[CAPITOLO 51]
Antonio corse subito nella stanza da letto dove c'era Sandie seduta sul letto con la luce, e il volume minimo della televisione che faceva da sottofondo.
Era spaventata poiché l'uomo aveva degli occhi seri da far metter paura.
La fece alzare con cattiveria, ella cacciò un gemito di dolore.
Lui da un cassetto del comodino prese due corde e dello scotch.
La ragazza dalle iride verdi si spaventò a morte, e lui la legò gambe e braccia facendo dei nodi stretti.
«A-Antonio.» la zittì mettendole un pezzo di scotch sulla bocca impedendole di parlare.
Antonio le prese il viso con cattiveria con una mano guardandola negli occhi.
«Sta per entrare una persona, se oserai anche solo mugugnare io ti faccio fuori. Chiaro?» lo guardò «Chiaro!?» ripeté, la ragazza annuì tremando come una foglia «Molto bene.» aprì l'armadio dove all'interno c'erano pochi vestiti. In cui, fece entrare la ragazza «Reggi il gioco, o ti ammazzo.» le ricordò ancora, lei annuì di nuovo e il killer chiuse l'armadio.
Sandie in quel momento si sentì soffocare, non riusciva a parlare, ed era stretta legata in quel modo. Si sentiva un salame.
Antonio andò all'ingresso per aprire la porta e vide la figura Annalisa di fronte a sè.
Il suo sguardo nel frattempo, non cambiò di una virgola.
Sempre serio e ...
Cattivo.
«Ma che piacere vedere Annalisa Torredi.» mormorò incrociando le braccia davanti alla porta mentre Annalisa aveva lo sguardo arrabbiato, anche lei serio in volto.
«Non fare il gradasso.» rispose lei.
«Ti ricordavo meno permalosa.» mormorò Antonio con tono ironico e profondo.
Annalisa sospirò irritata.
«Mi fai entrare? Ti devo parlare.» parlò schietta e Antonio cercò di controllarsi dall'atteggiamento di Annalisa.
Interiormente, provava a calmarsi, e a controllarsi di non fare scenate.
«Ma prego bellezza, accomodati pure.» Annalisa fece una smorfia di disgusto ed entrò in casa.
Andarono in salotto e l'uomo si sedette sul tavolo, alle sue spalle illuminava la tv che stava trasmettendo ancora la partita. Poi prese da un piccolo cestino di latta appoggiato sul tavolo, un pacchetto di sigarette con dentro l'accendino, ne prese una e ne accese.
«Allora cara, di cosa mi volevi parlare?» domandò con calma ispirando il fumo dentro ai polmoni.
La bionda si sedette di fronte all'uomo guardandolo con disprezzo, anche lei prese una sigaretta dalla sua borsa e ne accese ispirandone il fumo.
«Di Sandie.»
Merda pensò l'uomo dai capelli neri.
Ma aveva prevenuto una bugia sa sarebbe accaduta una situazione coma questa, una bugia che aveva funzionato alla perfezione.
«Non mi va di parlane An.» rispose l'uomo con tono seccato posando la cenere della sigaretta sul posacenere con un tocco lieve di dita.
«Io so che non ti frega un cazzo di lei, ma non me ne frega se non ne vuoi parlare. Io ne parlo comunque. Arrivando il discorso principale. Sono andata dalla polizia a denunciare la scomparsa di Sandie, perché a quanto mi hanno riferito quelli dell'università. Sandie è stata ricoverata in ospedale per una malattia grave giusto?»
Azzeccato in pieno
Sandie dall'armadio sentì la voce di Annalisa, e il cuore di esplode dalla gioia di sentire almeno la sua voce.
Riusciva a sentire quella che diceva.
Le veniva da piangere.
Di urlare.
Di dire la verità.
Ma rimase forte, e di non morire.
Aveva un solo desiderio.
Sopravvivere.
Sopravvivere da quel bruttissimo e orribile incubo che stava vivendo.
Doveva lottare.
Combattere.
Subire.
E uscirne vincitrice.
Doveva capire che poi quei dolori che aveva subito, ne dovevano poi valere la pena.
Lei era una ragazza forte.
Lo era sempre stata.
E doveva sopravvivere.
Per vivere la sua vita, il dono che Dio le aveva regalato ancor prima che fosse concepita.
E per vedere le persone che amava.
Nulla di più.
Furono quelle le ragioni principali che la spronavano a lottare.
«Giusto.» rispose Antonio espirando il fumo dalla bocca mentre Annalisa spense la sigaretta priva di tabacco.
«E dimmi, se era ricoverata, come mai quando sono andata a trovarla, oltre all'opposizione dei dottori, lei non c'era?» Antonio ridacchiò guardando la ragazza «Che cazzo hai da ridere?» domandò irritata.
«Bellezza intanto ci calmiamo un po'.» disse cercando di stare calmo.
«No! Non sto calma cazzo! Perché intanto io sono andata dalla polizia e ho denunciato la sua scomparsa! Pensavi davvero che io non facessi niente in riguardo a lei? A me importa di lei! Non che tu te ne freghi, la scopi e la tratti di merda come un giocattolo.» urlò la ragazza con gli occhi lucidi, era stra preoccupata per la sua amica.
Durante la scomparsa di Sandie, non si diede per vinta di andare alla polizia a denunciare la sua scomparsa.
La polizia promise alla ragazza dai capelli biondi che avrebbero fatto il possibile per indagare e per riuscire a trovarla.
Ere molto speranzosa.
«Sei davvero una povera illusa An. Pensi davvero che con la polizia di merda che abbiamo qui riusciranno a combinare qualcosa?» Annalisa alla risposta dell'uomo si trattene di non dargli un pugno in pieno volto.
«Lo dici perché non te ne frega un cazzo di lei, ma a me si! Anche tu ti sei comportato con me lo stesso modo! Te lo ricordi vero?» Sandie udite le parole di Annalisa si sbiancò dallo shock.
Che cosa intendeva dire?
Che cosa era successo tra loro?
Pensò al peggio.
Pregò infinitamente che non fosse successo la stessa cosa anche a lei.
«An, per Dio, è stata solo una scopata.» mormorò con leggerezza.
«Una scopata forzata ...» rispose la bionda con le lacrime agli occhi, e Sandie si rese conto che Antonio aveva fatto del male anche ad Annalisa.
Per la millesima volta.
Antonio le aveva raccontato bugie.
Ancora una volta.
Era stanca.
E sopratutto furiosa.
In quel momento capii perfettamente quei momenti in cui Annalisa le diceva "Non mi piace che lo frequenti, sta attenta, non è il tuo tipo. È troppo grande" aveva ragione.
Ma lei in quel periodo era innamorata e non l'ascoltò, e si pentì amaramente di non averla ascoltata.
«Tu mi hai violentato Antonio.» precisò ancora la ragazza, Antonio aveva lo sguardo rivolto verso il basso giocherellando con il tavolo.
«Ancora vuoi parlare di questo? Ti ho chiesto anche scusa.» la ragazza scosse la testa disgustata dal suo comportamento menefreghista.
«Ti potevo denunciare per quello che mi hai fatto lo sai Antonio?» domandò con voce rotta.
«Ma tu non l'hai fatto.» ghignò poi in volto, Annalisa di fronte a se non aveva un uomo, ma un mostro.
Un uomo che non aveva un cuore e tantomeno dei sentimenti.
Ma che aveva solamente perversione e orrore dentro di se.
E lui era un professore, un dottore, colui che dovrebbe aiutare le persone.
L'uomo, aveva scelto la strada sbagliata, perché nonostante abbia scelto la strada del bene, continuò a fare del male al prossimo. Come aveva fatto sin da quando era solo un bambino.
Era destino, che Diego Laèl, diventasse un uomo crudele senza scrupoli.
«Come puoi essere così menefreghista? Non pensi a quello che mi hai fatto!?» Sandie dall'armadio della camera da letto sentì ogni parola e percepiva di morire.
Moriva per lei.
Perché Annalisa aveva subito il suo stesso dolore.
Non lo poteva accettare.
Su di lei si poteva fare tutto.
Ma non si toccavano le persone che lei tanto adorava.
Le uscirono le lacrime, trattenne di non mugugnare.
Ma ancora una volta.
Stava soffrendo.
E questa volta per Annalisa.
«Smettila An, è successo tempo fa. Speravo lo avessi dimenticato visto che ora a quanto pare sei fidanzata.» rispose lui accedendo un'altra sigaretta.
«Idiota! Questi episodi ti rimangono per tutta la vita. E sai una cosa? Io in qualche modo ... mi ero innamorata di te. Ero uscita da poco da una relazione veramente tormentosa e infernale. Con un ragazzo che mi picchiava dalla mattina alla sera, e che non smetteva di stalkerarmi. Pensai che tu fossi la speranza di una nuova felicità, invece mi hai ridato il dolore del mio precedente amore. Proprio come hai fatto con Sandie brutto figlio di puttana!» urlò battendo la mano sul tavolo.
«Forse quel ragazzo aveva ragione a non sopportarti.» a quella frase, zittì la ragazza.
Ci fu poi un silenzio tombale che regnava in quella casa, mentre Sandie origliava silenzio temendo il peggio per Annalisa.
Voleva liberarsi ma Antonio l'aveva legata troppo stretta e forte. Proprio perché temesse che si liberasse.
Antonio e Annalisa erano da soli in salotto mentre lui guardava la partita, il Milan fece un goal e lui sorrise di felicità alzando lievemente il volume della televisione.
Vide annalisa, con lo sguardo abbassato, ricordando quei momenti brutti, orridi e oscuri con il suo ex fidanzato.
Di quante volte quel ragazzo l'avesse minacciata di uccidere, di quante volte l'avesse umiliata in modo così brutto da farle scendere l'autostima. E di quante volte le diceva "sei di mia proprietà"
Lei, nonostante il tempo sia passato, non aveva dimenticato.
Era una ferita che non era del tutto guarita.
Del resto? Come si possono superare da violenze del genere?
«Ritornando a Sandie.» Annalisa alzò lentamente lo sguardo «Ti dico come stanno realmente le cose.» lei era pronta finalmente a sapere la verità.
Di dov'era Sandie.
«Era davvero malata, aveva una malattia molto grave. Ma confessò di essere andato a trovarla qualche giorno in ospedale e anche a me i medici mi hanno detto che non potevo entrare.
Comunque, seppi che Sandie fu dimessa dall'ospedale, un medico fece vedere anche delle carte.
Mi diede questa, se proprio non mi credi.» fece vedere alla ragazza le carte delle dimissioni di Sandie , non erano vere, erano completamente false, ma sembravano così vere. Antonio era un maestro a fare queste cose.
Annalisa ci stava cascando di brutto. Lo guardò stupita.
«E dov'è adesso?» ridacchiò
«Feci anch'io delle idagini, perché anche io volevo sapere dove si trovava Sandie.»
«Tu lo sai! Dimmi dov'è!» esclamò con furia alzandosi dalla sedia.
«È in America! È tornata in America!» urlò poi lui.
Annalisa ci rimase di sasso dalla risposa lei si sedette di nuovo.
Era sconvolta.
Non ci poteva credere.
«N-non è possibile.» Sandie udì la conversazione e si mosse lievemente cercando di liberarsi, ma niente da fare, le corde era troppo stretta.
«Anche io ci rimasi di stucco, non sei l'unica.
Non trovi che sia assurdo partire senza avvisare la tua coinquilina?» occhi di Annalisa si colmarono di lacrime.
Si sentì ferita.
Delusa.
E presa in giro.
Ma non sapeva che Antonio aveva mentito, che in realtà Sandie era in casa, chiusa dentro in un armadio della sua camera completamente legata.
Di cui le aveva fatto passare le pene dell'inferno.
Sandie voleva liberarsi ad ogni corso per correre da Annalisa ed dirle "Sono qui, non sono partita."
«Come ha potuto farmi questo? E pensare che ho passato notti in bianco per lei, l'ho ospitata nella mia casa, ho fatto i salti mortali per lei. E questo è il suo ringraziamento? Partire senza dirmi niente? Vaffanculo.» la ragazza completamente furiosa si alzò per andare verso la porta.
«Annalisa.» la chiamò Antonio mentre la accompagnarla.
«Tu non osare avvicinarti a me. Sei l'uomo più spregevole che abbia mai incontrato. Fidati, ringrazia Dio che non ti ho denunciato Antonio. Perché si, uno stupro è sempre uno stupro. Ma io ho subito peggio.» detto questo, dette un ultima occhiata feroce all'uomo con gli occhi colmi di lacrime, gonfi e rossi, e se ne andò, lasciandosi poi libera al pianto.
Antonio, uscì vincitore, si era levato dai piedi una mocciosa come Annalisa.
Chiuse la porta e andò verso la camera per liberare Sandie.
La tirò fuori dall'armadio, la dislegò e le tolse le scotch che le impediva la parole.
«Noto che hai fatto la brava.» Sandie scoppiò a piangere dandogli un pugno in pieno volto.
«Questo è per Annalisa e per quello che gli hai fatto brutto pezzo di merda! Avevi detto che quando sei venuto qui non hai fatto del male a nessuno, invece hai mentito anche questa volta! Sei un essere spregevole! Come hai potuto mentire su di me! Per farsi che lei mi odiasse! Sei una persona orribile! Ti odio! Ti odio cazzo! Non c'è la faccio più, non c'è la faccio più!» urlò come una pazza e Antonio questa volta era più deciso che mai, voleva ucciderla.
«Molto bene Sandie, stavolta te la sei cercata.» disse con il sangue che bolliva tra la rabbia, la buttò sul letto mentre Sandie cercava di dimenarsi.
Antonio tirò fuori un coltello affilato, e Sandie pianse coprendosi il volto.
«No ... no ... no ti prego.»
Antonio cercò di colpirla ma quando arrivò al petto si fermò.
Tremava.
Non riusciva a colpirla.
Non riusciva ad ucciderla.
Era il suo istinto che gli diceva di non farlo.
«F-FANCULO!» buttò il coltello per terra andandosene per il salotto.
Sandie rimase lì.
Da sola.
Che per un momento aveva visto la morte negli occhi.
Scoppiò di nuovo a piangere.
Pensò terribimenente ad Annalisa.
Di quello che si erano detti.
Di quello che lei aveva detto.
"Tu mi hai violentato Antonio."
"Come ho potuto non ascoltarti? Perdonami Annalisa, perdonami. In questo momento mi stai odiando a morte. Ma io non sono partita, sono qui, chiusa insieme a questo pazzo pervertito, che proprio in questo momento ha cercato di uccidermi."
Ormai era da sola.
Annalisa l'aveva abbandonata.
E le sue speranze piano piano, stavano per svanire.
5 febbraio 1992
Washington, Stati Uniti
«Signor Jackson, siamo arrivati.» sussurrò Kylie aprendo la porta della macchina.
Michael si svegliò di soprassalto al rumore della portiera e il bodyguard ridacchiò divertito.
Il cantate si stropicciò gli occhi sbadigliando un po'.
Kylie lo guardò con uno sguardo sia serio ma sopratutto tenero e dolce.
Avrebbe voluto ribaciare quelle labbra così dolci e succose, risentire il loro sapore.
Stringerlo forte a se, dargli un amore incondizionato.
Non lasciarlo mai solo.
Avrebbe voluto guardare quegli occhi puri, dolci e profondi di quel ragazzo dal maestoso talento per sempre. Entrare dentro ai suoi occhi per restare lì per sempre.
Kylie, voleva lui.
Ma Michael aveva il cuore impegnato.
E sapeva che era un amore impossibile.
Faceva male come le fiamme dell'inferno e Kylie lo aveva accettato da un bel pezzo.
Ma ogni tanto tornava a tormentarsi, e a farsi del male guardando solamente gli occhi di quel fanciullo puro e cristallino.
«Dai, prendiamo sto premio, e poi a casa.» disse poi Michael uscendo dalla macchina.
Michael Jackson, quel giorno, venne onorato con il 'Lifetime Achievement Award', Premio alla Carriera' dal National Association of Black Owned Broadcasters', che dal 1976 rappresentava gli interessi dei proprietari afroamericani di stazioni radiofoniche in tutti gli Stati Uniti.
All'evento, giunto all'ottava edizione e tenutosi allo Sheraton Washington Hotel, vide la partecipazione di circa 900 ospiti, tra i quali gli illustri Stevie Wonder, Spike Lee , Muhammad Ali, Al Jarreau e il Reverend Jesse Jackson Sr insieme a sua figlia.
«Mr Jackson, è possibile fare una foto con la signorina Rest per favore?» i due si scambiarono un sorriso e si misero in posa.
Michael tenne su il premio e il fotografo scattò la foto «Perfetto, grazie per la disponibilità, e congratulazioni Mr Jackson.»
«Si figuri, grazie mille a lei.» rispose con tono gentile.
«Michael! Per favore una foto! Michael! Michael!» i paparazzi erano nel retro del palco che facevano un gran casino.
Scattavano foto di continuo, scatenando una vera e propria pioggia di flash.
Michael si coprì il volto, i paparazzi in quel momento divennero folli, ossessionati e matti di volere una foto del Re del pop. E per poco non gli tiravano i capelli.
Kylie cercò in modo di mandarli fuori, ma erano troppi così chiamò la sicurezza, che riuscì fortunatamente a portarli via.
Michael era da solo, ancora impaurito come un bambino.
Aveva temuto che gli avessero fatto qualcosa, i paparazzi a volte potevano fare azioni pericolose.
Erano gente che avrebbero fatto di tutto pu di ottenere denaro con una sola foto, anche se stavi morendo in quell'instante.
«Michael.» si scoprì il volto girandosi ed era la figlia di Jesse, Ashley, che corse verso di lui completamente preoccupata «Ti hanno fatto del male? Come stai?» Michael mise la mano sul cuore che batteva molto forte.
«Sto bene, grazie Ashley.» sorrise e lo abbracciò.
«Ero così preoccupata per te, temevo ti avessero fatto del male.» ricambiò con dolcezza il gesto della ragazza e le diede un bacio sulla guancia.
«Sto bene Ash, tranquilla.» poi venne Spike Lee per controllare se si fosse calmata la situazione.
«Mike, tutto ok amico?» domandò andando verso lui dandogli una pacca sulla spalla.
annuì senza proferire parola.
«Voglio solo uscire da qui.»
«Michael fuori è pieno di gente, i paparazzi sono-»
«Me ne fotto, sono stanco Spike, scusami.» il regista capii la situazione, e diede un'altra leggera pacca sulla spalla del ragazzo.
«Ti vedo strano, perché stasera non vieni alla festa degli NABOB, ti distrai un po', c'è musica, divertimento e ... ragazze.» disse Spike guadando poi Ashley mordendosi il labbro.
«Non lo so Spike.»
«Andiamo amico! Ci sono io, il famoso Spike Lee, vedrai che ti farò divertire un mondo. Di farò diventare la serata più divertente della tua vita.» disse con tono entusiasta e Michael sorrise.
«Se me lo dici con questo entusiasmo, allora accetterò.» disse poi deciso.
«Così mi piaci.»
Quando Michael uscì i paparazzi ripresero di nuovo a tormentarlo di flask e fotografie, fino a che Michael non salì in macchina e Kylie mise in moto per andare via.
«Ti amiamo Michael!» urlarono i fotografi da lontano.
«Ti amiamo un corno, per poco non ti uccidevano quei figli di puttana.» mormorò Kylie furioso mentre guidava.
Michael preferì stare in silenzio.
Non ne voleva parlare.
«Stasera andrò alla cena dei NABOB, Spike è stato così gentile ad invitarmi. A quanto ho capito non sarò solo, ci sarà anche Stevie, Muhammed, Quincy, e poi boh. Non lo so.»
«Non la vedo molto entusiasta di questa festa.» in verità non era affatto entusiasta.
Ma accettò per passare il tempo in maniere divertente, e di non stare sempre a casa a fare le stesse cose. Sopratutto di non stare solo. Anche e sapeva che restava da solo lo stesso in quelle occasioni.
«Kylie sono solo stanco, è stata una giornata faticante, ora credimi. Vorrei solo avere il mio letto.» ridacchiò.
«Con tutti quei paparazzi deve essere stata una fatica gestirli.»
«Sei stato tu a gestirli più di me, e ti ringrazio per questo, a quest'ora starei morto stecchito come un insetto.» disse appoggiando per bene la testa sul sedile della macchina.
«È il mio dovere Mr Jackson.» disse poi Kylie con sorriso, e notò dallo specchietto, che Michael si era addormentsto teneramente come un angioletto.
[...]
Ore 9:34 p.m
«Cazzo amico, non puoi capire come sono stra felice che sei venuto. E poi wooo. Siamo tornati alla Bad era amico?» il cantante ridacchiò poiché si era vestito proprio come nel video di Bad, giacca e pantalanoni di pelle con le borchie.
«Avevo voglia di ritornare a quei tempi.» disse Michael con tono ironico.
«Michael!» urlò una voce a lui conosciuta, era Muhammed Ali, lui ridacchiò e andò verso il suo tavolo.
In sottofondo c'era una musica assordante, le luci che cambiavano colore. In parole povere, sembrava di essere in una discoteca.
«E menomale che mi sono vestito così.» disse Michael sempre in tono ironico, e Muhammad salutò Michael con un bacio sulla guancia e la pacca sulla spalla.
«Ti trovo splendido e in gran forma. Vostra maestà.» disse il pugile guardandolo dalla testa ai piedi. Le guance del cantante arrossirono più del provito «Se vuoi dall'altro ci sono Quincy e Steve.» Michael guardò Quincy che era alla sua sinistra.
Avevano litigato, o diciamo, discusso.
Un po' perche Q si sentì ferito alla scelta di Michael di non aver collaborato con lui per il suo album, e un po' per altre faccende che gli avevano dato fastidio.
«Dopo saluto Steve. A proposito, non doveva essere una festa?» domandò Michael guardandosi intorno.
«Amico, questa non è una festa degli Oscar, ma è un party cazzo. Goditi la festa, balla come sai solo tu ballare. E cazzo. Bevi. Ubriacati. Divertiti!»
Michael andò alla pista da ballo a ballare mentre beveva un mojito.
Poco prima che andasse in pista, fece una lunga chiacchierata con Steve Wonder uno dei suoi più cari amici.
Erano entrambi persone semplici e sensibili, con un animo gentile e umano.
Steve andava pazzo per Michael, lo adorava e lo stimava immensamente come uomo, persona e sopratutto come artista.
Lo aveva visto crescere.
Ed era così fiero dei suoi progressi.
Glielo diceva come se fosse un padre.
E Michael ne poteva più che sentire onorato.
Durante i festeggiamenti pieno di balli e urli di euforia, parti la canzone Billie Jean.
Tutti gli occhi puntarono su Michael, e batterono le mani in segno di incoraggiamento.
All'inizio rimase di sorpresa.
Non se lo aspettava.
Ma poi si sciolse e cominciò a ballare quella canzone che fece la storia della musica pop.
Tra passi e passi, la gente impazziva, urlava per lui vedendo Michael Jackson ballare in modo così fluido ed elegante.
Tutti lo adoravano.
Adoravano lui.
Il suo genio.
Il suo talento.
La sua musica.
E la sua persona.
Fino a che la gente non impazzì sul serio quando Michael fece il moonwalk davanti a centinaia di gente.
Per lui non erano niente centinaia di gente, perché lui era sempre stato abituato sin dan bambino, ad esibirsi a migliaia di persone.
Tra non molto sarebbe esibito e migliaia o forse milioni di gente di tutto il mondo pronto a vederlo danzare e cantare.
Fu anche un modo di allenamento.
Quando poi la canzone si concluse, Michael venne accolto da un caloroso applauso.
Michael chinò il capo in segno di ringraziamento, ed era un gesto così nobile ed educato.
Mandava o baci all'aria e le ragazzze andavano fuori di testa.
Infondo, come si può non impazzire per Michael Jackson?
Ore 11:35 p.m
Erano circa le mezzanotte meno venti, e c'era gente chi si era ubriacata, chi continuava a mangiare, oppure a ballare.
Michael si stava annoiando a morte.
Cerco Quincy con lo sguardo e vide che non c'era più, forse era andato via.
Sospirò.
Infondo, era stato lui a fare nascere il suo successo.
Gli doveva tanto a quell'uomo.
Ma c'erano dei discorsi che lo avevano offeso.
Voleva tornare a casa.
Ma poi gli venne un'idea.
Andò via dalla sala per andare in un'altra, c'erano solo divani, una tv, e una piccola libreria, sembrava una sala d'attesa.
Vide un telefono e compose il telefono ad una persona che non chiamava da tempo.
Lady Diana.
Compose il suo numero e aspettò che rispose.
«Pronto?» domandò la principessa.
«Buonasera sua altezza reale, sono Michael, come sta?» la principessa sorrise di gioia a sentire la sua voce.
«Oh Michael, sono così contenta che mi hai chiamato. Sai, stavo proprio per chiamare qualcuno. Che telepatia.» ridacchiarono.
«Come sta sua altezza? Come procedono i vostri impegni?» la principessa fece un sospiro triste.
«Sai Michael, ormai io e Carlo siamo agli sgoccioli.» Michael spalancò agli occhi.
«Ma allora i giornali e la tv non mentivano ...» ridacchiò.
«La chiamano, guerra dei Galles, sono così stanca. Tutti mi stanno dando della pazza, mi dicono che devo essere rinchiusa in un manincomio, che sono un egoista e viziata. Non c'è la faccio più Michael.
Io non voglio il divorzio ma ... almeno la separazione sì. Perché sono anni che sto lottando per lui. Ma Carlo non si degna nemmeno di guardarmi. Lui ama Camilla, ha sempre amato lei. Lui mi odia. Mi odia.
Per non parlare dei paparazzi.
Mi stanno distruggendo.» Diana scoppiò a piangere.
Michael si intristì per lei.
Erano anni che Diana stava soffrendo in un matrimonio senza amore.
Di un marito che non l'amava, e che non me degnava delle giuste attenzioni.
Era allo stremo delle forze.
E ormai, la separazione era vicina.
Da un anno i tabloid e i media, parlavano di una "Guerra dei Galles", e che gli amici dei vari membri della Royal family davano la colpa a lei se il matrimonio era in piena crisi.
Ma la colpa non era la sua.
Lei aveva cercato in tutti i modi che il matrimonio funzionasse.
Anche con le maniere poi semplici.
Era Carlo che complicava le cose.
«Guarda che casualità, oggi sono stato quasi attaccato dai paparazzi.» Diana smise di piangere per ascoltarlo «Come al solito, è stato tremendo credimi, mi sentivo in gabbia, come quasi essere stato mangiato da un branco di animali per cibarmi della mia immagine. Anche tu provi la stessa cosa vero?» annuì «Diana ti prego, so che ti viene da mollare, ma ti prego, non mollare, tu sei una donna forte. La donna più forte che io conosca. Fanculo a quello che ti dice la gente, ai paparazzi e a , scusatemi altezza reale, vostro marito. Meriti di essere felice e di avere tutto l'amore che meritate.» quelle parole Diana le percepì come frecce di Cupido. Sentendo che Michael le diceva con il cuore tra le mani.
Entrambi stavano vivendo una sistuazione amorosa difficile.
Diana che doveva separarsi da Carlo, un marito che non l'aveva mai amata.
E Michael, che doveva in qualche modo riuscire a dimenticare Sandie, anche se in cuor suo, stavano nascendo dei sentimenti molto forti per lei. Che in futuro, lo avrebbero portato a scoppiare.
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