XVI. Audacia.

Soundtrack – "Table for Two (Extended)", Abel Korzeniowski + rain sounds.

Settimane dopo.

Una piacevole abitudine, dall'odore di bagnato, pioggia, ambra e legno di pino.

I libri della biblioteca reale di Legendragon avevano una storia secolare. Molte leggende sulla figura di Henry Legendragon, il fondatore divino della dinastia, concordavano sul ruolo primario del Dio nella costruzione di uno dei posti più invidiati del Continente. E poiché molte informazioni storiche erano reperibili solo tra le pagine di quei libri, la tesi sulle loro origini ultraterrene era sopravvissuta negli anni. Per alcuni, era stato lo stesso Henry a dare al suo popolo una conoscenza bramata anche dal più colto dei Wealthagon – noti per la cultura inarrivabile.

E con molta probabilità, quelle considerazioni invogliarono anche una donna curiosa e intraprendente come Victoria Legendragon nel trovare risposte impossibili ai suoi dubbi. Perché se quei manuali di pelle spessa erano una certezza per miti, leggende, racconti e tradizioni sul popolo dei Figli del Drago, le informazioni sui Fae dell'Aria erano contabili. Nessuna biblioteca era in grado di riportare la loro storia per intero, e si cadeva spesso in buchi di narrazione. Quella completa era nascosta nei meandri dei loro castelli, fra pagine ancora più ruvide e copertine ancora più antiche. E si spiegava anche il motivo del soprannome "la dinastia dei misteri".

Un po' come Dorian, pensò lei, mentre sfogliava l'ennesimo volume che avrebbe riempito le ore della sua mattinata. Alzarsi alle cinque era diventata una consuetudine. Victoria credeva che il tempo fosse prezioso, e nonostante la monotonia delle sue giornate aveva una spiccata tendenza per l'avventura e il sapere. E addentrarsi in quel posto alle sei e con una lanterna tra le dita era il riassunto del suo spirito libero. Il luogo non doveva essere accessibile alla nobiltà e alla servitù prima delle otto del mattino, ma lei aveva convinto il bibliotecario a lasciarle una copia delle chiavi, e la sua predilezione per il buio, la pioggia e il silenzio avevano superato ogni ostacolo.

Ma prima delle ennesime ricerche su ciò che la tormentava da giorni, Victoria trascorse quasi un'ora sui suoi libri preferiti. Misteri, magia e leggende sulle terre di Legendragon era il suo libro preferito in assoluto. Suo fratello lo aveva reperito dalle biblioteche reali di Wealthagon, in quanto la loro versione conteneva disegni a matita sulle foreste e i monti innevati del reame. Ma non solo. Oltre ai tipici pini e abeti di Legendragon c'erano anche rappresentazioni di pozioni, figure magiche, posti incantevoli e nebbiosi e piante particolari. Victoria si perdeva in quel lessico forbito una quantità innumerevole di volte. E a fine giornata, ricordava quasi tutto. Aveva una buona memoria che le aveva stimolato ancor di più la passione per la lettura. Non superava quella per la musica, ma le potenzialità della principessa erano numerose, e a Riccardo si stringeva il cuore tutte le volte in cui analizzava le lezioni della sorella. I programmi indetti dal padre erano sempre uguali. E quando era stato proprio il principe a farla assistere al repertorio di un suo amico musicista della corte di Firengon, gli occhi di lei si erano riempiti di gioia e gratitudine.

Viveva per la musica. Le note e le melodie la estraniavano dalla realtà, facendole immaginare nuovi mondi e avventure. Fantasticava su vascelli e navi, battaglie e tesori. Non amava il mare, ma avrebbe dato dieci dei suoi anni migliori pur di trascorrere un'esperienza indimenticabile con dei pirati alla ricerca di tesori perduti.

Quella mattina, ci si dedicò ancora. Sfogliò e lesse altre cento pagine del suo amato libro di pelle verde. Le rilegature dorate le donavano una sensazione di benessere ogni qualvolta le massaggiasse con i polpastrelli, e l'ocra delle pagine non le dispiaceva. Le dava una percezione di vissuto. Ciò che lei non sentiva di essere.

«Dannazione.» sospirò, seccata, all'ennesimo volume senza risposte.

Era il decimo. Alle nove del mattino. E Dylajah restava ancora un mistero.

Il termine usato dal principe Dorian nei loro attimi di piacere nella catapecchia la stava mandando fuori di testa. Certo, era consapevole che il gergo popolare di una dinastia fosse difficile a priori nel reperirlo, ma non impossibile. E lei si appigliava a quelle microscopiche possibilità di riuscita.

Sfogliava pagine, leggeva note e annotazioni a matita... addirittura dava una propria interpretazione ad altri termini presenti, come se tra le righe potesse esserci celato un significato più ampio, ma falliva. E le dita infilate nei suoi capelli corvino erano la dimostrazione della sua stanchezza.

Dorian le aveva promesso che, qualora fosse trascorso molto tempo dalle ricerche, avrebbe rivelato il mistero. E Victoria ricordava bene l'espressione divertita di lui alle sue imprecazioni.

Buon cielo. Quel ricordo la investì di tristezza e malinconia.

Il suo sorriso.

Erano trascorse due settimane. E lui sarebbe ritornato a corte da un momento all'altro. Due settimane in cui la principessa aveva evitato in ogni modo di incontrare il principe di Wealthagon nei corridoi di palazzo.

Era riuscita a intravedere qualcosa del suo aspetto. Lei non era il tipo di persona da giudicare un uomo o una donna dal vestiario, ma non aveva potuto non notare la qualità dei suoi abiti, lo scintillio dei suoi anelli e il trucco impeccabile sul viso che risaltava gli occhi del colore del ghiaccio. Ecco, quegli occhi li avrebbe ricordati in eterno. Anche in una stanza buia e tetra, l'avrebbero affascinata e intimorita. E ipotizzava che fossero quei dettagli a rendere Dario Wealthagon l'uomo più temuto del Continente. Piccole differenze che lo distaccavano dall'abitudinarietà degli altri. In alcuni aspetti, rivedeva sé stessa. La voglia di evadere, l'essere qualcuno, la cura per il corpo, l'amore per la cultura e il sapere, addirittura lo stesso portamento elegante.

E se non fosse stato per le scarse conoscenze sul suo carattere, Victoria avrebbe considerato il principe una sua versione maschile.

Quei pensieri la distolsero dalla situazione generale. Diede un'occhiata alla sua sinistra, e si rese conto che la candela dal profumo di cannella all'interno della lanterna si era consumata. Sospirò con una mano sotto al mento, e decise di chiudere il libro sulla scrivania. Poi si alzò, sistemò la sedia con cura, aggiustò le pieghe del suo abito verde scuro e camminò verso una vetrata della stanza.

Pensò anche a quanto amasse quel colore. Quando aveva dovuto fare il cambio, il suo armadio si era riempito di tonalità nere, verdi e oro. Impazziva per quei colori, e le serve e le dame le avevano ripetuto spesso che le sfumature smeraldo le risaltavano i lineamenti delicati del viso.

Smeraldo come l'anello del suo futuro marito, si ripeteva spesso. E le veniva da ridere ogni volta.

La principessa si appoggiò con la schiena sul cornicione della finestra e guardò il paesaggio esterno. Le gocce di pioggia scendevano sul vetro, e lei adocchiò due della stessa grandezza che si unirono in una sola traiettoria. Su altre due, invece, provò a scommettere e vinse su chi avrebbe raggiunto per prima la fine della finestra.

Inoltre, la principessa adorava la nebbia. E quel clima freddo e accogliente al tempo stesso. Perché le temperature rigide le permettevano sia di giocare con la neve nei giardini reali che sfruttare il fuoco nel camino per una bella lettura su un divano della biblioteca.

Il tempo le ricordava la sua anima. Il castello il suo cuore.

E ancor di più, amava le festività invernali. Quando la neve era così intensa da lasciarla senza respiro. I paesaggi che vedeva dai balconi di palazzo erano mozzafiato. E lei sognava di cavalcare un drago e osservare quei posti dall'estremità del cielo, oltre la nebbia e le nuvole, ma la paura per le altezze la limitava. Curioso, vero?, pensava spesso. Una Legendragon, nata per cavalcare draghi, che aveva il timore di qualche distanza di troppo.

Una fitta allo stomaco la fece ritornare nella realtà. In quell'ultimo periodo, erano aumentate. Le settimane erano trascorse lente, noiose, estenuanti. Lei aveva riempito le sue giornate di attività. Anche le più insulse pur di non pensare a cosa le mancasse.

O chi.

E strinse gli occhi e sopportò quel dolore ancora una volta. Non aveva fatto colazione, conscia di vomitare tutto nell'esatto momento dell'ultimo boccone. Ma si era promessa di mangiare di più. Di non ridursi a cene saltate e pranzi ridotti. Ed era abbastanza contenta del suo operato nell'ultima settimana, ma... non era abbastanza. Non per reggersi in piedi. E infatti, durante le lezioni d'arco, l'insegnante le urlava di concentrarsi di più, ignaro che la vista e il riposo mentale non fossero dei migliori.

La principessa dormiva molto, proprio per diminuire le ore in cui avrebbe pensato al cibo. Perché sì, pensava a esso. In modo costante e sfiancante. Solo una volta le era capitato di scendere nelle cucine di palazzo e farsi un'abbuffata, ma dopo che in camera aveva rigurgitato anche l'anima, si era promessa di non riprovarci. Mai più. Sebbene la tentazione di recuperare tutto il cibo evitato per giorni fosse sempre stata alta.

«Altezza.»

Una voce la fece voltare di scatto nella direzione della porta.

«Cosa ci fate qui?» chiese.

Kayos. Il capo della guardia reale. Uno dei pochi uomini di quel palazzo che, tutte le volte che la principessa entrava in una stanza o camminava nei corridoi, non la osservava con malizia. Victoria aveva sempre ipotizzato sulla sua età, ma l'uomo non l'aveva mai rivelato. E lei si era fatta un'idea che oscillasse tra quella di suo padre e quella di suo fratello.

«Vi rapisco.»

Victoria scoppiò in una risata. L'uomo aveva un sarcasmo che le era sempre piaciuto, anche perché lei non era da meno quando si impegnava. Lui le strappava sorrisi sinceri in contesti noiosi. Presenziava a molte delle lezioni giornaliere di palazzo, e Victoria guardava sempre nella sua direzione quando udiva o vedeva cose strane da parte di insegnanti e allievi, in quanto la guardia aveva sempre espressioni facciali esilaranti.

«Mio padre vuole gettarmi nelle prigioni di palazzo?»

«Non credo, ma se volete posso provare a chiedergli di cambiare il posto delle lezioni o a farvi dipingere le pareti di un bel grigio avvilente, così da ricordarle.»

«Sarebbe comunque una novità, no? Anche voi avreste altro su cui lamentarvi.»

«Non lo metto in dubbio, ma preferisco il chiacchiericcio frivolo delle vostre dame di compagnia rispetto al gelo delle segrete.»

Victoria fece una smorfia divertita e ritornò a guardare fuori. «Parlate.»

«Schietto e sincero? O girandoci attorno?»

«Ah, quindi c'è una scelta?»

«Avete sempre una scelta, milady.»

Un'altra espressione di disprezzo dedicata all'uomo che le aveva combinato un matrimonio fasullo.

«In realtà, sono due.»

«Allora partite da quella che mi farà irritare di più.»

«Vostro padre non vorrebbe vedervi così presto in biblioteca.»

«Siete un uomo di parola.» ironizzò lei.

«Confesso: questa fa irritare anche me.»

«Dunque, usate tutto il vostro fascino e vedetevela voi. Richiesta declinata.»

Lui rise. Era vero. Era sempre stato un uomo di bell'aspetto. Una chioma rossiccia, tendente al biondo se illuminata dal sole. Lentiggini numerose sul viso e occhi verdi come piante. Il fisico, inoltre, era uno degli argomenti più frequenti tra le dame della principessa. E lei sorrideva sconsolata tutte le volte che ricamava e udiva i loro commenti poco pudici sulle parti del corpo del cavaliere.

«Avete mai pensato di maritarvi?»

Lui alzò un sopracciglio. «E questa preoccupazione per la creazione della mia prole da dove scaturisce?»

Victoria fece spallucce. «Dico solo che avreste una vasta scelta.»

«Quanta premura.»

«Non sto scherzando. Le mie dame di compagnia attendono un responso da mesi.»

Lui rise di gusto. Victoria notò per la prima volta che quel suono ricordava la voce del fratello. L'uomo che, in quelle settimane appena concluse, le era stato accanto più di chiunque. Quasi ogni notte aveva dormito con lei. E in quelle ore, Victoria aveva fatto pace con la sua insonnia.

«Sono troppo giovani.»

«Neanche aveste la bava sulla bocca o le dita scheletriche.»

«Sono un uomo d'onore.»

«Talmente d'onore che non conosco neanche la vostra età.»

«Abbastanza da considerarle delle nipoti.»

Victoria si raddrizzò con la schiena e assottigliò lo sguardo. «Trenta.»

«Cosa?»

«Avete trent'anni circa. Me lo sento.»

«Ho dei numeri scritti sulla fronte?»

«Ho promesso a quelle donne di reperire questa informazione il prima possibile, e voi me la darete. Adesso.»

Lui ridacchiò ancora e scosse la testa, poi guardò il camino sul fondo della stanza. «Trentacinque.»

Victoria fece un gesto di vittoria con le mani, ma poi sgranò gli occhi. «Buon cielo.»

«Già.»

«E come avete fatto a raggiungere questo traguardo in così breve tempo?»

Lui spalancò la bocca e rise di un entusiasmo contagioso. «Sul serio il vostro primo pensiero non è stato la conferma a ciò che sostenevo ma una domanda sulla mia carriera bellica?»

Victoria sospirò seccata e appoggiò di nuovo la testa sul cornicione. Poi sorrise. «Ve li portate bene. Loro scommettevano venticinque, ventisei o addirittura venti.»

«Sono lusingato, ma fermo sui miei ideali.»

Victoria roteò gli occhi e il tono ritornò cupo. «C'è dell'altro?»

«Oh, sì. La notizia schietta.»

«Mio fratello ha smesso di evadere da palazzo e condividere donzelle con il Comandante dell'Esercito Supremo del Continente?»

«Sulle tresche di vostro fratello non sono aggiornato, ma sulla presenza a corte del principe Dorian Windothynn sì.»

Il salto che la principessa fece dalla finestra fu la rottura di cento protocolli reali di buone maniere. Raggiunse la porta con una velocità spaventosa, ma il cavaliere allungò una mano per afferrarle un polso.

«Dovete essere più cauta.»

Victoria non aveva mai visto una tale serietà negli occhi e nel tono dell'uomo. La stava rimproverando? Non proprio. Lo considerava più un avvertimento di precauzione.

«Qualcosa non va?»

«Il vostro comportamento.»

«Cioè?» si indispettì.

Kayos si leccò le labbra e guardò nelle zone oscurate della biblioteca. «Non potrò coprirvi a vita. Lo sapete. Sono stato sincero con voi fin dall'inizio.»

«E con questo cosa vorreste dirmi?»

«Che ho una reputazione. Un codice d'onore. Un ruolo che mi ha permesso di ridare valore e dignità alla vita da contadini dei miei genitori. Una posizione di rilievo in un mondo competitivo. E se venisse fuori che sorveglio le ali di palazzo, i corridoi e le stanze per farvi incontrare con il principe, perderei tutto.»

«Continuo a non capire.» mentì. Sapeva cosa l'uomo stava cercando di dirle. E il silenzio precedente alla risposta fu chiaro.

«Se fossi colto in flagrante e dovessi confessare tutto, lo farei. Lo farei per proteggere i sacrifici della mia famiglia, i miei e quelli dei miei futuri figli. In un mondo tanto egoista, è l'egoista ad avere successo, principessa. Ricordatevelo sempre.»

Victoria impallidì. Capì il suo discorso, ma... fino a un certo punto. Certo, il capo della guardia reale nutriva rispetto e affetto per lei, ma le stava dicendo che tutte le belle parole e i gesti fatti per lei avevano sempre un doppio fine? Un modo per ingraziarsi i favori del sovrano? E il mondo le crollò addosso quando iniziò a domandarsi qual era la linea di confine tra amicizia e dovere.

Lei non replicò. Le si era seccata la gola. Quella sincerità, tipica dell'uomo, era stata spiazzante. E mentre si dirigeva in silenzio e con lo sguardo perso sul pavimento dei corridoi, ci rifletté. Arrivò alla conclusione che poteva anche comprendere il suo senso dell'onore, ma... a cosa servivano i valori dell'amicizia e dell'amore in un mondo come quello? Erano davvero così eclissabili, a favore di un denaro sporco e glorioso?

Lei non era così, si ripeteva. Non si sarebbe mai piegata al volere di un tiranno per sopprimere l'amore nella sua vita. Se l'era promesso, e avrebbe portato avanti quelle certezze fino alla fine dei suoi giorni.

L'amore. Il motore del mondo. E da parte di un essere umano era sciocco e superficiale credere di non dipenderci. Un'autoconvinzione per evitare di prendere decisioni difficili, responsabili e significative.

E il suo mondo abbandonò il grigiore e si colorò delle sfumature più belle dell'universo quando lei si ritrovò il principe dell'aria alla distanza di pochi passi.

La principessa si portò una mano sul petto, e le gambe si irrigidirono. Non riuscì a compiere altri passi. Dorian era lì, all'entrata del portone principale del corridoio, mentre ascoltava gli aggiornamenti di un membro della cavalleria reale. Si torturava un anello con le dita e annuiva spesso.

Victoria sorrise nel riconoscerlo. Silenzioso e misterioso con chiunque... divertente e propenso al dialogo con lei.

Si sforzò di trovargli un difetto, ma ai suoi occhi non ne aveva. La chioma bianca era scompigliata, e quel dettaglio le riportò alla mente i ricordi del suo viso tra le gambe. Arrossì di colpo. La pelle era tendente alla colorazione olivastra che ricordava già, ma c'era qualcosa sul suo viso che era cambiato e non riusciva a comprenderlo.

Poi si rese conto di un velo di tristezza celato nei suoi occhi glaciali, e solo in quel momento appurò la comparazione con Dario Wealthagon. Avevano quasi la stessa tonalità. Il Fae vantava di sfumature celesti molto chiare, mentre quelli del principe straniero erano di quanto più simile alla neve.

E fu costretta a interrompere ogni ipotesi. Il cuore le raggiunse la gola. Pulsò senza un contegno e la debolezza nelle gambe la terrorizzò.

Dorian la stava guardando.

Nel momento esatto in cui aveva sollevato lo sguardo, lui era lì.

A ricordare il motivo per cui mille alibi diversi lo incatenavano in quella corte.

E a ricordare anche le ragioni per cui aveva ceduto, svelando la sua parte migliore.

E l'aveva sognata. Eccome se l'aveva sognata. E aveva riso, solo nel suo letto, tutte le volte che si era immaginato il viso rosso e il balbettio di lei mentre le avrebbe raccontato tutti i dettagli.

Ma in quel momento, Dorian non pensò ad altro. La testa si svuotò di ogni riflessione, e la conversazione con il nobile era stata abbandonata quando aveva notato gli occhi pieni di lacrime della principessa.

Santi numi.

Non avrebbe voluto. Non avrebbe mai chiesto a quella donna di affezionarsi così tanto a lui. Non se, giorno dopo giorno, lui metteva a dura prova i suoi obblighi morali sia verso una dinastia che lo aveva cresciuto che un sovrano che desiderava la pace nel Continente.

«Ne discutiamo in consiglio.» liquidò il principe, incrociando lo sguardo del nobile. Quest'ultimo annuì, titubante, poi si allontanò ed entrò in una stanza.

E fu allora che gli occhi di Dorian lacrimarono, e le sue labbra si curvarono in un sorriso che non aveva mai donato a nessuno. O quantomeno, a nessuno prima di lei.

Victoria non ragionò.

Corse.

Mandò agli Inferi la rigidità delle sue gambe.

E corse e corse e corse.

Spedita.
Senza scusarsi.
Né pentirsi.

Avrebbe potuto vederla chiunque. Ma non le importò.

Per la prima volta in tutta la sua vita... avrebbe corso il rischio di credere.

Dare spazio al cuore e mettere da parte la ragione.

Una ragione che l'aveva ingabbiata, privandola della libertà.

E saltandogli addosso, tra quelle braccia, Victoria assaporò la bellezza della felicità eterna. Calde e muscolose. Accoglienti. Come foreste, alberi, nebbia, neve, pioggia, magia. Il Fae che le stava stringendo la schiena con un'energia travolgente era il perfetto esempio di come i sogni nascevano con la consapevolezza di meritare una vita migliore, e con le cose che più si amavano al mondo.

Lei incrociò le gambe sul fondoschiena di lui, trascinandolo forte a sé. Poi avvolse le braccia intorno al suo collo, e il viso finì nell'incavo. L'odore di menta e pino le entrò nei polmoni mentre arrossiva per le mani di lui che le sistemavano la gonna rialzata dal salto.

«Preferirei che nessun altro si godesse il mio spettacolo.» le sussurrò divertito.

Oh cielo... quella voce... e quelle risate condivise...

Le era mancato al punto di vergognarsene. Ricordava a memoria il profumo della sua pelle, la morbidezza delle sue mani e la durezza dei suoi addominali.

Tutto. Ricordava tutto. Le piccole cicatrici sulla schiena, i muscoli delle gambe e del fondoschiena, ma... il sorriso.

Era quel sorriso niveo a farle crollare ogni muro emotivo.

Lei non poteva farcela. Non voleva più nascondere cosa provava per lui. Avrebbe voluto afferrargli un labbro con i denti e si era pentita più e più volte di non averlo baciato il giorno della partenza. Aveva sognato quel bacio nell'angolo della bocca anche a occhi aperti. E la sera, da sola nel letto, si era procurata del piacere pensando a lui.

Il libro che le aveva regalato il Fae era stato una scoperta. Oltre a pagine con contenuti molto espliciti per cui era avvampata intensamente, la donna aveva letto anche capitoli di "introduzione al sesso". Essendo il secondo volume di una tetralogia di racconti, aveva creduto a una sorta di continuo della narrazione tra primo e secondo. Eppure, il secondo l'aveva piacevolmente colpita.

Era lì che Dorian aveva imparato tutti i trucchi del mestiere?, si era chiesta all'inizio. Ma in realtà, i capitoli di introduzione erano molto vaghi a livello di immagini, e tanto motivazionali a livello di scrittura. E si era convinta che Dorian lo avesse regalato per quello. Donarle fiducia. Il messaggio del libro era uno soltanto: non esiste alcuna tecnica. È tutto nella testa.

E Victoria era sempre più conscia del suo limite primario. Ma in quel momento, non diede retta ad alcuna pagina, consiglio o altro. Era tra le braccia dell'uomo che aveva atteso per settimane, e la lacrima che le rigò la guancia destra la percepì anche lui. Dorian la strinse ancora più forte, e decise di farla volteggiare tra le braccia mentre le lasciava dei baci profondi sul collo. Victoria avvertì la morbidezza delle sue labbra anche oltre i capelli schiacciati dalla pressione. E una volta finiti i giri, raddrizzò la schiena e lo guardò negli occhi. A un centimetro dal naso.

Lei stava ansimando. Lui era semplicemente sconvolto dal modo in cui l'aveva accolto. Avrebbe potuto vederli chiunque, eppure erano lì a distruggere i loro pezzi di insicurezze.

E Dorian sembrò metabolizzare solo in quel momento cos'era appena accaduto: mai nessuna donna le era saltata in braccio e l'aveva stretto con quella paura interiore. Come se lui potesse sbriciolarsi fra le dita.

«Altezza, ascolta-»

«Vi ho pensato.» boccheggiò lei, il fiato consumato dalla corsa. Appoggiò la fronte sulla sua e chiuse gli occhi. Lui le strinse le cosce e la mantenne in equilibrio.

«Molto.» aggiunse, con il petto che faceva su e giù.

Anche lui socchiuse gli occhi, perché temeva il risultato di un altro secondo in più a studiare le labbra della Legendragon.

«Mi sono toccata.» sussurrò, avvicinandosi di più alle labbra. E lui inarcò la schiena.

Le tentazioni. Maledette tentazioni.

Il labbro inferiore della donna sfiorava il suo superiore. Era caldo. Caldo come la sensazione vorticosa che stava percependo nello stomaco e... nel bassoventre. Stava bruciando con ardore. Ogni muscolo del suo corpo gli stava chiedendo pietà per il modo in cui il seno di lei spingeva sul suo petto.

«E?»

«E ho provato piacere. E il vostro viso era lì. Sul mio cuscino. A vedere ciò che stavo facendo.»

Dorian non disse nulla. O meglio, si trattenne. Deglutì, poi strinse i denti. Con i pollici delle mani, le accarezzò le cosce nude. Le aveva scoperto il vestito per percepire meglio il contatto della pelle. E Victoria si era meravigliata della facilità con cui l'aveva afferrata e fatta volteggiare. In quelle braccia doveva esserci la forza di un esercito.

«Avete studiato?» sibilò lui, con un sorriso compiaciuto.

Lei annuì. Aprì gli occhi e notò il millimetro che li separava.

«Siete proprio un'alunna esemplare.» la stuzzicò.

«Ma all'alunna mancava il suo maestro. E immaginarlo nel suo letto, accanto a lei... l'ha aiutata a gemere. Gemere ed eccitarsi. Con una mano tra le gambe e... gli occhi sul soffitto e...»

Santi numi del fato.

Dorian intuì.

Stava cercando di farlo cedere.

La sensualità con cui gli stava sussurrando quelle frasi. La lussuria negli occhi.

Non era da lei. Non era così che l'aveva lasciata. E solo allora, con una pesantezza dura tra le gambe, anche lui si rese conto dei frutti di quella lontananza. E del modo in cui si desideravano entrambi.

«Voglio andarci cauto, Legendragon. Ve l'avevo già accennato. Vorrei...» prese fiato, e iniziò a modificare la disposizione delle mani. «Vorrei mostrarvi più di quanto accaduto in quella foresta. Ma non posso.»

Lei capì che le parole erano superflue. Non lo avrebbe mai convinto a osare con delle suppliche.

E attuò cosa aveva imparato su quei libri. «E io voglio mostrarvi un regalo. Come gratitudine per quello che avete fatto a me. Ho capito come ricompensarvi.»

«Ovvero?»

«Portatemi in una stanza. Al resto ci penso io.»

Pessima idea.

Davvero pessima.

Dorian se lo ripeté un'infinità di volte mentre lei lo faceva accomodare su una poltrona di pelle rubino. Si sedette ed esaminò la principessa. Dalla testa ai piedi, senza trascurare nessun dettaglio. Lei se ne accorse e arrossì parecchio aggiustandosi i capelli in una lunga coda di cavallo. E la schiena si riempì di pelle d'oca nel notare anche il cambio di espressione dell'uomo.

«Non vi avevo mai vista con i capelli raccolti.» sospirò, sincero.

Arya aveva ragione. Suo fratello anche. Il modo in cui la guardava... cielo. Era come divorare il suo corpo. A pezzi.

Victoria non aggiunse nulla. La timidezza stava prendendo il sopravvento, e nonostante fosse sicura delle sue azioni... temeva. Temeva di non soddisfarlo abbastanza. Temeva di provare imbarazzo e rovinare tutto. E si rimproverava ogni volta, perché il Windothynn non le aveva mai dato modo di sentirsi inadatta o disprezzata. Eppure, la testa le giocava sempre brutti scherzi.

Ma prese coraggio. Trattenne il fiato, si avvicinò e si sedette su di lui. Viso contro viso. A gambe divaricate.

Dorian restò immobile mentre lei, rossa in volto come le fiamme di un drago, avvolgeva le braccia intorno alla sua nuca. Lui l'aveva sollevata di poco per farle aderire bene, e percepì tutto il tremore nelle dita di lei quando avvolse i capelli bianchi intorno alle dita affusolate.

Dorian non si era mai sentito così teso in tutta la sua vita. Fece del suo meglio per metterla a suo agio. Con le mani sulle cosce scoperte dal vestito, compì dei movimenti lenti e impercettibili.

«Mi siete mancata anche voi. Troppo per ammetterlo.»

«Ma l'avete appena fatto.»

«Lo so.»

Il tono sofferto che stava usando la mandò in effervescenza, perché si sentì meno insicura ad avvicinare le sue labbra al collo di lui. Appoggiò le mani sulle guance del principe, poi lasciò un bacio tiepido al centro del collo.

Dorian gemette.

Gemette e pregò che le sue emozioni non svelassero troppo.

«Sapete dove dovrei essere adesso?» sussurrò ansimante, con gli occhi chiusi e il corpo in fiamme.

«Non voglio saperlo.» mugugnò lei.

Un altro bacio. Le mani strette sul viso di lui. E le gambe... oh, le gambe ancor più divaricate.

Dorian avvertì che i loro bacini si erano appena uniti. E all'ennesimo bacio di lei, e con una spinta dal ventre... Victoria capì. Capì cos'era a premere contro il suo interno coscia.

Un'ultima scia di baci coprì la mascella, e lui si trattenne dall'alzare il mento.

«Sono le lezioni?» le ansò.

«Certo.» gli biascicò. «Sto ripassando.»

Lui ridacchiò. «Solo piacere?»

«Solo piacere.»

Lo spero, pensò lui. Perché vorrei darti molto altro, vorrei regalarti le stelle e il cielo... ma troppe congiunzioni astrali ce lo impediscono. Non è nel nostro destino.

Ma Dorian si deconcentrò dalle sue riflessioni quando un bacio gli raggiunse l'angolo della bocca. E rise, rischiandone uno vero per il modo in cui curvò le labbra.

«Ve la siete legata al dito?» scherzò.

Ma Victoria non udì. E Dorian comprese che era eccitata. Eccitata e bagnata. Lui non poteva più frenare cosa gli stava facendo provare nel bassoventre. Il suo membro si era indurito e desiderava più di ciò che poteva avere. E passò i secondi peggiori della sua vita quando la principessa spinse di più il ventre contro il suo addome e sfregò le cosce nude sui suoi fianchi. Anche lei fece un gemito, nonostante fosse stato lui quello a doverla pregare di rallentare quell'audacia.

Quella versione della Legendragon lo confondeva, destabilizzava... ed entusiasmava. Troppo.

E il tormento che lei gli aveva riservato iniziò in quel preciso istante.

Victoria affondò, con una lentezza esasperante, i denti nel collo del principe. Lui non riuscì a controllare né il gemito né il sussulto. Victoria provò a raddrizzarsi per scusarsi, ma lui le avvolse le braccia intorno alla schiena e la bloccò.

«Vi ho fatto male?»

«Non vi fermate.»

Il luccichio nelle iridi glaciali le ridusse lo stomaco in subbuglio. E dopo averle implorato di non smettere, Dorian le portò una ciocca dietro l'orecchio con una mano libera.

«Siete ancora più bella di come ricordavo.»

Victoria non diede più una priorità alle sue emozioni. Si alternavano con una velocità da frastornarla. Dal sangue che le pulsava in ogni fibra del corpo allo sfarfallio nello stomaco. E gli occhi luccicavano come lacrime di gioia.

«Non ne ho mai fatto uno...» confessò, mentre gli accarezzava le guance con le nocche delle dita e non aveva il coraggio di guardarlo.

Anche lui le massaggiò una gota, poi schiacciò un polpastrello sul suo labbro inferiore. «Fate comandare loro.»

Lei sorrise a stento. «Mi duole dirvi che non sto scherzando. Potrei davvero farvi male inutilmente.»

«Ogni vostro tocco andrebbe benedetto dagli Dei, principessa.»

Il principe provò a confortarla, e lei trovò l'audacia per riprendere l'atto. Chinò di nuovo la schiena, avvicinò le labbra al suo collo e lui premette i palmi sulla schiena della donna. A lei mancò l'aria nel notare che la stesse incentivando a morderlo. E quando lo fece... oh, il gemito di lui.

Il gemito di lui l'avrebbe ricordato per anni. Secoli, se fosse stata una Fae con un'infinità di tempo a disposizione.

E così affondo i denti nella carne, e si godé la rigidità del basso ventre di lui e le spinte sulla schiena. Ma si lasciò andare anche lei mentre si strusciava con veemenza per sistemare la sua posizione, perché lui le aveva appena sciolto la coda. Il principe attorcigliò alcune ciocche corvino intorno alle dita. E all'intensità di lei, le tirò piano.

«Tocca a voi dirmi se vi faccio male.»

Lei negò categorica. L'unico dolore che stava sentendo in quel momento era lo sfiancante accenno d'orgasmo tra le gambe e la durezza dei suoi capezzoli premuti contro il petto di lui.

E la tortura crebbe.

Victoria osò.
E succhiò.

Succhiò con tutta la forza che aveva, e Dorian non resisté più. Sollevò il mento e le lasciò fare ciò che voleva. Si limitò a stringerle i capelli neri intorno alle dita, ma per il resto comandò lei. La donna si strusciò con passione sul membro del principe, e soffocò ogni gemito che fece.

La pelle del Fae aveva un sapore particolare. Victoria si ritrovò a desiderarne di più. Avrebbe voluto assaporare ogni parte del suo corpo con quella foga, e il pensiero la incentivò ad aumentare il morso sul collo.

Dorian strinse i denti per il piacere insopportabile. Victoria lo leccò per alternarlo al succhiare sfiancante, e le vibrò anche l'anima quando le mani del principe raggiunsero i suoi glutei. Fece un cenno affermativo ancor prima di sentire la domanda, e ringraziò la pioggia di sottofondo per la quantità di gemiti che le coprì.

«I miei pensieri non si sono limitati alla camera da letto...» ansimò il principe, stringendole forte i glutei. Lei sussultò di un piacere blasfemo e inarcò di poco la schiena.

«Vi ho pensata ovunque. Durante un bagno...» e strinse ancora «... in un consiglio politico...» le inserì le dita tra i glutei, e lei si staccò qualche secondo dal collo per fargli sentire i suoi gemiti. «... e persino nelle carrozze di andata e ritorno...»

Victoria ritornò a baciarlo, e succhiò da dove aveva lasciato. Lui continuò a stringerle i fianchi e pregare di non venirle addosso.

«Mi state bruciando il senno, Legendragon.»

Una confessione che la mandò in rovina. Il cuore le batté all'impazzata. Un ritmo forsennato dettato dal calore e dalla profondità della voce maschile.

«E questo regalo di benvenuto me l'ha disintegrato.»

Lei si strusciò.

E strusciò e strusciò e strusciò. Senza pietà.

Un cavallo imbizzarrito. Una delle corse migliori della sua vita, perché il traguardo lo ambiva da settimane, ma solo in quegli istanti avrebbe potuto raggiungerlo.

E poi, la principessa venne con un gemito dalla portata gigantesca. Ma quando notò che lui le stava facendo capire di non essere l'unica ad aver provato emozioni, si tranquillizzò. Tranne il cuore. Il cuore continuò a galopparle senza una meta dopo aver appurato quale durezza aveva avuto tra le gambe per tutto il tempo.

Dorian le portò altre ciocche dietro un orecchio, e le esaminò ogni centimetro di pelle del viso. E benedisse di non aver dimenticato nulla delle piccolezze della donna.

Ma il bussare sulla porta li fece uscire bruscamente dalla bolla magica che si erano creati.

Victoria riuscì giusto in tempo ad alzarsi, sistemarsi le pieghe dell'abito e i capelli. Ma quando Riccardo entrò nella stanza e non spiccicò una parola, la nobile dimenticò del rossore sulle guance, dei lacci del corsetto leggermente aperti e di una spallina portata giù. Entrambi dovuti ai movimenti sinuosi sul corpo del Fae. E Dorian non ricordò di coprire il segno sul collo che lasciava poco spazio all'immaginazione. Soprattutto a quella di colui che si faceva chiamare Amante di Fuoco nel resto del Continente.

«C'è...»

«Vostro padre, lo so. Lo raggiungo tra un minuto.» completò Dorian. Si alzò dalla poltrona e, come se nulla fosse accaduto, faticò a salutare la principessa con un semplice baciamano.

Non la degnò di uno sguardo, ma Victoria comprese la motivazione. Buon cielo se il fratello fosse entrato qualche istante prima! E lei, come una sciocca, si era dimenticata di chiudere la porta a chiave. Ripeté a sé stessa, fino allo sfinimento, che una tale dimenticanza non sarebbe più dovuta accadere.

E quando Dorian raggiunse e provò a superare la porta, e lei notò come il fratello gli aveva stretto il polso per dire a bassa voce "vorrei essere prima io a parlare con voi", una stretta allo stomaco e un nodo in gola la fecero pentire di aver desiderato, su quella poltrona, ogni microscopica parte di Dorian Windothynn.

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