XXIV. Rinunce.
Soundtrack – "When The Last Hope Runs Out", Mustafa Avşaroğlu.
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In quel giorno maledetto, la corte di Legendragon non trovò pace.
Re Alexander avvertiva il peso interiore di una condanna a morte.
Per lui, la punizione nella sala reale era stata indiscutibile. Non avrebbe permesso al cavaliere di violare sua figlia, ma la paura che avrebbe donato alla nobile sarebbe bastata a placare le disobbedienze. Le mani di un altro uomo a ricordarle perché lei era l'Erede. La Regina. La salvatrice del mondo. E non un'amante, ereditiera o essere umano qualunque.
Victoria non era ancora a conoscenza del peso del suo destino atroce, e non avrebbe dovuto saperlo fino al giorno indicato dalla profezia, ma era compito del sovrano preservarne l'integrità, la morale e la giustizia. Quel flusso di pensieri avvolse la mente del re mentre attendeva le conseguenze delle sue azioni, seduto sul trono. Aveva chiesto di liberare lui, perché avrebbero dovuto affrontare l'argomento prima del consiglio straordinario, onde evitare danni collaterali peggiori del senso di colpa per aver messo così a rischio due alleanze di fila.
E il sovrano sapeva di cosa lui fosse capace.
E sapeva anche che quella punizione alla figlia, agli occhi dei Regni alleati, sarebbe stata vista come un sacrilegio.
Ma le leggi della sua politica interna erano chiare: nel suo palazzo, la trasgressione morale era vietata. E fino a quando il re avrebbe coperto quella carica, sua figlia – che dopo di lui era la massima rappresentante della corona – avrebbe dovuto piegarsi al volere degli Dei. E ai suoi.
Così, quando Dorian Windothynn spalancò le porte della sala reale con una rabbia non di quel mondo e scie di ghiaccio magico sul suo percorso, Xander mantenne un certo contegno visivo, ma le sue dita picchiettarono agitati sui manici del trono.
Furia. Una furia che da lì a breve si sarebbe trasformata in un vortice d'aria senza precedenti.
Il re lo capì dal passo. Grandi falcate, il mantello ondeggiante, la chioma bianca scompigliata e il veleno negli occhi. Pronto a essere spruzzato nell'animo del sovrano.
Ma Xander ordinò alle guardie reali di non muoversi. Di abbassare armi e lance, stare sull'attenti ma non attaccare. Dorian non l'avrebbe ucciso. C'era troppo in ballo per potersi permettere una sciocchezza simile, a un passo dalla pace del Continente. La stessa pace che avrebbe protetto tutta la sua specie magica, eliminando in definitiva la loro condanna.
Ma una volta che il Fae superò gli scalini, Xander capì che avrebbe dovuto dare un secondo ordine più autorevole alla sua cerchia di uomini in armatura.
Perché le mani del principe intorno al colletto del re erano un chiaro segnale della paradossale supremazia del Windothynn in una corte non sua.
Dorian non se ne pentì neanche per un istante. Fu una questione di secondi. Una breve frazione in cui il monarca venne afferrato, scaraventato a terra con violenza e allontanato con una scia bianca ed energica. Quei pochi cavalieri che disobbedirono al re si pentirono dei loro passi in più, poiché il Windothynn li aveva momentaneamente congelati. Immobilizzati. Rendendoli superflui.
Xander si portò una mano sul collo. Stava soffocando. Sentiva il freddo nelle ossa, nelle vene, la giugulare chiese pietà per il gelo che avvolse le tonsille e le corde vocali. Sgranò gli occhi, e il pavimento non gli sembrò nulla in confronto al potere disumano sprigionato dal Fae dell'Aria.
Ma provò comunque a sollevare il mento dal marmo. Tentò di incrociare le iridi quasi trasparenti del Fae. E una volta riuscito, se ne pentì.
Non c'era nulla di umano nel tremore del corpo di Dorian. Tantomeno nel suo sguardo. Era una sete che Xander conosceva bene. L'incapacità di controllarsi. La follia al di sopra della ragione. La razionalità sbriciolata come granelli di sabbia.
E poi le lacrime. Lacrime che colarono copiose sulle guance diafane del principe, nonostante la furia con cui stava guardando il re.
Dorian Windothynn parlava nel silenzio. Era la sua arma più letale. Incenerire con uno sguardo, ghiacciare con un movimento delle dita, eliminare con un tocco. Non gli sarebbe mai servito urlare come tiranni, ladri, guerrieri o bestie per dimostrare una totale supremazia.
A lui bastava il silenzio. Il modo in cui guardava la sua preda. E la facilità con cui il futuro Re dei Re si stava piegando al suo cospetto, non faceva altro che rinforzare il suo potere.
«Aspettavo questo giorno da troppo tempo.»
Il soffio di voce del principe, rovinato dal pianto e dal tono rauco, confermò ogni dubbio.
Il silenzio era il suo potere.
La capacità di mantenere una soavità innata mentre dentro stava morendo. Pezzo dopo pezzo, Dorian si stava disintegrando alle immagini di Victoria nella sua testa.
«Dorian...»
Il re lo chiamò per nome. Come un figlio. Come un amico di vecchia data. E non fece altro che peggiorare le cose.
Le scie magiche di Dorian si moltiplicarono. Avvolsero le braccia, la schiena e le gambe del re, stringendo punti in cui il sangue circolava bene.
Avrebbe voluto ucciderlo.
Avrebbe voluto premere di più, decretare il colpo finale.
Ma quelle urla di Victoria che gli rimbombavano nella testa sarebbero durate in eterno. Perché non era così che avrebbe reso giustizia alla donna per cui... alla donna che rispettava e ammirava in quanto tale.
«L'ho sentita.» fece un movimento sinuoso con le dita tremanti. Il potere circondò il collo del re.
«L'ho sentita singhiozzare.»
E Xander grugnì di dolore.
«L'ho sentita piangere.»
E la magia aumentò la stretta.
«E poi...» e ancora di più, ancora più soffocante intorno al pomo di un re in difficoltà respiratoria «e poi, l'ho sentita urlare.»
«Dorian...»
La magia si insinuò nelle vene di Xander. Magia che sarebbe rimasta a marcire nel suo corpo, scaturita dalla rabbia e dal dolore del Fae.
«Urla strazianti. Urla demoniache. Non potevo fare nulla. Le mie erano vane. Vani tentativi di liberarmi dalle tue guardie, la cui unica colpa è quella di servire un re indegno del suo titolo e della sua corona. Ho rischiato di morire tra quelle mura. A ogni supplica di vostra figlia, le mie corde vocali soffrivano, soffrivano come bestie al macello. A ogni preghiera di essere salvata, il potere che vi sta scorrendo nelle vene cresceva sotto la mia pelle. E lo sto liberando con una soddisfazione che non potete minimamente immaginare.»
Xander tentò di parlare, ma dalla sua bocca uscirono mugolii sofferenti. Un dolore lacerante e la supplica di far finire quella situazione.
Era peggio della morte. Avvertire nelle vene il freddo delle anime in pena del mondo degli Inferi era peggio del passaggio dalla vita all'aldilà. Perché la morte poteva accadere in tanti modi, tra cui veloce e indolore. Ma quello che gli stava facendo provare Dorian era sofferenza lenta e assoluta. Patire le pene dei defunti non essendo un defunto. Un assaggio di quello che attendeva a ognuno di loro una volta varcate le porte oscure degli Dei.
«Dorian, lei...»
«È viva.» lo interruppe il Fae, il tono freddo e alto. «Lo so. È viva perché altrimenti non sareste qui a implorarmi di smettere. Ma è il modo in cui è rimasta viva che vi condannerà ad ascoltare cos'ho da dire.»
Xander si rese conto che il principe stava facendo una fatica immensa a non piangere davanti a lui. A non dargli la soddisfazione di vederlo crollare, di mostrare quanto ci tenesse a sua figlia. E il re avrebbe voluto rinfacciargli quelle debolezze indegne per un nobile di sangue reale, ma... non poteva.
Ed era in questo che risiedeva il potere. Nessuna alternativa al nemico.
Il Fae però si mosse. Compì due passi nella direzione del sovrano prostrato a terra. Ma il termine prostrato non rendeva giustizia al controllo del Fae. Sottomesso era più esplicativo. Perché con soli cinque passi, Xander sussultò e tremò.
La tortura intorno e dentro al collo era finita. Dorian aveva ritirato la sua scia magica con uno schiocco di dita rumoroso, e aveva azzerato la distanza tra lui e l'uomo.
Poi, il principe si abbassò. Nella sua posizione, le ginocchia toccavano le guance, e distese le braccia. Xander trasalì ancora quando il Fae avvicinò, di una lentezza mortale, le nocche all'orecchio scoperto del sovrano.
«Principe... principe... lasciatemi spiegare...vi...»
Xander si ammutolì. Il potere del Fae gli entrò nelle orecchie. Raggiunse il cervello.
Una sofferenza mostruosa. Le peggiori atrocità di un campo da guerra strisciarono nel sangue come sanguisughe. Dorian fece in modo che il re potesse ricordare ogni uomo, donna o bambino morti per mano sua. Per battaglie, duelli, guerre, tornei, ordini dall'alto. Quando ancora era un cavaliere. E quando si era trasformato in Re del popolo. Una carica che Xander era sempre stato fiero di mostrare, perché il rapporto che aveva con la gente si differenziava da quello con i suoi figli.
Ma in quegli attimi, steso a terra come una larva dolente, Xander si sentì scoperto della sua carica regale. L'uomo che gli stava manipolando la mente sarebbe stato in grado di piegare al suo cospetto migliaia e migliaia di Continenti.
E d'un tratto, il re capì.
Capì perché i Wealthagon non avevano mai temuto nessuno, eccetto Dorian Windothynn.
Capì perché tutti volevano quell'alleanza.
E capì anche perché il Fae aveva accettato la loro. Perché nella Dinastia Dei Draghi, una giovane donna dai capelli corvino e gli occhi scuri e malinconici aveva stregato il più grande Fae di tutti i tempi.
Victoria Legendragon aveva in pugno il cuore e l'anima di Dorian Windothynn.
Il re lo lesse nel suo sguardo. Era dolore quello che stava provando. E cos'era più chiaro di un Fae che provava dolore nonostante il vantaggio supremo sul rivale? C'era qualcosa di più struggente, potente e letale dell'amore? La risposta era sempre stata negativa.
Per amore si distruggevano imperi.
Per amore si proclamavano leggi.
E sempre per amore, si accettava il destino.
Dorian Windothynn aveva accolto il suo. Proteggere Victoria Adealide Legendragon. In vita e nella morte.
«Adesso mi ascolterete bene.»
Il mormorio del Fae fu un imperativo che non accettava obiezioni. La fiamma magica che gli ardeva nelle iridi anche. E Xander capì la pericolosità delle minacce dalla diminuzione del tremore corporeo del principe.
«Supererete la soglia di quella sala. Darete inizio al consiglio straordinario. Le mie pergamene saranno su quel tavolo. E tutte le ricerche che ho fatto in giorni d'assenza da questa corte, prenderanno vita. Mi ascolterete. Obbedirete. Darete a Victoria Legendragon la felicità che merita una donna come lei. E se oserete, anche solo con un pollice, contestare le mie proposte, le mie leggi, e le mie scoperte... giuro sugli Dei che proteggono la mia dinastia da millenni che ciò che ho in mente di fare prenderà vita.»
Un sussurro glaciale come la morte.
Ormai, a Xander quell'uomo non sembrava più reale.
La sua ira non era reale.
E non c'era nulla di più pericoloso di un Fae dell'Aria ferito nelle profondità dell'anima.
Perché Dorian avrebbe voluto urlare.
Avrebbe voluto ridurre quella stanza in lapilli di fuliggine.
Ma lo stava facendo per lei. Stava mantenendo il controllo e vincendo quella battaglia personale per lei.
«Altrimenti?»
Xander lo sfidò. Xander usò l'ultimo sospiro che aveva in corpo per cercare un'alternativa. Per non mostrarsi debole e remissivo davanti alla sua intera corte.
«Dovevo punirla, Dorian. Dovevo-»
Xander ritornò a urlare. La stretta nel cervello pulsò alla stessa velocità del cuore. Dorian mantenne un pugno in alto, a occhi chiusi, per dimostrargli che il dolore che stava provando era reale. E proveniva dal suo volere immortale.
«L'altrimenti non è contemplato.»
«Non posso piegarmi, altezza. Non posso...» un'altra stretta, un altro grugnito «non posso... non posso mostrarmi debole davanti al consiglio.»
«E vostra figlia poteva, invece?» ringhiò piano, avvicinando il viso al re, e aumentando l'energia della magia. Xander trattenne un urlo.
«Vostra figlia poteva soffrire come un animale su quelle mattonelle fredde? Nuda? Vostra figlia poteva temere per la sua incolumità, vero? Alle donne è sempre concesso ogni dolore? Alle donne bisogna sempre dimostrare quanto siano feroci noi uomini? E quanto quelli come voi rovinino tutti gli altri che sanno rispettarle, amarle e desiderarle? Non mi piegherò a questo gioco viscido e disumano, Maestà. Né provo rispetto nel chiamarvi con un titolo che non si addice alla vostra anima nera. Avreste potuto punire me. È con me che dovreste avercela. E invece avete optato per uno spettacolo indecente, incommentabile, che vi ha condannato per l'eternità.»
«Mi sembra di sentire le chiacchiere del vostro amico manipolatore.»
Dorian si irrigidì per qualche attimo. Dario Wealthagon. Lo aveva visto nei corridoi di palazzo quando lui si era liberato dalle guardie reali che lo avevano tenuto fermo in attesa del conseguimento della punizione. E il Fae se l'era sentito scorrere nelle vene nell'esatto momento in cui avevano incrociato gli sguardi: Dario era stato nelle stanze della principessa Victoria. L'aveva lasciata a qualcuno della servitù per farla medicare e curare.
Ma soprattutto, l'aveva salvata.
E il destino sapeva essere beffardo in mille modi. Perché a partire da quel momento, al principe di Wealthagon doveva un favore grande come l'immortalità della sua dinastia.
«L'ha difesa fino allo sfinimento. Forse...» Xander tossì, la magia che non gli dava tregua in alcun modo.
«Forse... forse ho sottovalutato troppo il potere di mia figlia.»
«O semplicemente avete condannato il vostro.»
«No, Fae. No.» Tossì ancora, roteò gli occhi e fece respiri profondi. «Victoria Legendragon ha il vero potere.»
Dorian ignorò le farneticazioni del re. Stava sprecando troppo tempo. C'era un consiglio da mettere al tappeto. Un re la cui reputazione bonaria sarebbe finita quel giorno. E un'alleanza da modificare secondo le sue, di regole.
«Vi ha in pugno. Voi e il Wealthagon.»
Dorian rise amaro. «Vostra figlia non fa parte della moralità grigia del mondo umano.»
«No, infatti. È troppo innocua, ingenua e profonda per tutti noi. Ma vi ha in pugno. Non so come, né quando sia accaduto. Ma ha in pugno il Fae più potente di tutti i tempi e il nobile più temuto e cinico del Continente. Ma per lei, entrambi si ammazzerebbero. Per lei, entrambi sarebbero capaci di tutto. Anche di omicidio. Non ditemi che non l'avete pensato... Windothynn. Non ditemi... non ditemi che... che varcando quella porta non avete valutato l'idea di porre fine alla mia esistenza. Lo vedo nei vostri occhi. Nella furia con cui mi state bruciando il cervello.»
Dorian tremò. Tremò perché la rabbia era ritornata a galla, e i muscoli rispondevano per metà ai suoi comandi. Sì, era vero. Nella sua vita aveva visto morire un sacco di uomini. Ne aveva ucciso altrettanti. Ma mai, mai aveva desiderato di essere la soluzione definitiva alle sofferenze di una donna.
Uccidere suo padre.
Quanto dolore le avrebbe procurato? Quanti demoni lei avrebbe dovuto accogliere nella sua mente? Tanti. Troppi. Così, il Fae aveva optato per ciò che sapeva fare meglio: avere il controllo.
Delle sue emozioni. Del suo potere. Delle sue parole.
Lo stesso controllo che lo aveva aiutato a non cedere a Victoria Legendragon. Lo stesso controllo che gli aveva sussurrato nella coscienza, giorno dopo giorno, che concedersi a lei li avrebbe condannati a un destino infelice. A promesse che non poteva mantenerle. Alla sofferenza che avrebbe visto negli occhi della principessa il giorno in cui sarebbe stata promessa in sposa a un altro. Perché lui se lo sentiva: il modo in cui la proteggeva Xander non era umano, tantomeno sano. Era destinata a qualcosa.
Victoria era parte di un complotto più grande di lei. E vederla disperarsi per il resto dei suoi giorni, per un amore che non avrebbe mai potuto vivere alla luce del sole, le avrebbe solo reso le cose più difficili.
Ma era lui per primo a soffrire le distanze, le imposizioni, le leggi. E come uno sciocco, Dorian aveva svelato tutto quel tormento al suo nemico.
Ma avrebbe comunque giocato le carte a suo favore. E la sua rivincita, iniziava da lì. Dal futuro Re dei Re chino a terra. Impotente e al suo servizio.
«Victoria non dipende da nessuno. Victoria diventerà una regina, un domani, la più grande regina che Legendragon e il Continente abbiano mai avuto. Vendicherà tutti i soprusi che ha visto e provato sulla sua pelle. E voi, non potete far nulla per cambiarlo.»
La stretta aumentò ancora. Ma il re stava provando così tanto dolore da... arrendersi. Si arrese alle allucinazioni e alla vista sfocata che gli stava provocando la magia bianca. Che di bianco e puro non era rimasto più nulla.
«Non ho alternative?» vociferò il re.
Piano. Così piano che solo un udito sviluppato come quello del Fae avrebbe potuto sentirlo.
«No.»
Poi, Dorian si avvicinò. Gli afferrò di nuovo il colletto, e si assicurò che le sue labbra fossero appoggiate sul lobo del sovrano.
«Non c'è alternativa, Xander Legendragon. Presenzierete in quel consiglio, e ascolterete ciò che ho da dire. Perché altrimenti, in caso di rifiuto...»
Attese qualche istante.
Secondi che al re sembrarono interminabili.
E la magia diventò il male minore quando il Fae prese fiato e concluse in un sussurro.
«... sarà guerra.»
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Minuti dopo. Sala del Consiglio Privato.
«La situazione è questa.»
Tutto ciò che Dorian aveva anticipato al sovrano, si stava avverando. Erano lì. Più di mille consiglieri a presenziare alla disfatta del suo re. A piegarsi davanti al volere di un Fae che sembrava avere prove schiaccianti, inconfutabili.
E il lato peggiore della vicenda era che il Windothynn non stava usando l'arma della punizione. Non aveva accennato ciò che era accaduto alla principessa.
E nonostante, erano tutti ai suoi piedi.
Ad attendere cos'aveva da dire il Windothynn di così allarmante da spodestare reami, confini, popoli, monti e mari.
Il principe si guardò intorno. La sala gremita di gente non lo avrebbe intimorito, né gli sguardi atroci o dubbiosi che riceveva da chiunque. Con i palmi delle mani appoggiati sul tavolo, picchiettò i polpastrelli sul legno bruno e abbassò il mento per osservare le scritte che aveva evidenziato e cerchiato con cura.
«A giorni alterni, tra la mia corte e quella di Legendragon, ho trascorso molte ore nella biblioteca reale del mio palazzo. Un reparto proibito a qualunque essere umano del Continente, una proprietà legittima che i Fae dell'Aria conservano da millenni, poiché la posizione del castello rende ideale la sicurezza interna ed esterna del posto sacro. E tra le pagine dei manoscritti più antichi, ho trovato risposte che cercavo da anni. Su un evento che ha segnato le vite dei vostri antenati. Una guerra le cui atrocità, anni fa, ho visto con i miei stessi occhi.»
Dorian indicò il punto desiderato e ci appoggiò un altro pezzo di pergamena. Più piccolo e usurato dal tempo. Molti, a partire da Dario – che era stato in silenzio dall'inizio del consiglio – lo osservarono. «C'è una clausola che gli antenati di Legendragon hanno nascosto a tutti noi per millenni. Un reparto della biblioteca del nostro castello non agibile neanche agli esseri magici. È stato dichiarato proibito da Re Aeghar Legendragon, uno dei primi re della storia dei Figli del Fuoco ai tempi della Guerra dei Confini Magici. Una delle battaglie più sanguinose di tutti i tempi, dove migliaia di esseri umani ed esseri magici hanno perso la vita in virtù di una politica corrotta e divisa. All'epoca, tutti i Regni terreni erano in lotta tra loro per motivi differenti, e hanno colto l'occasione per schierarsi e rafforzare le alleanze politiche già in atto. La guerra però si era prolungata più di quanto ci si aspettava: durò anni. Ridusse le popolazioni alla fame più profonda. Chiamò alle armi tutti i primogeniti maschi del Continente con l'età idonea a impugnare spade e scudi. E fu talmente sfiancante e distruttiva da giungere a un accordo sigillato dopo che alcuni reami a favore di Faedragon avevano tradito l'alleanza, schierandosi dalla parte di Legendragon. Ci fu una strage senza precedenti. Faedragon venne rasa al suolo. Noi avevamo la magia, ma voi umani avevate il numero. Tutti i Regni del Continente contro di noi, che era anche il motivo per cui era scoppiato il conflitto: la nascita del ruolo del Sommo Re. Una figura storica ideata da Faedragon e Wickedragon che avrebbe dovuto regnare su tutto il Continente, e che a oggi non c'è più ma era stato cambiato in "Re del Nord". Una carica superiore al Re dei Re, in quanto svolgeva le stesse mansioni e aveva le stesse competenze, ma con in più la magia. E si sa: un uomo che controlla la magia è temuto quanto la stessa morte.»
«Tutto questo per ricordarci quanto i nostri antenati erano invidiosi del vostro potere? E del controllo che avevate su tutto il Continente?» Xander pronunciò la domanda con un filo rauco della voce.
Era chiaro che faticasse a respirare e parlare. Si limitava a poche parole. Scelte giusto per non far dubitare i suoi uomini di non avere il controllo della sua corte.
Ma il Fae stava spiegando i fatti storici con disinvoltura, e difatti non si piegò alle allusioni. Non guardò neanche il monarca. E continuò.
«La casata di Legendragon ha insabbiato il trattato di pace stipulato tra i due reami perché c'era scritto, nero su bianco, quanto questa guerra era stata disastrosa e qual era la causa della creazione: invidia, se vogliamo riassumerlo. Appropriazione indebita di beni, denaro e commercio di Faedragon da parte di Legendragon, se vogliamo essere più specifici.»
«Veniamo al punto, altezza.» un consigliere del re si fece avanti. «Cos'è che state cercando di dirci?»
«Dove volete arrivare?» continuò un altro. «Ma, per essere più specifici: perché avete tirato fuori questo reperto storico proprio ora? Non è forse una minaccia per il sovrano? Non è forse-»
«Perché ci distruggerebbe.» interruppe il re. Senza voce, ma deciso.
Nella sala calò il silenzio.
Per qualche minuto, non si mosse nessuno. Dorian notò che anche il principe Dario, famoso per il suo essere prolisso, continuava a tacere dall'inizio di quel consiglio. Fissava a volte il pavimento, a volte il vuoto. E seduto su una poltrona, giochicchiava con gli anelli fra le dita.
«Distruggere la reputazione di Legendragon. E la reputazione del futuro Re dei Re.» concluse il re.
Altro silenzio. Altre espressioni sbalordite e spaventate.
Dorian fece un profondo respiro. «Una sola macchia oscura può presagire un mare di malignità. Uno dei detti secolari del nostro popolo. Ed è quello che si troverebbe a fronteggiare Legendragon, qualora la notizia di un genocidio venisse alla luce. Nella storia di Legendragon, ci sono state guerre come tutti gli altri reami. Scatenate da motivazioni pressoché simili. Ma mai nessuna ha superato, in numero di morti e tragedie, quella della Guerra dei Confini Magici.»
«Quindi abbiamo tutti ragione nel sospettare l'innominabile. È una minaccia. Una pura e pericolosa minaccia da parte degli ultimi superstiti della dinastia dell'Aria.» s'intromise un altro consigliere.
Sulle labbra di Dorian comparve un accenno di ghigno. Non amava quelle strategie. Non era da lui ricorrere a mezzi come la politica per intrappolare i tiranni. Ma in gioco c'era molto altro: la salvezza di una donna che non meritava altre sofferenze.
Così, il Fae prese coraggio. Arrivò al dunque. Inspirò altra aria. La rilasciò e disse: «Dovrete annullare il matrimonio di Sua Altezza Victoria Adelaide Legendragon, Maestà.»
Dorian guardò dritto negli occhi del re. Il sovrano li spalancò. Nella sala si sollevò un mormorio incredulo.
E Dario scattò sulla sedia. «Non se ne parla.»
«Sto parlando con il re.»
«E io con voi, Windothynn. Guardatemi negli occhi se ne avete il coraggio.»
«Sincero? Vi preferivo quando tacevate.»
«Guardatemi negli occhi.» esclamò Dario. Più forte. Incollerito.
Il Fae si girò, lento e calmo. Inchiodò il suo sguardo di ghiaccio in quello altrettanto freddo del Wealthagon. E l'ira che riuscì a connettere i due uomini avrebbe potuto disintegrare l'intero Nuovo Mondo.
Si sfidarono con gli occhi come un duello a spade. Sanguinoso. Della peggior specie.
«Deve. Annullare. Il matrimonio.»
Dorian lo scandì piano. Meno sussurrato. Dovevano udirlo tutti.
«Voi non siete nella posizione-»
«Oh, io sono nella posizione di volere, potere e molto altro, Vostra Altezza. In questo momento, ho tra le mani e nella mente uno dei più grandi complotti politici del millennio, capace di disintegrare la dubbia moralità di tutti i reami umani del Continente. Non vedo come una vostra minaccia verbale possa allontanare la mia voglia di distruggere la reputazione del futuro Re dei Re. Perché siete consapevole di cosa accadrebbe se venisse fuori che gli antenati di re Xander hanno insabbiato uno sterminio e, non meno di un anno fa, lo stesso sovrano sia venuto a conoscenza dell'accaduto e abbia cercato in ogni modo di nasconderlo? Pena la non proclamazione al trono per documentazione occultata alle cariche istituzionali?»
Dario restò in silenzio, ma la rabbia incontrollata che aveva in corpo stava per esplodere.
Dorian proseguì. «No. Certo che no. Ma il nostro caro Re del popolo lo sa fin troppo bene, altrimenti il perché di tale silenzio e rassegnazione di fronte alle mie accuse?»
Dorian aveva ragione. E Xander lo sapeva bene. La sua espressione rassegnata e gli occhi chiusi parlarono al posto suo. Era vero. Xander era venuto a conoscenza di quelle informazioni. Le aveva insabbiate disobbedendo alla regola numero uno per la salita al trono del reame: vietato mentire sui documenti politici di corte. Anche se datati.
Ma l'accusa più grave tardava ad arrivare. Dorian diede il colpo di grazia. «Voi direte: com'è può una guerra lasciata alle spalle influire così tanto sulle spalle del re in carica? Molto semplice. Sul trattato di pace stipulato tra le due fazioni, si parla di una concessione economica: ogni Stagione della Luna, Legendragon versa a Faedragon un compenso che li aiuti a risanare l'esercito e la vita degli abitanti. Abitanti non ce ne sono, direte voi. Vero. Io e la mia famiglia siamo gli ultimi superstiti. Ma siamo pur sempre in carne e ossa. E dunque, quel compenso spetta a noi. Non ce ne facciamo niente. Non viene neanche usato. Ma la soddisfazione di veder strisciare la progenie di un re bastardo che, anni e anni fa, ha distrutto la storia di una casata che non gli apparteneva per sangue... non ha prezzo. Il Regno di Legendragon, però, è da un anno che non versa contribuiti. E indovinate un po'... dal giorno di quale avvenimento?»
Dall'ascesa al trono di Xander Legendragon, avrebbe voluto dire Dario, con fare ovvio. Ma quell'ovvio era nella testa di tutti loro. In quel silenzio. Insopportabile per i consiglieri. Soddisfacente per il principe.
«E un'ultima cosa.» sospirò Dorian, con l'aria di chi aveva appena iniziato la conversazione diplomatica. Girò una pergamena. «Qui c'è scritto che, se un futuro pretendente al Trono dei Troni compie tali atti di occultamento di informazioni politiche alle maggiori autorità... la sua partecipazione alla Battaglia delle Serpi Oscure e ai Giochi del Regno è compromessa. Cosa significa? Che perderebbe nell'immediato il diritto al Trono dei Troni. Quindi sì, principe di Wealthagon: ho volere e potere. Potete uccidere me. Potete condannarmi all'esilio o alla decapitazione immediata e senza processo, per non farmi fiatare. Ma tutta la mia corte, e le mie spie in questo palazzo, hanno le copie della pergamena originale. Create nientedimeno che dai re antichi dell'accordo, in caso di perdita dell'originale. Dunque, giustiziatemi pure, se vi rende potenti. Ma perdendo me, perderete tutto.»
Dario crollò sulla poltrona. I presenti finirono per mormorare di nuovo. Più insistenti. E le facce sconvolte del principe di Wealthagon e del re di Legendragon furono la rivincita dell'inflessibile Principe Ghiaccio.
Che, in politica, dimostrava il perché del suo nome.
Ma il re era visibilmente pallido e scosso anche per un altro motivo: al Fae non era servito il movente delle violenze su Victoria per portare a casa quel dibattito.
Aveva vinto. Dorian Windothyn aveva vinto senza discussioni accese. Senza versare sangue. E senza procurare dolore agli innocenti.
«Maestà.» Con un tono serioso, Dorian cercò l'attenzione visiva del re. E una volta ottenuta, aggiunse: «Annullate il matrimonio.»
Dario non parlò. Xander neanche. I bisbigli diminuirono. Erano tutti in apnea.
«Le mie spie e i miei messaggeri faranno il lavoro sporco di annunciare a tutti i Regni del reame che il matrimonio è annullato per divergenze interne. Che la principessa è illibata. E che le alleanze, tutte le alleanze... sono ancora integre. In cambio, firmerò oggi stesso ciò che mi chiedete da settimane: l'alleanza eterna tra Faedragon e Legendragon. Una volta per tutte.»
«Maestà.»
«Dario...»
«Maestà! Non potete! Non potete fare in modo che-»
«Dario.»
Xander alzò la voce spazientito, in contrasto con l'angoscia nel tono del Wealthagon. Dario aveva gli occhi spalancati, Xander semichiusi e rassegnati. Dorian era impassibile. Burbero e scontroso come la reputazione che si portava dietro da millenni.
«Maestà.» provò un'ultima volta Dario, alzando la voce. «Non costringetemi a tirare fuori i precedenti tra me e voi. Non costringetemi a parlare dell-»
«Basta!»
Xander urlò in una maniera primordiale. Un ruggito che silenziò l'intera sala, accompagnato dalle mani callose sbattute sul tavolo. Una caraffa d'acqua si rovesciò. Da un cesto di frutta volarono chicchi di melograno e di uva. Dario non indietreggiò di un solo passo. I presenti, invece, raggelarono.
«Ne ho abbastanza! Di voi, delle minacce, del passato, di mia figlia e di tutto il resto! Ne ho abbastanza! Accontenteremo le richieste del Fae e non voglio sentire una sola parola in più che ricordi matrimoni, alleanze e quanto di più simile esista! Basta così! Siete congedati dai vostri incarichi!»
«Maestà!» urlò Dario, come se avesse da dire dell'altro.
«Portatelo fuori!» fu l'ultimo ordine del re.
E Dorian fece un lungo, profondo e stancante respiro a occhi chiusi.
Sì. Adesso aveva davvero vinto. Lei aveva vinto.
Dario fu trascinato all'entrata, sulla soglia della porta. Furono necessarie sette guardie per impedirgli di sfuggire alla presa. Il Wealthagon aveva un corpo muscoloso, ma visivamente non abbastanza da contrastare la forza di quattordici braccia. Eppure, in quel momento dimostrò il contrario.
Era arrabbiato. Furioso.
Dorian giurò di vederlo trattenere delle lacrime. La voce rotta poteva essere un segnale, al di là delle urla. Ma era difficile entrare sotto la corazza di un uomo che aveva abituato il Continente intero a vederlo trionfare ovunque.
"Scacco matto, Dario Wealthagon", gli aveva vociferato Dorian. Con le mani sul tavolo, leggermente chino verso di lui e prima che potessero trascinarlo via.
Ma con un tono tutt'altro che irrisorio. Piuttosto freddo. Distaccato. Trionfante nell'interiorità.
❆
«Me la pagherete, Windothynn! Me la pagherete con gli interessi! Passerete le pene dell'Inferno per avermi privato di proteggerla! Sentito? Le pene dell'Inferno! Voi e quel porco a cui leccate le scarpe per garantirvi un posto in questa sudicia corte di vermi!»
Furono le ultime urla di Dario.
L'ultima ira funesta prima di venir trascinato, a gran fatica, lontano dai corridoi di palazzo. A un certo punto, dovette intervenire anche Riccardo che stava giungendo da lontano.
Di comune accordo, il re aveva chiesto di isolare il Wealthagon per qualche ora. Fargli sbollire la rabbia. Fargli capire, tramite consiglieri di palazzo, che qualora Xander non avesse accettato le richieste del Fae dell'Aria, sarebbe stata la rovina per tutti loro. Perché Wealthagon, sotto dichiarazioni ufficiali, aveva già confermato la sua alleanza con Legendragon.
E se fossero crollati i Figli del Drago, sarebbe stato lo stesso anche per i Figli dell'Oro.
Dorian osservò la scena a braccia incrociate. Privo di emozioni nello sguardo. Poi, non degnò il re di un'occhiata e si avviò verso l'uscita sul fondo del corridoio lasciando lì. Inerme e sconfitto. A rimuginare sugli errori colossali di quella giornata travagliata.
In parte, il Fae non andava fiero di ciò che aveva fatto. Certo, si era tolto un bel sassolino dalle scarpe con quello "scacco matto" a un principe ereditario che più volte, negli anni, aveva riso di lui nei dibattiti politici.
Ma per una volta, aveva vinto lui.
Per una volta, il Fae aveva potuto vantare di aver aggirato, almeno per un momento, la supremazia di Dario Wealthagon.
Perché Dorian ne era convinto: era solo questione di tempo prima che Dario, in un futuro non troppo lontano, trovasse di nuovo il modo di avvicinarsi a Victoria.
E in una microscopica parte del suo cuore, Dorian ci sperava.
Ci sperava perché, se era vero che il Wealthagon aveva salvato la principessa dalle punizioni del re, significava che a lei ci teneva. In un modo strano che non riusciva ancora a spiegarsi.
Ma ci teneva.
Ed era il motivo per cui, a quel "proteggerla" urlato, a Dorian si era stretto il cuore.
Il desiderio comune era chiaro: la felicità di lei.
Soundtrack – "Let It All Go", Birdy.
❆
Ore dopo.
E quei pensieri ritornarono a galla nella tarda sera del giorno stesso. Nelle camere private di Victoria.
Il Fae aveva trascorso il resto della giornata con lei. A guardarla dormire, cucire, bere tè all'arancia e alla cannella o suonare l'arpa. Non l'aveva stretta. Né abbracciata, coccolata o altro. Comprendeva il terrore negli occhi della donna. Comprendeva cosa stava attraversando la sua mente in merito agli avvenimenti del pomeriggio. Aveva bisogno di tempo per metabolizzare quanto accaduto in quella sala del trono, un posto che non avrebbe più visto con gli stessi occhi.
Ma lui avrebbe voluto urlarle che era libera. Che era tutto finito. E che sarebbe potuta tornare a respirare. Perché lei non sapeva ancora nulla di ciò che era accaduto nel consiglio straordinario dell'ultimo minuto. Ma nonostante il desiderio ardente di confessarlo immaginandosi con una mano nei suoi capelli e la testa nell'incavo del collo, Dorian restò in silenzio per tutto il tempo. No, non poteva.
La principessa avrebbe ricordato a lungo quelle mani pesanti e la cintura slacciata del cavaliere reale. E Dorian avrebbe tentato in ogni modo di farlo giustiziare e di aiutarla a superare quelle paure.
Ma se nel mentre avrebbe dovuto mantenere una certa distanza, l'avrebbe accettato. Dorian avrebbe atteso anche millenni pur di rispettarla.
Fu per quello che, quando vide la porta spalancarsi e chiudersi a chiave con furia, e la schiena di Dario Wealthagon poggiata su di essa, creò un muro di ghiaccio immediato. Stalattiti bloccarono l'avanzare del principe di Wealthagon.
Victoria sussultò sul letto. Ma al sollevarsi del muro, urlò: «No! Fermatevi!»
Dorian aggrottò le sopracciglia e spalancò gli occhi. Non chiese spiegazioni. Non voleva procurarle disagio, rabbia o altri sentimenti negativi. Si limitò a guardarla negli occhi, e la brillantezza che scorse fu anomala.
«Va tutto bene.»
Dorian non capì. O forse, si rifiutò di capire.
«Sciogliete il muro. Va tutto bene.» mormorò Victoria. Una dolcezza che non le aveva mai udito. Né visto in volto.
Dorian fu titubante per qualche secondo. Osservò la figura del Wealthagon, poi quella della Legendragon. E una volta sciolto il muro notò che qualcosa, nel Figlio dell'Oro, era cambiato.
Almeno per quella sera.
Almeno in presenza di lei.
Il principe era calmo. Stranamente calmo. Il Dario Wealthagon di sempre sarebbe avanzato verso la sua preda. Avrebbe usato le prime parole adulatorie e utili per il suo impero di conquiste. E invece, era lì. Immobile. Con le occhiaie. I capelli leggermente scompigliati. Lo sguardo... diverso.
Buon cielo.
Dorian notò la connessione di sguardi tra i due.
Non aveva mai visto nulla di simile in tutta la sua vita immortale.
Con il capo, Victoria fece cenno al principe di avanzare. Dario compì due passi microscopici. Il rumore dei tacchetti sul legno si sentì, ma non era abbastanza. Victoria gli indicò con un dito il punto che avrebbe dovuto raggiungere.
Le coperte.
Dorian faticò a metabolizzare. Victoria voleva che il Wealthagon si sedesse all'estremità del letto. Sulle coperte.
Cosa c'era di così strano? Il fatto che Dario fosse stato l'unico uomo, nel giro di qualche ora, che era riuscito ad avvicinarsi a lei.
Anche Dario sembrò sorpreso, ma proseguì a passo lento. Victoria osservò ogni minuscolo movimento dell'uomo. Esaminò il mantello nero, l'intero abbigliamento dello stesso colore ma abbellito con rifiniture argentate sulle maniche e sul busto... e Dorian non riuscì a togliersi dalla testa il dolore che intravide negli occhi del principe.
Forse aveva osato troppo, pensò. Forse non aveva fatto altro che aumentare l'infelicità di lei. E forse, la donna stava realmente iniziando a rassegnarsi all'idea di sposare il Wealthagon. Soprattutto perché, a quanto pareva, Dario aveva giocato un ruolo decisivo nella sua salvezza.
Dorian l'aveva liberata su carta. Dario nell'anima. Evitandole il peggiore dei mali.
«Salve, Adelaide.»
Non c'era malizia, né manipolazione nelle parole di Dario. Ed era strano per chiunque vederlo così rassegnato. A Dorian, quell'esclusiva turbò. Perché il Wealthagon o stava utilizzando una tattica per farlo sentire in colpa oppure realmente Dorian aveva rimorsi. A prescindere, il Fae iniziò a dubitare della sua scelta.
Nel mentre, però, il silenzio calò nella stanza. Victoria non rispose al saluto del principe. Si limitò a osservarlo, e Dorian capì che era una gara di sguardi. Faticava a indovinare chi avrebbe mollato per prima. Il Wealthagon stava studiando le profondità delle iridi della Legendragon, mentre Victoria era completamente ipnotizzata dal colore del ghiaccio del Figlio dell'Oro.
Nel mentre, Dario cercò di scacciare in ogni modo i pensieri nella sua testa. Perché la sua missione in quella stanza sarebbe diventata impossibile se si fosse fatto manipolare dall'emotività nelle iridi della principessa. Eppure, non riusciva a staccarsene. Era come vederle per la prima volta. Come se quegli abbracci, il calore, le carezze nei capelli, i respiri, i corpi avvinghiati e quel bacio nella sala del trono... non ci fossero mai stati.
E invece sì. Era accaduto. Ed entrambi sembrarono ricordarlo, poiché una luce particolare attraversò i loro occhi mentre erano intenti a studiarsi. Tuttavia, i due erano troppo scossi da quanto successo nelle ultime ore per poter parlare e scherzare apertamente, come erano soliti essere entrambi nel privato. Entrambi avevano una spiccata ironia che li accomunava, con le dovute differenze.
«Un giorno me lo direte?» sussurrò lei. Aveva rotto il ghiaccio.
Dario sollevò le sopracciglia. «Cosa?»
«Perché mi chiamate Adelaide?»
Le labbra del principe si curvarono in un timido sorriso. «Un giorno.»
Dorian domandò qualcosa alla principessa. Un qualcosa che a Dario sfuggì, perché la sua attenzione era totalmente su di lei. Come una calamita. Victoria era una dannata calamita, e lui avrebbe voluto strapparsi i capelli alla constatazione di non resistere a quei lunghi capelli corvino che le arrivavano al ginocchio, alle gambe lunghe e affusolate, alla vestaglia di seta, alle labbra carnose, agli zigomi alti, ai tratti del viso così delicati ed eleganti da ricordare una divinità.
Ma gli occhi. Dannazione, quei dannatissimi occhi scuri. Dario si era vantato per millenni di avere gli occhi più belli del Continente. Un'unione di ghiaccio e neve. E le sue amanti ne alimentavano le lodi. Ma davanti all'oscurità di Victoria, capì di non aver mai conosciuto la bellezza dell'infinito.
C'era un qualcosa di infinito e sconvolgente nel modo in cui lei riusciva a svelare i suoi sentimenti pur tacendo. Ed era il motivo per cui lui aveva tirato un sospiro di sollievo quando avevano incrociato lo sguardo nella sala del trono per la prima volta in assoluto.
Re Xander l'aveva privato della creatura più bella dell'universo. Animava dipinti e arricchiva i bardi. L'arte rendeva grazie alle qualità della futura regina. Perché qualunque artista avesse a che fare con lei, usciva da una stanza con la consapevolezza di essersi arricchito interiormente.
Arte. Colori. Stelle. Mari. Tesori. Guardandola, Dario immaginava solo e soltanto un futuro di avventure.
E ricordò di essere nelle sue stanze solo quando Dorian gli rivolse una domanda.
«Quindi? Volete spiegarci perché siete qui?»
Dario osservò Victoria ancora per qualche istante. Nonostante la gentilezza, nei gesti e nelle parole, lei tremava ancora. Il nobile poté notarlo dalle dita intrecciate sulle cosce, dal modo in cui era seduta sui polpacci cercando di coprirsi il più possibile. Notò la tristezza nello sguardo stanco e nelle occhiaie pronunciate. E poteva capirla.
«Ho bisogno di spiegazioni, altezza. Il re sicuramente non vorrebbe-»
«Avevo bisogno di vederla. Prima di andarmene.» lo interruppe Dario, non distogliendo gli occhi da lei.
Victoria notò che la stava penetrando. Divorando. Dovette deglutire per la pesantezza di quel colore glaciale, che non la disturbava o intimoriva affatto. Perché dopo quel giorno, e dopo quel gesto... cielo, come avrebbe mai potuto dimenticare?
E dovette ammettere a sé stessa che Dario Wealthagon era l'uomo più bello che avesse mai visto. Che i canti in suo onore erano effimeri, in quanto da vicino confermava il motivo per cui esisteva un portale per il mondo degli Dei.
«Potrete sempre tornare, altezza. Ora che siete libero dal vincolo matrimoniale, avete-»
«Cosa?» Victoria spalancò gli occhi.
Dorian si fermò. Imprecò interiormente per l'errore commesso. Dario si irrigidì.
«Libero dal vincolo matrimoniale?»
Victoria ripeté piano le stesse parole.
I due restarono in silenzio. Si lanciarono un'occhiata l'un l'altro. Quella di Dario fu di rimprovero.
«Qualcuno può spiegarmi cosa sta succedendo?» chiese la principessa, debole. Non aveva ancora recuperato tutte le forze.
Dario fece un lungo sospiro. Cercò il contatto visivo della donna. «Siete libera, Adelaide.»
Libera. C'era una tale potenza nella parola libera. Odore di vento, pini, neve, pioggia. Victoria la immaginava così. Ma quella del Wealthagon? Se lo chiese. Cosa intendeva il principe per libera? Perché nei suoi occhi c'era tutto fuorché un sentimento d'indipendenza.
«Cosa?» gli sospirò appena. Incredula.
Dario si prese un istante. «Siete libera di amare chi volete.»
Gli occhi di lei diventarono più lucidi. Ci fu un breve silenzio che non riuscì a spiegarsi nessuno dei due uomini.
Ancora una volta, fu la nobile a rompere il ghiaccio. «Lo credete davvero?»
«Cosa, altezza?»
«Credete davvero che io possa essere davvero libera?»
Dario non rispose. Ma aveva capito.
E con lui anche Dorian, poiché deglutì. E quando Victoria si girò per guardarlo, ebbe la conferma delle sue riflessioni. No. Fin quando non avrebbe potuto vivere i momenti con il Windothynn alla luce del sole... non sarebbe mai stata libera. E dopo quel giorno, sarebbe stato ancora più arduo.
«Sono qui per chiedervi un favore.»
Dario tagliò corto e si rivolse al Fae, guardandolo. Dorian accettò la sfida della sua occhiata austera.
«Che tipo di favore?» chiese Dorian, calmo, a braccia incrociate e con la schiena sul muro.
Dario deglutì pesante. Esaminò di nuovo il viso della principessa. Lei non capì il perché di tanta difficoltà emotiva. Qualunque cosa, la spaventava. Doveva essere una motivazione seria se, per rispondere, Dario non riuscì a guardarla negli occhi.
«Voglio che la aiutate a dimenticare il nostro incontro.»
Victoria impersonò la morte. Bianca da far paura.
Anche Dorian sbiancò.
E il silenzio fece male. Male da pugnalarli. A tutti e tre.
«Questo e quello nella sala del trono.» precisò il principe.
«No...» sussurrò lei.
«Altezza...»
«No!» bisbigliò, così piano e doloroso da scuotere anche un cinico come Dario. Ma a stravolgere la sua anima di ghiaccio non fu solo quel no in preda alla disperazione, ma... il palmo di lei sulla mano di lui.
Dario osservò l'unione, e resistette all'impulso di ritrarre la mano sinistra piena di anelli. Sia perché era intrappolata nella presa morbida e delicata di lei, sia perché era congelato. Sconvolto dalla confidenza.
Anche Dorian restò di stucco. Dario continuava a essere l'unico uomo che, in quegli istanti, Victoria riusciva ancora a toccare.
«Altezza...» sussurrò il Wealthagon. La loro diventò una conversazione di occhiate strazianti e voci flebili.
«Non posso permettervelo.»
«Altezza.»
«Non posso.»
«Altezza, vi scongiur-»
«Non posso dimenticare quel bacio. Il mio primo bacio.»
Il cuore di Dario per poco non esplose.
Dorian si impietrì.
E il Wealthagon capì che, prima che fosse troppo tardi e lei avrebbe dimenticato tutto, doveva sistemare la situazione.
«Dovevo calmarvi. Dovevo donarvi un modo per ritrovare la pace interiore.»
Mentì. Mentì così egregio e spudorato che Victoria si immobilizzò per lunghi attimi. Gli occhi le si inumidirono, le guance si arrossarono.
Il suo primo bacio. Il suo primo bacio dato a uno sconosciuto. Che l'aveva salvata.
Era tutto così surreale. Era tutto così assurdo da chiedersi quale fosse la linea di confine tra la realtà e la finzione.
«Non ci credo.» mugugnò lei. Perché le lacrime avevano preso il sopravvento. La vista si era appannata. E il cuore di Dario, a quella visione, si frantumò in mille pezzi.
Ma lui non rispose. Si limitò a chiudere gli occhi. A percepire ancora le mani fredde della donna sul suo dorso e sulle sue dita piene di anelli. L'indice di lei sfiorò l'anulare di lui, dove c'era una pietra verde e ovale che per lui aveva un significato troppo profondo da confessare al mondo. Il suo segreto più grande. E sussultò al contatto così grazioso della Legendragon.
«È la fylybus mentem, vero?» guardò il Fae.
E Dorian annuì e schiuse appena le labbra. «Ma è pericolosa.»
«Ovvero?»
«È la magia più antica dell'universo. Viene collocata nell'ambito della magia nera non perché abbia effetti disastrosi nel corpo umano, ma perché per recitarla e farla funzionare c'è bisogno di un pegno.»
«Qualunque cosa.»
«Non è semplice.»
«Qualunque cosa, principe. Purché funzioni.»
Dario era convinto della sua proposta. Ignorò in ogni modo i sussurri e le preghiere della principessa. Se avesse girato lo sguardo e avrebbe di nuovo incrociato i suoi occhi, sarebbe stato inutile. Ci avrebbe ripensato in un battito di ciglia.
E forse l'avrebbe baciata di nuovo. Con una passionalità che nessun incantesimo della Terra avrebbe potuto privare Victoria dei ricordi. Talmente forte e travolgente da far sbiadire la forza del primo bacio a stampo, delicato, sentito.
«Ci sono degli accorgimenti.»
Dario espirò seccato. «Sentite, non-»
«Smettetela di sottovalutarla.» rimproverò il Fae. Astio e autorità nel tono. «Mi avete sentito? È la magia più potente e antica dell'universo. Si può evocare una volta ogni secolo. Vuole qualcosa in cambio affinché possa funzionare. Mi richiederà tante energie, dovrò riposare per un giorno intero e-»
«Il vostro pisolino di bellezza non è un mio grattacapo.»
Stronzo, pensò Dorian. Eccolo lì lo stronzo a cui era abituato.
«E in quanto Fae dell'Aria e Protettore della Magia Bianca, devo motivare l'uso di un tale incantesimo agli Dei che ci hanno dato questo dono, con sacrifici e preghiere. Io posso usufruirne poche volte nella vita, ma chi lo ordina... una sola.»
Buon cielo. Dario non era per niente a conoscenza di un tale rischio. Se lo avesse saputo anni prima, avrebbe usato quella potente magia per liberare sua sorella Erys dai demoni che si portava dietro. Ma in quel momento dovette pensare al presente. E il presente era la felicità di Victoria Legendragon.
Victoria, nel frattempo, stava continuando a lacrimare. Non se ne capacitava. Non aveva le forze per rispondere, ma avrebbe tanto voluto capire perché lui la stesse facendo soffrire così tanto. Perché voleva che dimenticasse. Perché...
«Per voi non è stato nulla?» s'intromise nella loro conversazione.
I due si voltarono verso di lei. E dannazione. Dario ritrovò quelle sclere bagnate che lo uccidevano dentro.
«Ascoltatemi-»
«Per voi quel bacio non valeva nulla?» alzò la voce.
«È stata la cosa più bella che mi sia capitata in più di vent'anni di vita, Victoria! E no, non posso! Non posso dormirci la notte all'idea che vi abbia privato di una tale esperienza! Non posso dormirci la notte al pensiero che potreste vivere con la costante voglia di sdebitarvi, di farmi credere che ci teniate! Che voi possiate provare compassione per l'uomo più subdolo e stronzo del Continente! Non posso lasciarvi questo ricordo di me! Non posso condividere il mio passato e distruggervi per il dolore! Non posso, non-»
«Voi non lo siete.» tremò lei. Il filo di voce in contrasto con le urla di Dario. «Voi non siete nulla di tutto questo.»
«Sono questo e molto altro, Legendragon. E non potete cambiarmi.»
Victoria deglutì una bile amara. La severità nel tono del principe la scombussolò. Non capiva. Non capiva perché si ostinasse a dare quell'immagine di lui. Non capiva perché con lei aveva rischiato ogni cosa, mentre il resto delle giornate le trascorreva a manipolare nobili, ad accrescere il suo potere, a circondarsi di ricchezze, donne, ammirazione e fama.
Non comprendeva perché in quella sala del trono era stato tutto fuorché l'uomo di cui narravano gli altri.
E prima che lei potesse porgli un'altra domanda, Dario si rivolse al Fae: «Fatelo.»
«Dario, ti prego...»
«Fatelo.» esclamò più forte. Il piagnucolio nella voce di Victoria lo stava disintegrando. Non ce la faceva. Né a guardarla né a sentirla, tant'è che non notò neanche l'uso del tu di lei.
«Fatelo.» ringhiò, a denti stretti.
Un'illusione. Un'illusione di sembrare strafottente. Perché Dorian aveva capito. Nel suo sguardo lucido, nella voce rotta, nel deglutire faticoso...
Diamine se il Wealthagon sapeva mentire bene. Il Fae avrebbe voluto la metà del suo coraggio. La metà della sua forza nel rendere nullo uno dei ricordi più belli della sua vita.
Lui non ce l'avrebbe mai fatta. Non avrebbe barattato i ricordi dei tocchi sulla pelle di Victoria neanche per una vita priva di dolori. E quel giorno, per assurdo, si ritrovò ad ammirare la forza interiore del Principe Ghiaccio Senza Cuore.
«Allungate un braccio.» sospirò il Fae.
«No...» piagnucolò Victoria, disperata.
«Poi, fate in modo di stringere la sua mano.»
«Dario... Dario...»
Dario obbedì. Approfittò della mano di lei che era sul suo dorso per stringerla in una presa forte.
«Dario... ti prego...»
«Poi?»
Pianse. Dario, per la prima volta in vita sua, concesse a qualcuno di vedere lacrime amare rigare il suo viso pallido.
Non distolse lo sguardo da Dorian. Si costrinse a guardare Dorian. E al Fae mancò l'aria.
In anni e anni di immortalità, non aveva mai visto una scena così straziante. Quasi riusciva a percepire il dolore di entrambi. Il modo in cui Victoria cercava di liberarsi dalla presa, piangendo. Il modo in cui Dario stringeva gli occhi ed evitava in ogni modo lo sguardo di lei.
«Dovrete rinunciare a un anno della vostra vita, Wealthagon. E a ricordarlo, sarà una cicatrice che avrete per sempre. Sarà incurabile. In vecchiaia, brucerà. E solo l'anello più gigante che avete tra le dita potrebbe nasconderlo.»
Tra le lacrime e le suppliche di Victoria, Dario gli chiese: «Voi cosa fareste, Fae?»
«Su cosa?»
«Quale altro sacrificio ritenete più grande per proteggere la felicità della donna che amate? Perché la amate, Windothynn. Vi si legge negli occhi.»
Dorian perse mille battiti, e così Victoria. Dario lo stava mettendo alla prova, per vedere se avrebbe cancellato o meno anche quell'ammissione di Dario. Ma per lui, essendo immortale, il prezzo da pagare era molto più alto di un semplice anno in meno di vita.
«Non giudicatemi per un bacio, Windothynn. L'ho salvata. Era felice. Ed è tutto ciò che conta. Io sono Dario Wealthagon. Voi siete Dorian Windothynn. Potrete darle ciò che merita e che io non avrei mai potuto darle. Più e oltre.» concluse. Distrutto. Nel corpo, nella voce, nell'anima.
Così, il Fae respirò pesante e prese coraggio. Nessuno di loro avrebbe dovuto soffrire un minuto di più. Ma non avrebbe cancellato in alcun modo quelle ultime confessioni. Dorian non avrebbe mai rimosso in Victoria il dubbio che lui potesse amarla. Non biasimava Dario per voler cancellare il ricordo del bacio e dei loro primi incontri. Comprendeva le motivazioni.
Ma se Dario fosse stato il passato di Victoria, Dorian sarebbe stato il suo presente. E voleva assumersi le responsabilità dei suoi sentimenti, qualora un domani avrebbero dovuto affrontare quella conversazione con lei che posticipavano da troppo tempo.
Poi, sollevò una mano. E inspirò.
«Dario...»
Victoria piagnucolò. Piagnucolò come una bambina rapita e portata via dalla sua mamma.
«Dario... ti prego...»
E quel chiamarlo per nome funzionò. Funzionò perché Dario stava morendo dentro. Pezzo dopo pezzo.
Dopo quella notte, più nessun pugnale, arma o potere del mondo avrebbe potuto scalfire il cuore di pietra di Dario. Non avrebbe più fatto cicatrizzare quella ferita interiore. Era il simbolo di una perdita indelebile. Mentire e voltare le spalle alla felicità, per donarla a qualcun altro.
«Dario...»
Victoria pregò. Pregò con tutte le sue forze.
«Dario...Dario... Ti prego... Dario...»
Pregò mentre la magia, il vento e le stelle li avvolgevano in una nuvola bianca. Le scie luminose del Fae erano più dense del solito. Avvolsero i corpi dei due nobili con onde fluttuanti e brillanti che diffusero una luce eterea e particolare in tutta la stanza, rivitalizzando il colore delle pareti.
Dorian non aveva mai sperimentato nulla di simile. Non si era mai avvicinato così tanto a sfidare le leggi degli Dei. Ed era sicuro che avrebbe pagato con gli interessi quella presunta superbia.
E Victoria mollò. Si rassegnò all'idea di un'infelicità eterna.
Anche l'ultimo bagliore di umanità e speranze le fu strappato via come granelli al vento.
E non pregò più l'uomo che aveva davanti. Ma pianse. Pianse e lo guardò fisso negli occhi. Pianse di una sincerità che spiazzò e polverizzò la superficie di ghiaccio dal cuore del Wealthagon.
Dario pianse con lei. Sentì la magia entrargli nelle vene, nel corpo, nelle viscere. Sussultarono entrambi. Le strinse ancora più forte la mano, e Victoria scoppiò del tutto. Pianse così forte da superare il rumore della magia che li avvolgeva.
Ma fu Dario a sfidare un'ultima volta il fato. Con una mano libera, si avvicinò al viso della principessa e le portò una ciocca dietro un orecchio. I suoi anelli di metallo le sfiorarono le tempie. Tempie così bagnate da farlo scivolare. Le lacrime si mescolavano al sudore, allo sforzo di aver pregato Dario con esasperazione.
Victoria pianse distrutta. Pianse e a stento riuscì a distinguere i lineamenti del principe per come le si erano inumiditi gli occhi.
Le stava portando via un dono. La stava privando di ricordare chi l'avesse salvata da quel mostro. Di quei momenti nella sala del trono avrebbe ricordato un intervento vago, una voce confusa, una persona che l'abbracciava...e nulla più. Nei suoi ricordi avrebbe potuto essere un cavaliere qualunque.
Nessun stupore. Nessuna bellezza insita in quel bacio sofferto e sentito. Niente di niente. Non le sarebbe rimasto più nulla. E non si capacitava di come Dario avesse potuto chiederle quel sacrificio. Non si capacitava del perché lui volesse quello. Un ricordo cinico, freddo e spietato del principe più manipolatore di tutti i tempi. Un incontro mai avvenuto. Parole mai dette. E sguardi mai scambiati.
O forse sì. Forse era davvero il principe crudele di cui parlavano di tutti. Victoria volle autoconvincersene. Volle credere che lui lo stesse facendo per divertimento. Dopotutto era spietato e senza scrupoli, no? Eppure, le lacrime parlarono al suo posto.
Dario non fingeva. Non aveva finto con le labbra premute sulle sue. E la consapevolezza, la stava dilaniando.
«Avrei voluto più tempo, Victoria. Più tempo per conoscerti. E più tempo per dimostrarti chi sono. Ma presto o tardi accadrà. Presto o tardi tutto questo avrà un lieto fine. Te lo prometto. E fino a quando esalerò il mio ultimo respiro, troverò un modo per restituirti i ricordi.»
Victoria pianse insieme a lui, ancora più forte. Disperata. E aumentò l'intensità quando il potere cominciò a entrarle nel cervello. E nei ricordi.
Lo sentiva. Sentiva un fruscio simile a foglie, un suono come il vento, una melodia malinconica come l'arpa che tanto amava suonare, e la musica che tanto amava ascoltare. Percepì il dolore e la leggerezza che solo una magia di quella portata poteva donarle.
«Ascoltami bene...» le sussurrò Dario, con il naso premuto sul suo. Gli occhi chiusi. Una mano a coprirle e stringerle l'intera guancia. Il respiro e il tremore di chi stava affrontando la peggiore delle sofferenze. Scalando la più difficoltosa delle montagne. Implorando il più impossibile dei perdoni.
«Un domani, non fingerò più di non appartenerti, Victoria Adelaide Legendragon.»
Voleva una frase a effetto. Con il sapore delle lacrime salate, il bagnato dei loro volti e un lungo bacio a stampo sulle labbra, Dario desiderò conservare quell'ultimo ricordo.
Una frase unica.
Una frase che lo avrebbe torturato in eterno, nei suoi incubi peggiori.
Una frase che, un domani, sarebbe potuta rinascere.
E la speranza di non fallire come arma letale.
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