantha! Diventerebbe sì e no un'arma di distruzione di massa, se dovesse finire nelle mani sbagliate!» Guardò il vampiro. «Dico bene, Max?»
Cynder guardò con aria perplessa Skyler e Wildbrook. «C'è qualcosa che dovremmo sapere?»
Max ignorò la domanda e guardò l'Imperatore. «Come lo hai capito?» chiese stancamente.
«Non io. È stato Godric a farselo sfuggire mentre ieri parlava con Zelda. So dello scambio degli occhi e so quanto sia grave che ora Dario si trovi su Sverthian. È esattamente dove Grober lo voleva e non so cosa potrebbe accadergli se dovesse avvicinarsi alla Fonte.»
Max scosse la testa. «La Fonte non può fargli niente, almeno così credo. Insomma... acqua malefica o meno, stiamo parlando della Morte, giusto? Lui vuole vederla per capire se c'è un modo per neutralizzarla o purificarla. È impregnata di male, ma stando a quel che dice lui forse c'è qualcosa che si può fare per eliminare tutta l'impurità presente nella Fonte. In tal maniera potrebbe forse esserci una speranza anche per Grober e Alex, ma ci vorrà del tempo.»
Samantha si avvicinò. «Ti ha accennato su cosa abbia deciso di basare questa sua teoria?» chiese ansiosa. La possibilità che potessero in qualche maniera aiutare Alex nella sua impresa sì e no suicida e, addirittura, riaverlo fra di loro, la sollevava, ma trovava un piano del genere anche molto rischioso.
Il non-morto sospirò e tentò di ricordare l'ultima conversazione che aveva avuto con Dario. «Il suo ragionamento era questo, all'incirca: la Fonte si è corrotta in modo irreparabile dopo quanto accaduto a Grober. Si è trattata di una metamorfosi che non è stato lui a volere, di omicidio, un atto orribile, quindi... forse un atto di grande impatto eseguito con consapevolezza, con la volontà di fare del bene e purificare ciò che un tempo è stato corroso dall'azione più grave che esista, potrebbe magari sortire un effetto contrario. Serve anche dell'altro, però.»
Skyler era costernato. «Non riusciamo a capire.»
«Neanche io ci ho capito granché, Skyler, credimi» ribatté Max disperato. «A suo parere la Fonte è impregnata di malvagità e di morte, quindi necessita di qualcosa che possa curare la corruzione, qualcosa che sia in grado di elargire vita e purezza.»
«E non ha detto cosa potrebbe sortire un simile effetto?»
Max di nuovo sospirò. «Sentite... qualcosa che avrebbe potuto fare al caso nostro esisteva, ma un bel po' di tempo fa, e la conosciamo perché fu Ilya Yakovich a farne uso.»
Brian, incuriosito, quasi implorò il vampiro di proseguire.
«La Fonte della Vita. Sì, lo so, una volta non sapevano proprio avere un minimo di fantasia, ma si chiamava così ed era praticamente l'antitesi della Nera Fonte che si trovava invece a Sverthian. Ilya la utilizzò per creare un filtro di immortalità basandosi, guarda caso, sulle ricerche di un mago che conobbe e del quale però tradì la fiducia rubandogli alcuni documenti. Si trattava, come ho scoperto solo di recente, di Rodrigo Carvajal, il padre biologico di Dario, e quei manoscritti riguardavano il primo rudimentale elisir dell'immortalità che Carvajal aveva in realtà già perfezionato. Ilya rubò la ricetta sbagliata, per farla breve, e sfruttò le proprie conoscenze per correggerla e renderla utile ai suoi scopi: salvare Jake.»
Skyler annuì. «Sì, una volta James mi accennò a questa faccenda. Glielo aveva raccontato proprio Jake.»
«Beh, uno degli ingredienti usati da Ilya era un'ampolla con dentro un po' d'acqua proveniente dalla Fonte della Vita. Il punto è che poco dopo Michele venne a sapere di quel posto e sapendo che sarebbe potuto risultare un problema, se la Fonte fosse stata sfruttata dalle persone sbagliate, fece in modo che venisse distrutta completamente.»
Samantha tornò ad abbattersi. «Come non detto» commentò con un velo di rancore, maledicendo Michele e il resto dei suoi amichetti piumati.
Cynder, invece, sembrava aver ricevuto una botta in testa. «Un attimo... hai detto che Ilya usò quell'acqua mistica per preparare l'elisir, giusto?»
«Sì, ma...»
«Non potrebbe esser rimasta qualche traccia nell'organismo di Jake? Secondo i principi della magia, tutto ciò che origina o è comunque impregnato di essa lascia sempre degli strascichi, tracce indelebili. Una cosa così potente non può esser svanita dal corpo di Jake completamente, dunque. Il suo effetto è perdurato per secoli, pensateci. Questo vale a dire che...»
Samantha fu la prima a capire e, colta dalla foga del momento, prese fra le mani il viso di Cynder e gli stampò un bacio sulle labbra. «Sei un dannato genio!» Guardò gli altri. «Quello che intende dire è che Jake potrebbe essere una sorta di continuazione della Fonte della Vita. Giusto, Cynder?»
«Sì, esatto» biascicò il re, ancora un po' stordito e rosso in viso. «M-Magari ne conserva delle tracce dentro di sé. Sostanze così potenti tendono a fondersi all'organismo che le ospita in una specie di simbiosi. Un po' come i Sigilli che proteggono o potenziano i loro Portatori.»
«Giusto» osservò Skyler. «Magari potrebbe persino esser sufficiente qualche goccia del sangue di Jake.»
Maximilian non era molto convinto. «Forse è solo perché io e Jake siamo amici da tanto tempo e siamo anche stati insieme, fino a poco tempo fa, ma non trovo corretto chiedergli di fare una cosa così rischiosa. E se qualche goccia di sangue non dovesse bastare? A quel punto gli chiederemmo di dissanguarsi?»
«Quello no. Certo che no, Max» rispose subito Cynder, inorridito. «Sarei io per primo a non permettere a Jake di fare la fine di James e Alex.»
Samantha annuì, trovandosi d'accordo con l'affermazione del sovrano. «Vero, Skyler?» incalzò subito dopo, lanciando un'occhiata tagliente al marito.
«Sam, dagli un po' di tregua» la implorò Cynder, venendo in aiuto al fratello. «Sappiamo che odia questa situazione quanto noi e non serve a niente rinfacciargli tutto ogni singolo giorno. Senza contare che... insomma... tra non molto Andrew sarà di nuovo qui e a mio parere dovremmo eliminare ogni sorta di conflitto per rendere questo posto un ambiente dove lui possa sentirsi al sicuro e a casa. Circondato da persone che gli vogliono bene e si vogliono bene. Non roviniamo tutto, per favore. Non è quello che Alex vorrebbe, lo so per certo.»
Brian sentì tornare dentro di sé la voglia di piangere, ma la represse con un'ostinata compostezza che sconfinava nello stoicismo. «Ha ragione. Facciamola finita, qui e ora. Basta, ragazzi. Basta con l'incolparsi a vicenda, basta con i sensi di colpa, con il rancore. Non ci fa bene e... come ha detto Cynder, Alex non vorrebbe vederci così, impegnati a puntarci il dito contro a vicenda. Lui ha fatto la sua scelta, pur sapendo cosa avrebbe comportato. Sapeva qual era la cosa giusta da fare e non ha esitato a farla. La vita è sua, Samantha, e solo a lui spetta scegliere cosa farne. Lo so che questo farà del male a Andrew, che lo farà soffrire, ma... per citare la frase preferita della regal sanguisuga, il bene superiore viene prima di qualsiasi altra cosa. Alex morirà presto, ma lo farà da uomo giusto, da coraggioso. Una morte migliore della prima che ha dovuto affrontare, quando era da solo in un letto e tremava, divorato dalla febbre e dal cancro, con me che lo stringevo per tenerlo al caldo, convinto in modo infantile che sarei riuscito a guarirlo grazie all'affetto. Io so perché lo sta facendo e so che non ha mai perdonato se stesso da quando abbandonò Andrew al suo destino, tredici anni fa. Il suo fu un atto terribile, anche se umano, e forse ora vuole lavarne via la macchia con un'azione altrettanto coraggiosa ed estrema.»
«Brian...»
«Skyler, io mi sto finalmente decidendo ad affrontare la verità. So che non vedrò tornare il mio migliore amico, so di avergli detto addio mentre lo guardavo partire per Sverthian. Adesso lo so e non voglio più scappare dalla realtà. Non sono un bambino, sono un uomo adulto e le persone muoiono tutti i giorni, amici o sconosciuti che siano, e non tutti possono essere salvati. Pensavo che sarei riuscito a proteggere almeno stavolta Alex, ma è lui che sta proteggendo tutti quanti noi. Vuole darci una possibilità per sconfiggere Grober e non intendo piangermi addosso mentre il suo sacrificio va a finire nel secchio. Voglio rendergli il massimo omaggio, voglio sfruttarlo e prendere a calci nel culo Grober per averlo spinto a rinunciare a tutto di nuovo, proprio quando poteva essere felice. Sono incazzato come mai lo sono stato, ma sono anche orgoglioso. Se lo avessi qui lo abbraccerei e insulterei tutto in una volta. Una parte di me vorrebbe mandare a quel paese il bene superiore, visto che mi toccherà dire addio per la seconda volta a una persona a me cara, ma le ragioni di Alex mi impediscono di essere egoista, mi ricordano che se lui non terrà fede all'accordo con Grober molte altre persone moriranno, e questo né io né Alex potremmo accettarlo.»
Herden guardò Samantha. «Tuo fratello sarà a pezzi, al suo ritorno, ma sarà compito nostro ricordargli che ha ancora una famiglia dalla sua parte. Tante persone che gli vogliono un bene dell'anima. L'amore non è solo quello tra due fidanzati, ne esistono tante sfumature e in questi quasi due ultimi anni le ho viste praticamente tutte. Se Andrew è un uomo ragionevole, e non più il vampiro impulsivo che ha massacrato persone innocenti a Hanging Creek, verrà a patti un po' alla volta con questa realtà e noi saremo lì a dargli una mano. Ho rischiato la pelle per lui, di venire divorato da un drago acquatico pur di farlo fuggire dalla prigione. Non mi pesa scrollarlo per le spalle e fargli presente che è circondato da amore, amore che non solo Alex è in grado di dargli.»
Samantha tirò su col naso. «Hai... hai ragione» mormorò con voce rotta. «Ci sarò anch'io, ovviamente. È pur sempre quel testone di mio fratello.»
Skyler fece un cenno con la testa. «Morirei per Andrew e non è un'esagerazione. Gli devo tante cose e... ho molto per cui farmi perdonare, specialmente la mia lunga assenza durata anni. Stavolta non sarà da solo. Se soffrirà, soffrirò con lui. Per me è come un fratello.»
Cynder sorrise, lo sguardo lucido. «È stato sempre gentile con me. Mi è sembrato un uomo intelligente sin da subito, ma anche uno che aveva sofferto molto e aveva tanto da recuperare, proprio come me. S-Sapete... io... adoro la musica rock, quella di una volta, quella che veniva eseguita con passione ed era selvaggia, libera, ed è stato lui a farmela conoscere mentre ci trovavamo a casa della nonna. A volte abbiamo chiacchierato e mi sono reso conto che era uno dei pochi al mondo in grado di capire cos'avevo passato con Arwin e tutto il resto. Nei suoi occhi non c'era mai compassione, ma dolore e dispiacere. Parlarne mi ha aiutato molto a superare tutto e a guardare avanti. È una persona che avrebbe meritato di meglio, molto meglio di quel che invece la vita gli ha concesso. Non voglio che soffra da solo, perché è orribile venire dilaniati dal dolore senza nessuno accanto. Proverò ad aiutarlo come potrò e fin dove me lo permetterà. È il minimo che io possa fare per lui v-visto che... che non avrò la possibilità di ripagare Alex per la gentilezza che anche lui ha mostrato nei miei confronti. Lui è stato sempre delicato e premuroso con me, a volte sembrava trattarmi come se fossi il suo fratello minore. E cosa dire di James? Lo conosco solo da qualche mese, ma mi è subito entrato nel cuore. È una persona fuori dagli schemi e stando a quello che altri mi hanno raccontato su di lui, di coraggio ne ha dimostrato tanto in passato e ora eccolo di nuovo qui, in prima linea, pur sapendo che non tornerà vivo dalla guerra, stavolta. Mi consolo sapendo che almeno una di queste tre persone magnifiche tornerà viva e che Andrew, prima o poi, capirà che fra le tante vie che potevano essere percorse, questa era la più sensata e indolore. Non è uno stupido e ha buon cuore, quindi so che lo capirà. Gli servirà solo del tempo, come a tutti noi.»
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