XVII. Promesse.
Soundtrack – "Warriors (Violin version)", Imagine Dragons.
Qualche ora prima.
❆
«Provateci.»
«Se me lo dite con questo tono, anche spesso.»
Agata sbuffò e imprecò. Le ciocche rossastre erano piene di terriccio. Riccardo le esaminò gli occhi verdi, quelle iridi per cui mesi e mesi prima aveva annullato interi allenamenti dell'esercito di palazzo pur di trascorrere più tempo con lei.
«Sono marroni.»
«Prego?»
«O gialle. Avete striature che si alternano al verde.»
«In questo momento, Vostra Altezza, mi interessa solo il marrone che ha imbrattato le mie chiappe.»
Riccardo rise e si leccò le labbra, osservando quelle di lei, e alluse: «Posso aiutarvi a rimuoverlo tutto. Ma a modo mio.»
La replica fu istantanea. Lo sgambetto sulla caviglia gli fece perdere l'equilibro; il nobile crollò a peso morto sulla principessa, ma lei lo spinse e la schiena sbatté sul suolo. Riccardo grugnì, si portò una mano sulla fronte e non ebbe la benché minima idea di come una lama affilata fosse finita sulla sua gola con quella velocità. E lei era appoggiata a cavalcioni sul... buon cielo, lì.
«Rifatelo.» sputacchiò il terriccio.
«Silenzio.»
«Non scherzo. Rifatelo quando sarete nelle mie stanze.»
Un rivolo di sangue gli colò dal collo alle clavicole. E capì. Sarebbe stato meglio tenere la bocca chiusa.
Il principe rise ancora. Quell'allenamento durava da ore, e l'unico segno di stanchezza sul volto della Wingdragon era una goccia di sudore che le imperlava le tempie. Una nobildonna cresciuta a lame e ferro, e le origini confermavano la sua unica fede.
«Numi del fato. Se solo me lo permetteste, avreste la capacità di sfinirmi.»
Il volto di Agata si incupì. «Mi rincresce farvi notare che nella vita esiste ben altro che ingropparvi qualsiasi essere femminile che vi appare nel raggio di dieci metri o meno.»
«È per questo che mi fate impazzire. Non esitereste un solo istante a squarciarmi la gola e vendere le mie budella a un nobiluomo che in cambio vi conceda armi e archi.»
Agata resisté all'impulso di curvare le labbra. Un'espressione rabbiosa le contornò il viso.
«Volete restare così per ore? Fatemelo sapere in anticipo, in tal caso. Avrei degli impegni.» aggiunse lui.
«Oh, immagino.» lei roteò gli occhi, ma la lama era ancora lì. Premuta sul collo del giovane.
Riccardo la stava divorando con gli occhi. Avrebbe voluto contemplarla per ore e ore, mentre lei aveva il solo desiderio di incenerirlo.
Ma qualcosa cambiò nel suo sguardo a sentire le dita del principe che disegnavano cerchi pigri sulle sue cosce coperte dal pantalone di pelle bruna. Resisté a tutto, anche ai polpastrelli che raggiunsero l'interno coscia.
«Se osate...»
«Cosa? Toccarvi?» lui fece un ghigno compiaciuto. «È già accaduto.»
Mille immagini di lui con la gola divisa in due le apparvero nella mente. «Non ricapiterà.»
«Ah no?»
«No.»
«Eppure quel seno piccolo e sodo era tra i palmi delle mie mani quando...»
Riccardo si coprì il viso con l'avambraccio. Per un frangente, si era immaginato un viaggio di sola andata per gli Inferi, ma vedendo la donna in piedi cambiò idea.
Era vero. L'aveva toccata. Anche se non nel modo in cui toccava tutte le altre. Perché sì, Agata ne era convinta. Era impossibile che avesse smesso di frequentare qualunque donna del Continente. Non credeva neanche per un istante di essere l'unica nella ragnatela di corteggiamenti del principe, ma... l'amore sapeva essere cieco in molti modi differenti. L'autoconvincimento era tra i più pericolosi e manipolatori. E quella vaga speranza di onestà le aveva annebbiato a lungo il cervello. In fondo, non coglierlo in flagrante con qualcun'altra da mesi... non era una conferma alle promesse?, si ripeteva.
Agata lo sperava. Con tutto il cuore. Perché non avrebbe retto a lungo quel dirgli no ogni volta che le proponeva di andare oltre una semplice carezza. Ma quella mancanza di sensazioni viscerali l'aveva stravolta. Non se ne capacitava. Qualunque donna non faceva altro che affermarle quanto il sesso fosse un piacere insostituibile. Ma a lei non era balenato in testa neanche una volta di provare quelle esperienze. E non avere reazioni a quei piccoli gesti che invece facevano capitolare le amiche... l'avevano angosciata. Era normale?, si ripeteva. Perché era l'unica? L'unica a non desiderare qualcuno fra le lenzuola? L'unica a non arrossire a una mano nel solco del seno? Eppure, a quel principe aveva concesso il suo primo bacio. E non se ne era pentita.
A parte un affetto smisurato nei suoi riguardi, Agata non aveva provato le farfalle nello stomaco che le avevano assicurato gli altri. Ma nonostante quello... era innamorata. Innamorata di quell'uomo che la riempiva di attenzioni e carinerie nonostante non avessero compiuto altri passi. Era innamorata perché le sembrava che lui fosse in grado di mettere da parte ogni abitudine ed eccesso pur di averla accanto. Si era informata tramite il suo fratellastro minore: dopo aver osato con lei, Riccardo non aveva toccato una donna per due settimane. Ma quanto sarebbe durato? Si frequentavano da mesi, e per un attimo in cui si erano appartati in un corridoio di palazzo le erano crollate certezze all'apparenza invalicabili.
E poi, aveva visto sua sorella. Victoria Legendragon.
Lei sì che era un esempio di virtù, raffinatezza e bellezza, aveva pensato. La trovava troppo magra, ma era indiscutibilmente bella. Meravigliosa. Il desiderio di ogni uomo del Continente. C'era da aspettarsi che il fratello fosse tremendamente protettivo nei suoi riguardi. Eppure, dopo quelle confessioni che le aveva fatto nel letto – da abbracciati – aveva capito che il principe lasciava alla principessa gli spazi che meritava. E che il suo era un normale istinto fraterno.
Le era venuto da ridere. William e Karidian non erano nulla di tutto quello. L'unico che le aveva dato consigli premurosi era stato il secondo, con cui aveva un legame maggiore, ma era finita lì. Non li biasimava. Non erano fratelli e sorella. Non nel senso consanguineo del termine. Le bastava che fossero gentili nei suoi riguardi e si volessero un gran bene l'un l'altro.
Quei pensieri le stavano offuscando la ragione. Non riuscì più a concentrarsi. Un accumulo di pensieri contrastanti la distrasse dal dolore nelle costole e dal fiatone.
«Toccate donne con la stessa frequenza con cui mangiate e bevete, vero?»
«Prego?» Riccardo si accigliò e provò un altro affondo. Lei lo schivò con una prontezza senza precedenti.
Non aveva mai visto una donna così veloce negli attacchi e nei contrattacchi. Nell'esercito di palazzo, il principe ne aveva allenate molte. E in quello del Comandante dell'Esercito Supremo, ne aveva adocchiate altrettante. Ma nessuna aveva quell'esperienza e quella precisione maniacale nei movimenti. Per non parlare del modo in cui utilizzava arco e frecce. Faceva di quel passatempo una superiorità nei riguardi di qualsiasi essere vivente sulla Terra.
E Riccardo iniziò a domandarsi quanto tempo ancora sarebbe trascorso prima che potesse eccellere anche nelle armi. Agata era già a un livello notevole. E quello stacco con ripresa d'attacco gli fece sgranare gli occhi.
Per nulla al mondo Riccardo incassava una sconfitta o ammetteva che un avversario potesse superarlo. Ma con lei era accaduto. E Agata aveva ricambiato i complimenti con un sorriso sincero.
«Oh, andiamo. Non dovete fingere.» cantilenò lei, con un sarcasmo cinico che stupì il principe.
«Non apprezzo questi giudizi affrettati.»
«Affrettati?» una risata secca e sguaiata. Poi per poco non gli ferì un'anca. «Sapete contare?»
Era vero. Sapeva di essere chiamato l'Amante di Fuoco per un motivo. Ma sentirselo dire in quel modo... e per una donna per cui stava iniziando a provare dei sentimenti...
«Voi siete diversa.» esalò tutto d'un fiato.
E fu la sua condanna.
Agata si avventò su di lui con una rabbia irruenta e pericolosa. Riccardo a stento riuscì a tenere il ritmo degli attacchi. Il rumore delle spade che si scagliavano l'una contro l'altra riempì il silenzio dei giardini reali, e d'improvviso anche le temperature rigide di quella mattinata persero valore.
«È così che le convincete a spogliarsi? Con due parole smielate?» esclamò.
«Agata.» rimproverò lui.
Cielo. Per poco non perse un braccio.
«Non vi azzardate mai più a darmi del tu.»
«Si può sapere che succede? Cos'avete oggi?» lui alzò il tono, e la fatica dell'allenamento lo alterò.
«E ogni volta che non sapete reggere una conversazione sorvolate e date la colpa al vostro interlocutore?»
«Voglio soltanto capire perché state ardentemente bramando la mia testa penzolante.»
Si spaventò dell'espressione sul viso di lei. «Povero cucciolo indifeso. Poi dovreste trovare un altro modo per finire tra le gambe di una donzella, vero? Che spregevole destino...»
«Se non mi dite cos'avete contro di me, giuro sugli Dei che-»
«Cosa? Seppellirete il mio corpo in un bosco?»
«Agata.»
«Sua Altezza Reale. Suona meglio sulla mia lapide.»
Lui era sfinito. Ma la rabbia della donna lo lasciava a corto di parole.
«Vi ho recato un torto?» si piegò sulle ginocchia ed evitò per davvero che la testa gli volasse.
«Non posso semplicemente essere arrabbiata?»
«Senza motivo?»
«Magari ce l'ho e non voglio dirvelo.»
«Per quale motivo?»
«Così avrete un'altra scusa per dire che sono troppo frigida.»
Gli gelò il sangue. «Cosa?»
«Che ipocrita.» borbottò lei, prima di colpirlo sulle ginocchia.
Riccardo strinse gli occhi e crollò a terra, poi li riaprì e riuscì con un solo braccio a evitare un altro affondo.
«Posso spiegare.»
«Non azzardatevi a trovare scuse. Potrei mutilarvi.»
«Cercate solo un modo per addossarmi le colpe.» sbraitò lui, mentre si toccava una spalla. Era privo di forze.
Lei puntò la lama contro di lui. «Brutto sentirsi dire la verità, vero?»
«Non-» riprese fiato. Boccheggiava troppo. «Non lo intendevo in quel senso. Avete-»
«Frainteso? Quanto siete prevedibile!»
«Avete ascoltato solo l'ultima parte del discorso!» urlò lui.
«Ma che casualità!»
«Spiegavo a vostro fratello come vi consideravate voi. Perché vi ho udito. Vi ho sentita in una conversazione recente con una dama del vostro palazzo. Ma non ho mai, mai usato quel termine in tono dispregiativo. Mai.»
Qualcosa cambiò. Qualcosa mutò nelle iridi infuocate della principessa. Un alone cupo e rabbioso le incendiò anche l'anima. Ma Riccardo si sentì mancare l'aria quando notò come la mano in cui reggeva l'elsa... tremava.
«Agata.» sospirò lui e si alzò da terra, ma sussultò. La punta premeva al centro del petto.
«Non oserei. Mai.» disse tutto d'un fiato.
Lei non replicò. Uno sguardo gelido. Il contrario di qualche attimo prima. Ed era immobile. Impenetrabile come le pareti di quel castello.
«Agata.» le vociferò. Lo stesso timbro dolce e premuroso di quando l'aveva coccolata tra le sue braccia.
Ma l'arciera non demorse. Tenne ferma la spada. E premette di più.
Riccardo strinse i denti. Ma con una lentezza ben studiata, afferrò piano la punta e provò ad allontanarla dal suo petto. La forza di lei era straordinaria, perché la fatica che lui provò nell'allontanare l'arma fu evidente.
«Statemi lontano.» ringhiò la principessa.
E lui avvertì il cuore frantumarsi in polvere nell'udire la fragilità nella voce che stava cercando di nascondere. Si sentiva offesa per un enorme fraintendimento.
«Vostro fratello. Chiedete a lui.» consigliò Riccardo.
«Vi proteggerebbe.»
«Non in questo. In tutta la mia vita, le migliori strigliate le ho ricevute dal Comandante. Nessun altro uomo rispetta le donne come lui. Non avrebbe mai accettato che la sorella fosse-»
«Sorellastra.»
D'un tratto, gli parve tutto più chiaro. Dietro quella maschera di sicurezza, Agata velava l'esatto contrario. Era insicura di sé stessa, del modo di approcciarsi agli uomini, delle poche certezze che la vita le aveva donato.
«Se solo sapeste...» sussurrò lui, guardandola malinconico.
Se solo sapeste quanto sono innamorato di voi, avrebbe voluto confessarle. Ma gli occhi lucidi della donna lo riportarono nella realtà. E non fu più al comando delle sue attenzioni.
«Non-» singhiozzò lei.
Le due spade finirono a terra. Un fragore assurdo.
«Non mi toccate.»
L'autorità del tono non lo bloccò.
«Vi spezzo le ossa.» urlò, con la schiena sbattuta contro un albero e i polsi stretti da lui.
«Non mi toccate!» ringhiò. «O giuro che-»
Le labbra del principe premettero sulle sue con una foga irripetibile.
Riccardo non aveva mai baciato con così tanto ardore, passione e coraggio in tutta la sua vita.
Un ginocchio della Wingdragon era tra le sue gambe. Lei avrebbe potuto colpirlo. Avrebbe potuto condannarlo a giorni e giorni di indisponibilità. Ma... ma non lo fece. Restò immobile. E dopo un primo approccio in cui la schiena si era irrigidita... i muscoli si sciolsero. E lui ringraziò gli Dei della Misericordia per quel dono.
Agata studiò la situazione. Una mano dell'uomo le stringeva la mascella, l'altra le dita. E il bacino spingeva contro il suo corpo. Ma poi... poi le sentì. Le farfalle di cui parlavano tutti. Il turbinio di emozioni interne. Quando lui si staccò per riprendere fiato, lei lo percepì sulle clavicole. Ma non ebbe il coraggio di guardare il principe.
No, si ripeté. Non ci sarebbe mai finita a letto. Mai. Ma dannazione se sentiva di concedersi un bacio. Dannazione se stava imparando ad amare quell'uomo che, a differenza degli altri, si stava dimostrando diverso.
E toccò a lei afferrargli il viso. Si gustò le sue labbra carnose. Prima con un bacio a stampo, profondo, poi tirandogli quello inferiore. Lui avvertì una scarica adrenalinica senza precedenti, ma resisté a ogni impulso di afferrarla dai fianchi o dai glutei. L'unica volta in cui l'aveva fatto e lei lo aveva spinto, si era sentito in colpa per un mese intero. Con il passare dei giorni, lei si era scusata perché quella reazione non era dipesa da lui, bensì dal terrore con cui lei conviveva da anni. E da quell'episodio, Riccardo non l'aveva più toccata senza permesso.
Fino a quel momento.
Fino a quando l'impulso di frenarle la lingua e farle capire che si stava adirando per una sciocchezza aveva avuto la meglio.
La desiderava. La bramava come nessun'altra prima di lei.
Si era circondato di donne per tutta la vita. Non si era mai affezionato a qualcuna come con sua sorella, né era stato ossessionato da altre come la cotta eterna per la leggendaria Aeghena Windothynn.
Ma in quel giardino, con il vento a sferzare i loro capelli e i corpi imperlati di sudore... capì di volerla. Capì che quell'affanno in lei era lo stesso motivo che struggeva lui. Le esaminò il viso, le accarezzò le gote.
E dopo un altro lungo bacio le mormorò: «Posso?»
«Vi avevo detto di stare zitto, razza di un Legendragon.»
E lei se lo tirò a sé. Lo prese dal colletto, e la sua lingua assaporò ogni muscolo molle dell'interno guancia del principe. I ricordi le annebbiarono la vista. Ricordò la prima volta che era accaduto, perché quella non era altro che una ripetizione. Sotto un cielo stellato, con le lucciole intorno a loro e le sole stelle a giudicarli. Il giorno dopo, la principessa non aveva pensato ad altro. E le era costata una fatica immensa ad ammetterlo.
Ma i due furono costretti a interrompere quella danza vorticosa di lingue, respiri mozzati e morsi. Nonostante l'ombra degli alberi, Riccardo non si era sentito al sicuro nell'udire rumori di passi. E si era girato in una frazione di secondi e Agata aveva visto il suo atteggiamento cambiare brusco. Quando la guardia reale aveva riferito al nobile la richiesta del re, lui si era comportato come se non avesse avuto le labbra gonfie e i capelli spettinati. E al suo congedo, era ritornato a baciare la donna.
«Mi reclamano in consiglio.» le ansimò nella bocca, con il viso tra le mani.
«Ammirevole. Per una volta, nessuna dama da sfamare.»
Riccardo rise sconsolato, e le morse un'ultima volta un labbro. Poi le baciò il collo, e Agata gli strinse i capelli nei pugni. Lui ignorò il terriccio nelle sue ciocche brune, e si godé gli ultimi attimi con quella guerriera che gli stava incenerendo il senno, la ragione e i sentimenti... per abbandonarsi alla follia.
❆
Dopo la convocazione di Dorian.
«È accaduto qualcosa di grave, altezza?»
La voce di Dorian Windothynn era penetrante come la ricordava. Riccardo non faticava a credere che fosse un suo rivale nelle conquiste nobiliari. La differenza era che il Principe Ghiaccio aveva perso lo smalto da anni. Non frequentava più donne con quell'assiduità. Riccardo non lo considerava un donnaiolo, perché le sue erano vere e proprie relazioni, mentre per il Legendragon contava il divertimento. Ma la fama e il numero di conquiste parlavano chiaro: lui e il Comandante dovevano "temerlo".
«Non precisamente.»
Dorian aggrottò le sopracciglia. Si versò un liquido di limone e spezie particolari in un bicchiere, ne bevve un sorso e con le dita accarezzò sui bordi in attesa di un'altra replica.
«È vero che siete qui per volere di mio padre. Ma non solo.» informò Riccardo.
«Non ho molto tempo a disposizione, altezza. Purtroppo, ho delle questioni politiche da portare a termine e-»
«Strano. Avrei giurato, dalla passione con cui facevate gemere mia sorella, che di tempo libero a disposizione ne avevate eccome.»
Una lastra di ghiaccio. Il Fae la percepì scagliata contro la sua schiena. E non parlò.
Dorian non era un tipo impulsivo. Razionalizzava, ponderava le parole. Formulava una sua idea sulle persone, ma non si azzardava mai a esporla in pubblico senza un'effettiva conferma. Credeva che ognuno avesse il diritto di pensare ed esporre un'opinione, ma se alla base mancava rispetto e maturità anche il suo silenzio infrangeva le regole.
«Non avete nulla da dire?» c'era dello scherno nel tono del Legendragon, ma era misto a un'ironia tagliente.
«Non credete che un'ora di consiglio politico abbia la priorità? Soprattutto per ciò che riguarda il destino di vostra sorella? Poi, potrete porgermi tutte le domande che vorrete. E con estrema educazione, vi risponderò.»
«Quel tono da aristocratico con me non funziona così tanto, sapete?»
Dorian inspirò ed espirò con calma. Difficilmente la provocazione lo turbava. Ma quando si trattava di lei... oh, aveva confermato il contrario in quel consiglio di mille e più uomini.
«Me ne ricorderò per una prossima volta.» scherzò il Windothynn, ma rendendosi conto della mancata reazione sarcastica dell'amico, capì che la leggerezza non sarebbe durata a lungo.
«Che intenzioni avete, milord?» chiese Riccardo.
E se lui si stupì della gentilezza della pronuncia, Dorian raggelò.
«Riguardo?»
«Mia sorella.»
Altro respiro. Altra calma invincibile. Dorian si versò altro di quel liquido forte e amarognolo.
«Siate più specifico, altezza. Potrei fraintendere le vostre insinuazioni.» affermò il Fae.
«Credo ci sia poco da specificare. O almeno, toccare mia sorella è un modo per-»
«Tocco vostra sorella perché entrambi lo vogliamo. Voglio che sia chiaro. Inciso.»
E per un attimo, Dorian fu fiero di quella presa di posizione veritiera. Poi si rese conto che... aveva perso. Scacco matto. Riccardo gli aveva fatto confessare ciò che voleva sentirsi dire.
E il silenzio che occupò la stanza confermò le sue supposizioni.
«Da quando?» sussurrò il Legendragon, con le mani appoggiate sui bordi di un tavolo, dopo un profondo respiro.
Dorian non rispose. Stava cercando le giuste parole per non offendere né lui né l'assenza del soggetto della conversazione.
«Mh? Da quando vanno avanti questi incontri?»
«Mi capita spesso di colloquiare con la principessa.»
«Colloquiare?» Riccardo schernì il tono. «La sento ansimare, confermo che sta "scopando" con i vestiti addosso e... voi me lo chiamate colloquiare? Vi assicuro che tra noi umani le cose funzionano un po' diverse.»
Dorian trattenne l'accenno di un sorriso per l'ultima frase. Era consapevole che il principe stesse cercando di scherzare per smorzare la tensione.
«Non avete nulla da temere, altezza. Ve lo garantisco.»
«Be', è soggettivo. Se un nostro ospite si comporta come se i protocolli reali fossero cartapesta, vorrei discuterne. E io sono il primo a violare leggi assurde, ma permettetemi di essere preoccupato per il sangue del mio sangue e usare l'alibi delle regole nobiliari.»
«Ne avete il diritto.» affermò il Fae. «Ma non toccherei vostra sorella contro la sua volontà neanche sotto la peggiore delle torture esistenti. E credetemi che mi farei da parte anche adesso, qualora mi chiedesse di smetterla. Ma...»
«Ma?»
Dorian deglutì. Poi sorseggiò ancora dal suo bicchiere. Scrutò la stanza per qualche istante, poi le iridi del principe.
«Ma non è così.»
Riccardo esaminò quelle risposte nella sua testa. E cercò di rendere le sue meno... impulsive.
«Ci sono cose che non posso spiegarvi, Maestà. Non so se capireste, né ho intenzione di tradire la fiducia di vostra sorella.» concluse il Fae.
Dorian non gli avrebbe mai rivelato il patto con Victoria. Giorno dopo giorno, credeva sempre meno alla verità che si era imposto: "solo piacere". Insegnamenti. Un modo per donarle ciò che non avrebbe mai avuto, dato che il padre le aveva garantito che il suo futuro matrimonio sarebbe stato combinato e privo di interessi amorosi. Ma da quando il Fae aveva imparato a conoscerla e le loro conversazioni notturne erano diventate una genuina quotidianità... stava iniziando ad ammettere a sé stesso che, forse, quel piacere non poteva reggere ciò che le gambe, il cuore e la mente gli suggerivano mentre trascorreva del tempo con lei.
«Se è il volere di mia sorella, lo rispetterò. Ma devo farvi comunque aprire gli occhi. E comprendere che ci sono dei limiti da considerare.»
«Vostro padre vorrebbe mantenerla intatta fino al matrimonio. Ne sono al corrente. Ma... vi siete mai chiesto se sia effettivamente il volere della principessa? Indipendentemente da questo discorso che stiamo affrontando oggi?»
«Le voglio un bene dell'anima. È il regalo più bello che la vita potesse farmi. Ma è anche molto, molto ingenua e-»
«No. Fermatevi. Cosa intendete per ingenua?» il Windothynn appoggiò il bicchiere sul tavolo e cercò un contatto visivo con lui.
«Non ciò che state ipotizzando.» precisò Riccardo.
«Perfetto. Perché il mio tono sarebbe potuto cambiare all'istante, altezza. E in modo drastico. Avrei ignorato la vostra importanza in questo posto se aveste osato giudicare la principessa Victoria con considerazioni fuorvianti e balorde. Che sia chiaro oggi, e domani, e oltre: la reazione che avete visto in quel consiglio non è niente in confronto a ciò che potrei fare a chi oserebbe farla soffrire. Scenderei a patti con gli Inferi pur di liberarla. E venderei la mia stessa anima pur di preservare la sua.»
Ormai, al Fae non stava più importando delle conseguenze. Riccardo aveva capito che c'era un filo invisibile a legarlo con sua sorella, che l'affetto non poteva essere negato. Ma...
«Siete innamorato di lei?»
Dorian era sicuro che, le ultime gelide dieci Stagioni Lunari del Continente, non erano state nulla in confronto alle condizioni delle sue interiora.
Un silenzio funebre calò nel posto. D'un tratto, le pareti ocra con rifiniture verde smeraldo erano diventate la sua distrazione primaria. Tutto pur di non cedere.
«Mi avete sentito?» sussurrò il Legendragon.
Non c'era cattiveria in quella replica. Piuttosto... paura. Paura quanto il Fae di appurare presunte verità scomode.
Ma Dorian non si scompose. Saldo nella sua fedeltà per la Legendragon, preferì non aggiungere altro.
«Altezza.» sospirò Riccardo, chiudendo gli occhi. «Vi ho fatto una domanda.»
Ancora silenzio.
E prima che Riccardo potesse perdere la pazienza, Dorian rispose: «Credo che stiate esagerando e ingigantendo i vostri timori più oscuri. Mi avete portato in questo posto per discutere del consiglio svolto con vostro padre. Se ci sarà tempo superfluo, discuteremo d'altro. Qualche minuto fa sono stato chiaro.»
Era vero. Dopo l'allenamento con lady Agata – sua ospite per un giorno, su consenso del sovrano –, Riccardo aveva presenziato al consiglio politico del re. E un'ora dopo, aveva cercato il Windothynn nel castello. Una guardia reale gli aveva riferito di aver visto Dorian con Victoria mentre si addentravano in una stanza. E Riccardo aveva subito pensato al peggio. E la conferma di alcune sue angosce lo avevano destabilizzato. In quella stanza, quindi, stava cercando in ogni modo di trattenersi dal dire oltre... ma la sua indole di fratello maggiore glielo impediva. Soprattutto dopo quanto accaduto la notte in cui aveva aiutato la sorella dopo il vomito.
«Archiviamo questa conversazione una volta per tutte.» ordinò il Legendragon, afferrando anche lui un bicchiere per versarsi il liquido giallognolo. Aveva bisogno di quel bruciore sulle papille per ritrovare confidenza.
«Ho un'idea.» replicò il Windothynn. Un sospiro appena udibile, che sciolse il silenzio. «Aggiornatemi prima sulla questione di vostro padre. Dopodiché, avrete una mia risposta.»
«Con un giuramento.»
«Come?»
«Un patto di sangue. Giurate su di lei. Una garanzia che possiate dirmi la verità.»
Un trabocchetto. Dorian dovette ammetterlo: era stato più furbo di lui. Riccardo conosceva quel tipo di magia grazie ai manuali della biblioteca reale contenenti le leggende e i credi popolari dei Fae dell'Aria. Così, il Legendragon gli scrutò il viso per carpire se avesse accettato o meno.
Con suo grande stupore, dopo un sospiro pesante, Dorian annuì e si diresse nella parte di tavolo accanto a lui. Gli porse una lama, e Riccardo corrugò la fronte.
«Cos'è?»
«Dovreste saperlo.» rispose il Fae.
«Ma schizzerà sangue. Non è proprio...»
Dorian sorrise e scosse la testa. «Il sangue dei nostri giuramenti è diverso. Fidatevi di me e tagliate qui.»
Gli indicò poco più giù del polso. Riccardo tentennò. «Le vene collegate al cuore?»
«Se un Fae dell'Aria ha l'intenzione di portare a termine un giuramento, il corpo reagisce d'istinto. Un velo di protezione magica avvolgerà i muscoli, le vene e le ossa del corpo. Il procedimento necessita solo del sangue che, entrando in collisione con il cervello e le intenzioni del singolo individuo, comprende che c'è in atto un patto di sangue.»
Eccezionale, pensò il Legendragon. Nascose l'entusiasmo di avere a che fare con una magia che aveva sempre ammirato nei libri, e dopo attimi di esitazione procedette. La lama del pugnale premette sulla pelle olivastra del Fae e... blu. Il sangue, da rosso, si era trasformato in blu nel giro di pochi secondi.
Poi una luce. Pulsante. Con un'intensità crescente. Granelli simili alla consistenza della neve fluttuarono nell'aria formando una scia vorticosa e bianca. La luce bianca si diffuse e avvolse il braccio di Dorian.
Riccardo notò che il Fae stava stringendo i denti. E gli occhi, per un attimo, cambiarono da color ghiaccio a dorati.
«Tutto qui?» chiese Riccardo, deluso dalla durata.
«Cosa vi aspettavate?»
«Non so... fuochi? Scintille? Vapore?»
«Giochi da giullari di corte?» ironizzò il Windothynn. «No, altezza. Tutto qui.»
«E ha fatto male?»
«Certamente. Fa male» deglutì «e ne farà altrettanto a vostra sorella.»
Riccardo si irrigidì. «Cioè?»
«Se io non rispettassi il patto, lei...» deglutì ancora «morirebbe.»
Riccardo sbiancò. «Non è possibile.»
«E invece.»
«Non potreste. È impossibile giurare su una qualunque persona del Continente che-»
«Non ho giurato su una qualunque persona del Continente. Ho giurato su una persona a me cara. Il patto funziona soltanto se i cinque sensi avvertono la veridicità dell'atto. Ho confessato il vero. E loro hanno accolto la mia richiesta, generando la luce che avete visto.»
Riccardo era senza parole. Il cuore ritornò a battere regolare. Se i Fae potevano giurare solo se erano affezionati all'umano in questione, allora significava che gli stava confermando di tenere a cuore la sorella. E no, Riccardo non lo aveva mai dato per scontato. Non conosceva tutte le promesse, le carezze, le parole e i gesti che la principessa e il Fae si erano scambiati nel corso di quelle settimane. La sincerità del loro affetto era un segreto inconfessabile. Sigillato. Una promessa tra i due.
Così, il Legendragon fece qualche passo indietro e scricchiolò le dita delle mani.
«Sua Altezza Reale chiedeva il vostro parere sulla questione del matrimonio. Non ha ancora digerito la vostra uscita dal consiglio politico dell'ufficializzazione, onde per cui gradirebbe una vostra presenza al prossimo per scusarvi e accettare di firmare l'alleanza.»
«Non firmerò le pergamene finali dell'alleanza se vostra sorella sposerà quell'uomo.»
Riccardo inclinò il capo. «Volete davvero mandare tutto all'aria per un capriccio? Mia sorella non sposerà il Wealthagon. Ci penserò io a-»
«Voi? E come? Con lo stesso polso saldo con cui avete affrontato i due quel giorno? Non basta una parolina di turno per fermare il volere di un sovrano come Xander Legendragon. Dovreste conoscerlo anche più di me, invece di blaterare sciocchezze.»
Riccardo si trattenne dal raggiungerlo e afferrargli il colletto della giacca blu oltremare. «Troverò il modo.»
«Sono solo parole.»
«Ma con quale arroganza mi state dicendo questo, Windothynn? Amo mia sorella più di qualunque donna al mondo. Secondo voi permetterei un tale affronto?»
Riccardo si alterò. Ma sul punto di perdere la pazienza... fu il Fae. Perché le nocche bianche e le dita strette intorno ai bordi del tavolo erano il suo messaggio in codice.
«Voi non avete idea di chi sia Dario Wealthagon.» rimproverò Dorian.
«Lo conosco fin troppo.»
«Un uomo che a poco più di vent'anni fa piegare sovrani con il triplo della sua età. Fatevi due domande. Un matrimonio combinato è una sciocchezza in confronto alle strategie abitudinarie che attua in politica. Non sono convinto che non abbia un'anima. Ma credo che l'abbia fatta sprofondare negli abissi del suo essere per accogliere il male supremo. Nei suoi occhi vedo una sofferenza gigantesca. Non ho idea di cosa abbia passato né mi riguarda, ma la falsità dei suoi sorrisi è una delle poche certezze che ho. I suoi occhi parlano come quelli di vostra sorella.»
Riccardo restò stupito. Dorian vedeva del buono in un uomo che aveva messo a ferro e fuoco dei reami?
«In ogni caso, posso riassumervi come so delle notizie. Ho delle spie a palazzo. Presenziano nei consigli di vostro padre, alle sue attività e... ai banchetti.»
L'ufficializzazione. I pensieri di Riccardo ritornarono al giorno in cui lui aveva pianto davanti alla sorella. E a cosa era accaduto quella sera. Nella sala reale e nelle stanze private.
E si prese una tacita pausa prima di sussurrare: «Quella donna sta passando gli Inferi.»
«Lo so.» mormorò Dorian, ancora più basso. «Ed è il motivo per cui non voglio trascorrere una notte insonne di più a pensare di non poterla aiutare. Sono l'unico che ha il materiale a disposizione per colpire Dario Wealthagon.»
Riccardo rimuginò su quanto detto dal Fae, poi chiese: «Quindi cosa vi hanno detto le vostre spie?»
«Che il re ha affrettato i tempi dell'ufficializzazione sia per la pressione dei Wealthagon che per paura di una mia rivolta. E adesso, sta cercando di minacciarmi con la firma per l'alleanza. Inoltre, teme il viaggio che ho fatto di recente.»
«Per quale motivo?»
Dorian sospirò. «Per le ricerche che avrei potuto fare.»
«Ovvero?»
«A palazzo abbiamo una biblioteca denominata "Angolo delle Vite Maledette". Fa riferimento a un accumulo di volumi, enciclopedie e manuali di ogni tipologia che riguardano leggende oscure, segreti inconfessabili e avvenimenti da ancor prima che voi nasceste. Ha una storia millenaria. Il posto che nessun sovrano del Continente potrebbe mai raggiungere, in quanto proibito. Solo le sacerdotesse e le Signore delle rispettive dinastie magiche possono entrarci. In caso di assenza, i loro discendenti. Ma questi saperi sono un'esclusiva degli "eletti": e solo io e mia sorella abbiamo ricevuto il passaggio di discendenza.»
A quel nome, Riccardo raddrizzò la schiena. «Lei dov'è?»
«Mia sorella?»
Riccardo annuì, fingendo disinteresse.
«Non mi è lecito saperlo. E in tal caso, non potrei comunque dirvelo.»
Il Legendragon si ammutolì, e fissò la parete in attesa del prosieguo del Fae.
«Come dicevo, vostro padre teme il ritrovamento di alcune pergamene e sigilli reali.»
«Che tipo di pergamene e sigilli?»
Dorian esitò. «Sono informazioni che non posso ancora svelarvi. Lo scoprirete a tempo debito.»
«Se a livello politico o personale riguardano mio padre, ne sono coinvolto tanto quanto voi.»
«Lasciatemi svolgere questo lavoro con discrezione. A tempo debito, mi sarete riconoscente.»
Riccardo preferì il silenzio. Dubitava della riuscita di quella programmazione segreta, ma domandò: «Funzionerà?»
«Liberarla?»
Riccardo annuì.
«Quanto siete disposto a rischiare per vostra sorella?»
«Tutto.»
«Bene. Allora funzionerà.»
«E voi?»
Dorian si avvicinò. I visi a sfiorarsi. Lo guardò negli occhi. Intenso. Serio. Cupo. E con un filo di voce, esalò:
«Tutto e oltre.»
Riccardo percepì dei brividi lungo la schiena.
Oltre. Aveva davvero bisogno di quella risposta? Doveva per forza mettere voce sul bene della sorella? E se Dorian la rendeva felice? E se fosse stato sincero? E se davvero... se davvero...
Mille riflessioni diverse e complicate gli frullarono nella testa. Tutte le sue occhiate erano rivolte alle forme dei denti incise sul collo del Fae. Quella parte era rossa. Non era difficile dedurre cosa fosse accaduto prima della sua entrata nella stanza dove li aveva beccati.
«È tutto?» chiese al Windothynn, non distogliendo lo sguardo invasivo dal collo.
Dorian annuì.
«Attendo la mia risposta.»
E il Fae ricordò. Gli doveva una confessione pesante come macigni. Il taglio sul braccio iniziò a pulsare. Un prurito insopportabile gli formicolò sottopelle. E lo sguardo minaccioso di Riccardo sembrava suggerire "provate a non rispondere, a mettere la sua vita a rischio e giuro che vi ammazzo".
Il Windothynn, con compostezza e grazia, azzerò la distanza tra loro due. Era più alto del Legendragon, onde per cui dovette chinarsi e avvicinarsi all'orecchio dell'erede per vociferare una risposta. Ma la lentezza del gesto stava anche a significare la difficoltà d'espressione. Come avrebbe "gettato in pasto ai lupi" il suo punto debole.
Dorian non sapeva se fidarsi.
Se dichiararsi in quella stanza di luci e ombre.
Ma con i raggi filtrati dalla finestra a riflettere nei suoi occhi di cristallo, si abbassò quel poco che servì.
«Victoria è la mia Dylajah.»
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