XXVII. L'attesa.

Soundtrack – "The Scientist (violin version)", Coldplay.

Una settimana dopo.

«Come sto?»

Arya smise di sistemare i ciondoli di ametista sulla seta del centrotavola, e spostò tutte le attenzioni sulla sorella.

«Perché mi guardi in questo modo?» insisté Victoria, preoccupata.

«Santi numi. A quel maschione farai venire un colpo.»

Il rosso sul viso di Victoria si accentuò al punto di voltarsi e raggiungere di nuovo le ante. «Perfetto, lo cambio.»

«Non ti azzardare.» ringhiò la minore.

«Non è adatto.»

«Ti infilo una forcina nella pancia.»

Un secondo di silenzio di troppo. «Non te lo vieterei.»

Arya comprese che qualcosa non andava. Mollò tutto e si avviò nella sua direzione. Afferrò un'anta per liberare la visuale, e trovò Victoria intenta ad accarezzarsi la pancia ed esaminare i fianchi allo specchio. Non parlò. Né si aspettò che l'altra potesse aggiungere altro.

E Arya dovette soppesare le parole con cui proseguire la conversazione.
Il velo negli occhi della sorella la allarmò. «Cosa c'è che non va?»

Alla fine, optò per un tono soffice. Era una richiesta. Un invito a esternarle le riflessioni. Ma Victoria inspirò un po' d'aria prima di rilasciarla in microscopici soffi.

«Trovi che...»

Non riuscì a continuare. Si limitò a fissare lo specchio. Arya attese con calma, a mani incrociate.

«Nulla. Fai finta che non abbia parlato.»

«Vic...» Arya le acciuffò le mani prima che potesse allontanarsi, e le strinse in un pugno. «Guardami.»

La principessa lo fece. Arya, invece, iniziò a esaminare ogni dettaglio della sorella. Per il banchetto di corte, il re di Legendragon aveva mosso mari e monti per deliziare la figlia di un abbigliamento consono all'occasione. Voleva farsi perdonare. Lasciarsi alle spalle quanto accaduto nella sala reale sotto gli occhi dei suoi cavalieri. E in un primo momento, Victoria aveva valutato l'idea di rifiutare tutto.

Abito, festa, regali. Ma l'anniversario della nascita degli Eternom di Legendragon era uno degli avvenimenti più importanti del Regno. Su alcune mura del castello di corte era incisa la data scolpita dagli scultori dei loro antenati e predecessori al trono. I Figli del Drago erano particolarmente devoti agli animali che proteggevano la loro dinastia da millenni. Il giorno del Dragaron era sacro e inviolabile. Non addobbare la corte per l'occasione veniva visto come un sacrilegio. Tutta la popolazione benestante del reame era invitata al grande banchetto della sala più spaziosa del palazzo.

E Victoria conosceva bene i protocolli reali: doveva esserci. In quanto erede al trono e figlia legittima. Il contrario era deleterio. E la nobile non aveva alcuna intenzione di mancare ai suoi doveri per poi ricevere punizioni sgradevoli.

Ma in quel momento, l'abito dorato la fece sentire diversa. Non era un colore che riempiva i suoi armadi, poiché era di regola solo per le grandi festività. Né aveva avuto occasioni di vantare sete così raffinate e sfavillanti provenienti dai mercanti del Nuovo Mondo.

Victoria afferrò un lembo di seta finissima, e alcuni brillantini si cosparsero sulle sue dita. Poi, posò la mano sul corpetto di velluto dorato. Era un gioco di luccichii dal colore di sabbie del deserto, ma le toglieva il fiato per quanto fosse stretto sul seno. La gonna era vaporosa, strati e strati di seta d'oro brillante. La schiena era scoperta, e la servitù le aveva cosparso delle creme per un effetto brillante sulla pelle. I capelli erano sciolti in boccoli voluminosi, e ai lati del capo aveva dei fermagli con petali di rosa bianca. Il trucco era sfavillante e abbinato alle tonalità del vestito, e il kajal le conferiva uno sguardo profondo e penetrante.

«Sei meravigliosa.» concluse la sorella.

Ma la principessa abbassò lo sguardo. «Non credo di avere il fisico per indossarlo.»

«E invece è perfetto, perché quel maniaco della perfezione di nostro padre l'ha fatto fare su misura.»

A Victoria venne da mordersi un labbro. Poiché se la sorella avesse saputo cos'era accaduto giorni prima, avrebbe incrementato il suo astio per i comportamenti del sovrano. Ma tenne i pensieri per sé. Non voleva rovinarsi la serata, nonostante la nausea che le invadeva il corpo dal giorno prima.

«Sono ingrassata, Arya. Non va bene che–»

Ed eccolo. Il sospetto che la minore avvertiva aleggiare nella stanza da qualche minuto. Afferrò il mento della sorella e la costrinse a incatenare gli occhi nei suoi. «Questo lascialo decidere a chi ti guarda.»

Poi, si allontanò lentamente e ritornò alla sua postazione. «E in ogni caso, sciocchezze, Vic. Sei magrissima. Anche più dell'ultima volta che ci siamo viste. Sei solo tesa e impaziente.»

«Non sono per niente impaziente di andare al ballo.» si affrettò a rispondere.

«Non mi riferisco ai motivi che credi. Semplicemente, vuoi toglierti una responsabilità dal petto. Ti capisco.»

Victoria si girò di tre quarti per cercare lo sguardo della sorella, ma la trovò impegnata a decidere con quali gioielli completare l'opera. Una volta afferrata una collana, si incamminò e...

Bussarono alla porta.

«Sì?» esclamò la minore.

Una pausa inusuale.

«Sua Altezza Reale Dorian Windothynn, milady.»

Alla voce del capitano della guardia reale, Victoria sgranò gli occhi e sobbalzò, facendo cadere una spazzola a terra.

La reazione di Arya fu simile, seguita da un'imprecazione colorita e una mano sul petto. «La principessa non può ricevere visite fino all'orario del banchetto, milord!»

«Solo un secondo, Arya. Devo consegnarle un oggetto.»

Arya era nel panico più totale. Victoria una lastra di ghiaccio, incapace di intendere e volere. «Ha già messo il vestito, altezza! Di logica conseguenza alle tradizioni di corte, non può farsi vedere-»

«Arya. Per favore.»

Il tono deciso del principe la fece sussultare, e mormorò a Victoria: «Oh cielo. Mi ha appena chiamata per nome?»

«Due volte.»

«Oh, santissimi numi del Fato. Me ne vanterò a vita con le ochette della corte di Warriangon.»

Ma a Victoria non venne da ridere come era solita fare per le battute della sorella, e preferì concentrarsi su quello che stava organizzando sotto ai suoi occhi.

«Datemi cinque secondi!» urlò Arya alle persone dietro la porta.

Victoria le afferrò un braccio. «No.»

E Arya lesse nei suoi occhi tutta l'agitazione e la paura procurati da quell'imprevisto.

«Copriremo il vestito con una tunica.»

«È impossibile!» sibilò Victoria, visibilmente allarmata. «La gonna–»

«Fidati di me.»

E ai secondi in cui si fissarono l'un l'altra, seguì la velocità delle mani di Arya nell'inserire la tunica pesante dalla testa della sorella, per poi inginocchiarsi e fare in modo che coprisse quantomeno gran parte della gonna. Restò fuori lo strascico e i lembi vaporosi del finale.

«Girati.»

«Eh?»

«Non deve vederti in viso. Porta sfortuna. E sono regole.»

«Ma cosa diamine...»

Ma Victoria dovette obbedire fulminea, perché il cigolio della porta la fece scattare.

«Avevo detto di attendere!» urlò Arya.

«Dovete perdonarmi, altezza. Ma sono in compagnia della guardia reale per un motivo, onde per cui devo sbrigarmi prima che vostro padre possa–»

«Va bene, va bene. Ho capito.» replicò seccata, scuotendo la mano in segno di approvazione. «Cinque minuti, milord. Non uno di più, non uno di meno. Siamo già in ritardo sulla tabella di marcia e non vorremmo peggiorare ulteriormente.»

«Ricevuto.»

La voce del giovane era posata e bassa, ma a Victoria aumentarono le palpitazioni in modo sproporzionato.

«Sono alquanto seria, piccolo Fae disgraziato dal faccino adorabile.» Arya si avvicinò, ed ebbe l'ardore di puntargli un dito sul petto. «Cinque minuti. E senza guardarla in faccia.»

Dorian inarcò un sopracciglio, ma non fece in tempo a parlare che Arya aggiunse: «Protocollo reale.»

E per quanto il broncio fosse efficace, Dorian si ritrovò a ridere quando la minore uscì dalla stanza a passo affrettato e con un tonfo della porta.

«Piccolo Fae disgraziato dal faccino adorabile?» ripeté Dorian, con un filo irrisorio.

Victoria provò a trattenere una lieve risata, ma fallì. «È più forte di lei. Deve riempirvi di complimenti a ogni ora del giorno.»

«Oh, quale novità.» ironizzò il principe. E a ogni passo in più verso la destinazione, Victoria sudò. «È una legge non scritta.»

«La nobiltà di corte è invadente, milord? Posso informare mio padre.»

«Dubito che vostro padre possa venir meno a un suo ordine.» bofonchiò. «E poi...»

Sebbene le braccia della principessa fossero coperte sia dalla tunica che dalla viscosa semi-trasparente, Victoria scambiò il calore delle mani di Dorian come lapilli. Le dita del Fae presero ad accarezzarle le braccia, e lei diventò così rigida da non sembrare reale.

«... non sopporterei un'altra reazione su di te.»

Era riuscita a stento a udire la confessione. La voce di Dorian si era fatta sottilissima, ma il modo in cui manteneva le distanze la frastornò. Avrebbe voluto girarsi, afferrargli il viso e dirgli che non doveva preoccuparsi. Ma era costretta a stare di spalle.

«Mi ha promesso che non riaccadrà.»

«Dubito.»

«È così, altezza. Sono troppo preziosa agli occhi degli altrui nobili del Continente.»

Dorian intuì. Al re non conveniva essere in cattivi rapporti con sua figlia. Ne valeva dell'immagine della corona e dell'alleanza di pace con i Fae dell'Aria. Fece una smorfia, e liberò l'aria necessaria per una risposta.

«Quanta vuota e frivola apparenza.»

«Lo so.» sospirò la giovane. «Ma deve andare così.»

«Prima di giungere nella vostra corte, non credevo possibile una tale voce.»

«Quale?»

Riprese fiato. «Non ve l'ho mai detto, ma nella mia corte si vociferava che il re di Legendragon non fosse poi così clemente con la nobiltà che lo circonda.»

«Il mio popolo è ai suoi piedi.»

«Ne sono al corrente. Nella sua vecchia carica da consigliere reale è stato eccellente. Ha avuto il tempo per tessere fili di gratitudine. Gli abitanti saranno sempre devoti a un uomo che è stato dalla loro parte negli anni più bui di Re Glorium. Fino a quando resterà sul trono, non ci sarà modo di dubitare di lui in quanto a fedeltà autorevole. Non c'è un solo membro del consiglio reale che attuerebbe un colpo di stato. O quanto meno, se esistesse in sordina, non avrebbe comunque seguaci.»

«Preferirei non parlare di lui. Almeno per le prossime ventiquattro ore.» disse lei, spostandosi una ciocca dietro un orecchio.

Seguì una pausa, e Victoria fremette dalla voglia di voltarsi per capirne il motivo. Ma non poteva. E Dorian stava seguendo le regole. Ma il gelo le circondò i muscoli del collo quando un oggetto si posò sulle clavicole. La rigidità prese il sopravvento, ma non osò abbassare lo sguardo. Né poteva usufruire dello specchio.

«Un omaggio da tutti i membri della mia corte, Maestà.»

Quarzo bianco riempito di magia. All'interno della pietra preziosa c'era un cielo stellato che si muoveva a ogni respiro. E quando Victoria prese coraggio e lo appurò con i suoi occhi, restò senza parole.

Era il gioiello più bello che avesse mai visto. Aveva un'aura di mistero e fascino intramontabile, e l'eternità era racchiusa in esso.

«Per ogni stella che riuscirete a far nascere.»

«A far nascere?»

La domanda restò sospesa nell'aria.

Il principe si limitò ad aggiungere: «Indossatela tutte le volte che vi sentirete sola. Una dose di coraggio genera una luce. E una luce genera la fede.»

Le stava chiedendo, per l'ennesima volta, di non mollare. Anche quando il mondo remava contro. Anche quando il fato sceglieva al suo posto. Anche quando l'impossibile sembrava tale, ma era solo una questione di prospettive.

Le stava chiedendo di essere forte. Di sognare. Di trovare quel barlume di coraggio per sopportare le ingiustizie. Perché un domani sarebbe arrivato. E con sé avrebbe portato una nuova alba.

Il tempo che Dorian restò lì, in piedi, per avere un responso sul dono... parve infinito. E tutto quello che Victoria poté fare fu sospirare un grazie e poi ammirare la collana fra le dita, spostare le stelle nella direzione voluta e tentare di capirle. Perché quando la voce di Arya riempì di nuovo la stanza, metabolizzò che Dorian non avrebbe più potuto salutarla come un tempo.

E il silenzio dietro i passi di lui verso la porta... fu più assordante di un oceano in tempesta.

Arya chiuse la porta dietro di lei, ma non proferì una sola parola. Per Victoria non fu nulla di stupefacente, perché la sorella poteva avere tante pecche caratteriali, ma sapeva come rispettare le sue guerre interiori.

Victoria chiuse gli occhi, e fece esercizi con il respiro per tutto il tempo che Arya ritornò ad aggiustarle l'abito e i capelli.

«Fra cinque minuti scendiamo.» le sussurrò, portandole una ciocca dietro un orecchio. E anche il suo tono era cambiato.

Che avesse ascoltato la conversazione? Oppure aveva notato qualcosa?

«Quel bastardo ha chiesto a entrambi di mantenere le distanze, vero?»

Victoria ebbe le risposte ai suoi dubbi, e annuì alla domanda della sorella.

«Questa sera divertiti, sorellina. Il presente al presente. E il domani al domani.»

Poi chiuse gli occhi, e si godé la dolcezza e la delicatezza delle dita di Arya fra le sue ciocche corvino. E desiderò sparire. Addormentarsi e svegliarsi in un nuovo mondo. E nel tempo che le restò, capì di dover stringere. Rinchiudere la magia fra le mani. E un piccolo punto pulsante di luce si liberò negli spazi vuoti fra le dita.

Aveva fatto quelle scale almeno un centinaio di volte sin da quando era bambina. Ma atmosfere come quelle erano rare. Soprattutto con un vestito da ricordarle le principesse di cui leggeva nei suoi amati libri.

Gli strumenti a corda liberarono la musica quando calò il silenzio e lei poté proseguire con una mano sul cornicione. Alla sua sinistra, il capo della guardia reale le stringeva il braccio intorno al suo, permettendole di avere un appoggio umano. E lei si concentrò sul marmo sotto i piedi, perché era ben consapevole di cosa avrebbe visto se avesse osato sollevare il mento e scrutare i volti nella sala. Il padre. Il fratello. La sorella.

Dorian.

Di tutta quella gente invitata da ogni angolo del Regno le importava ben poco, perché erano ricchi quasi quanto la corona, e il loro unico interesse era unanime. Ma dovette ammettere a sé stessa che la collana le stava donando un sollievo alquanto gradevole. La stella che aveva creato nel suo momento di sconforto luccicava come un diamante raro e prezioso. E riacciuffò il quarzo ovale soltanto quando il marmo diventò legno. E capì di essere a destinazione.

La sala era pregna di magia. Nell'aria era stata liberata una polvere dorata che, come il vento, si infiltrava fra gli invitati e sfiorava i loro abiti laboriosi. E all'aumentare della musica, cambiava direzione. Victoria seguì le scie inclinando il capo, e ciò le permise di studiare gli stendardi con lo stemma del drago.

Dorato. Dorato. Dorato. Un'unica legge. Un'unica richiesta per gli allestimenti della giornata. Ma del resto, era stato già il suo vestito a suggerirgli il messaggio del monarca per quella notte. La supremazia di un colore di dominio e potere.

«Sei splendida, sorellina.»

La voce sussurrata e gioiosa di Riccardo le permise di ritornare con i piedi a terra.

Lui si avvicinò e le appoggiò le labbra su un orecchio: «Ma è allo stesso tempo un gran problema.»

«E per quale motivo?»

«Dovrò incenerire più di qualche occhio indiscreto.»

Le si imporporarono le guance, e sorrise. «So difendermi anche da sola, se è per questo.»

«Certamente. Ma ho una reputazione da mantenere.» le fece l'occhiolino, e lei si lasciò andare a un po' di sollievo e riso scuotendo la testa.

Il fratello le porse un palmo per ricevere la sua mano delicata e stringerla. E una volta eseguito il gesto, Victoria si fece condurre al centro della sala. Dovevano essere loro ad aprire le danze ufficiali della serata.

Riccardo le circondò la schiena con la mano sinistra, mentre le dita della destra si intrecciavano a quelle di lei. Victoria sorrise genuino, e mosse i primi passi per mantenere il ritmo della musica. Un paio di rotazioni furono abbastanza per incentivare gli altri nobili a imitarli.

«Come ti senti?»

Per Victoria fu come destarsi da un sogno.

«Dopo che–»

«Non voglio parlarne.» si affrettò a rispondergli.

Riccardo fece un lungo respiro, e con una guancia appoggiata su quella della sorella scrutò la sala. Fece una smorfia che Victoria avvertì dalla contrazione della mandibola.

«Tua sorella deve per forza farsi notare in quel modo?»

A Victoria non servì seguire la direzione dello sguardo di lui per capire cosa stesse accadendo. Curvò le labbra. «Arya è uno spirito libero. Lo sai.»

«Troppo libero.»

«Be', pensi di essere nella posizione di giudicare?»

Il mormorio di Victoria era scherzoso, ma Riccardo si ritrovò a fingere di reagire bene. Ma il sesto senso della donna la costrinse a cercare un contatto visivo per capire.

«Cosa sta succedendo, Ric?»

«Potrei dare la tua stessa risposta precedente.»

«Ma tu non sei nella mia posizione. Non devi sottostare alle leggi della corte. Onde per cui, qualunque problema si sia presentato, potete venirne entrambi incontro e risolverlo. Siete due persone adulte e mature.»

Il sospiro di lui durò più del dovuto. «È quello il problema. È lui l'adulto.»

L'espressione corrucciò la fronte della giovane, ma la replica dovette tardare. Perché ora, ad azzerarle la saliva e il respiro, c'era il principe dei Windothynn.

La danza messa in scena per l'occasione, e che coinvolgeva più nobili, prevedeva lo scambio dei propri compagni in base alle rotazioni e le giravolte dei singoli. Victoria era sempre stata coinvolta in ballate, rondò, carole, ma mai in movimenti di quel tipo. Con un palmo su quello del principe, compì il giro e non gli staccò gli occhi da dosso neanche per un millesimo di secondo.

«Era questo il segreto di corte Legendragon?»

Victoria notò quanto la sua voce era inascoltabile per chiunque fosse nei paraggi. Come un segreto proibito da custodire.

«Ovvero?»

Dorian concentrò tutte le sue energie nell'oscurità delle iridi della futura regina, mentre le loro mani si intrecciavano o modellavano a seconda dei passi. Poi, Victoria afferrò i lembi del vestito, si preparò per un piccolo inchino e poi di nuovo un giro intorno a lui. Proprio quando il Fae sfiorò il suo orecchio con le labbra, ebbe una replica.

«L'eterna bellezza della sua futura regina.»

La terra le mancò sotto i piedi. Lui aveva usato un tono cupo, basso, bramoso. Ma allo stesso tempo elegante e raffinato come solo lui sapeva complimentarsi. Evitò di mostrargli quanto era cambiata in volto.

«Non sono una regina, e mi auguro di non esserlo mai.»

«Oh, invece lo sarete.» le bisbigliò, all'ennesimo giro intorno a lei. «Sarete la regina più amata e desiderata di tutti i tempi, e soltanto un uomo potrà avere il vostro cuore fra le mani.»

«La seconda parte.»

«Cosa?»

«La seconda parte. Non accadrà mai che io possa dare il mio cuore a qualcuno.»

«E perché mai?»

«Perché sarebbe come correre un rischio. Come perdere l'equilibrio sulla cima di una montagna. Non sono pronta a far rischiare la vita di qualcuno perché la mia è un punto ignoto in un orizzonte sconfinato.»

Il principe restò in silenzio, e Victoria notò lo scambio di sguardi fra lui e Riccardo. Si stavano mettendo d'accordo per... cedere ancora il passo al Fae con la donna? A quanto pareva, la conferma arrivò dai cambi di coppia di chiunque intorno a loro. Eccetto loro.

Ma fu l'osare del principe a farle tremare le gambe. E ringraziò la presenza di strati e strati di seta brillante della gonna. La mano dell'uomo le finì sulla schiena nuda, e poté giurare di sentirlo sussultare alla consapevolezza. I lunghi capelli corvino non permettevano di far notare la profonda scollatura. E qualcosa in lui reagì, perché una volta assicuratosi di essere coperti dagli altri nobili, posò le labbra sull'orecchio della donna con più audacia. Anzi, sulla tempia.

«Non avete idea di cosa avete scaturito in me quando siete scesa da quelle scale come una Regina d'Oro.»

Un calore insopportabile e strano le tese il ventre, mentre le dita di lui premevano di più.

«E non vorrei entrare nella mente dei qui presenti per nessuna ragione al mondo. Perché significherebbe constatare che ho ragione, principessa: ci sono uomini che per voi sarebbero disposti a morire. Vostro fratello stesso baratterebbe la propria vita per proteggervi. E non vi mentirò, Legendragon. Non vi farò credere in una strada spianata e semplice. Accadrà. Accadrà perché la vita è infame, e voi siete al centro di un destino sfumato ma incontrastabile. Vostro padre ha dei progetti grandiosi, e solo un essere umano dal valore inestimabile può essere al centro di tanta attenzione.»

«Ma io non voglio essere l'artefice di nulla, milord. La sola idea che qualcuno possa perdere la vita per me, e...»

Dorian la strinse di più a sé. E Numi del cielo, Victoria dovette davvero benedire la presenza di tutte quelle persone nei paraggi. Il padre era seduto sul trono della sala, e osservava la folla sorseggiando vino e parlando con i suoi consiglieri. A ogni movimento leggermente più esposto, lei perdeva anni di vita all'idea di farsi scoprire. Ma c'era un qualcosa di estremamente intrigante e smanioso nell'atto del nascondersi.

«Da questa sera, non riuscirò più a togliermi dalla testa l'immagine di voi con quest'abito.»

E Victoria non necessitò di aria meno viziata per sentirsi meglio, perché in un lampo, senza accorgersene, si ritrovò fuori di lì. Con un cielo stellato sopra di loro. E i loro corpi trascinati fuori dalla sala dorata.

L'ultima occhiata del Principe Ghiaccio con l'Amante di Fuoco cancellò ogni timore e ipotesi.

Avevano organizzato tutto.

La fuga momentanea e la distrazione del re, che ora interloquiva e scherzava con un cugino di famiglia.

E Victoria, alla presa di coscienza, rise con più forza. Strinse le dita dell'uomo che la stava divorando con gli occhi... e si lasciò trasportare dalla brezza invernale.

Soundtrack – "The Last Butterfly", Wodkah.

Due mani sugli occhi a coprirle la visuale e ad annullarle i sensi. Il solo terriccio umido sotto le scarpe e la freddura dei residui di neve le suggerivano che si trovava ancora nei giardini reali di corte. Ma per il resto, non ci fu nulla di abitudinario in quello spettacolo che si presentò dinanzi a lei.

Lucciole.

Microscopiche lucciole magiche che, a differenza di quelle reali, sprigionarono polvere incantata per coprire il terreno. Al contatto immediato, la polvere si annullò e nacquero altre lucciole che, a loro volta, compirono veloci traiettorie verso gli alberi oscurati. I tronchi ospitarono la bellezza della magia, e fasci sfavillanti cambiarono il colore del legno in miscugli di oro, bianco, indaco e celeste.

Victoria non poté fare a meno di stupirsi. Nella voce e nelle espressioni. A bocca spalancata, emise suoni entusiasti. Era sconvolta, meravigliata, come se avesse scoperto la fonte per la felicità nel mondo. Dorian sorrise, e la esaminò con lo sguardo ingenuo di un bambino. Lo stesso che stava avendo lei dinanzi a quel capolavoro.

«La vostra magia...» prese una pausa per recuperare fiato «... è in grado di creare tutto questo?»

Dorian inserì le mani nelle tasche del pantalone di velluto nero, e si avvicinò a piccoli passi.

«E come fate a non esaurirla ogni notte?»

«Perché dovrebbe?»

«Oh cielo, guardatela!» Victoria spalancò le braccia e compì delle giravolte che gli suscitarono un riso amorevole. «È... è stupefacente! Se avessi questo potere, illuminerei ogni angolo, posto, foresta, castello di questo mondo! Per il popolo potrei ordinare feste in onore della magia e–»

Il suo cuore si fermò. La schiena era premuta contro il tronco luminoso e brillante. E a sovrastarla, con una mano in alto e un'altra al lato, c'era il principe. Il Fae che le stava facendo perdere il senno per come la scrutava dalla testa ai piedi.

D'improvviso, Victoria si ritrovò a corto di parole. Non serviva aggiungere altro per il modo in cui le stava parlando con gli occhi. Dovette deglutire più volte, e alle dita che passarono dal tronco laterale alle tempie coperte dai capelli... sussultò. La magia si cosparse sul suo viso, e un solletico lieve la fece ridacchiare. A quel suono, Dorian socchiuse gli occhi per un attimo.

Dei, se gli sarebbe mancato tutto quello. La malinconia gli attraversò il viso. E altra polvere magica si allungò sul collo della giovane.

Victoria respirò con l'affanno quando la magia si posò anche sul seno rialzato dal corpetto, ma peggiorò accertandosi delle occhiate dell'uomo. Brividi di eccitazione le percorsero la spina dorsale. E aumentarono. Aumentarono alla vista di lui che si chinava per lasciarle un bacio casto sul collo pregno della sua magia.

Tremò. Tremò per come la stava rispettando. Tremò perché era palese a entrambi la resistenza sofferente. Con la mano libera, il principe le afferrò il mento. E la costellò di baci tiepidi e leggeri lungo tutta la mascella.

«Dorian...»

Si abbassò anche l'altra mano. Victoria inarcò la schiena e non ebbe più il controllo dei suoi muscoli quando la magia si raggruppò in spirali che le sollevarono i lembi della gonna.

«Dorian...»

E poi ansimò. Ansimò a ogni piccola attenzione delle sue labbra sul collo. A ogni polpastrello che tratteggiò il suo braccio. E il fiato si mozzò in gola quando le dita le avvolsero la coscia nuda per accarezzarla. Victoria la sollevò. E con un'audacia che non aveva mai avuto, cinse i glutei dell'uomo e lo strattonò verso di sé.

Voleva sentire il suo calore. Voleva nutrirsi di quel sentimento proibito che la stava consumando. Voleva approfittare di quel posto segreto per far capire al Principe di Ghiaccio che voleva tutto. Le attenzioni, la magia, e i gemiti sofferenti e trattenuti nelle orecchie.

Voleva sentirsi dire di appartenergli. E che quel rapporto che avevano creato in quelle settimane... significasse di più. Qualcosa che andasse oltre il nascondersi, nascondersi e ancora nascondersi dalla crudeltà umana.

«Ho rivoltato un consiglio intero per te» le strusciò un labbro su un lobo, e riprese ad accarezzarle la coscia. Victoria mugugnò, seppur la vergogna del piacere le bloccò un gemito in gola.

«Mi sono inimicato una corte intera per te» carezze insistenti, lente, logoranti per lo stomaco della principessa.

«E forse, anche un Continente intero e il principe di Wealthagon. Per te.» alla pressione dei polpastrelli sul bordo delle calze, Victoria inarcò la schiena e le labbra di lui sprofondarono nell'incavo del collo.

«E continuerei ancora e ancora e ancora. Distruggerei il Nuovo Mondo pur di avere il tuo rispetto e la tua gratitudine.»

Victoria si accaldò così tanto da ignorare che Dorian avesse iniziato di nuovo con il tu. E alla pressione delle dita calde fra le sue cosce, fu costretta ad avvolgergli la schiena e pregare di non lasciarsi andare troppo presto.

«E brucerei nelle fiamme degli Inferi per sentire questa voce che implora il mio nome ogni giorno, principessa.»

Buon cielo.

Non gli aveva mai fatto udire un gemito così forte.

E le dita del Fae, in quell'istante, esplorarono una parte di lei che non aveva donato a nessun uomo.

«Oddio, Dorian...»

La voce era poco più che un flebile sussurro. Ansimante, peccaminosa, quasi stridula. La principessa si morse un labbro alle dita che sprofondarono, e la testa all'indietro permise a lui di occuparsi del collo scoperto. Baciò ogni centimetro di pelle nuda, e un calore insopportabile si raggruppò nel basso ventre di Victoria.

Scalciò. Fu costretta a infilzargli le unghie nella schiena, e la polvere magica che le avvolse la pancia le procurò un altro gemito sofferente.

«Dorian...»

Altro mugugno inudibile. E la lussuria estrema nelle vene non era nulla in confronto ai battiti accelerati del cuore.

Aveva Dorian dentro di sé. Aveva davvero una parte del principe Fae a ricordarle l'impossibile. I suoi ricordi finirono alla notte della catapecchia, quando l'orgasmo aveva inondato il suo corpo senza ricorrere all'estremo, ma solo premendo sulla sua intimità. Ora, invece, quelle dita avevano davvero superato il limite. 

«Dorian...» provò a girare il viso verso l'uomo, ma lui era concentrato. Si curava di non farle male, pur mostrando alla donna tutto il suo eccesso.

Santo cielo.
Victoria dovette ammetterlo. Il principe dei Windothynn aveva l'esperienza di chi... non volle neanche immaginare quante donne c'erano state prima di lei.

Ma se, in un altro momento della sua vita, ciò avrebbe potuto mortificarla a morte con eventuali paragoni... quella notte non pensò a nulla. Solo alle dita lisce e morbide del suo uomo che maneggiavano parti appiccicose e molli delle sue interiora.

«Dorian... ti prego...»

E l'umidità aumentò al crescere dei gemiti, uno dietro l'altro. Il petto del nobile fece su e giù con un ritmo incostante, perché Victoria aveva capito quale fosse il suo punto debole. La voce. Tutte le volte che lei ansimava e gli donava un timbro sporco e seducente, i muscoli di lui si gonfiavano. E la sporgenza che percepiva sull'inguine la stava uccidendo. E schiacciando contro l'albero.

«Ti darei tutto ciò che non proveresti mai su questa Terra, Legendragon. Tutto e oltre.»

«Fallo...» ansò, priva dell'ultimo briciolo di decoro. «Voglio quel tutto. Per favore...»

«Non posso...» le ringhiò piano in un orecchio. E Victoria non seppe se dare retta al suono della voce o alla spinta sostanziosa fra le sue grandi labbra. Infilare tre dita in lei le aveva svegliato istinti primordiali che non pensava di avere.

Così, si aggrappò al Fae. Gli circondò il fondoschiena con entrambe le gambe, e lui ne approfittò per spingersi contro. La mano finì quasi tutta nell'intimità. E la donna vide le stelle.

L'urlo liberato avrebbe potuto essere rischioso. Ma nessuno dei due volle fermarsi.

«Spingete i fianchi, principessa...» le consigliò smanioso «... questa notte vi voglio tutta per me.»

Victoria non se lo fece ripetere due volte. E capiva perché avesse usato di nuovo il voi. Rendeva l'ordine estremamente eccitante e perverso. E cavalcò le dita immaginando tutt'altro. Qualcosa che aveva già toccato in precedenza, e che ora desiderava ardente dentro di sé. Quel desiderio la mortificò. Quell'impulso sfrenato di voler fare l'amore con lui le generò un ansimare incontrollabile.

A ogni spinta travolgente e studiata, lui giocò più a fondo. E sembrò ascoltare le preghiere della donna quando spinse con i suoi fianchi contro l'intimità scoperta.

«Dorian... voglio...»

«Non dirlo.»

«P-perché?» faticava. Nella voce e nei movimenti.

«Perché non possiamo.»

«E allora...» la cavalcata aumentò. Voleva il culmine. «... dovresti... smetterla di farmelo desiderare.»

Richiesta invano. Il principe spinse più a fondo, e la mano diventò un tutt'uno con il liquido di Victoria che si stava raggruppando nel basso ventre.

«Cazzo...»

Il bisbiglio erotico dell'uomo le bruciò l'intestino.

Non l'aveva mai sentito parlare così rude. E l'idea che i suoi movimenti lo stessero portando al limite, rendendolo dipendente dalla sua voce... la mandò fuori di testa. E le iniettò coraggio.

Il sangue le convogliò all'inguine mentre la disinvoltura del principe aumentò e lei premeva sempre più forte.

«Oh. Cielo. Dorian.»

I loro respiri si miscelarono nel microscopico spazio fra le loro facce, e le labbra di Dorian sfiorarono quelle della principessa a ogni spinta. Victoria avvertì un bruciore dentro di lei accompagnato da pulsazioni profonde, e un senso di pienezza la travolse come un fiume in piena.

«È piacevole?» le domandò, senza fiato.

Lei annuì felice, e strinse gli occhi.

«Ti ho fatto male?» chiese ancora, ritornando a guardarla negli occhi.

E quella fu la condanna della giovane. Perché aveva ben compreso di essere dipendente da quelle iridi che bruciavano solo con lei.

Fece no con il capo, e i polmoni implorarono più aria. Il suo sesso si contrasse, e le vene sul collo di Dorian si tesero alla visuale di lei che roteava gli occhi e ansava.

Il bruciore lasciò il posto a un intorpidimento inusuale, una sensazione nuova. E la principessa si concentrò sui lineamenti del viso di lui: la mascella contratta, la pelle olivastra, i ciuffi bianchi sulla fronte imperlata. Si beò della voracità con cui il ghiaccio la stava assorbendo, come se fosse una luce visibile sulla Terra ogni mille anni.

Le pizzicò il clitoride, tutto l'ossigeno venne meno, e le mandò il corpo in fiamme. Luci intense le punteggiarono la visuale, e lei si spaventò. Era già successo prima di raggiungere il picco, ma ogni volta scopriva nuove emozioni.

«Voglio ricordare questa notte a lungo, Victoria. Fai di me il tuo servitore.»

Lei avvertì le pulsazioni del suo membro, come se potesse strappare i pantaloni da un momento all'altro. E il pensiero di essere lei a fargli quell'effetto le diede un'altra iniezione di fiducia.

Lo sguardo del principe la assorbì come una spugna mentre lui raggiungeva un punto ipersensibile interno. E che fosse tale, lo scoprì da come portò la testa all'indietro.

La pelle d'oca le riempì il corpo. Il cuore accelerò, e lo stomaco si contrasse così tanto da poter andare in frantumi. Poi trasalì, e inarcò la schiena per l'invasione intensa.

I loro visi si avvicinarono ancora, e la bocca del Fae le percorse ancora la mascella. «Sei strettissima.»

Lei ridacchiò come una bambina, e non seppe a quale emozione dare la precedenza. Se ai piccoli morsi sul viso o a cosa stava accadendo là sotto.

«Vorrei baciarti.»

Dio.

La principessa sobbalzò e tremò al respiro sulle labbra.

«Vorrei baciarti e toglierti il respiro per tutte le volte che è accaduto a me, dylajah. E ho immaginato il tuo corpo in contesti più proibiti della parola stessa.»

Altri respiri faticosi dovuti al momento, e silenzi che le parvero infiniti.

E poi esplose. La bocca della giovane si spalancò in un urlo silenzioso, e le sue pareti interne si contrassero ritmicamente attorno alle dita del principe. Come a volerle risucchiare e non lasciarle mai più.

E si beò del silenzio. Di quell'apparente, momentanea e flebile calma interiore. Perché a partire da quel momento, sarebbe iniziata una guerra.

Una guerra che non era pronta ad affrontare.

Una guerra generata dal fato e portata avanti dal padre.

E due lacrime le rigarono il volto stanco e arrossato una volta ripresa dall'intensità dell'orgasmo.

Perché tornare alla realtà era tutto ciò che avrebbe voluto evitare per anni, se necessario per secoli. Secoli in cui lui l'avrebbe aspettata per dirle che, almeno in quell'epoca o mondo, lei era libera di scegliere chi amare.

«Ci uccideranno.» le sussurrò, con una mano su una sua guancia. «Ci uccideranno se continueremo a sfidarli ancora.»

«Perché...» si affannò lei, con le lacrime che aumentarono respiro dopo respiro. «Perché tutto questo deve... perché...»

«Perché la vita è ingiusta. E ho cercato di farvelo capire sin dal principio, principessa: il coraggio sarà la vostra condanna, perché tale è stato per me.»

Lei singhiozzò e provò a trovare le parole necessarie per replicare. Ma lui le appoggiò un dito sulle labbra, e raggruppò tutto il dolore e la rabbia che covava in petto.

«E dopo una vita in cui è stato il cuore a consumarmi, è giunto il momento di ascoltare la ragione.» concluse.

Victoria sapeva a cosa facesse riferimento. Perché le aveva accennato tutto nei giorni precedenti. Le aveva parlato delle minacce del padre sulla sua corte e sull'alleanza. E poi l'imboscata e l'omicidio fra le pareti del suo castello.

Stavano rischiando troppo. Stavano mettendo a repentaglio la sicurezza di chi li circondava. E dopo il ritrovo del sigillo reale, i due avevano avuto una settimana intera di tempo per rimuginarci. E per prendere la decisione più importante e difficile delle loro esistenze.

«Devo farlo, Vic. Per te. E per la mia gente. Voglio che tu lo sappia.»

Le strinse di più le guance. Le lacrime non smisero di scendere. E vederla in quelle condizioni, gli frantumò il cuore.

«Non spegnere la tua luce. Mai.»

Non era pronta.

Non era pronta a dirgli addio per un tempo insopportabilmente lungo.

Non lo era per niente.

Il dolore aumentò, e così i singhiozzi e le sue guance bagnate da un dolore troppo straziante da poter esprimere a parole.

«Dorian...»

Lui le asciugò le lacrime, e aumentò la presa. E fronte contro fronte, si arrese. E Victoria appurò che anche Fae millenari nemici dei sentimenti umani erano in grado di crollare e mostrare le proprie vulnerabilità.

«Due mesi. Due mesi per giocare al loro gioco. Due mesi per distruggerli. Due mesi per ingannarli. Due mesi e ritornerò da te. E se è questo il prezzo da pagare per la felicità, sono pronto a rischiarlo.»

E con quelle anime perse nei loro ricordi, la notte fu clemente.

Si accarezzarono a lungo. Lasciarono parlare il fruscio delle foglie. Il gelo. La musica del castello.

Le sole stelle a giudicare i loro abbracci.

Il solo cielo a osservare i loro corpi sull'erba, in silenzi di infinita eternità e intrecci di mani tremanti.

E poi, una promessa.

Una promessa germogliata dal cuore del Fae, e che a Victoria diede la speranza necessaria per affrontare un lungo e gelido inverno.

«Avrai la verità sul tuo nome, dylajah. E l'attesa ne sarà valsa la pena.»

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