[Κεφάλαιο 5]
MIAMI, FLORIDA
22 marzo 1992
«Zio allora? Non andiamo al centro commerciale oggi?» domandò il ragazzo dagli occhi profondi e gentili, all'uomo che leggeva tranquillamente il giornale seduto sul grande divano marrone.
«Tra un paio d'ore.» rispose poi l'uomo non togliendo gli occhi sul giornale.
Gli occhi di Ethan si colmarono di curiosità, proprio come un bambino, appoggiò le mani sui soffici schienali del divano per vedere le notizie scritte sull'enorme pezzo di carta color avorio.
Abboccò una notizia con la coda d'occhio che gli fece gelare il sangue.
"Vent'enne si toglie la vita per bullismo omofobico."
«Dai zio, ci sono solo notizie di morte qui.» mormorò dandogli una pacca sulla spalla andando verso la cucina per mangiare qualcosa di sfizioso.
A quel punto, Malcom si tolse gli occhiali, prendendo un bel respiro prima di parlare.
«Nipote mio, ti devi interessare a quello che succede nel mondo. Sennò che figure farai con il prossimo?» domandò lo zio con tono serio mentre il nipote cercò dal mobile qualcosa di dolce.
«Non ho più un prossimo zio.» disse prendendo un pacco di biscotti al cioccolato.
L'uomo guardò il ragazzo dopo quella risposta.
Lo studiò mentre apriva il pacco di biscotti, mise la mano dentro di esso, né prese uno mangiucchiando come un bambino.
Avrebbe voluto toglierli quegli occhi così spaesati e vuoti. Pieni di dolore.
Avrebbe voluto fare qualsiasi cosa pur di vederlo felice, ma Paul non era un tipo semplice. Non era un tipo che ascoltava attentamente i fatti, anzi, da un orecchio gli usciva dall'altro gli entrava.
Paul era sempre stato un duro con il sistema scolastico del figlio. Ma per il resto lo aveva viziato nel modo giusto riempiendolo di amore.
Ethan mentre mangiava il biscotto, pensò alle parole del padre, che gli fecero venire i crampi alla pancia.
"Sei uno schifo, un orrore. Mi domando cosa abbia fatto di male per avere un figlio come te. Ribelle alle regole e alla vita.
Ti ho dato tutto.
Amore, solo amore.
Io e tua madre abbiamo spaccato il culo per te, e tu che fai? Ci dai questo? Siamo stati troppo viziati con te, e questo è stato un nostro errore."
"Sei uno schifo! Un orrore! Mi domando cosa abbia fatto di male per avere un figlio come te."
Papà ... perché mi hai detto queste parole orribili? Perché mi hai fatto così male? Perché mi hai fatto sentire sbagliato quando in realtà sei tu quello sbagliato insieme alla mamma? Perdonami se sono stato il tuo più grande fallimento.
Mi domando cosa tu stia facendo ... se mi pensi, almeno un po'.
Paul era in ospedale a lavorare, esso era un neurologo molto efficace, amato da mezza Beverly Hills per la sua notorietà e autorevolezza per il suo lavoro.
Amava il suo lavoro.
Lo aveva sempre amato.
E mentre stava scrivendo delle analisi, qualcuno ad interromperlo bussò alla porta.
«Avanti.» rispose l'uomo cordialmente, ed entrò Claire, sua moglie.
Il marito la guardò con aria sorpresa.
Si alzò subito dalla sedia andando verso di lei con passo veloce «Che cazzo ci fai qui?» domandò con aria arrabbiata.
«Abbassa i toni Johns, dov'è nostro figlio?» egli sospirò irritato dalla domanda, e tornò a sedersi per riprendere quello che stava facendo «Non ignorami Paul, è tuo figlio. Sono andata a casa sua e non c'era, ho provato a cercare a casa di Milly e di Sandie ma non ci sono niente tracce.»
«Puoi stare tranquilla, Ethan ha varie conoscenze. Può darsi che è andato a casa di un amico a fotterlo come una vera puttana.» a quella risposta così priva di amore e menefreghismo nei confronti del figlio, Claire gli diede uno fortissimo schiaffo che per poco il rumore non si sentiva fino a Dubai.
Paul, la guardò con gli occhi di fuoco.
«Come ti permetti!?» domandò poi con le vene gonfiate di rabbia.
«Come ti permetti tu! Stai rovinando la vita di mio figlio per colpa tua!» lui ridacchiò nervosamente.
«Ma quanto sei ridicola Claire. Eh allora come mai quel giorno non l'hai difeso mentre io lo stavo facendo a pezzi con le parole sentiamo? Forse perché condividevi le mie ideee. Ed ora d'improvviso ti svegli per cercare quel disgraziato!? Starà bene, vivo e vegeto.» disse massaggiandosi la guancia, facendo qualche smorfia di dolore.
Lei stette zitta, scuotendo la testa vedendo davanti agli occhi la figura di quell'uomo che era suo marito. Stava man mano, incominciando ad odiarlo.
Odiarlo per il suo comportamento.
E per il suo orgoglio che lo rendeva maledetto.
Paul riprese a scrivere le analisi, guardando con la coda d'occhio la figura bella e snella di sua moglie.
Che nel frattempo si era seduta di fronte al marito. Voleva conforto, amore, e supporto dall'uomo che amava.
Amava suo figlio.
Sentiva di essersi comportata da perfetta incosciente, e non da vera madre.
Scoppiò a piangere mettendo la mano sulla bocca, pensando a quel ragazzo dagli occhi di cerbiatto pieni di innocenza e dolcezza, dal sorriso raggiante, e dalla sua voce melodiosa.
«Ti prego Paul rivoglio mio figlio, rivoglio il mio bambino nelle mie braccia.» disse tra i singhiozzi. Paul sospirò con aria ancora più irritata, ma lui amava Claire, la amava più di ogni cosa al mondo. Lo aveva reso un uomo migliore da quando la conobbe.
Lui si alzò per andare verso la donna, la sua donna, i singhiozzi di lei sparirono piano piano mentre lui asciugò le lacrime di sua moglie con le dita.
«Andrà tutto bene Claire, te lo prometto, ma tu devi stare tranquilla. Ethan è grande, e sa badare a se stesso. Non è più un bambino capisci?» parlò Paul con tono pacato e quasi dolce.
Lei scosse la testa in modo nevrotico.
«Tu non capisci cazzo! Io voglio mio figlio a casa! Voglio sentire la sua voce, e il suo contatto accanto alla mia pelle! Ma tu che ne sai l'amore di una madre verso il proprio figlio!? Io che l'ho fatto crescere nove mesi dentro di me e l'ho messo al mondo il legame è più forte! Che cazzo ne sai Paul!?» urlò Claire a squarciagola, lui stette zitto «Tu lo stai uccidendo ... e sappi che se gli succederà qualcosa. Io e te chiuderemo per sempre Paul, chiederò il divorzio e non mi vedrai mai più.» lui spalancò gli occhi a quelle affermazioni.
Il terrore e la paura di perdere le persone più importanti della sua vita lo avrebbero distrutto.
«No, no cazzo Claire non dirai sul serio?» si avvicinò di più alla moglie ma lei mise una mano davanti per fermarlo. E lui si fermò.
«Sono seria Paul, per quanto io ti ami, tu sei un male per nostro figlio.» lui la guardò dal profondo negli occhi.
«Entranbi lo siamo, abbiamo sbagliato con lui, e guardaci Claire. Guardaci come ci stiamo rovinando per colpa di-»
«Ti prego Paul, cerca di tornare all'uomo di cui mi sono innamorata venti cinque anni fa.» mormorò lei con occhi colmi di tristezza, cercando in essi un barlume di speranza.
Paul non si trattenne, la prese a sé e la baciò con ardore e amore.
Mise una mano sui capelli, e l'altra sulla coscia nuda continuando a baciarla.
Lei sospirò, aggrappandosi al marito poggiando le mani sulla schiena.
L'uomo appoggiò la moglie sulla scrivania, ella si alzò la gonna togliendo gli slip color nero come la pece.
Non smisero di baciarsi, la voglia di fare l'amore li fece dimenticare la loro precedente discussione.
Paul si slacciò i pantaloni, si avvicinò alla moglie per farle sentire la sua enorme erezione.
Gemette.
Voleva di più, voleva sentire suo marito dentro di lei ancora una volta, voleva sentire l'amore e la passione che li aveva portati per tanti anni e che continuava a farlo.
Tirò fuori dai boxer color turchese firmati Calvin Klein il suo membro, lei allargò le gambe, ed entrò con una vorace spinta.
Gemettero insieme.
Spinse con velocità e le gambe di Claire erano intorno alla schiena di Paul, mentre gemeva di piacere chiamando il nome di suo marito.
Si amavano fottutamente, come diceva Ethan, avevano sempre avuto una grande attrazione fisica verso l'uno e l'altro.
Erano due persone straordinarie, ma che con il loro orgoglio stavano uccidendo con le parole il proprio figlio, generato dal loro amore.
Quell'atto sessuale che stavano compiendo, era un modo per combattere il loro dolore.
Raggiunto l'orgasmo i coniugi si baciarono, stavolta con delicatezza e dolcezza.
Si sistemarono, e Paul guardò sua moglie mentre si sistemava la gonna. Si morse il labbro inferiore, le prese il viso con due dita, guardandola perdutamente innamorato di lei sussurrandole poi.
«Ti amo.» una parola semplice, ma capace di varcare una porta di emozioni.
Claire nonostante fosse abituata a sentirlo dire da suo marito praticamente tutto giorni, per lei, sentirlo ancora, era come se fosse la prima volta.
Si baciarono, e poi, andò verso la porta del suo ufficio, si voltò per guardarlo con un sorriso malinconico.
«Ricordati quello che ti ho detto Paul.» lui abbassò lievemente lo sguardo ed annuì «Ti amo anch'io.» disse la donna per poi andare via.
Paul andò verso la finestra per vedere la moglie che stava andando via camminando con passo deciso, e triste.
Lo sguardo del neurologo era tormentato e nervoso, così aprì la finestra e si accese una sigaretta iniziando a fumare.
C'era un solo pensiero che gli girava per la mente. Ethan. Suo figlio.
Ethan ... torna a casa dannazione.
Torna a casa, e non provare a fare cazzate.
Ma lui era arrabbiato, lo avrebbe voluto riempire di botte e fargli capire come stavano le cose. Ma Paul era troppo cieco di orgoglio per capire il dolore di un figlio nel non essere accettato, dai propri genitori.
[...]
Malcom ed Ethan erano al secondo piano del centro commerciale Bayside Marketplace
Esso conteneva più di 127 negozi, tra cui il famoso negozio Hard Rock.
Nella bocca del ragazzo si formò con una "O" in segno di incredulità.
«Zio cazzo qua ci devo entrare.» Ethan era vestito con un semplice jeans, un maglione rosso, delle Nike bianche al piede, con un paio di occhiali da sole.
Malcom ridacchiò.
«Va bene va bene, ma una domanda Ethan si può sapere perché tieni gli occhiali da sole?» il ragazzo si girò togliendo gli occhiali da sole come un vero divo.
«Caro zio, gli occhiali da sole sono sinonimo di classe ed eleganza, li puoi indossare anche quando piove. E vedrai che tutti ti cadono gli occhi addosso.» fece l'occhiolino prima di entrare all'interno del negozio.
Uno dei negozi preferiti di Ethan era l'Hard Rock, in cui comprendeva due piani, il primo dedicato allo shop e gadgets, il secondo il ristorante.
Ethan si dedicò solamente a compare qualche maglia.
Che poi trovò.
Era una maglia semplice, bianca con su la scritta Hard Rock e la sottoscritta Miami.
Era semplice, ma che Ethan adorò immensamente.
Durante il tour del negozio si prese anche un magnete a forma di chitarra, e un'altra maglia, stavolta nera con la sagoma della chitarra e la scritta Hard Rock su di essa.
Mentre Ethan cercava la taglia d'un tratto sentì della musica che trasmetteva il negozio. Per la precisione una canzone.
"Will you be there" di Michael Jackson.
Lui adorava quella canzone, e prima che partisse Sandie e lui l'ascoltavano di continuo canticchiando alcune strofe della canzone quando si vedevano.
Will you be there, era diventata la loro canzone.
Hold me
Like the River Jordan
And I will then say to thee
You are my friend
Carry me
Like you are my brother
Love me like a mother
Will you be there?
Lo sguardo di Ethan si perse nel vuoto, mentre poi con la coda d'occhio trovò la taglia della maglia. La prese mettendola a braccetto insieme all'altra maglia che aveva preso precedentemente.
Pensò a Sandie, a cosa stesse facendo, l'aveva sentita al telefono il giorno prima.
Sandie aveva una voce preoccupata preoccupata, se il suo migliore amico stesse bene.
Ricordò perfettamente la telefonata, con un sapore amaro in bocca.
«Sandie, devi stare tranquilla, sto bene.» disse il ragazzo ispirando il fumo della sigaretta dentro ai polmoni, ma sentì lei sospirare con aria preoccupata.
«Sei sicuro Ethan? Ti prego dimmi che stai bene e che non stai prendendo i farmaci.» doveva ancora una volta, mentirle sui farmaci, non avrebbe sopportato sentire la sua migliore amica piangere per lui. Si sarebbe troppo sentito in colpa.
«Sandie, non li ho portati. E poi ti ho detto già mille che sto bene. Sta tranquilla, anche se certo, Miami è molto bella ma non quanto Beverly Hills.» ridacchiarono.
«Ethan.» lo chiamò Sandie dall'altra parte della cornetta.
«Dimmi stellina.» lei sospirò di nuovo.
«Cerca di distrarti il più possibile, ti prego, sorridi, fai qualcosa e-»
«Sandie, Cristo santo non sei mia madre smettila di preoccuparti come una fottuta mammina del cazzo. Sto bene e non ho bisogno dei tuoi consigli della minchia! Lasciami stare, non cercarmi Dio!»
Si pentì amaramente di quella telefonata, e di quella risposta così brusca, egli sentiva di essere diventato brusco, di essere cambiato. Ma non capiva che le sue reazione e il suo comportamento era causato un po' dall'effetto dei farmaci, oppure dai suoi tormenti interiori.
«Ehi ragazzo, devi pagare?» disse improvvisamente un uomo che stava dietro alla cassa del negozio, il ragazzo non rispose, e andò a pagare.
Malcom ed Ethan in una grande sala piena di street food, seduti a mangiare qualche ciambella ed un caffè.
Ma Malcom notò subito che l'entusiasmo iniziale che aveva suo nipote, improvvisamente era svanito.
Cercò quindi di indagare.
«Ethan.» disse lo zio, mentre lui mangiò un morso di ciambella al cioccolato.
«Dimmi.» disse con tono neutro.
L'uomo incrociò le braccia.
«Non per essere invadente, ma come mai sei cosi giù? Prima eri così felice.» lui smise di masticare a quella domanda, non rispondendo, poco dopo riprese a masticare per poi inghiottire.
A quel punto il ragazzo dagli occhi tristi bevve un sorso di caffè.
«Ho fatto una cosa che non è da me.» rispose poi il nipote facendo successivamente una piccola pausa.
L'uomo aspettò con cautela la sua risposta «Mentre stavo a telefono con Sandie l'ho risposta in modo molto brusco, e le ho attaccato il telefono in faccia.» disse voltando lo sguardo verso da un'altra parte.
«Cosa ti ha spinto a fare questo gesto?» lui sospirò irritato.
Non voleva dire la verità a suo zio.
Dire che lui era dipendente dai farmaci.
E che la sua migliore amica era preoccupata principalmente per questo insieme al suo stato d'animo.
«Aveva fatto un po' la mammina, poiché è molto preoccupata per me. Vuole sapere se sto bene, se sto sereno e se sono felice.»
«Vuol dire che ti vuole bene.» annotò lui.
«Si ma ogni volta che le dicevo che stavo bene, lei mi rispondeva "sei sicuro?" Cazzo devo dirti? Il contrario?» spiegò Ethan con tono alterato, il parente capì che probabilmente era solamente un po' arrabbiato per i fatti suoi.
Ma infondo, era quello che aveva percepito.
Così gli prese la mano, il ragazzo guardò gli occhi dello zio in cerca di aiuto.
«Ethan, queste persone, come Sandie, tendono a starti accanto e non devi trascurarle. Forse eri arrabbiato per conto tuo e le hai risposto male. Ma quello che voglio dirti nipote mio, è che certe persone non devono essere perdute. Proprio come Sandie.
Lei ti adora, e lo ha dimostrato più volte. Evidentemente non vuole che tu stia male. Perciò, prendi queste persone come dei gioielli e non come il contrario. Lascia stare quello che è successo, ti sto dando un consiglio che ti serve nella vita.
Tieniti queste persone strette nella tua vita, perché ne hai bisogno. L'uomo è fatto per stare in compagnia non per essere solo. E poi, quando la vedrai o la sentirai, chiedile scusa.»
"Certe persone non devono essere perdute."
Ma il ragazzo sentiva il brutto presentimento di aver già perduto quella persona.
[...]
Ore 11.02 p.m
«Ethaaan, Dio quel ragazzo mi farà perdere la testa e siamo già in ritardo. Ethaaan, vuoi uscire da quella cazzo di camera?» urlò Malcom chiamando il nipote, dopo quella Ethan uscì dalla camera in modo molto stile Naomi Campbell appena uscita da una sfilata di Versace.
Pantaloni neri di pelle, monocassini di Gucci, con una canottiera bianca con su addosso una giacca nera, aveva al collo una collana d'oro a catena.
Si era truccato, aveva accentuato le labbra con un semplice lipstic glitterato, e risaltato gli occhi con il mascara e l'eye-liner, mettendo sul viso tanto illuminante per essere la stella della serata.
«Ma tipo Claudia Schiffer spostati!» esclamò Vicky con tono esultante vedendo suo nipote così bello.
«Beh, che ve ne pare? Non sono un'incanto?» domandò Ethan mordendosi il labbro inferiore.
«Oh si, una vera stella.» disse Malcom sorridendo.
Ethan smise di fare le posizione, e si mise a ridere insieme a Vicky.
«Cazzo sto andando in discoteca che bello!» in quel momento un velo di commozione avvenne nell'anima di Malcom, avrebbe voluto vedere suo nipote così, libero e felice.
Privo di ogni vergogna e di infelicità che gli opprimeva la libertà.
Avrebbe voluto vederlo così per sempre.
Andarono in un locale nel centro di Miami dove un cliente e caro amico di Malcolm, era il proprietario, da un parte c'era la sala riservata a quelli che non volevano ballare, e quindi si davano a whisky e alle chiacchierate.
Ma dall'altra, c'era una sala bellissima piena di luci abbiaianti di tutti colori con la musica a palla piena di gente.
Ed Ethan andò proprio in quella sala.
C'era in sottofondo la musica dei Nirvana, poiché stava andando molto in quel periodo. Il ragazzo andò di fronte al barman chiedendo gentilmente un mojito. Fu li che la festa iniziò.
With the lights out, it's less dangerous
Here we are now, entertain us
I feel stupid and contagious
Here we are now, entertain us
A mulatto, an albino, a mosquito, my libido
Yeah, hey
Yay
Ballava, rideva, sorrideva, era felice, la discoteca era il suo posto e si sentiva come a casa mentre beveva il suo drink.
Aveva bevuto ben quattro drink diversi e cinque shottini, ed Ethan era particolarmente ubriaco, diceva cose senza senso mentre la chitarra della canzone dei Nirvana elettrizzava ancora di più l'atmosfera.
Mentre Ethan stava ballando, distrattamente inciampò e un ragazzo lo colse in tempo prima che cadesse.
«Ehi ... grazie amico.» disse Ethan con tono ubriaco, alzò lo sguardo verso il tipo che lo aveva aiutato, ed era un ragazzo poco più grande di Ethan, e pensava di aver visto un angelo caduto dal cielo talmente che era bello.
Aveva gli occhi azzurri, capelli riccioluti biondi, alto di statura con una giusta muscolatura, naso all'insù e una bocca carnosa da mordere.
Il moro sentì un forte crescere di desiderio, e anche il ragazzo biondo provò la stessa cosa.
Ethan notò, alzando lo sguardo, che c'era un secondo piano con delle stanze.
I ragazzi si guardarono, si presero per mano andando di sopra.
Quando entrarono nella stanza, loro si stavano baciando con desiderio.
Si volevano, anche se non si conoscevano.
Ma Ethan era ubriaco e voleva fare sesso con uno sconosciuto.
Si buttò sul letto dal lenzuolo bordo mentre il ragazzo chiuse la porta a chiave, poi andò verso il moro, mettendosi sopra di lui continuando a baciarlo.
Ethan non era cosciente, era la sbronza a dire di scopare uno sconosciuto.
«Fa che io sii la tua puttana.» mormorò Ethan con tono pieno di piacere.
Fino a che poi, non si liberarono dagli indumenti.
Il giorno dopo Ethan si svegliò con un terribile mal di testa a causa della sbronza della sera precendente.
Si svegliò con calma, mise a fuoco cercando di capire in quale mondo si trovasse, e che momento del giorno fosse.
Poggiò la mano sulla fronte gemendo dal dolore, capendo poi dopo qualche secondo la realtà in cui si trovasse.
Si ricordava ogni cosa, e persino di quella notte di passione avuta da un misterioso ragazzo.
Egli si mise una mano sulla bocca incredulo di quello che aveva fatto, pentendosi amaramente di essere andato a letto con uno che non conosceva completamente ubriaco.
Le lacrime si fecero sentire.
Si senti sporco.
Proprio come diceva suo padre "una puttana".
«No dio ... che cazzo ho fatto?» sussurro tra se e se.
Mise le mani sulla testa cercando di non piangere, cercando di mantenere la calma per la situazione che aveva creato la sera precedente.
Non si voleva giustisticare, sentiva di aver tradito Thomas, anche se lo aveva lasciato, l'amore che provava per lui era ancora dentro al suo cuore.
E per una dannata debolezza sentiva di essere caduto in basso.
Si alzò dal letto e decise di andare in cucina a fare colazione, ma vide Vicky e Malcom, seduti sul divano completamente colmi di lacrime che guardavano il telegiornale.
Preoccupato andò da loro per capire cosa stesse succedendo.
«Ehi, buongiorno, cosa è successo?» Vicky puntò il dico sullo schermo della tv, che trasmise una notizia di cronaca nera che Ethan non si sarebbe mai sognato di sentire.
"Confessione fra le lacrime di Agnes Meis "Ho ucciso mia figlia Cindy, non ero in me." La donna ha fatto ritrovare il corpo della bambina di quattro anni in un campo del Texas, prima di crollare aveva denunciato un falso rapimento il giorno prima. La donna ha raccontato di aver preso Cindy dall'asilo, di averla portata a casa per poi ucciderla con 10 coltellate coprendo il corpo con una busta della spazzatura e gettarlo in un campo a pochi chilometri da casa sua.
Il motivo dell'omicidio sarebbe stata la vendetta dell'ex compagno di Agnes, Max, padre di Cindy, che a quanto pare la bambina di stava affezionando alla nuova compagna del padre."
Le lacrime, lo shock, invasero il suo corpo.
Com'era possibile che una madre aveva ucciso la sua stessa figlia? Colei che l'aveva messa mondo, e che doveva darle amore e sicurezza?
«Ora non si può neanche fidare delle madri.» commentò Ethan con il cuore spezzato, poiché neanche lui, si fidava di sua madre dopo quello che era successo con suo padre.
«Ma com'è possibile Mark? Dimmelo? Come si può uccidere una bambina? Sopratutto se è tua figlia? Ma io domandò, mentre la uccideva e sua figlia la guardava negli occhi, non ha provato niente?» domandò Vicky con tono increduto.
«Vicky ti prego ...» mormorò Malcom asciugandosi gli occhi con un fazzoletto.
«Come cazzo ha fatto a fare un'azione del genere porca puttana!? Come ha fatto!? Io quando guardò mio figlio negli occhi ringrazio il signore per averlo nella mia vita. Perché so che certa gente fa fatica ad avere figli. Ma Dio! Certa gente non merita di diventare mamme come in questo caso! Non deve trovare pace! Deve fare una brutta fine cazzo! Deve fare una brutta fine!» a quel punto Vicky scoppiò in un pianto liberatorio, Ethan la fece alzare per abbracciarla, piangendo in silenzio insieme a lei. Per quella bambina, tolta ingiustamente dalla vita, e da sua madre.
Colei che doveva darle amore, proteggerla, curarla e farle dal scudo su ogni male del mondo.
Ma infine, il male le venne sulla persona di cui si fidava di più.
Ethan sentiva sempre di più, la sfiducia verso il mondo, e dei suoi stessi genitori.
Cindy ... che Dio ti possa dare la pace, e il sorriso che ti è stato strappato ingiustamente dalla donna che ti ha messo al mondo.
Riposa in Pace piccolo fiore.
[NOTA AUTRICE]
Questo capitolo è dedicato alla piccola Elena Del Pozzo, trovata morta qualche giorno fa.
La madre il giorno prima aveva denunciato alla polizia che tre uomini incappucciati avevano rapito la figlia, ma i poliziotti, interdetti alla versione della donna chiedono più informazioni. A quel punto la madre piange, e confessa di aver ucciso la figlia.
Avete capito bene.
La madre ha inscenato un rapimento per coprire un omicidio.
È stata la madre ad uccidere Elena.
Con undici coltellate.
Devo dire la verità, questo è caso che mi ha particolarmente scioccato, uno di questi casi di cui ho versato le lacrime per quella piccola e innocente vittima.
Non oso immaginare gli ultimi instanti della vita di Elena quando guardava la mamma con la quegli occhi innocenti, mentre lei la stava pugnalando.
Non ci sono giustificazioni per un atto del genere, né la depressione, stanchezza o altro. Perché i bambini non si toccano.
Solo a pensarci, mi vengono le lacrime agli occhi. Perché è così assurdo crederci.
Assurdo credere che una madre possa uccidere una bambina di quattro anni.
Volete sapere perché lo ha fatto? Perché voleva vendicarsi dell'ex compagno, padre della bambina, poiché Elena si stava affezionando alla fidanzata del padre, e a quanto pare, la madre questo non lo tollerava.
Ma ora dimmi? Cosa cazzo centrava togliere la vita a tua figlia, sangue del tuo sangue? Non deve avere pace, le auguro di non trovare pace.
Una mamma dovrebbe essere una figura di protezione, di amore, di fiducia e di cammino, per Elena non è stato così.
Che la terra sia lieve, vola più in alto che puoi. Riposa in Pace piccolo angioletto, il tuo sorriso sarà per sempre nei nostri cuori.
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