[Κεφάλαιο 45]
IL GIORNO DOPO
La notizia delle presunte accuse di abuso sessuale di un minore a Michael Jackson fecero il giro per il mondo in poche ore.
I tabloid di tutto il mondo non ebbero nessuna pietà nei confronti del cantante.
Immagini modificate, foto fatte male e sgranate, articoli lunghi di ben due pagine spiegavano le accuse, definendo Jackson come uno strambo, purtroppo, anche del presunto molestatore di bambini.
Michael, era sulle prime pagine dei tabloid.
Il cantante non dormí per tutta la notte, era steso sul letto, con gli occhi gonfi, il viso pallido e le lacrime che scendevano lungo il suo viso.
Aveva pianto per tutta la notte.
Da solo.
Sandie aveva implorato di dormire con lui, ma rifiutò, quella notte voleva stare da solo, e sfogarsi.
Sfogarsi però, nel modo peggiore.
I farmaci.
Per tutta la notte prese molti farmaci, di ogni tipo diverso, che sia liquido o pasticca.
Era ritornato nell'oblio.
Non aveva mantenuto la promessa.
Sentiva di essere un uomo finito.
Un uomo che non valeva più niente.
Lo avevano accusato della cosa che più amava al mondo, e che mai avrebbe fatto del male a quelle meravigliose creature di Dio.
I bambini.
Percepiva, nonostante fosse lontano da migliaia di kilometri, i tabloid e i mass media.
Sapeva che i media avrebbero gestito la situazione nel modo più crudele possibile, metterlo in cattiva luce.
In fondo, era quello che facevano i mass media.
Non accese la tv.
Dormí al buio.
Tra le lacrime e il buio che lo circondava.
Per la prima volta provò tanta paura.
Si alzò dal letto, incamminandosi verso la finestra, l'aprí e uscì, la sua stanza aveva un bellissimo balcone dove si vedeva tutta Bangkok.
Man mano si svegliava dalle prime ore della giornata.
Sentiva le voci della gente, i rumori della natura, chi utilizzava la bicicletta, udendo il tintinnio di un piccolo campanello, chi la macchina, udendo il motore, il rumore dell'acqua, e tanti altri suoni della vita quotidiana di un semplice essere umano.
Essere umano.
Era quella la parola che pensò Michael di prima mattina.
Un essere umano era dotato di elementi particolari, come l'anima, la mente, lo spirito e le emozioni.
In particolare le emozioni.
Michael aveva un anima pura, delicata e semplice.
Aveva la mente di un genio, ma allo stesso tempo la mente di un bambino sperduto.
Possedeva uno spirito umanitario, talmente buono, che solo le persone non dotate da uno spirito buono e insensibile potevano ferirlo.
Era un essere umano come tutti gli altri.
Ma la gente non lo capiva.
Appena faceva un minimo passo, anche il più futile di tutti, era nei tabloid.
Attaccandolo di giorno in giorno.
La parte più difficile era proprio affrontare le giornate.
Lui non poteva andare ad un negozio, al parco, al centro commerciale, al cinema, nemmeno al ristornate. Subito la gente sarebbe impazzita, lo avrebbero seguito implorando una foto e un autografo.
Si sentiva vittima della sua grandezza che lui stesso aveva creato.
Si sentí in croce, con il cuore che sanguinava dal dolore immenso di non essere compreso da nessuno, di non avere una vita normale.
Ma infondo, diventare famoso l'aveva desiderato, e pagò le conseguenze. Anche troppo.
Lui voleva solo essere lasciato in pace dalla cattiveria della gente e vivere una vita normale.
Ma sapeva che chiedeva troppo.
Chiedeva troppo per una vita normale, come tutti gli altri.
Chiedeva di essere trattato come un normale e comune essere umano.
Chiedeva di non stupirsi quando salutava qualcuno, quando faceva le cose normali di ogni persona del mondo.
Se lui scriveva su un pezzo di carta, la gente impazziva.
Se lui giocava, la gente impazziva.
Se lui dormiva, la gente impazziva.
Se lui si truccava, la gente impazziva.
Se lui guardava il cielo, oppure le piante, la gente impazziva.
Se lui tossiva, la gente impazziva.
Se lui si arrabbiava, la gente impazziva.
Se lui andava per il giro del mondo, la gente impazziva.
Se lui faceva l'amore, la gente impazziva.
Mettendo tutto per iscritto.
Come se queste cose non fossero per nulla normali nel suo conto.
Era tutto un macigno che portava da tutta la vita.
Aveva un peso nella sua anima.
Un peso che non poteva uscire.
Ed ora si erano aggiunte le accuse, il suo peso aumentò.
Sentiva di scoppiare.
Di non farcela più.
Si accasciò piano piano, mettendo una mano sul petto, il vento sfiorava i suoi riccioli neri, strinse i denti, chiuse gli occhi, e riprese a piangere.
Si domandò solo una domanda: perché?
Perchè tutta questa cattiveria?
Perché tutto questo odio?
Perché lo tormentavano?
Infondo lui, viveva per fare del bene alla gente, e non il contrario. E lo sapeva.
Lo sapeva bene.
Ma nel suo piccolo, ammetteva le sue colpe.
La colpa era semplicemente di essersi fidato delle persone sbagliate.
Delle persone con lo scopo di distruggerlo.
Respirò appena, percepiva di avere un attacco di pressione. Così piano piano, fece dei piccoli respiri profondi.
Nonostante ciò, non riusciva calmarsi.
Tornò nel suo letto, con la speranza che gli venisse sonno.
Ma invano.
Il sonno non lo chiamò.
Così prese altre due pasticche, senza acqua.
Ormai i farmaci li aveva presi in modi estremi.
Si toccò lo stomaco, brontolò.
Quando seppe le accuse si rifiutò di mangiare e di bere.
Sapeva che era da pazzia, ma lo fece lo stesso.
Sandie provò più volte, anche a portarlo con la forza al ristorante per farlo mangiare.
Ma lui spostava i piatti, si alzava per andare in camera sua.
Non volle vedere nessuno, neanche Sandie.
Perché vide il buio intorno a sé.
Un buio inquietante, come quello dei film dell'orrore, da mettere solo ansia e pressione.
Era quello il buio dove Michael si trovava.
Nel buio dell'orrore.
Dove si vedeva nient'altro che l'oscurità massima.
Si dette le colpe.
Si faceva del male.
Pensando che le persone non importassero nulla di lui, e che lo avrebbero abbandonato.
Nel suo cuore però, aveva una speranza.
Era Sandie.
Per lui rappresentava una forza.
Una speranza da cui uscire da quella situazione.
Contava su di lei.
Sul suo amore.
Contava sull'amore.
Sperava con tutto il cuore, anzi, pregava, pregava all'onnipotente di permettere che Sandie rimanga al suo fianco, in particolare, che non lo abbandoni proprio nel momento del bisogno.
Si sarebbe sentito perso per tutta la vita se avesse perduto la sua luce.
Nel frattempo Sandie, si svegliò di soprassalto, da poche ore ere riuscita a prendere sonno. Ma quella notte, fu una notte piena di pensieri per la giovane.
Non poté pensare a Michael, al contesto che si era creato nel giro di un giorno.
Sospirò, si alzò dal letto aprendo la finestra per far entrare aria.
Guardò l'orologio, erano le sette precise.
Accese la tv, era tutto in lingua thailandese, accennò un lieve sorriso divertita e lasciò un canale a caso.
Amava far personificare la tv come un sottofondo musicale, lo trovava rilassante, e di grande compagnia. Anche se trasmettevano un film che conosceva, non importava. L'importante era il non sentirsi sola.
Si toccò la collana, le sue dita percorsero il ciondolo stilizzato a forma di stella.
Chiuse gli occhi, mentre accarezzava quel ciondolo.
Michael ...
Era il suo pensiero principale.
Sapeva che Michael non avrebbe chiuso occhio per questa faccenda.
Che non avrebbe dormito dai troppi tormenti.
Ormai, lo aveva imparato a conoscere.
Si mise una piccola vestaglia leggera, le pantofole, e uscì dalla stanza.
Andò per il terzo piano, stanza 345, era lì che si trovava.
Quando arrivò, davanti alla porta in giallo ocra con attaccato il numero della stanza. Si bloccò, rimanendo immobile per vari minuti.
Bussò piano piano.
In modo tale che Michael sentisse, ma aveva il dubbio se stesse dormendo oppure sveglio.
Ma conosceva Michael.
Con una situazione del genere non chiudeva occhio.
Aspetto che Michael l'aprisse.
Ma non fu così.
Ella rimase davanti alla porta, con il cuore a mille e preoccupato per lui.
Riprovò a bussare, ma nessun cenno.
Capì, che anche se stesse sveglio, di lasciarlo sfogare da solo.
Lo poté comprendere.
Anche lei, durante i suoi momenti pieni di angosce, si chiudeva nella sua stanza non volendo parlare con nessuno.
Venne in mente il periodo dopo il sequestro, e della morte di Ethan.
Ricordò le sensazioni.
Voleva sprofondare nell'oblio.
Il cuore bucato in pieno dai tormenti e dal dolore.
E pensando che Michael stesse attraversando quel tipo di dolore, ma con un contesto diverso, la intristiva.
Non voleva vederlo in quelle condizioni in cui era anche lei un anno prima.
Sapeva cosa vuol dire essere depressi.
Sapeva le emozioni che si provavano quando accadeva qualcosa di brutto, che ti rimaneva nel cuore.
Lei lo sapeva bene.
E l'unico sfogo era il pianto, dandosi le colpe e arrabbiarsi.
Ma fino ad un certo punto.
Fino a che non sentivi il mondo crollare addosso nei tuoi piedi, vedendo tutto nero, priva di una luce che ti conduceva alla speranza.
Fino a che non sentivi una cosa: la solitudine.
Sandie per un periodo di tempo, aveva sofferto di solitudine, soprattutto l'anno prima.
Il 1992.
Ma grazie alla sua famiglia, ai suoi amici che l'avevano supportata era riuscita man mano ad uscire dal vortice nero.
In particolare per lei fu importante la presenza di Michael.
Una presenza magnetica e piena di luce divina.
Solo grazie a lui, era ancora viva.
Viveva per la vita, e per lui.
Mettendo nel cassetto dei suoi ricordi, tutto quello che le era successo.
Michael le era stato vicino.
Le aveva asciugato le lacrime.
L'aveva fatta sorridere.
Le aveva stretto la mano, ripetendole: "sei forte, c'è la puoi fare."
Ora toccava a lei.
Doveva ricambiare tutto quello che aveva speso nei suoi confronti.
Doveva farlo.
Era un modo per pagare i suoi debiti.
Ed era arrivato il momento.
Il momento di stringergli più forte la mano.
Di abbracciarlo per farlo sentire al sicuro.
Di farlo sorridere anche con le piccole cose.
Di amarlo più di prima.
Di asciugargli le lacrime.
Ma in particolare, di dirgli che non era solo, e che era pronta a stare con lui, a combattere con lui.
Lei era pronta per tirarlo fuori dal vortice dell'oscurità.
~~
Sandie si preparò per la colazione, si era data appuntamento con le ragazze.
Mise una semplice maglietta bianca e un paio di leggings neri, al piede delle scarpe sportive.
Faceva caldo.
Il mese di Agosto era il più caldo di tutta l'estate.
Sospirò passando la mano sulla fronte, prese l'elastico, si fece una bellissima coda.
Sorrise.
Prese le chiavi, una piccola borsetta e scese verso la sala.
C'erano Karen, Jennifer e Nadia sedute in un unico tavolo, appena videro la ragazza la salutarono da lontano.
Ella sorrise e salutò.
Le ragazze si alzarono dal tavolo e la presero con se portandola all'ingresso.
«Ehi ehi, ma perché usciamo dall'hotel?» domandò lei non capendo.
«Quante domande! Facciamo colazione al bar, come le vere amiche.» esclamò Nadia con un sorriso.
«Preparati perché ci sfondiamo sul serio.» bottò Jennifer.
Così le ragazze uscirono, e andarono al bar più vicino.
Ciambella thailandese e una bevanda di soia, era la tipica colazione thailandese.
Le ragazze chiesero ad un ragazzo di scattare una foto con la Polaroid.
Le quattro amiche, erano posizionate in modo simpatico, chi aveva la ciambella tra le labbra, chi sorrideva, e chi faceva le espressioni buffe.
Era uscita fuori una foto degna di un gruppo di amiche.
Era da tempo che Sandie non faceva colazione al bar con delle amiche.
Almeno un anno.
Cacciò il suo spirito giovanile.
Iniziò a parlare, ridere e scherzare, facendo in qualche modo ridere le ragazze.
Voleva ritornare ad essere quella di prima.
Voleva essere la Sandie giocosa e solare che era due anni prima.
Lo desiderava, e ci stava riuscendo.
Con le cose più piccole che le permettano di raggiungere il suo obiettivo.
«Ragazze, oggi si spacca di nuovo. E poi finalmente cambieremo città.» disse Jennifer bevendo un sorso di bevanda di soia.
«E dove si andrà?» domandò Sandie.
«A Singapore bellezza, andremo a Singapore, poi a Tapei e in Giappone!» esclamò Karen alla fine.
Sandie sgranò gli occhi.
«Siete serie? In Giappone?» domandò Sandie incredule, Karen annuì «Oh Dio, ho sempre desiderato di andare in Giappone. Solo che era troppo costoso.» spiegò.
«Ci andrai con noi, e con l'uomo che ami no?» disse Nadia mangiando un pezzo di ciambella.
Annuì, ma il sorriso svanì piano piano.
Tornando a pensare a Michael.
Sospirò mangiucchiando un pezzo di ciambella.
«Tutto ok Sandie?» domandò Karen con tono preoccupato.
Annuì con il capo.
«Sono solo stanca, non ho dormito stanotte.» mentì.
«Evidetemente ha ragione, l'hotel sarà pure bello, ma la zona è troppo rumorosa.» lamentò Nadia.
«Cocca, siamo a Bangkok, è normale.» rispose Jennifer.
«Si quello che vuoi, ma cazzo, un po' di contegno la notte no? Sento le persone urlare ubriache, oppure gente che parla e pomicia tra loro. Ma dico io? Non è meglio farlo a casa invece di rompere le palle alla gente che dorme?» le ragazze ridacchiarono divertite
Sandie si grattò il collo, passò la lingua sulle labbra inumidendole.
«Oppure una ragazza qui presente si diverte di nascosto la notte.» stuzzicò Nadia riferendosi a Sandie.
Le ragazze la guardarono con uno sguardo furbo, mentre lei si beveva la sua bevanda di soia in modo tranquillo.
Alzò gli occhi e si imbarazzò.
«Come?» domandò.
Karen sospirò.
«La gente pomicia per strada, urla durante la notte. E tu Sandie? Come ti diverti la notte?» domandò Jennifer mordendosi il labbro inferiore.
«Ci sono modo per divertirsi, guardando un film comico, fare un gioco di società, un pigiama party con le amiche e ...» si interruppe, le sue guance diventano rosse.
«E? Coraggio Sandie. Dì quella parola.» incitò Nadia.
Sandie accennò una risata.
«Fare una bella scopata con il tuo ragazzo.» rispose diretta.
Le ragazze fecero un applauso.
Sandie incitò a fare piano.
«Vi prego ragazze.»
«Questa è la Sandie che ci piace baby.» mormorò Jennifer.
«E non ti do tutto i torti. Non c'è cosa più bella di fare una bella scopata con il tuo ragazzo.» mormorò Karen mangiandosi un pezzo di ciambella.
«Concordo pienamente con voi ragazze.» intervenì Nadia compiaciuta.
Sandie rise, cacciando un sospiro all'inizio, scosse la testa, pensando a quanto fossero incorreggibili.
Dio, mi erano mancate le riunioni tra amiche.
[...]
Le ragazze fecero shopping durante la mattinata per Bangkok.
Andarono nei negozi, comprendo vari souvenir e vestiti.
Tornarono in hotel con le buste piene di roba.
«Mi sa che abbiamo esagerato.» parlò Sandie accennando un sorriso.
«Io affogo i miei dispiaceri nello shopping per consolarmi. E credimi, questo non è niente in confronto allo shopping che faccio di solito.» spiegò Nadia togliendo gli occhiali da sole.
«Senti chi parla, eppure hai speso un botto di soldi.» mormorò Jennifer tenendo per bene le buste.
«Taci.»
«Ehi ehi, ragazze calma.» disse Karen sistemando la borsa.
Sandie passò la mano sulla fronte, pulendola dal sudore.
«Dio, fa un caldo assurdo.» mormorò volteggiando la mano tra sé e se.
«Menomale che qui ci sono i condizionatori sennò ci scioglievamo come dei gelati al sole.» mormorò Nadia prendendo un fazzoletto, asciugando la fronte e il collo.
«Puoi dirlo forte Nadia. E pensare che tra un po' dobbiamo andare allo stadio.» le ricordò Karen.
«Eh già, vorrei provare dei passi prima che andiamo, non mi sento sicura su dei pezzi.» intervenì Nadia.
«Se vuoi veniamo in camera e ti facciamo compagnia mentre balli.» propose Jennifer con tono dolce.
«Siete le migliori! Sandie vieni anche tu?» Sandie voltò il capo sulle ragazze, negando successivamente.
«Ragazze io ho bisogno di riposarmi un po'. Mi fa un po' male la testa.» mentì.
«Sarà il caldo.» disse Karen.
«Oppure il ciclo.» bottò Sandie «Io vado, a più tardi ragazze.» le salutò con la mano prima di incamminarsi verso l'ascensore
Nel frattempo, Ben, il manager di Michael, insieme ad un suo assistente era dentro all'ascensore, diretto nel piano dov'era la camera del cantante.
«Mr Ammar, è davvero una pessima situazione, persino nei tabloid inglesi c'è Michael in prima pagina.» parlò il suo assistente.
«L'ha combinata grossa stavolta, io non so come ha fatto a non accorgersi che quelle persone volevano solo soldi da parte sua. È davvero ingenuo quel ragazzo.» borbottò Ben, con aria nervosa.
«Forse perché sono stati talmente bravi a non farsi scoprire.»
Ben sospirò nervosamente, arrivarono al terzo piano, incamminandosi con passo deciso verso la stanza del cantante.
Bussò alla porta.
«Michael, sono io. Aprimi, dobbiamo parlare di alcune cose importanti.» nessuna risposta, il manager guardò il suo assistente, dove egli alzò le spalle. Ben bussò di nuovo alla porta seccato. «Ragazzo forza. Apri la porta! Impossibile che stai ancora dormendo.» esclamò arrabbiato, nessuna risposta, ancora. A quel punto Ben bussò ferocemente alla porta.
«Michael! Cazzo! Apri questa dannata porta o te la faccio fracassare! Apri la porta!» urlò Ben battendo con ferocia la porta.
Il suo assistente picchiettò sulla spalla, invitandolo a guardare nella serratura.
C'era la chiave.
Ben lo guardò, l'assistente annuì in segno che doveva entrare.
Girò la chiave verso sinistra, la porta si aprì, ed entrarono nella camera del cantante.
I due uomini videro una scena da far gelare il sangue.
Michael steso per terra, completamente privo di sensi.
«Oh Cristo!» esclamò il manager allarmato corse verso di lui.
Lo fece girare dalla sua parte.
Gli picchiettò in viso cercandolo di farlo riprendere.
Ma invano.
«Merda! John, corri a chiamare Sandie Vrachnos! Falla venire qui immediatamente!»
Sandie era in camera sua, sistemando i vestiti e gli oggetti che aveva comprato la mattina con le ragazze.
Guardò il panorama, l'intera città era baciata dal sole e dai bellissimi rumori della città.
Sorrise.
Amava vedere nuove città, nuovi movimenti, nuove culture.
Era una ragazza molto curiosa, che amava imparare cose nuove.
Amava il sapere. Imparare e guardare il sapere.
Fino a che non sentì qualcuno bussare ferocemente la porta.
Sandie sussultò dallo spavento e corse ad aprire.
Era John, l'assistente di Ben.
Aveva l'affanno e il cuore che batteva come una maratona.
«John, ma che cosa-»
«Sandie! Abbiamo bisogno del tuo aiuto.» esclamò allarmato.
«Ma che cosa è successo?» domandò la ragazza, leggermente spaventata, e sentí pronunciare una frase che mai avrebbe voluto sentire.
«Michael è svenuto.»
~~
Ella come una furia, arrivò di corsa insieme a John, con un kit del pronto soccorso, nella stanza di Michael.
Quando vide il suo amore accasciato per terra, privo di sensi. Per un attimo aveva toccato la morte con lo sguardo.
«Michael!» si mise per terra, gli prese il viso, era ancora caldo, aveva solo la testa arrosata. Prese il kit del pronto soccorso, tirò fuori una busta fredda contente del ghiaccio.
La diede a John.
«Appoggiala delicatamente sulla fronte, dov'è arrosato. Premi piano piano.» John obbedì.
Controllò il polso. Sospirò in segno di sollievo «È ancora vivo, grazie Signore. Ma Dio Michael, ti devi svegliare!» gli scoprí il torace.
«Apri le finestre!» urlò a Ben, era nel panico.
Le era capitato uno di questi momenti, anche con Ethan quando aveva attacchi di svenimento. Lo rianimava senza problemi.
Ma stavolta, non era Ethan ad essere steso per terra. Bensì Michael.
La giovane ordino a Ben di non avvicinarsi al cantante e di lasciare fare a lei.
Sandie posizionò le mani al centro del torace del ragazzo. Lo guardò e le lacrime scesero sul suo volto.
Aveva paura.
Una paura tremenda di non riuscire a farlo svegliare.
Ma doveva riuscirci.
Doveva vederlo svegliare e stare bene.
Con il palmo della mano, applicò una pressione verso il basso.
Continuò per cinque volte, ma Michael non reagì.
«Cazzo Michael! Ti prego!» urlò Sandie in preda al panico «Non devi mollare!» urlò.
Vedendo che la rianimazione non funzionava, provò con la respirazione a bocca a bocca.
Chiuse il naso del fanciullo, posizionò la sua bocca sulla bocca del suo amato, e con un espirazione costante, effettuò due insufflazioni nella bocca di Michael.
Grazie alla respirazione a bocca a bocca, il cantante riprese conoscenza.
Cominciò a tossire, aprendo gli occhi.
Sandie rimase scossa.
Aveva salvato Michael.
Lo abbracciò dandogli un bacio sulla nuca.
«Amore, amore mio. Amore mio.» disse accennando un sorriso, ma la sua pressione le costò un terribile pianto.
Urlò talmente che si era spaventata.
Michael sentendo il corpo di Sandie, si tranquillizzò, si rilassò abbandonandosi a quel dolce calore.
Si lasciò cadere una lacrima sentendo i pianti della ragazza, chiuse gli occhi, con la speranza che non di non svegliarsi più.
[...]
Michael venne ricoverato nell'ospedale più vicino. Venne visitato.
Sandie, Karen, Ben e John erano in sala d'attesa, impazienti dei risultati della visita.
Karen notò che Sandie stava tremando, aveva le mani che tremavano, l'accarezzò per farla calmare. Ma non ci riuscì.
Sandie non si calmò.
Per un attimo, vedendo che Michael non reagiva alla rianimazioni. Pensò subito al peggio.
Ma lo aveva salvato.
Grazie alle sue capacità di dottoressa, aveva salvato il suo amore.
Ma fu una scena che mai si dimenticò per il resto della sua vita.
Il dottore uscì dalla stanza, Ben si alzò immediatamente, camminando verso il dottore per sapere le condizioni di Michael.
«Allora? Come sta?» domandò il manager.
«Ora sta meglio, la causa dello svenimento è stata una forma grave di disidratazione. Deve restare sotto controllo almeno questa notte.» Ben si innervosì subito.
«È possibile visitarlo?» domandò.
«Certamente.» Ben lo ringraziò, il dottore se ne andò, il manager corse dentro alla stanza di Michael.
Sandie lo guardò con uno sguardo pieno di disgusto.
Era un uomo senza sensibilità.
Non la ringraziò neanche del suo intervento.
Neanche una parola di cortesia.
«Sandie.» la chiamò John.
Lei lo guardò.
«Sei stata ingamba, un vero angelo.» ringraziò l'assistente.
Ella si intristì.
«È solo grazie a te se Michael ha ripreso conoscenza. Sei stata bravissima Sandie.» ella non rispose, aveva ancora stampato nella sua mente il volto giacente di Michael che non connetteva il mondo.
«Ho avuto paura.» rispose come un sussurro «Temevo ... per un attimo che.» si interruppe e scoppio a piangere «Mio Dio!»
Karen l'abbracciò.
«Sshhh, è tutto okay Sandie. Ora sta bene, per tutti gli angeli del cielo. Sei stata una Santa.» disse la bionda accarezzando la ragazza.
Aveva ancora dentro di se, la paura di non riuscire a svegliarlo mentre lo stava rianimando.
Ma ci era riuscita.
Ma per un momento aveva visto il buio nei suoi occhi.
Quando poi a solbazzare i tre ragazzi , fu Ben che uscì sbattendo la porta.
Puntando il dito contro qualcuno.
«Sei solo un debole! Un cazzo di debole! Un fottuto idiota! Andando avanti così perderò i soldi, non avrò i miei soldi per colpa tua e delle tue schifose accuse!» urlò furioso, incamminandosi arrabbiato fuori dal reparto. Andando via dall'ospedale.
Sandie, John e Karen, rimasero scioccati di quanto Ben fosse arrabbiato, e si chiedevano il motivo.
«Andiamo dentro.» ordinò Sandie. Si alzò ma gli altri rimasero seduti «Non venite?» domandò.
«È meglio se vai prima tu, ha bisogno di te Sandie.» rispose Karen tenendo le mani congiunte.
Stellina entrò in stanza, vide Michael sdraiato sul letto, con una flebo attaccata al braccio, lo sguardo rivolto verso il basso.
Si avvicinò a lui, gli prese la mano, accarezzandogli le dita con delicatezza, sentiva che tremava.
«Amore.» lo chiamò preoccupata, Michael non c'è la fece, scoppiò a piangere.
Ella gli diede dei baci sulla testa cercando di farlo calmare.
Non disse nulla.
Chiuse gli occhi mentre le lacrime continuarono a scendere.
Ma smise di tremare.
«S-Sandie io .... Io.» si interruppe e la guardò, vide nei suoi occhi lo spavento che gli aveva creato «P-Perdonami, mi dispiace, mi dispiace.» ella lo baciò dandogli sicurezza, per dire che era tutto passato.
«Stai Tranquillo, ora sei in buona mani.» lui gli diede un bacio a stampo «Non permetterò che ti accada di nuovo. Ti terrò d'occhio da questo momento in poi Michael, sappilo.» disse seria.
«Io non ce la faccio a gestire tutto questo, è troppo per me. Io arrivo a fine tour completamente morto. Morto Sandie. Questa situazione mi sta mangiando l'anima.» confessò con il cuore a pezzi e l'anima dissolta nell'angoscia.
Sandie capì un fatto, che se Michael si era sentito male era stato proprio il grande impatto emotivo delle accuse.
La situazione, iniziata da poco e anche con il piede sbagliato, non poteva andare avanti in questo modo.
Michael aveva bisogno di distrarsi.
Di cambiare aria.
Il tour lo avrebbe portato solo allo stress.
Ma poi pensò a Ben.
Perché mai era così arrabbiato?
Sandie lo domandò con aria curioso.
«Perché gli avevo detto di rimandare il concerto il giorno dopo, e che gli avevo previsto che se non sarei stato curato come si deve. Molto concerti sarebbero cancellati. È andato su tutte le furie, mi ha fatto una ramanzina pesante. E penso che avrai sentito. Dio mio era così arrabbiato. Non ricevevo un rimprovero da anni, mi era sembrato di vedere mio padre in quel momento.» una scia di brividi percorsero lungo la colonna vertebrale mentre il cantante raccontava, ripensò a quelle parole, a quel rimprovero, non poté fare a meno il collegamento con suo padre «Ho avuto mio padre in quel momento, non Ben.»
Sandie rimase schifata.
Ne sentiva ogni nuova su Ben.
Incominciò ad odiarlo.
Non era per nulla affidabile, non importava di Michael, bensì dei soldi.
«Lo devi licenziare Michael, Ben porta solo guai.» gli consigliò la ragazza.
Egli scosse la testa.
«Non posso Sandie, devo affrontare questo tour e-»
«E ti farà pezzi, Michael ti prego, ascoltami per una volta. Ben non è un uomo su cui fidarsi. Ti prego.» supplicò, egli sospirò infastidito.
«Lasciami decidere da solo Sandie.» rispose con tono serio.
«E certo, così ti ritrovi nei guai, come al solito o no?» rispose infastidita.
«La vita è mia non la tua, decido io se linceziare un mio dipendente. Tu non sai cosa significa essere nel mio mondo, quindi evita di parlare.» Sandie spalancò leggermente la bocca alla risposta del cantante.
«Nel tuo mondo? Michael io sono nel tuo mondo.»
«Non dovevi entrarci!» le urlò, Sandie a quel punto fece due passi indietro, scuotendo la testa, delusa dal suo comportamento.
«Non apprezzi nulla, davvero nulla, io ti ho salvato la vita. Ti ho salvato la vita Michael! Mi dovresti ringraziare piuttosto che comportarti in questo modo.»
«Era meglio se non mi salvavi.» rispose nervoso.
Sandie a quella risposta andò fuori di testa.
Fece un smorfia arrabbiata.
«Vaffanculo.» disse la mora con tono profondo, se ne andò via lasciandolo solo, in quel letto d'ospedale.
Il primo di tanti altri che gli susseguiranno.
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