𝐏𝐚𝐧𝐢𝐜 𝐚𝐧𝐝 𝐈𝐧𝐧𝐨𝐜𝐞𝐧𝐜𝐞 - 𝐓𝐡𝐞 𝐕𝐚𝐥𝐞 𝐨𝐟 𝐓𝐞𝐚𝐫𝐬
"Quando il sangue non è tutto e farsi presenza vuol dire famiglia."
È il giorno del Ringraziamento e Nathan ha invitato Joannie a Miami, a trascorrere il long week end dalla sua famiglia.
Sarà una ricorrenza doppia perché, dal sabato dopo, a casa Moshe, si celebrerà anche la settimana di Hanukkah.
È una giornata tersa e ventosa, sulla costa: sembra quasi primavera. La casa dei Moshe non dista molto dalla spiaggia di sabbia bianca. Così, una volta depositati i bagagli, Nathan e suo fratello minore Mikaél fanno da chaperon a Joannie, portandola a passeggiare sulla vicina battigia.
Joannie e Nathan hanno lasciato momentaneamente alle spalle il freddo del novembre di New York e si godono il riverbero del sole tiepido sotto la pianta dei piedi scalzi. Camminano coi pantaloni arrotolati alla meno peggio sulla spuma delle creste ondose che sfrigola e si disperde sull'arenile semideserto, la cui vista si espande a perdita d'occhio.
Gli schiamazzi di qualche impavido surfista fanno a gara con l'imperituro garrito dei gabbiani. Joannie guarda quello spettacolo litigando con le sottili ciocche di capelli che le si incastrano tra le ciglia, negli occhi e agli angoli delle labbra sottili, fino a imbrigliarsi tra i bottoni del largo camicione bianco, in popeline, che indossa sul pantalone di lino cinque tasche. Se ne sta in silenzio mentre le dita nivee scorrono tra le lunghe ciocche fuoco vivo che cerca di domare senza riuscirvi.
I due fratelli, Nathan e Mikaél, parlottano tra loro fitto e sottovoce; Joannie ha affrettato il passo precedendoli di qualche metro.
"È bellissima, fratellino. Ma Mara davvero non obietta niente? Davvero troppo bella per raccontare alla tua ragazza che è solo una collega di corso," ironizza bonariamente il più giovane dei due fratelli Moshe.
"È invece questo è: un'amica. Mara lo sa e non vede l'ora di conoscerla di persona," afferma il fratello maggiore. "E, Mika, dovresti dire a Joe che la trovi bella, sai?! Fa' capitare l'occasione perché la fissi con occhio da triglia lessa da quando abbiamo messo piede fuori dal gate, all'aeroporto." ironizza l'aspirante attore, promettente studente della Julliard.
"E poi lei non si sente mai troppo a suo agio con se stessa, tende a sottovalutarsi e"
"E per questo l'hai presa sotto la tua ala protettrice, giusto?" lo interrompe Mikaél, lungimirante.
È tanto simile Mikaél a suo fratello: nella fisionomia dalla pelle dorata, i ricci scuri e l'occhio languido, tendente all'ingiù. Diversi per corporatura; Mikaél è tarchiato e sovrappeso mentre il suo fratellino pare essere stato immerso nel nettare degli dei, dalla nascita, coi suoi lineamenti apollinei.
"Mi prenderebbe per un cascamorto," abbozza Mikaél tra il titubante e lo sconsolato.
"Se non ci provi non lo saprai mai," insiste Nathan. Così Mikaél si decide e avanza fino al punto nel quale capelli di fuoco s'è posta a sedere, sulla sabbia.
Nathan se ne resta poco più in disparte.
"Posso sedermi?" chiede il minore dei fratelli Moshe alla ragazza che annuisce con un piccolo cenno del capo. Una volta accanto a lei, resta per qualche momento a fissare il mare cercando le parole che spesso gli mancano per iniziare una conversazione.
"Sono contento di conoscerti, Joannie. Sai, abbiamo avuto tanta paura per Nathan, l'undici settembre, a New York. Lo credevamo lì, tutto solo, ma lui ci ha raccontato subito di te, di come vi siete conosciuti e che sei stata molto gentile con lui, " il giovane espira quella frase tutta d'un fiato, seguitando a osservare l'orizzonte.
"Ti ha detto davvero così?" la ragazza si volta verso Mikaél, incuriosita. "Mi sono limitata a starlo ad ascoltare, non ho fatto niente di particolare. Tuo fratello è un fiume in piena ma è di compagnia. È sfacciato, a volte, terribilmente. Però è anche sensibile e sa strapparmi un sorriso pure quando sono più nera della notte," sorride Joannie a capo chino, fuggendo lo sguardo di Mikaél che ha appena incrociato i suoi occhi verdi; la ragazza torna a tentare di domare i capelli.
In silenzio Mikaél sfila dal polso un elastico nero di spugna. Di solito lo usa per tenere a bada i suoi ricci dallo sferzante Aliseo dell'Atlantico, che spira tutto l'anno, ma li ha sfoltiti parecchio, da poco, pertanto ne fa dono alla ragazza che, ringraziatolo con occhi sorridenti, avvolge subito le ciocche indomite in un toupè.
Mikaél e Joannie chiacchierano dei corsi al college, di come si svolgono le lezioni e del lavoro di lei alla tavola calda, da Santos. Sono passati due anni da quel tragico undici settembre e, lentamente si è tornati a una sorta di normalità che pareva impossibile riprendere.
Intanto Nathan è stato raggiunto da Mara, sua fidanzata dall'ultimo anno di liceo, a Miami. I due passeggiano sull'arenile, tenendosi per mano, mentre vanno incontro a Joannie e Mikaél.
"Mika, Joe, mamma ha chiamato: il pranzo è quasi pronto," li avvisa Nathan, procedendo poi alle presentazioni tra Mara e Joannie. Le due ragazze iniziano a parlare, saltando i convenevoli.
A entrambe pare di conoscersi: una naturale confidenza le connette. Mara è molto delicata nel porsi e Joannie si sente a suo agio. La fidanzata di Nathan è esattamente come capelli di fuoco se l'aspettava: mediterranea e dalle curve generose, non troppo alta, dal viso dolce incorniciato da un caschetto di seta color cioccolato, come gli occhi tondi e grandi e un sorriso incastonato in labbra piene, una pelle bronzata e lucente che le conferisce la sensualità tipica delle ragazze latine. Joannie non può che ammirarla. Capelli di fuoco non fatica a comprendere come Nathan sia perdutamente innamorato di lei, nonostante vivano distanti da due anni, ormai. Mara è una studentessa di letteratura e non può recarsi a New York, così è sempre stato lui a volare in Florida, a casa da lei, appena possibile.
In effetti è davvero come se le due ragazze si conoscessero perché hanno già parlato, qualche volta, dal telefono di Nathan. Lui e Joannie, in questi primi anni di college, si sono raccontati le loro vite anche attraverso vecchie foto sbiadite e rigate, dei loro cari. Se le portano dietro negli zaini sempre carichi.
Perché Nathan Moshe è così: un libro aperto, leale, schietto. Non sa nascondere nulla di sé e nemmeno s'impegna un minimo perché debba riuscirci. Sanguigno, viscerale, genuino. Se gli piaci lo saprai subito, come pure il contrario: diventa schivo e prudente, quando, dall'altra parte avverte poca trasparenza. E Joannie Mavridis ha imparato a conoscerlo e, pian piano, a schiudere il guscio di timidezza e insicurezza che la imprigiona, grazie alla disinteressata e sincera spontaneità di Nathan.
Joannie riconosce, in mezzo ai suoni assordanti del frastuono impersonale della Grande Mela, il tono avvolgente e familiare del ragazzo che parla sempre a voce troppo alta, con la sua inconfondibile inflessione del sud, la quale ne tradisce nell'immediato la provenienza.
Mara lo bilancia, dolce e materna le basta uno sguardo per chetare il fermento perenne di riccioli d'ebano.
E Mikaél? Un ragazzo a modo e gentile, come suo fratello, ma molto timido.
Ore splendide si susseguono in casa Moshe. Il padre dei due ragazzi è un medico del South Miami Hospital; uomo pacato e riservato. Mamma Nicolle è l'angelo del focolare. Donna minuta e volitiva è il fulcro dell'equilibrio all'interno della famiglia. La pietra angolare sulla quale il cuore di suo marito e dei suoi figli confidano.
Al momento del desinare, il capofamiglia invita i presenti a prendersi per mano. Joannie si trova seduta tra Nathan, che ha preso posto accanto a Mara, seduta dall'altro lato, e Mikaél. Quando il padre dei ragazzi chiede ai commensali di unire le loro mani Nathan, senza esitazione, stringe la mano della donna che ama e quella di Joannie. Mikaél invece esita, imbarazzato. È lo sguardo gentile della rossa a vincere l'incertezza di entrambi, così le dita dalla forma un po' tozza, di lui, si muovono gentili a sfiorare quelle gelide ed esili dell'ospite newyorchese. Una scossa simile a un lampo percorre la spina dorsale del più giovane dei fratelli Moshe, nello stringere quella mano morbida e piccina, nella sua. A Joannie sembra quantomeno bizzarro ritrovarsi a tenere le proprie mani in quelle di entrambi i fratelli. Una sensazione alla bocca dello stomaco la pervade. È piacevole come uno sfarfallio che sfiora le corde dell'anima. La madre dei ragazzi veglia con occhio benevolo tutta la tavola finemente imbandita. Posa lo sguardo ridente su ognuno dei presenti. Dopo un breve attimo di raccoglimento, i membri della famiglia, chinato il capo, chiudono gli occhi. Le due ragazze seguono il rituale con riserbo e compostezza. Ezra Moshe recita la birkat hamazon המז וןברכת. Normalmente andrebbe declamata alla fine di un pasto che contenga cibi a base di farine, secondo i mitzvàh della Torah, uniti alla tradizione rabbinica-talmudica.
In questa occasione, il dottor Moshe lo fa in anticipo, trattandosi del Ringraziamento: una festa non ebraica. Per osservare le tradizioni, alla lettera, avranno modo tra qualche giorno quando inizierà la vera e propria festa di Hanukkah.
Poco dopo, il Nokia 3310 di Joannie, sopravvissuto persino all'undici settembre, vibra nella tasca posteriore dei pantaloni della ragazza, la quale chiede di andare in bagno così da poter rispondere con tranquillità. È sua madre. Non si sentono quasi mai e di solito Joe sa che le telefonate da parte dei suoi non preannunciano nulla di buono. La chiamano solo per comunicarle qualche impiccio burocratico o darle qualcosa da sbrigare per loro, a New York.
La ragazza esita, lascia che la vibrazione emetta a lungo il suo suono sordo e gutturale ma, vedendo l'insistenza, cede e risponde.
Sono passati quindici minuti e il dottor Moshe sta servendo il consueto caffè, dopo pranzo. Mamma Nicolle alza lo sguardo verso il figlio maggiore, intento a stuzzicare il minore con l'aiuto di Mara che se la ride di gusto. Lo sguardo deciso ingiunge a Nathan di andare a vedere se la loro ospite stia bene.
"Lo farei io," Nicolle si rivolge a Mara, "non è dabbene che un uomo solleciti una signorina, in bagno, ma lui ha maggiore confidenza con la nostra ospite,"
quasi si giustifica la padrona di casa, con la fidanzata del figlio.
"Vado io, mamma. Chiedo scusa," Nathan si acccommiata un momento dalla tavola, posando un bacio sul dorso della mano dalla pelle dorata della sua ragazza, a scusarsi, chiedendole il permesso di andare a sincerarsi che vada tutto bene.
Il giovane studente della Julliard picchia all'uscio della porta, laccata di bianco, della toilette, per diverse volte, richiamando con tono fermo l'amica. All'ennesimo appello muto Nathan, seriamente preoccupato seppure attento a non allarmare inutilmente il resto della famiglia, forza la serratura con una forcina per capelli recuperata dal portagioie di sua madre, in camera da letto dei suoi.
"Joe, io sto entrando. Ti avviso."
La scena cui il ragazzo si ritrova davanti lo lascia con il fiato mozzato: Joe è ricurva su se stessa, accovacciata sul pavimento, ginocchia al petto, i lunghi capelli a coprirle il viso; Nathan le si avvicina cingendola per le spalle ed è allora che s'accorge della larga chiazza di sangue che ricopre i pantaloni della ragazza fino quasi a metà coscia. Joannie trema, sembra in evidente stato di shock.
"Chiamo mia madre, Joe. Tranquilla. Poi papà è medico, ti aiuterà, non preoccuparti."
Nathan tenta di rassicurarla, accarezzandole un braccio, a infonderle un po' di calore, ma è sconvolto nel vedere tutto quel sangue.
Poco dopo, nella sua mente si inseguono le ipotesi più disparate: non ne sa troppo di donne, pensa, mentre esegue le istruzioni impartitegli da sua madre. Quest'ultima prende un cambio d'abiti, per Joannie, dalla valigia riposta nella camera degli ospiti, opportunamente preparata, e destinata ad accogliere la ragazza.
La signora Moshe istruisce il maggiore dei suoi figli perché le prepari degli asciugamani e un catino con dell'acqua calda, che il ragazzo preleva nel bagno di servizio. Nel frattempo, la padrona di casa ha pregato gli invitati al pranzo di restare in salotto.
La signora Nicolle aiuta Joannie a spogliarsi e lavare via il sangue. Una volta tranquillizzata la ragazza e finito di accomodarle un abito largo, alla caviglia, e la biancheria pulita, la donna torna dai suoi figli, suo marito e la fidanzata di Nathan per spiegare che Joannie abbia avuto un malore, senza dettagliare l'accaduto. Poco dopo, chiama suo marito in disparte. Ezra Moshe è uno stimato specialista di medicina interna e comprende subito di cosa possa trattarsi. Il pranzo del Ringraziamento deve essere interrotto prima del previsto purtroppo: la ragazza va portata in ospedale per accertamenti. Ezra Moshe e sua moglie Nicolle accompagnano la loro ospite al vicino South Hospital.
Nathan, sinceratosi che l'amica si sia un attimo ripresa, resta casa con Mikaél e Mara, in attesa di notizie, mentre sistemano le stoviglie pulite e riordinano la sala da pranzo.
Qualche ora dopo il dottor Moshe chiama suo figlio al cellulare, comunicandogli di raggiungerli e raccomandandosi di farlo da solo; la questione pare essere molto delicata.
Quando Nathan varca la porta della camera dove la ragazza è ricoverata, stenta a sollevare lo sguardo verso di lei. La signora Nicolle si è premurata di restare amorevolmente con la giovane, fino all'arrivo del figlio. Tiene le mani di Joannie tra le sue e quando avverte Nathan entrare nella camera asettica affida la ragazza a colui che l'ha condotta a Miami è che, senza dubbio, la conosce da più tempo e possa sapere come prenderla.
E invece Nathan non lo sa. Le parole di suo padre, nel prepararlo a cosa sia successo a Joannie, lo hanno scosso con una tale violenza da riportargli alla mente l'urto assestato contro il suo cranio all'impatto con un'anta di legno divelta dalla potenza del devastante uragano che colpì e distrusse casa Moshe, qualche anno addietro, mentre la famiglia correva a nel rifugio sotterraneo.
L'aspirante attore è colto completamente alla sprovvista. La scuola di recitazione dovrebbe averlo preparato all'improvvisazione, ma il colpo infertogli stavolta è quasi persino peggiore dell'undici settembre.
La signora Nicolle ha lasciato la stanza e Nathan resta sulla porta, quasi non si muove, non osa. Fermo, a testa bassa, fissa le proprie mani tremule, le dita si annodano nervosamente fino a fargli male. Deglutisce respiri all'arsenico. Tutt'attorno i suoni sono come ovattati. Lentamente solleva gli occhi sulla figura minuta, avvolta nel camice ospedaliero che va a confondersi con il bianco delle lenzuola. I sottili capelli fulvi, come fronde d'un salice piangente, pendono dal capo chino alle ginocchia della ragazza. Nathan, mosso da forze arcane, siede sul letto ponendosi frontalmente alla sua amica. Le ciglia appena rosate della ragazza sono socchiuse, a nascondere le iridi verdi, la punta del naso affilato è rossa, spicca tenacemente sul pallore del viso emaciato. La mano del ragazzo si muove, animata di vita propria, a posizionarsi sulla guancia fredda della ragazza. Passando la punta del pollice ripetutamente, nello stesso punto, rimuove il residuo umido della riga di una lacrima e d'istinto trae a sé la ragazza, accarezzandole la schiena con dolcezza.
"Joe, mi dispiace. Mi dispiace immensamente, non so che dire," arranca, mentre la giovane donna gli si aggrappa alle spalle seppellendo, sulla sua camicia leggera, nuove lacrime.
Eunice, la sorella di Joannie, soffriva di disordini alimentari da molti anni. Questi, uniti a una forma acuta di depressione, l'hanno portata a togliersi la vita. Il forte spavento ha causato un aborto spontaneo a Joe.
"Non sapevo fossi incinta," le parla con dolcezza e in tono sommesso, Nathan, seguitando a tenerla tra le braccia.
"Avevo un ritardo di poco più di un mese, avrei fatto il test, appena tornati a New York," spiega lei.
"Non sapevo neanche ti vedessi con qualcuno, Joe," si mostra stupito Nathan.
"In effetti non mi vedo con nessuno, Nat. È successo a una festa: ho alzato un po' troppo il gomito, ho conosciuto un ragazzo carino e gli ho chiesto di proseguire la serata da me. Una cosa senza strascichi supponevo. Prendo la pillola, ma l'avevo saltata per due giorni, il mese scorso. Non pensavo accadesse per una piccola dimenticanza."
"Joe, avresti dovuto proteggerti comunque. Insomma è rischioso, se non conosciamo bene qualcuno," asserisce il giovane senza la minima traccia di paternalismo, intenzionato esclusivamente a proteggerla, le mani poggiate sulle spalle esili di lei, la fronteggia teneramente.
"Lo so, lo so, Nat. Sono incasinata e lo sai anche tu," risponde lei, quasi senta il bisogno di giustificarsi.
"Mi importa solo che tu stia bene, Joe. Non m'interessa ciò che fai nel tuo privato però desidero che non ti cacci nei guai."
Nathan è protettivo e dolce. "Non hai avvisato almeno tua madre del tuo ricovero?" chiede il giovane.
"Nat, ti prego," sospira lei, sfinita. Allora la stringe nuovamente a sé, mentre le carezza la schiena per confortarla. Nat non aprirà più l'argomento famiglia, con Joe. Non c'è niente che lei senta più lontano.
Famiglia sono il suo migliore amico e i suoi genitori: persone discrete e gentili che l'hanno accolta e accudita al pari di una figlia.
Famiglia, per Joannie Mavridis, non è necessariamente il sangue, ma chi ti resta accanto nei momenti che contano.
Spazio Autrice:
Mitzvàh: insieme delle prescrizioni della Torah (legge mosaica) ebraica.
Birkat hamazon המז וןברכת rendimento di grazie per il cibo, da recitare alla fine di un pasto durante Hanukka.
Hanukkah [si pronuncia hanukká]: la Festa delle Luci, ricorrenza ebraica tra le più importanti.
Hanukkah (si scrive in vari modi) commemora la nuova consacrazione di un altare del Tempio di Gerusalemme e la riconquistata libertà dal giogo degli Ellenici, nel secondo secolo Avanti Cristo.
Hanukka candelabro a nove bracci viene acceso; otto bracci più quello centrale per accendere le luci degli atri, uno per ogni sera, durante la celebrazione della festa.
Aliseo freschi venti di brezza che sferzano l'atlantico meridionale tutto l'anno, molto amati dai surfisti.
Eccoci alla seconda One Shot. Due anni sono trascorsi dal duemilauno, anno in cui Joe e Nat si sono conosciuti. Un'amicizia improbabile tra persone in apparenza diverse, ma simili nella sensibilità, si cementa attraverso gioie e dolori. Quando il sangue non è tutto e farsi presenza vuol dire famiglia.
Spero vi sia piaciuta, a presto.
Nives ♥️.
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