[CAPITOLO 1]


27 Gennaio 1990

AUSCHWITZ, POLONIA

In Polonia regnava il freddo e il pieno inverno, con una grandissima quantità di neve, sopratutto il 27 Gennaio, dove il gelo divenne più forte e toccante fino alle ossa. Era una giornata da ricordare, perché in quel giorno del 1945 le truppe dell'Armata Rossa, impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.
Un giorno per non dimenticare quelle innumerevoli vittime dell'Olocausto morte e uccise durante la Seconda Guerra Mondiale.

Sandie Vrachnos era una giovane studentessa di 23 anni, era al 3º anno con gli studi della facoltà di medicina alla UCLA per diventare un medico. Ancora indecisa sulla specializzazione, due erano le scelte: fare la pediatra, oppure la cardiologa, in quanto appassionata all'organo del cuore.

Era una ragazza meravigliosa, stupendamente bella, aveva i capelli lunghi e lisci come la seta color cioccolato fondente, gli occhi verdi e chiari come delle pietre preziose, un perfetto naso all'insù, una bocca impeccabile con le labbra ad arco di cupido, e con un fisico dalle perfette forme che rispecchiavano la sua splendida personalità.

Per Natale i genitori di Sandie le avevano regalato un viaggio, cinque giorni ad Amsterdam, altri cinque in Polonia, per darle la possibilità di visitare tutti i posti possibili. Si portò con se la sua sorella più piccola di due anni, Nicole, con la passione per le scienze umane, il suo desiderio era quello di diventare una psicologa.

Ella era diversa dalla sorella, capelli ricci dal capello morbido color nocciola, gli occhi azzurri come il mare della Sardegna, il naso a patata con un taglio perfetto, le labbra perfettamente carnose, anche lei con un fisico dalle forme accurate che rispecchiavano la sua personalità.

Sandie fin da bambina dimostrò di possedere una grande curiosità, le interessava tutto ciò che era cultura, tutto ciò che che avevano fatto i grandi nella storia mondiale. In particolare nel mondo della medicina generale.
Mostrò sin da piccola di avere un grande senso di altruismo. Amava aiutare le persone, sopratutto se non stavano bene. Lei voleva mostrarsi utile per il prossimo, e per farlo incominciò a leggere libri di medicina all'età di 14 anni.
Aveva una grande sensibilità, dolce come il miele, molto colta, aveva un carattere così amabile che era impossibile odiarla. Perfetta per fare quel tipo di mestiere come il medico. E promise a se stessa che avrebbe fatto di tutto pur di realizzare il suo sogno.

Per quella giornata Nicole e Sandie decisero di andare a visitare Auschwitz, il famoso campo di sterminio, nonché il più grande di tutti i campi di concentramento. Si trovava in Polonia, ai confini a ovest con la Germania.
Le due sorelle chiacchieravano allegramente mentre il treno percorreva la sua strada con una velocità media.
«"Via col vento" quello sì che è un capolavoro di film!» disse Nicole con il sorriso parlando di cinema.
«Preferisco i film italiani, sai, quelli di Sophia Loren.» commentò poi Sandie.
«Io sono innamorata di Marcello Mastroianni, è un figo della madonna, sopratutto quando ha recitato in 8 1/2 di Fellini!» esclamò la riccia con gli occhi a cuore pensando all'attore italiano.
«Ah Dio! Non posso darti torto, quel film è una bomba.» ridacchiarono con accordo, calando poi il silenzio. Decisero di leggere un libro per conto loro, Nicole si lesse un libro riguardante i sogni secondo Freud, mentre Sandie si lesse "Il diario di Anna Frank"
«Senti questa.» parlò la bruna, e la riccia si deconcentrò su quello che stava leggendo per ascoltare la sorella.

"È davvero meraviglioso che io non abbia lasciato perdere tutti i miei ideali perché sembrano assurdi e impossibili da realizzare.
Eppure me li tengo stretti perché, malgrado tutto, credo ancora che la gente sia veramente buona di cuore. Semplicemente non posso fondare le mie speranze sulla confusione, sulla miseria e sulla morte. Vedo il mondo che si trasforma gradualmente in una terra inospitale; sento avvicinarsi il tuono che distruggerà anche noi; posso percepire le sofferenze di milioni di persone; ma, se guardo il cielo lassù, penso che tutto tornerà al suo posto, che anche questa crudeltà avrà fine e che ritorneranno la pace e la tranquillità.'"

«Dio ... e pensare che esattamente qualche settimana fa siamo andate visitare la sua casa.» mormorò la ragazza pesando alla visita della casa della piccola scrittrice.

L'edificio si trovava lungo il canale Prinsengracht "Canale del principe", quartiere di Jordaan della città di Amsterdam, nella cosiddetta "Cerchia dei Canali Ovest", vicino alla Westerkerk e alla Huis met de Hoofden,

L'abitazione era soprannominata "l'alloggio segreto".

Nel museo erano mostrati degli audiovisivi. Nella stanza appartenuta ad Anna Frank, si trovano appese le foto di attrici famose collezionate dalla ragazza.
In particolare si trovava anche il suo diario dal formato quasi quadrato e dalla copertina rossa a quadretti bianchi e rossi, completamente aperto.

«Guardalo Nic.» disse Sandie indicando il diario della ragazza.
«Se sapessi il tedesco ti direi cosa c'è scritto.» ridacchiò a quell'affermazione.
«Ed io mi domando cosa si sono meritati per subire così tanta sofferenza.» mormorò poi Sandie con tono triste.
«Loro non avevano colpa, se proprio dobbiamo dare la colpa a qualcuno é su Hitler.» battè Nicole, la mora sospirò senza togliere gli occhi dal diario.
«Non solo lui, ma anche dell'umanità, non ha mai avuto e mai avrà, empatia verso il prossimo. E ha portato a questo, a commettere il crimine più terribile della storia.
Lei voleva semplicemente vivere la sua vita e realizzare i suoi sogni, ma purtroppo la guerra non me ha permesso di farlo. Sono felice che Otto sia riuscito a realizzare il sogno della sua amata bambina, non vorrei immaginare il dolore che ha provato di aver perso la sua famiglia.» era semplicemente addolorata, queste tipo di storie le toccavano il cuore, se c'era una cosa che la rendevano triste erano non solo queste storie, ma anche vedere una persona soffrire, e per proprio suo istinto ogni volta che vedeva una persona in difficoltà era suo dovere aiutarlo in tutti i modi. E pensando che non c'era stato nessun tipo di aiuto per quelle povere persone, si sentiva inutile e piccola.

«Non smetterò mai di amare questo libro, ricordo ancora quando papà mi regalò al mio compleanno "Il diario di Anne Frank", ti ricordi? Avevo 13 anni.» disse con il sorriso pensando a quel ricordo felice.
«E chi se lo scorda, per tutto il tempo non hai fatto che rompermi il cazzo con questo libro. Ma poi ricordo che litigammo perché quando lo finisti non volevi darlo a me.» ribattè la sorella.
«Tu li rovini i libri, fai le pieghe quando giri la copertina e lo sai che ci tengo ai miei libri!» disse Sandie con tono difensivo.
«Sei una pazza da ricoverare.» ridacchiarono insieme, fino a poi a ritornare a leggere.

Nel frattempo negli Stati Uniti, per la precisione in California, c'era la residenza del Re del Pop, Michael Jackson, si chiamava Neverland, una proprietà privata di circa 1.100 ettari, la chiamò così ispirandosi all'isola che non c'è di Peter Pan.
Comprendeva di una pista per i go-kart, un cinema/teatro, una sala giochi, un parco giochi, con una ruota panoramica e svariate giostre, e uno zoo personale.

Una leggenda vivente, considerato come l'essere umano più famoso al mondo, esso era una e propria belluria.
I capelli ricci color nero come la pece, gli occhi marroni con la loro intensità, il suo meraviglioso naso all'insù, la sua bocca dalle labbra sottili, e la sua fossetta al mento molto evidente. Aveva dei lineamenti perfetti sul suo volto.
Poiché era un ballerino il suo fisico era giusto e sano, degno e proprio del suo mestiere. Era uno spettacolo.

Lui era nella sua stanza che pregava in ginocchio davanti a una croce di legno. Fino a che non entrò la sua domestica, Candice, una donna di cinquanta anni, bassa di statura, capelli mori mossi raccolti in uno chignon, occhi marroni come il tronco di legno, il naso ad aquila e la bocca sottile, aveva una pelle mulatta bellissima, si avvicinava quasi a come quella del cantante. Ella indossava la classica uniforme da cameriera, vestitino lilla con il grembiule bianco accompagnato da semplici ballerine nere al piede. Era una donna molto dolce, affettuosa e adorava profondamente il suo capo, nonché il Signor Jackson.
«Mr Jackson mi dispiace se la di-» si interruppe subito vedendo il suo capo che pregava,
«Prega?» domandò poi.
«Mh? Si, oggi è la giornata in cui le truppe dell'Armata Rossa liberarono gli ebrei dal campo dì concentramento di Auschwitz, e sto pregando per tutte quelle persone che sono morte ingiustamente.» disse il moro con voce sottile senza smettere di pregare.
«Le dispiace se prego con lei?» domandò la domestica con tono gentile.
«Assolutamente no, prego.» la invitò con accordo, e la donna si inginocchiò di fianco al cantante iniziando a pregare anche lei.
«I miei nonni erano ebrei, sono morti nel campo di concentramento, mancava ad una settimana alla liberazione.» raccontò con la tristezza in gola, e a quell'aneddoto gli occhi di Michael luccicarono.
«Oh Candice ... mi dispiace molto.» disse il riccio accogliendo la domestica con un abbraccio, e lei scoppiò a piangere.
«Non li ho mai conosciuti, ma non si meritavano una fine così tragica.» singhiozzò lei mentre il moro la stringeva dandole affetto e conforto.
«Tutte quelle persone non meritavano quella fine.» commentò lui, e lei si staccò lentamente dall'abbraccio asciugandosi le lacrime con la punta del grembiule bianco.
«Siete così buono Mr Jackson, che Dio vi benedica.» mormoro Candice con tono dolce.
«Dio benedica soprattutto te.» disse poi il moro con un sorriso raggiante.

Le sorelle arrivarono finalmente ad Auschwitz, ed erano prontissime a vivere la loro esperienza.
Sopra il cancello di ingresso era riportata la terribile scritta Arbeit macht frei, ovvero il lavoro rende liberi.
E così entrarono oltre quel cancello con quella maledetta scritta.

Videro quei fili spinati attaccati ai canali, e quelle casette di legno in cui erano le prigioni di cui soggiornavano gli ebrei, una striscia di brividi giunsero sui corpi delle ragazze.

Il Museo si trovava a 2 km dalla stazione dei treni, dalla quale era possibile arrivare con i mezzi pubblici. Nelle vicinanze del Museo si trovano anche le fermate dei pullman e minibus che partono da Cracovia o Katowice.
Si poteva osservare una piccola parte dell'immensa collezione d'oggetti, rubati ai prigionieri prima di assassinarli, come stivali, valige, occhiali, pentole e persino dei capelli, che erano venduti per la fabbricazione di tessuti per i cappotti dei nazisti.

Oltre ai capannoni, dove vivevano i prigionieri, il campo era diviso in vari blocchi, come il numero 11, conosciuto come il "blocco della morte". Era il luogo dove si torturavano i prigionieri, che erano rinchiusi in celle esigue, dove i prigionieri morivano di fame o venivano uccisi.
Infine andarono a visitare le camere a gas e i forni crematori e fu lì che l'angoscia e la oppressione salirono al culmine.
«Sandie ...» mormorò scioccata la riccia, mentre la mora restò ferma, immobile a osservare. Restò in silenzio per rispetto delle vittime, esse erano donne, bambini, anziani, e uomini, di ogni età, razza e sesso. Solo perché erano ebrei, il mondo aveva toccato il fondo. Le due sorelle scoppiarono a piangere, solo a pensare che quelle povere persone sono state uccise e torturate ingiustamente era un nodo allo stomaco.
«La recitiamo?» domandò Sandie alla sorella ed ella capì a cosa si riferiva, alla poesia di Joyce Lussu intitolata "C'è un paio di scarpette rosse", le sorelle si strinsero per mano, chiusero gli occhi, abbassarono lievemente la testa e iniziarono a recitare la poesia.

C'è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede
ancora la marca di fabbrica
"Schulze Monaco".

C'è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio
di scarpette infantili
a Buchenwald.
Più in là c'è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald.

Servivano a far coperte per i soldati.
Non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas.

C'è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald.
Erano di un bimbo di tre anni,
forse di tre anni e mezzo.

Chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni,
ma il suo pianto
lo possiamo immaginare,
si sa come piangono i bambini.

Anche i suoi piedini
li possiamo immaginare.
Scarpa numero ventiquattro
per l'eternità
perché i piedini dei bambini morti
non crescono.

C'è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald,
quasi nuove,
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole...

Erano due anime dal carattere differente, ma con la stessa sensibilità.
Rifiutavano di parlare e di fiatare, non basterebbero le parole per definire l'orrore che c'era stato in quel terribile posto pieno di crudeltà e cattiveria prevedibile.

Nel frattempo a Neverland era venuta la piccola Brandi, la nipote di Michael, una graziosa bambina di 8 anni che frequentava la terza elementare. Era una bimba di colore, bellissima con i suoi occhi profondi marroni, i capelli ricci a cavatappi molto spessi, tendenti al crespo e dal diametro piuttosto variabile ma generalmente non più largo di una matita, insomma, i classici capelli afro. Ma ciò che la rendeva quella bambina stupendamente bella era il suo sorriso, esso aveva la magia di illuminare le giornate delle persone che le stavano accanto.
Ogni volta che andava a trovare lo zio, chiedeva sempre aiuto per svolgere i compiti.

Erano in salotto, mentre la piccola prendeva dallo zaino il suo diario con su scritto i compiti, e lo dette a Michael.
«Dunque ....» mormorò prendendo gli occhiali da vista cercando la pagina del giorno corrispondente.
«Zio, oggi la mia maestra ha spiegato che in questo giorno di 45 anni fa gli ebrei vennero liberati dalle truppe russe, mi racconti qualcosa?» sorrise a quella domanda.
«Certo.» rispose il cantante.
«È vero che sono morte tante persone solo perché erano ebree?» domandò la bambina con tanta curiosità, il riccio la guardò mentre chiuse il diario scolastico.
«Si, purtroppo è vero.» rispose con tristezza.
«E perché?» domandò la piccola per capire il motivo.
«Perché la cattiveria porta a questo, ad arrivare al culmine e perdere il controllo.»
«E chi ha perso il controllo zio?»
«Hitler, Aldof Hitler.» rispose con tono secco.
«Chi era?» domandò ancora mentre si avvicinava con affetto verso lo zio.
«Un dittatore, è stato definito come l'uomo più crudele che sia mai esistito. È stato lui a voler uccidere tutti quegli ebrei.»
«Cattivo ...» mormorò scossa dalla risposta dello zio su chi era stato Hitler.
«Già, lo è stato molto.» commentò poi il cantante dai capelli crespi. Dopo di che restarono in silenzio, non c'era bisogno di continuare la conversazione e la bambina capì ogni cosa, e per risposto delle vittime non disse più una parola.
«Zio.» lo chiamò.
«Si?» la bambina lo abbracciò con tanto affetto.
«Ti voglio bene.» confessò la nipote e lui ricambiò con amore il gesto.
«Io te ne voglio di più.» disse Michael stringendo a se la sua amata nipote.

Durante il tardo pomeriggio Michael si lesse un libro, era steso sul letto, supino, con la testa appoggiata sul cuscino e il libro fra le mani. Era molto concentrato su quello che leggeva, e lui adorava infinitamente leggere, ma ad interrompere la lettura fu lo squillo del telefono. Chiuse il libro mantenendo il segno con il dito, allungò il braccio prendendo la cornetta del telefono e rispose.
«Pronto?» domandò cordialmente.
«Michael sono il dottor Klein.» il dottore Klein era il suo dermatologo dagli inizi degli anni 80' e ogni mese aveva una visita da procedere.
«Oh salve, mi dica.» rispose Michael.
«Dobbiamo decidere la data del controllo, ti ricordi?» lo ricordò il dottore.
«Ooh, giusto, me ne ero dimenticato.» rispose il cantante mettendo una mano sulla fronte.
«Ti va bene per il 15 Febbraio?» propose il medico.
«Controllo un attimo l'agenda.» si alzò dal letto, prese l'agenda che era appoggiata sul comodino, mise il telefono tra il braccio il collo e controllò per bene se quel giorno aveva degli impegni «Uuhm... si sono libero, andata per il 15.» disse con tono sicuro.
«Solito orario?» domandò poi Klein.
«Si.»
«Perfetto.» sorrise.
«Bene, buona serata dottore.» disse poi il riccio con tono educato.
«Anche a lei.» chiuse la chiamata e tornò a leggere, focalizzandosi su quello che leggeva entrando nel suo mondo immaginario. Ma non avrebbe mai pensato che quel 15 Febbraio, sarebbe cambiata la sua vita.

«Allora? Com'è andata?» domandò Chantal, la madre delle due sorelle intendendo su quello che avevano fatto durante la giornata.
«Una giornata molto intensa.» mormorò Sandie torturando tra le dita il filo riccio del telefono.
«Abbiamo solo pianto!» esclamò di punto in bianco Nicole.
«Davvero? Com'è stato visitare Auschwitz?» domandò la donna curiosa per sapere cosa avevano provato le figlie provando un'esperienza come quella di visitare il più grande campo dì concentramento.
«Dio mamma ... per poco io e Nicole non stavano svenendo dalla pesante atmosfera, non c'è niente da esprimere se non da farti venire i brividi.» raccontò la mora con gli occhi lucidi ricordando il momento della visita.
«Cristo abbiamo pianto per tutto il tempo, cazzo!» esclamò ancora una volta la sorella.
«Nicole!» rimproverò la madre, e Sandie scoppiò a ridere.
«Eh ... sai benissimo com'è fatta tua figlia.» mormorò la ragazza ridacchiando.
«Una vera ribelle, al contrario di te che sei un angelo.» commentò la madre con tono placido.
«Mamma smettila!» riscontrò ancora una volta la sorella, la madre sospirò irritata del comportamento irascibile della secondagenita.
«Ora vi passo vostro padre.» disse poi Chantal, e aspettarono di sentire la voce del loro papà.
«Bimbe mie mi mancate!» esclamò il padre felice di sentirle.
«Aaww anche noi, come vanno le cose lì?» domandò poi Sandie.
«Molto bene, e voi li? State bene? Vi divertite?» domandò Alexandre interessato.
«Moltossimo, la Polonia è stupenda.» mormorò la mora con il sorriso.
«Sopratutto Amsterdam.» battè poi Nicole.
«Mi fa davvero piacere, quando tornerete negli USA?» domandò il padre con il sorriso.
«Tra due giorni.» rispose la ragazza dalle iride verdi.
«Mi raccomando, quando tornerete non perdete la concentrazione sullo studio e, sai a chi intendo.» raccomandò il padre riferendosi alla figlia minore.
«Ma non è possibile che tutto il mondo c'è l'abbia con me!» disse la riccia con tono esasperato.
«Mi preoccupo per te amore.» commentò il padre.
«Ma io studio papà! E anche tanto.» disse la riccia con tono difensivo.
«Okay okay direi che basta così, andiamo a letto.» disse successivamente Sandie per evitare una inutile discussione.
«Notte bimbe.»
«Notte papà.» dissero le figlie e attaccarono la chiamata.
«Volevo urlargli un bel vaffanculo.» borbottò Nicole con tono arrabbiato.
«Beh intendono per le tue scappatelle.» disse Sandie ridacchiando.
«Che sono sempre bellissime.» puntualizzò lei.
«Dai su andiamo a letto.» disse poi la sorella, e lei annuì, si misero a letto affondandosi nelle grandi coperte calde e morbide.
«Notte Sis.»
«Notte Bae.»
Le due sorelle si misero a dormire con il sorriso disegnato sul volto, ed entrarono nel mondo dei sogni, nella quale speravano di non potere mai più uscire.






IN ONORE ALLA GIORNATA DELLA MEMORIA [PER NON DIMENTICARE]











[CAPITOLO SCRITTO IL 27 GENNAIO 2021]

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