𝐒𝐰𝐢𝐭𝐜𝐡𝐚𝐛𝐥𝐞 𝐂𝐢𝐭𝐲
𝐒𝐰𝐢𝐭𝐜𝐡𝐚𝐛𝐥𝐞 𝐂𝐢𝐭𝐲
Joannie si stringe nella sua felpa grigia, troppo larga, dai polsini sdruciti; li stringe e ritorce tra le mani esili e infreddolite dall'aria frizzantina di un mattino settembrino, nell'East Side di Manhattan.
È nervosa e l'affanno le opprime il petto; alle nove deve essere da Metro Diner, sulla costa opposta del fiume, per iniziare il suo turno di lavoro.
Ha percorso i gradini della metro due alla volta per arrivare tra i primi della fila. Le porte della segreteria dell'accademia aprono alle 7.45 e lei ha otto persone davanti.
Pensava ci sarebbe stata più ressa, invece sono un gruppetto sparuto di poche anime.
Ai primi di settembre, molti sono rientrati al lavoro, altri hanno già iniziato a frequentare le lezioni in altre università. Ricorda file ben più lunghe, nello stesso periodo di anni precedenti, quando passava solo per guardare. Guardare quel qualcosa che non si sarebbe mai potuta permettere, a meno di soldi extra piovuti miracolosamente.
Dei ragazzi della fila, i più se ne stanno in silenzio, chi con gli auricolari per la musica, qualcuno telefona per annunciare trafelato, ai propri genitori, che è l'ultimo giorno delle iscrizioni e ha fatto appena in tempo.
Joannie tira fuori i moduli dal suo zaino, mano a mano che la fila scorre. Li stringe saldamente, mentre sente la tensione morderle la bocca dello stomaco e la sua perenne diffidenza farsi largo.
Santos la licenzierà in tronco se tarda un solo minuto.
Cerca di scacciare i pensieri opprimenti e afferra l'indistruttibile Nokia 3310: controlla se vi siano messaggi persi sul display d'un verdognolo cianotico. Però Joannie non ha nessuno da chiamare. Si specchia nel riflesso dei suoi occhiali da sole a buon mercato, modello aviator, che ha sfilato per darsi una sistemata. È un nugolo di capelli rosso fuoco e crespi che fanno da cornice a un viso dall'incarnato eburneo, puntellato di minuscole efelidi.
Nonostante abbia applicato il correttore, occhiaie marcate le circondano gli occhi vispi, color giada brillante. E nulla può un po' di crema per attenuare la couperose che si accentua sugli zigomi spigolosi.
Ripiomba, a testa bassa, a fissare la punta consunta delle sue Vans. Erano di un bordeaux acceso quando le ha acquistate, un anno fa. Cinquantanove dollari ben spesi ed evviva le svendite. Dovrà risparmiare minimo un altro mese per ricomprarne di nuove.
Si guarda intorno e la solita sensazione familiare la assale: nessuno di quelli in coda con lei le sembra come lei.
Le ragazze sono truccate con cura, qualcuna è sicuramente andata dal parrucchiere, la sera prima.
Non capirà mai come facciano a essere così perfette già a quell'ora del mattino. Lei a malapena riesce ad aprire gli occhi e vestirsi. È stato sempre così, dall'asilo alle superiori, che ha terminato appena due anni fa.
I maschi vestono un abbigliamento casual ma distinto, tipico dei figli della New York bene.
La sua unica possibilità, per un'accademia prestigiosa come la Julliard, invece, è la borsa di studio che ha conseguito per meriti.
"Mi dispiace signorina Mavridis, il titolo di studio non è formalmento valido in questo istituto."
"Che vuol dire non è formalmente valido? Guardi, sono certa che ci sia un errore: questa borsa di studio mi è stata rilasciata dalla Fondazione Robin Williams, dopo aver superato il provino di ammissione: è il mio lasciapassare al primo anno di corso."
"Non so che dirle, signorina. Il sistema la rifiuta. Provi a fare ricorso," incalza la segretaria addetta alle iscrizioni: ha fretta di sbrigarsi; è già oltre l'orario previsto per chiudere il numero che andrà a formare le ultime classi.
"Se inoltrassi il ricorso oggi, ci vorrebbero mesi e non farei in tempo a iniziare i corsi, per quest'anno."
"Se è per questo, tutti voi che vi siete presentati qui l'ultimo giorno, potevate pensarci prima."
"Aspettavo la borsa di studio!" Joannie alza la voce, pentendosene quasi subito.
Un silenzio assordante le fa eco, ma non per molto.
"Con gli altri studenti non ha fatto tante storie. La prego."
L'ultimo della fila, dietro di lei, avanza poggiando i documenti sulla scrivania dell'impettita funzionaria. "Per favore, siamo solo io e questa ragazza a fianco a me, ci lasci iscrivere. Alcuni di noi arrivano da lontano. Altri rubano minuti al lavoro. Sia gentile, la prego. Ci sarà tempo per le verifiche ai documenti di iscrizione anche a corsi iniziati."
È un damerino coi lineamenti da cherubino; il viso regolare incorniciato da ricci scuri e un velo di barba: pare un bacchino caravaggesco.
Vestito di tutto punto e, forte dell'arte persuasiva del suo fascino e della sua oratoria, imbastisce un'arringa intessuta di una serie di motivazioni fantasiose alla segretaria del diavolo, la quale - stranamente - s'ammorbidisce al fare ruffiano e lusinghiero del ragazzotto, indubbiamente affascinante, che ondeggia le lunghe ciglia scure cornice di due perle di ossidiana, in un modo così ammaliante che la donna di mezza età deve cedere necessariamente.
È un attore nato, non c'è dubbio, ma chi usa la propria bellezza per ottenere ciò che vuole è un genere di persona molto distante, per natura, a una ragazza riservata come Joannie.
Sono le 8.45 e la metro corre veloce, insieme al cuore della ragazza ancora incredula per l'ammissione insperata ai corsi serali.
"Ehi, ciao. Visto? Ce l'abbiamo fatta a entrare. Quella non cedeva, ma io non mi arrendo. Piacere, mi chiamo Nathan, Nathan Moshe," si presenta con sguardo sorridente dietro la montatura metallica, color oro, dopo aver preso posto sul sedile accanto a quello della ragazza.
"Joannie Mavridis, piacere mio. Senti grazie di avere un po' insistito, io avrei rinunciato."
"Io non mi do mai per vinto. Insomma arrivo da Miami e non potevo venire prima per impegni di lavoro," continua a raccontarle, insieme ad altri particolari.
Quel tizio è logorroico, pensa Joannie, ma non sa perché si sente calamitata dal fare due chiacchiere con lui.
Scendono alla stessa fermata, lui si porta dietro una chitarra.
- Pensava di sostenere un'altra audizione?!- Joannie pensa sia proprio strambo.
"Lavori a Miami? E che ci fai a New York allora?" chiede la ragazza mentre fanno qualche passo insieme, nella stessa direzione che lei imbocca.
"Sì, lavoro come assistente in ospedale. Non è la mia aspirazione, ma mio padre dice che mi serve per capire che vogliono dire i sacrifici e ramanzine varie, sai come sono i genitori.
Ho risparmiato per un anno per avere i soldi necessari e ci voglio provare seriamente, alla Julliard."
"Capisco molto bene, anche io risparmio da un sacco per tentare questa opportunità. I soldi non bastano mai, tra affitto e bollette. Ho passato l'audizione e vinto quella borsa di studio ed è stata una fortuna," Joannie lo saluta attraversando la strada, di corsa, verso Metro Diner.
"Ehi," si sbraccia Nathan, "allora ci vediamo presto per l'assegnazione delle classi, stammi bene Joannie."
Ma lei è già troppo lontana per udire le sue ultime parole che si perdono tra i clacson e il rumore del traffico.
È uno strambo, è indubbio - si ritroverà a pensare Joannie, durante il turno di lavoro - ma dietro la favella lesta le è parso di scorgere un pesce fuor d'acqua, in una città dove probabilmente non conosce nessuno. Forse non è solo un esibizionista che vuol mettersi in mostra a tutti costi.
Due ragazzi pieni di sogni: Nathan, appena arrivato a New York, e Joannie che c'è cresciuta.
Inseguono il tempo che corre veloce, nella città dalle luci accecanti. Rincorrono la loro meta, leggeri, come le folate di vento di settembre che s'insinuano attraverso le feritoie delle grate, calpestate da milioni di passi. Le stesse che, a volte, ti fanno stringere nelle spalle e lasciano un brivido sulla nuca.
Sono leggeri come i ragazzi della loro età.
Una leggerezza che di lì a pochi giorni diverrà aria rarefatta - di piombo.
È venerdì 7 settembre 2001.
Qualcosa sta per cambiare. In pochi giorni, una cappa cinerea oscurerà per settimane l'azzurro di quel cielo.
Arrosserà gli occhi increduli di Nathan, mentre assiste attonito allo sgretolarsi del sogno americano, all'ombra del quale è cresciuto.
Riarderà la gola di Joannie insieme ai suoi singhiozzi, per l'incombente incertezza riguardo il suo futuro perché Santos rischierà di chiudere, dopo l'attentato che sconvolgerà il mondo occidentale: perderà sua figlia. Questo significherà niente lavoro, per Joannie e niente corsi alla Julliard. È un incubo. Tutto finirà prima ancora di cominciare.
Una settimana dopo, lei e il ragazzo di Miami si ritrovano - increduli - fronte contro fronte a cercare, l'uno nel silenzio dell'altra, risposte inesistenti a domande senza senso.
Il docente di Improvvisazione ha assegnato loro di porsi a sedere per file, sul pavimento, e cercare un contatto fisico, in silenzio, per cercare una connessione col proprio compagno di corso.
E Joannie si sente improvvisamente sollevata che Nathan abbia preso posto, all'angolo, in ultima fila, accanto a lei.
Devono lasciar fluire le emozioni, silenziosamente.
Joannie è timida di suo e paralizzata dal crollo della società intorno a lei. Non riesce a rilassarsi, è un fascio di nervi che Nathan può ben percepire. Allora lui le prende le mani e a occhi chiusi canticchia, sussurrando appena con voce roca e tremula, il ritornello una nenia popolare messicana.
Un momento dopo, il ragazzo socchiude appena le palpebre, lasciando andare sulle guance ricoperte di un velo di barba dei rivoli argentei, da sotto gli occhiali dalla montatura metallica. Joannie lo guarda e
finalmente, anche lei, libera l'anima negli occhi di chi sta provando il suo stesso sgomento. Una traccia perlacea riluce nella penombra di quello stanzone, lungo la guancia destra della ragazza.
Joannie intreccia, più strette, le sue dita a quelle di Nathan e per la prima volta, da un tempo che non riesce a ricordare, si sente vicina a qualcuno.
In quella stanza, in quel momento, ci sono soltanto loro. La luce soffusa impedirà al resto del mondo di vederli, e loro sono estraneati dal resto del mondo. In quello stanzone, in mezzo a tanti ragazzi, ci sono solo Nathan e Joannie fronte contro fronte.
Hanno raggiunto lo scopo dell'esercizio assegnato: annodare le loro anime, disconnettendosi dal mondo circostante benché li osservi.
La pressione della fronte del ragazzo, contro la propria, forza le barre d'acciaio della prigione di solitudine nella quale Joannie è arroccata.
Come un moderno Sansone, Nathan demolisce le granitiche colonne di diffidenza con l'inaudito potere della dolcezza.
Spazio Autrice:
Una mini long che sarà composta da poche one shot che trattano un tema che pare sempre rimanere nel limbo del non definito: l'amicizia tra un uomo e una donna.
Buona lettura e, come sempre, aspetto i vostri pareri.
Buona lettura.
Nives ♥️.
L'immagine di copertina è una fanart commissionata alla talentuosa @tory.inst che trovate su IG. Ne è categoricamente vietata la riproduzione in quanto mia personale proprietà. Mi riservo di procedere legalmente qualora dovessi vederla riprodotta in rete.
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