XIV. Bramosia.

Soundtrack – "Age of Wonders (Full album)",
Brunuhville.

Victoria non ricordava l'ultima volta che qualcuno l'aveva stretta così forte per un semplice abbraccio. E Dorian Windothynn non faceva testo, si ripeteva con frequenza, perché il legame che avevano instaurato loro due non poteva essere paragonato a null'altro.

La notte che il principe l'aveva avvicinata al suo petto, con i corpi e le intimità bagnate per il piacere precedente... Victoria aveva percepito la testa più leggera e il battito del cuore accelerare forsennato. Per tutta la mattinata, aveva faticato ad addormentarsi, poiché le braccia di lui intorno al bacino le avevano tolto il fiato. Si era appisolata con l'odore di menta e pino nelle narici, e i capelli bianchi del Fae sulle sue gote arrossate e calde. Il sonno profondo non aveva impedito al giovane di rendere la Legendragon, per una notte, il cuore di un oceano in tempesta come lui.

Arya Legendragon, invece, aveva modi opposti al Principe di Ghiaccio. Mentre il nobile aveva un certo decoro nel toccare ogni centimetro di pelle, Arya non si poneva alcun problema a stritolare la sorella e rovinarle spesso l'acconciatura.

Era un uragano. Un fuoco divampante. Un'esplosione di gioia e colori.

Victoria sorrideva e scuoteva la testa tutte le volte che la sorella aveva comportamenti avventati o fuori dalle righe. Erano due personalità estremamente opposte, e forse era quella diversità a legarle così tanto. Eppure, alla maggiore non dispiaceva la rarità delle volte in cui erano in una stessa stanza, perché i litigi erano una certezza costante. Una discussione nasceva anche per il più futile dei motivi.

«Mi sei mancata da morire!» le borbottò Arya, con il viso nell'incavo del collo e le braccia intorno alla nuca.

Victoria era rigida, ma con calma accarezzò la schiena della minore quando si rese conto che non l'avrebbe lasciata con facilità. E il cuore le si addolcì, perché Arya non stava scherzando. Un altro aspetto positivo della loro abituale lontananza era il rafforzamento dei loro sentimenti. Perché potevano anche essere il giorno e la notte, il sole e la luna, ma si volevano un bene smisurato. L'una per l'altra, ci sarebbero sempre state. Indipendentemente da ciò che il padre avrebbe voluto per il loro futuro.

«Raccontami un po'.» bisbigliò Victoria, mentre versava il tè in una tazza bianca dai filamenti dorati. «Perché oh, so che vuoi farlo. Non attendevi altro che questo momento.»

Arya fece una risata gioiosa e spensierata. Era lo specchio della sua giovane età. Una dolce adolescente alle prese con l'avidità del mondo che la circondava. E a Victoria si stringeva il cuore tutte le volte che se lo ricordava.

«È pazzesca, favolosa, immensa!» spalancò le braccia per enfatizzare. «Il loro castello è freddo, molto meno ospitale del nostro – nonostante le temperature siano meno rigide di Legendragon – ma la loro sala da ballo... e i loro banchetti... la loro gioia... felicità... festosità...»

«Ti è davvero piaciuto.» constatò Victoria, mentre porgeva la tazza alla sorella. Poi, girò con un cucchiaio la cannella nel suo tè, e fece un primo sorso. Per poco non si scottò la lingua. Amava le bevande bollenti, ma le capitava di frequente.

«Non hai idea.» aggiunse la minore, poi addentò un biscotto alla menta. «Li hai preparati tu?»

«Non oggi.»

Spesso, per ammazzare la lentezza di quelle giornate tutte uguali, Victoria scendeva nelle cucine di palazzo per imparare ricette e aiutare la servitù dei cuochi di corte. E di solito si cimentava nel reparto della colazione, scoprendo di avere una grande passione per gli alimenti che contenevano la menta.

«Oh, immagino. Devi essere stata molto impegnata.» alluse Arya, e Victoria notò un velo d'ironia.

«Trascorro più tempo a lezioni d'arco e d'arpa.» precisò la maggiore. «Ed entrambe mi occupano spesso le ore mattutine. Nel pomeriggio ho danza ed equitazione, ma nell'ultimo periodo nostro padre mi ha limitato la danza e vietato di correre a cavallo fuori dai confini di palazzo.»

«Lui com'è?»

A Victoria si fermò il cuore in gola. Sapeva cosa le stesse chiedendo, ignorando del tutto le altre argomentazioni. E ringraziò di essere di spalle.

«Lui chi?» chiese la maggiore, e pregò che il filo di voce non l'avesse tradita.

«Oh andiamo, sorellina, se ne parla ovunque...» cantilenò Arya.

Per un frangente, Victoria avvertì il cuore aggredire la cassa toracica. Cosa si sapeva? I suoi pensieri galopparono nella mente e si fermarono davanti alla scena di lei e Dorian abbracciati sul pavimento della catapecchia, ma si sentì una sciocca anche solo a considerare un'opzione del genere. Nessuno sarebbe potuto venire a conoscenza di quei momenti così intimi. Era un segreto inconfessabile, e Dorian non l'avrebbe mai tradita.

«Non c'è una sola nobildonna del Continente immune al suo fascino. Cielo, Vic, è una divinità! Ho visto alcuni suoi ritratti dei pittori della sua corte e...»

«Sei stata nella sua corte magica?» domandò Victoria, con un accenno di panico. Aveva detto corte magica. Si maledisse. Si maledisse perché poteva immaginare il ghigno soddisfatto della sorella anche senza girarsi.

«Allora avevo ragione, lo conosci...» canzonò Arya, divertita.

Victoria desiderò sprofondare. Anche perché le parve assurdo che sua sorella avesse visto prima di lei una corte che sognava di ammirare da anni. Non era gelosa di quella visita che, con molta probabilità, le era stata donata dai nobili di Warriangon. Ma era titubante sul resto. Su quanto la sorella sapesse del Fae. Si erano incontrati? Avevano parlato? In che rapporti erano? Poi però rifletté. Arya non le avrebbe mai fatto quella domanda se non fosse stata sicura di non conoscerlo. E diamine. Era stata così avventata e cieca su delle conclusioni. Perché?

«Non ho mai visto un uomo più bello di lui.» aggiunse la terzogenita, sgranocchiando un biscotto pieno di cioccolato. «O meglio, è uno dei pochi nobili che può permettersi di non sfigurare nei dipinti, quindi non oso immaginare quanto possa essere magnifico a pochi passi da me. E poi, numi del Fato, ha delle spalle che...»

Victoria deglutì amaro. Le mani iniziarono a tremarle mentre portava il vassoio pieno di dolci sul tavolo che le separava. Eccome se conosceva quelle spalle. Aveva ammirato ogni centimetro del suo corpo il giorno in cui lui le aveva preparato quella colazione particolare.

«È alto.» affermò la maggiore, per allontanare lo sguardo della sorella dalle sue mani. «Molto alto.»

«Di quanto?» esclamò Arya, sempre più entusiasta all'idea di saperne di più. «Dove gli arrivi? Riuscite a guardarvi negli occhi?»

Buon Dei. A Victoria mancava da morire. Ogni espressione, sfumatura di voce e sorriso del Fae. Le mancava quel volto e quegli occhi che, ogni volta, la scrutavano con minuzia. Sentiva ancora le mani impresse sulle sue guance mentre lui le sussurrava di non accettare compromessi politici del padre.

«Stai arrossendo.» disse Arya, con il tono di chi aveva colto un ladro in flagrante.

Victoria spalancò gli occhi. Pregò di non balbettare. «Stavamo parlando della tua permanenza a corte Warriangon.»

«Oh, ma il modo in cui tremi e ti schiarisci la gola da qualche minuto è molto più interessante dei miei balletti sulle punte e degli occhioni dolci ai principini!»

A Victoria scappò una flebile risata. Con la sorella nei paraggi, era sempre arduo mantenere un'espressione disinteressata.

«Non ricordo.» mentì.

Lo ricordava con una precisione che le turbava il sonno. La sera, prima di dormire, Victoria immaginava tutte le volte che le loro labbra si erano sfiorate. Troppe. Troppe per poterle dissipare. Al gran ballo reale, nella foresta, nella catapecchia, qualche ora prima...

«Fingerò di crederci.» borbottò la sorella, delusa. Ma a Victoria non importò. Si sarebbe portata quel segreto nella tomba. Il rapporto che aveva con Dorian doveva restare lontano da occhi e orecchie indiscrete. Qualunque diceria sarebbe potuta giungere al padre, e non avrebbe sopportato l'idea di una reazione negativa nei confronti del principe. Non ora che erano a un passo dal mantenere la pace in tutto il reame.

«Comunque...» Arya si schiarì la gola, poi sorseggiò il tè prima di parlare.

Nell'attesa, Victoria si guardò intorno: la stanza che avevano scelto per l'occasione era semplice e curata. Un posto in cui la principessa accedeva poche volte all'anno, e per situazioni particolari. Il ritorno della sorella era uno di quelli. Era in netto contrasto con lo sfarzo di Arya, ma la genuinità del posto le ricordava perché la sorella, anche se ostentava ricchezze e gioielli, restava un'adolescente che amava le piccole cose.

«Sono stati i giorni più belli della mia vita.» raccontò Arya. «Feste, doni, ospiti, chiacchiere, musica e balli. Ogni giorno. Nelle ultime settimane ero arrivata a un punto in cui preferivo trascorrere più ore nella tranquillità delle mie stanze. Io, comprendi? Io che ho sempre amato il chiasso e la gioia! È davvero la corte dei miei sogni. E poi guardami» si alzò di scatto, e per poco non urtò la brocca del tè. Fece una giravolta, e il vestito si aprì a campana. «Il mio corpo si è ammorbidito, e mi sento bella! Bella come non lo ero mai stata prima.»

Victoria sentì una fitta all'altezza del petto. Arya era sempre stata una fanciulla dal fascino incontestabile. Lunghi boccoli bruni sulle spalle, una pelle più rosea rispetto a lei e degli zigomi pronunciati che accentuavano le gote di un rosso naturale. La principessa devota e accondiscende che ogni sovrano avrebbe desiderato per suo figlio. Quella che non avrebbe mosso un dito per un matrimonio combinato, a patto che la corte ospitante fosse ricca e piena di libertà. Victoria aveva cercato spesso di farle capire che i matrimoni di quel tipo erano rischiosi, perché non si poteva conoscere con assoluta certezza la persona che avrebbe accompagnato una donna per il resto della vita. Ma Arya chiudeva sempre un occhio davanti a quelle considerazioni. Contava l'apparenza. Ed era una delle tante questioni opinabili delle loro discussioni.

Ma ciò che turbò Victoria in quegli istanti fu una constatazione. La sua eccessiva magrezza in confronto al corpo in salute della sorella. Le si strinse il cuore a confermare che Arya avrebbe potuto indossare tutti gli abiti che lei, qualche settimana precedente, aveva dovuto buttare. Le sarte di corte avevano dovuto riprendere da capo le misure del suo corpo, rifacendo l'armadio dell'anno precedente. E se Arya non fosse stata così disprezzante nei confronti dell'usato, Victoria avrebbe potuto dare una seconda vita ai suoi meravigliosi abiti. E invece quelle riflessioni la tormentarono. La tormentarono di una realtà che le stava sempre più stretta. Ma cercò di non far notare alla minore i suoi occhi lucidi.

Dorian le aveva sussurrato spesso che erano uno specchio. Lei avrebbe potuto sorridere e ridere una quantità infinita di volte, ma i suoi occhi scuri e tenebrosi parlavano dove lei taceva.

«Invece tu sei dimagrita un sacco, sorellina... cosa è successo? Nostro padre ha imposto nuove regole assurde? Ecco perché cerco di restare il più lontano possibile da corte! Questa non è vita.»

Victoria guardò un punto del pavimento e serrò le labbra. Le sembrava un po' un affronto, ma scelse comunque di tacere. Arya era consapevole che la sorella non potesse oltrepassare quelle quattro mura senza un ordine del sovrano. Sin da piccola. Victoria non le diede una colpa per il commento sul fisico, non poteva sapere tutto ciò che ogni notte accadeva nelle sue stanze... ma si sentì comunque indifesa e vulnerabile. E desiderò di avere di nuovo le braccia di Dorian intorno al suo girovita. L'unico che non la giudicava, né chiedeva.

«Non mi hai ancora chiesto su chi ho messo gli occhi...» fece notare la minore, schioccando la lingua sotto al palato e tornando seduta.

«Ho dato per scontato che lo avresti accennato.» mormorò Victoria, ancora un po' stordita dal momento precedente.

«Prima però voglio sapere qualcosa in più sul tuo conto, sorellina. Ho parlato soltanto io.»

«Forse perché non c'è altro da dire.» Victoria fece spallucce. «E, come al solito, sei una gran chiacchierona.»

Arya ridacchiò e si portò una ciocca dietro un orecchio. «Se non vuoi parlarmi del Windothynn, allora raccontami di quel fustacchione dei Wealthagon a cui sei promessa sposa.»

A Victoria andò il tè di traverso. Il corpo e l'espressione si irrigidirono. Deglutì a fatica prima di rispondere. «Non sono promessa a nessuno.»

«Nostro padre sa della tua avversione?»

«Non ancora.»

«E allora non dare per scontato che possa ascoltarti. Più attendi, più farà di testa sua.» la schiettezza di Arya la fece raggelare.

«Non può decidere senza un mio consenso.»

«Tu dici?» ironizzò la minore. «E come lo interpreti il mio viaggio a tempo indeterminato in terra straniera?»

Il sangue le arrivò al cervello. Il battito accelerò. «Non sei stata tu a volerlo?»

«Certo. Ho accettato. Ma se non l'avessi fatto, sarei finita comunque in quella corte. Nostro padre vuole maritarmi con il principe Ector Warriangon. Erede al trono della dinastia. Ricorda bene queste parole: nostro padre non fa mai nulla a caso.»

A Victoria tremarono le gambe, e il cuore batté ancora più veloce. Cercò di mantenere la calma nel vociferare: «Sentirà le mie ragioni. Non lo voglio.»

«Nemmeno lo conosci.»

«Tu sì?»

«Ovvio.» cantilenò Arya, orgogliosa. «Chi non ha mai visto o sentito nominare il Principe Ghiaccio Senza Cuore? E ti dirò di più: gli Dei sono invidiosi.»

«Per?»

«Neanche il tuo amato Fae immortale può avvicinarsi alla sua bellezza eterea.»

Victoria fece un'espressione contrariata. «Non avevi detto che Dorian era l'uomo più bello che avessi mai visto?»

«È un uomo meraviglioso. Ma, oltre a non averlo mai visto di persona, sono sicura che non possa comunque competergli. Le donne della corte di Warriangon hanno un solo credo. Il principe dei Wealthagon si presenta spesso dal loro re per affari politici. Dovresti sentire i racconti e i pettegolezzi delle dame sulle loro esperienze carnali con lui... da girare la testa! Non ho mai visto così tanta lussuria e passione in un solo uomo. È violento. Ma non nel senso negativo del termine, oh no. Ti trasporta davvero in un mondo parallelo, folle e sfrenato, e spesso e volentieri ho udito gemiti dalle stanze di palazzo, anche da altri piani. Credimi, lo conoscono tutte. E ribadisco tutte. E poi, su Dorian lo avevo detto per stuzzicare te, dato che prima sei arrossita di brutto e ora ti sei tradita da sola, sorellina. Dev'esserci davvero un gran legame se sei giunta a chiamarlo per nome, non credi?»

Victoria desiderò sparire. Polverizzarsi.

Fantastico. Anche un futuro marito traditore, pensò. Era questo che il padre le stava donando? Aveva atteso tutto quel tempo senza un uomo per una prospettiva così scadente? E poi, dannazione. Dannazione a lei per aver chiamato Dorian con il suo nome. Arya aveva un fiuto infallibile per quelle questioni. E lei era caduta nella sua trappola.

«Come conosci Dario? Hai usufruito anche tu dei suoi... "servigi"?» cercò di giocare d'astuzia. Chiamò anche il principe dei Wealthagon con il suo nome. Così, se la sorella avesse chiesto, avrebbe avuto un alibi pronto. E non le importò neanche di essere così schietta. Non aveva nulla da perdere.

«Ahimè no!» esclamò, come se davvero fosse la disgrazia più grande dell'universo.

A Victoria venne da ridere. Il Wealthagon era davvero un maestro come si vociferava? Ma non le importava. E non capiva come tutte quelle donne potessero condividere un solo uomo.

Non era il tipo da giudicare la vita sessuale altrui, anzi. Non si era sentita in colpa neanche una volta di aver sperimentato quelle sensazioni con il Windothynn. E si era rasserenata a constatare che lui non si era sentito usato in alcun modo.

«Quindi l'hai visto?»

Arya fece un sorriso ampio. «Anche nudo.»

Buon cielo. La sorella non aveva alcun pudore. «Evita questi discorsi con nostro fratello.»

«Chi? La stessa persona che ha raggiunto la mia carrozza dopo una sveltina nelle stalle di palazzo?»

Victoria tentò in ogni modo di non sputare il tè che aveva raccolto nella bocca. La fortuna fu dalla sua parte.

«A parte gli scherzi, no. Non mi sognerei mai di spifferarglielo. È così protettivo nei nostri riguardi... e con te, lo è sempre stato di più. Sei la sua preferita.»

«Non dire sciocchezze.»

«È così. E non lo nasconde neanche.»

Victoria non notò nessun velo di gelosia o tristezza nei suoi occhi, e le dispiacque. Non era un segreto che era lei la sorella con un legame profondo con Riccardo.

Arya era sempre stata uno spirito libero. Girava le corti del Continente e ogni volta si dimostrava una buona dama di compagnia per le nobili di turno. Era perfetta per quel mondo e per quella vita colma di regole e protocolli. Victoria poteva giurarci che sarebbe diventata una buona sposa. E non avendo alcun vincolo con la corona di Legendragon – al contrario di Riccardo o lei – Arya poteva trascorrere il tempo come desiderava. E Victoria era sempre stata invidiosa di quella libertà intoccabile e immutabile.

«È stata una coincidenza, comunque. Una piacevolissima coincidenza...» squittì la giovane, prima di sorseggiare altro tè. «Una mia amica era stata invitata nelle sue stanze degli ospiti, e secondo te non avrei approfittato della porta socchiusa per sbirciare? Non immagini neanche la forza con cui la cavalcava...»

«Arya.» la rimproverò, ad alta voce.

«Come i loro fianchi andavano a ritmo... come la voce di lei era così stridula, affaticata e irriconoscibile... e come quel letto e quelle pareti tremavano... e le ginocchia e le mani di lui affondate nelle coperte...»

«Arya. Santi numi.» Victoria si portò una mano sul petto e le mancò l'aria.

La sorella ghignò. «Sei così pudica, sorellina cara. Dovresti chiedere al tuo Fae di mostrarti un po' di piaceri della vita. Credimi, è... spettacolare. Sensazioni irripetibili. E poi, ho saputo che il biondino ha una fama dignitosa. Solo il principe di Wealthagon e il Comandante dell'Esercito Supremo fanno più strage di lui. Il Principe Dorian può vantare più anni, certo, ma la frequenza con cui quei due stranieri entrano nei letti delle donne...»

«Vado a prendere altro tè.» Victoria si alzò di scatto, e Arya rise al tono autoritario.

«Non sono più vergine.»

E quel tè nella brocca tra le mani, Victoria lo rovesciò tutto. Fece giusto in tempo a non bagnare i vestiti della sorella, e non seppe se dar retta alle risate scomposte della giovane o alla macchia scura che si allargava sulla tovaglia.

Ma non attese per domandarle in fretta: «Che stai dicendo?»

«La verità. Che non lo sono più.»

«Dei...» imprecò Victoria, portandosi una mano sulla fronte e chiudendo gli occhi. Sistemò in fretta e furia la tovaglia, chiamò una serva nella stanza opposta per farla sostituire, poi ritornò a rimproverare la sorella con lo sguardo.

«Sei impazzita?» bisbigliò, con gli occhi sgranati. «E buon cielo, abbassa la voce. Ciò che hai fatto è...»

«Immorale? Scandaloso? Profano?» cantilenò Arya, con una calma agghiacciante.

Victoria dovette sedersi e regolarizzare il respiro con una mano sul petto. «Arya...»

«Ector Warriangon era di una tale noia... se dovrò sposarlo, vorrò quantomeno un amante degno! Poi chissà, magari il destino della nostra unione mi darà dei benefici e nutrirò un sentimento nei suoi riguardi... ma per ora, voglio divertirmi un po'.»

A Victoria si ovattò l'udito. Sua sorella era spregiudicata, folle, sconsiderata. Si ritrovò a pensarlo e ripeterlo un'infinità di volte. Era più piccola di lei, ma che gli Dei la proteggessero per come stava prosciugando i suoi anni migliori.
Ed era in momenti come quelli che Victoria soffriva la mancanza di una madre che potesse consigliarle e guidarle entrambe in un mondo di troppe insidie e dolori.

Arya era molto più intelligente e scaltra dell'età che aveva. Aveva sempre mostrato una certa attitudine a cacciarsi nei guai. Spesso era stata trovata da Riccardo in compagnia di più uomini, e il principe aveva perso le staffe quando aveva visto quegli schifosi – come li chiamava prima di riempirli di pugni – allungare le mani sotto le gonne della sorella approfittando della sua bontà.

Una volta, Arya e Riccardo non si erano parlati per mesi. Suo fratello non le aveva addossato colpe per quel gruppo di nobili adulti che l'avevano accerchiata nei corridoi di palazzo a un banchetto di corte, ma il fratello temeva per l'incolumità della minore, e spesso l'impulso aveva la meglio e le urlava di cambiare vita. Voleva soltanto il suo bene.

Victoria, invece, non gli aveva mai dato preoccupazioni di quel tipo. E un giorno, in preda alla rabbia, Riccardo aveva urlato ad Arya che Victoria aveva il doppio della forza di volontà di lei, perché solo una volta aveva dovuto subire sonori schiaffi dal padre per un'occhiata di troppo a un consigliere di corte, e da allora non aveva più osato sfidare le leggi – nonostante desiderasse con tutto il cuore di sperimentare i piaceri della vita. Da quel giorno disastroso di urla e accuse, il rapporto tra Arya e Riccardo si era raffreddato.

«Caspen Firengon è un gentiluomo d'altri tempi.»

Victoria si destò dalle sue riflessioni e ritornò nella realtà, scuotendo la testa.

«Cosa?»

«Hai sentito bene. La corte di Firengon è nota per l'eleganza delle sue donne e la gentilezza dei suoi uomini. Sono pur sempre i Figli dell'Amore, no? Intere generazioni dedite al piacere e alla bellezza...»

«Hai esagerato, Arya.»

La voce di Victoria fu dura. Non come poteva essere quella di Riccardo, ma sapeva farsi valere quando qualcosa intaccava i suoi ideali.

«Sei tu che stai esagerando.» rimproverò Arya, improvvisamente seria.

«Sono l'ultima delle persone al mondo che ti vieterebbe ciò che ti fa stare bene e ti allontana dalla monotonia della nostra corte. Ma se nostro padre vuole che sposi il principe di Warriangon, perché devi complicare tutto? Hai idea di come reagirebbe se venisse a sapere che hai violato il protocollo matrimoniale del Continente?»

«Vadano agli Inferi loro e queste stupide leggi secolari!» esclamò la giovane. Si stava innervosendo. «Sei davvero convinta che tutte le principesse del Continente siano pure e caste come vogliono far credere? Che ingenua che sei...»

«Non ho detto questo.» vociferò Victoria, con la solita calma che la contraddistingueva.

«Hai mai sentito le voci su Erys Wealthagon, la sorella di Dario? Dicono che abbia una vita spericolata quasi quanto il fratello, e addirittura ci sono pettegolezzi che la vedono in tresche con lui e il Comandante dell'Esercito Supremo.»

A Victoria si fermò il cuore in gola.

Incesti. Tradimenti e incesti.

Le stava bastando per rifiutare categoricamente la proposta di matrimonio del Wealthagon. Nel Continente, quella pratica non era una novità. Era proibita e immorale, ma esisteva da secoli e nessuno aveva creato o stipulato leggi per fermarla. Addirittura, Victoria aveva scoperto tramite Dorian che le dinastie Fae, per mantenere il "sangue puro" delle loro casate, facevano accoppiare sorelle e cugini. Dorian aveva delle cicatrici sulla schiena – create da frustrate – per un motivo preciso. Si era rifiutato di rovinare la vita di sua sorella Aeghena, né quelle tipologie di relazioni rispecchiavano la sua morale. E solo i coraggiosi come Dario avevano la sfacciataggine di non smentire le voci sul proprio conto. O forse era la posizione a proteggerlo così tanto, pensò. Perché un semplice popolano non avrebbe certo avuto lo stesso trattamento di un Figlio dell'Oro se fosse stato scoperto con una prole generata con una sorella.

Victoria storceva il naso tutte le volte che un incesto veniva ignorato e si bruciavano persone accusate di avere relazioni con umani dello stesso sesso. Si era giurata che un giorno avrebbe fermato quell'abominio di vite umane ridotte in cenere.

Un giorno sarebbe stata una regina. Se lo sentiva. E avrebbe dato a quella gente che voleva solo amare un posto sicuro in cui desiderarsi.

«Quindi, risparmiati la morale. Nostro padre non lo saprà mai perché sarò discreta. Una volta che sarò sposata con l'uomo che mi ha scelto, senza darmi la possibilità di obiettare, il principe Caspen diventerà un consigliere a tempo parziale della corte di Warriangon. Corteggiare il principe Ector è servito a qualcosa.» ridacchiò Arya.

«Perché?»

«Perché mi è bastato alzare la gonna per chiedergli di promuovere Caspen come messaggero estero tra le due corti.»

«E non ha sospettato di...» Victoria deglutì. «... di un tuo coinvolgimento emotivo?»

«Certo.»

Victoria si irrigidì. «Lo sa.»

«Ovvio.»

«E?»

Arya sorseggiò altro tè, e si guardò intorno con dolcezza e innocenza. Come se tutto quello che aveva detto fino a quel momento fosse stata un'allucinazione collettiva.

E rise prima di sussurrare: «Ti avevo confessato di non essere più pura... ma non come.»

Gli ingranaggi nel cervello di Victoria assunsero una posizione che la disintegrarono dall'interno. Sgranò gli occhi e la paura la divorò. «Arya...»

«Fai un favore a te stessa, Vic. Vai a letto con due uomini in contemporanea. E poi ne riparliamo. Te lo auguro, un domani. Con tutto il cuore.»

«Numi del cielo...» ansimò Victoria, alzandosi. Arya le afferrò un polso per non farla scappare. «Ho bisogno di aria.»

«Ce l'hai davanti.»

Victoria non rise alla battuta della sorella. Era sconvolta.

«Non potrò proteggerti, Arya. Non potrò fare nulla nel caso nostro padre... Dio. Ti prego. Dimmi che ti stai di nuovo prendendo gioco di me.»

«Non voglio la tua grazia, né il tuo perdono, né la tua protezione.» canzonò Arya, alzando un sopracciglio. «Nostra madre avrebbe dovuto pensarci due volte prima di abbandonarci. Quindi, faccio quello che mi pare con le mie regole. Non starò a girarmi i pollici solo perché un padre pudico e scellerato me lo impedisce.»

Victoria sapeva che, dietro quell'aura di sensualità e sicurezza, si nascondevano le sue stesse fragilità. Entrambe avevano sempre desiderato una figura materna che le consigliasse. Riccardo non avrebbe potuto proteggerle a vita. Un domani, anche lui si sarebbe sposato e avrebbe avuto dei figli. E loro, come ogni giorno delle loro esistenze, sarebbero state di nuovo sole. Perciò, non se la sentì di giudicare la sorella.

Una notte, mentre si erano coccolate nel letto della maggiore, Arya era ubriaca e le aveva confessato che non riusciva a dare un freno alla sua vita perché era tutto ciò che le restava oltre quelle quattro mura di verde e oro. Il loro padre le aveva private di qualsiasi contatto fisico con gli uomini, e i passatempi di corte erano pressocché gli stessi da anni. Una monotonia con cui Victoria aveva imparato a convivere solo perché altrimenti avrebbe ricevuto violenze che non sentiva di meritare. Arya invece rischiava. Rischiava di farsi scoprire ogni giorno. E quel suo essere terzogenita e senza impegni dinastici avrebbe addolcito le conseguenze delle sue azioni qualora fosse venuta allo scoperto.

«Voglio che tu sia felice.» sussurrò Victoria, sedendosi di nuovo. «Solo questo.»

«E allora non fermarmi. Se mi vuoi bene, non farlo.»

«Ma permettimi di essere preoccupata.»

«Non te lo sto negando. Ma non ti ascolterò. È meglio che tu apra gli occhi su ciò che sono e ciò che voglio, Vic. Abbiamo prospettive di vita differenti.»

Quelle parole pesarono alla maggiore come un macigno. «Io non ho mai avuto scelta. È diverso.»

«Questa è la scusa che ti propini tutte le volte che vedi il Windothynn nei corridoi? O tutte le volte che fai una fantasia sulle dimensioni del membro del Wealthagon?»

«Arya.»

«No, Vic. Non usare quel tono alto con me. Chi ti vuole bene dovrebbe dirti la verità in faccia come sto facendo io in questo momento, e non rinchiuderti in una gabbia. Stai permettendo a nostro padre di limitarti.»

A Victoria tremò la voce. «Eri nata da poco quando lui ha alzato le mani su di me. Ti prego di non giudicarmi se non voglio più rivivere quei momenti. Ti prego di accettare che non ho intenzione di vedere mio fratello urlare in quel modo, di esporsi e rischiare una scomunica storica solo per difendermi.»

«Riccardo ha fatto ciò che era giusto. Nostro padre è uno stronzo. E tu meriti di meglio.»

La sincerità della sorella la spiazzò come un vento gelido sulla pelle.

«Puoi guardare un uomo senza sentirti sporca, Vic. Dannazione, mettitelo in testa.»

«Guardare è un conto. Toccare è un altro.» e si sentì una bugiarda. Una tremenda bugiarda a ricordare cosa avesse fatto di nascosto con Dorian.

«Ritorniamo a parlare del vizioso dei viziosi. Il principe dei Wealthagon.» Arya picchiettò le unghie lunghe sul tavolo. E solo allora Victoria notò il nuovo anello sull'indice della mano sinistra. «Cosa farai se te lo proporrà?»

«Di che parli?»

«Di scopare, Vic. Chiamiamo le cose per ciò che sono.»

Altra schiettezza. Altro tono che fece sussultare la maggiore.

«Hai sentito ciò che ho detto, no? Lui è un uomo privo di regole. Poche, pochissime donne del Continente non gli hanno spalancato le gambe a mo' di banchetto nuziale. Cosa farai quando ti proporrà di fare l'amore nelle tue stanze?»

Santi numi del cielo. Victoria avvampò con una facilità mai avuta prima di quel momento. Deglutire le fu difficile, parlare impossibile.

«Non lo chiederebbe.»

«Ah no?» schernì Arya.

«No. Perché conosce le regole di questa corte. Sa che devo aspettare il matrimonio.»

Arya fece una risata sguaiata che la imbarazzò.

«Sei seria, Vic?!»

«Serissima.»

«Numi del fato. È più grave di quel che pensassi.» Arya si sistemò le pieghe dell'abito rosato prima di aggiungere: «Dovrò ricordarmi di questa tua battuta infelice domani, sulla carrozza di ritorno. Almeno avrò un passatempo.»

Carrozza di ritorno. Quindi era confermato. Xander stava costringendo sua sorella a corteggiare l'erede di Warriangon già anni prima del matrimonio. Dopodiché, eccola lì. L'ennesima alleanza che avrebbe garantito il rafforzamento del suo trono e del suo potere sul Continente. Un passo in più per il Trono dei Troni. Un altro per la carica di Re dei Re. La sola ambizione e le battaglie a separarlo dal suo traguardo più glorioso.

«Mi vuoi bene?» domandò Arya.

«Certo che te ne voglio.» affermò Victoria, sconsolata.

«E allora promettimelo.»

«Cosa?»

«Promettimi che se provi attrazione per quel Fae te lo porterai a letto. E promettimi ancora che, se il Wealthagon ti vorrà come moglie, tu non obietterai. E farai la vita da principessa che meriti. Con vizi e libertà. Resisti, Vic. Dopodiché sarai libera.»

«Non è libertà abbandonare un padre per farsi rinchiudere da un altro uomo, Arya.»

«Il principe Dario non ti farebbe mancare nulla. Posso garantirtelo.»

«Arya.»

«Smettila di punirti, Vic. Smettila di essere così cocciuta e autocritica con te stessa. Goditi un uomo che possa farti battere il cuore. Fatti sfiorare, toccare. Gemi. Gemi, urla, boccheggia, scalcia e sussurragli che lo ami. Ma non dare mai, mai soddisfazione a quel maiale di nostro padre di avere la meglio su di te, su Riccardo, sulle nostre libertà e sui nostri sogni. Cacciate gli artigli, dannazione. E prendetevi ciò che volete a ogni costo. Riccardo l'ha già capito da tempo. Ora, tocca a te. Cedi al principe Dario e datti una possibilità.»

A Victoria batté forte il cuore. La voce alta della sorella avrebbe potuto udirla chiunque. Era stata più alterata del normale. Ed era sicura che le serve nascoste nella stanza adiacente alla loro avessero udito tutto. Ringraziò che fossero tutte sue amiche.

Bussarono alla porta in quel momento. Arya si sedette come se nulla fosse accaduto, Victoria sobbalzò e rispose con un avanti.

E quando sull'uscio comparve una chioma bianca e due occhi chiari come il cielo, il suo cuore galoppò inferocito.

Arya sputò tutto il tè che stava sorseggiando. Per la prima volta in vita sua, mandò agli Inferi le buone maniere e la compostezza.

«Oh Dei. È una visione ultraterrena.»

E non si vergognò di esclamare quelle parole. Neanche per un millesimo di secondo.

Dorian accennò a una riverenza. Victoria si alzò in piedi, e ringraziò che la sua gonna coprisse le gambe tremanti. Ma le mani...

«Perdonate l'intromissione, signore.»

«E ha anche una voce da far vibrare la colonna vertebrale.» replicò la minore alla sorella. «Cosa stai aspettando a saltargli addosso?»

Nella sua vita, Victoria non era mai stata così in imbarazzo come in quel momento. Era sicura che il colore della sua pelle fosse cambiato del tutto, tendente al rosso.

«E diamine, come ti guarda...»

Victoria si girò di scatto. Il sussurro della sorella le fece sgranare gli occhi.

Era vero. Dorian aveva dato una breve occhiata di rispetto alla minore. Dopodiché, per il principe era esistita solo la Legendragon. Come se in quella stanza ci fossero stati solo loro due. Ignari delle serve che stavano sbirciando e ridacchiando dalla porta della stanza adiacente alla sala da tè.

«Vorrei parlarvi un minuto da soli, altezza.»

Victoria non riuscì a ragionare. Le sembrava tutto così surreale. Ma recuperata un po' di forza, chiese alle serve di congedarsi. Chiusero la porta, e lei avanzò di poco verso il nobile.

Arya non diede il tempo di una replica. Si alzò di scatto, raggiunse il giovane con una breve corsa sgraziata, si inchinò e tese la mano.

Dorian si irrigidì, ma poi trattenne una risata per miracolo. Non aveva mai visto nulla del genere. Mentre Victoria sì. Troppe volte. Con ogni nobile di bell'aspetto che catturasse le attenzioni della sorella. E si scusò con gli occhi per il comportamento sconsiderato della minore, ma quelli di Dorian sembrarono dirle non preoccuparti.

Dorian si dimostrò un gentiluomo. Si avvicinò per afferrare con delicatezza la mano della donna, e la baciò sul dorso.

«La principessa Arya di Legendragon, altezza.»

Arya anticipò le parole della sorella di un secondo. Victoria richiuse la bocca e si sentì piccola e invadente. Ma Dorian tornò a guardare lei.

«Quale buon vento porta questo giovane aitante nelle stanze della mia dolce e pura sorellina?» chiese Arya.

Victoria avrebbe desiderato il potere del fuoco. Pregò che la minore smettesse di metterla così in imbarazzo. Non davanti a lui, buon cielo!

«Affari politici, milady. Le ruberò solo un minuto.»

Dorian aveva dato un'occhiata veloce ad Arya. Il tempo di una risposta. Poi, di nuovo gli occhi dolci alla maggiore.

Ti prego, pensò Victoria della sorella. Non dire nulla. Non peggiorare la situazione. Trattieni cosa stai pensando.

«Sono anch'io figlia del re con cui avete un'alleanza, sapete?»

Dorian si girò di scatto. Era la sorella di Victoria? Sul momento non aveva collegato. Poteva essere una cugina, una lontana parente... Legendragon era la dinastia nobile più longeva e numerosa.

Aprì bocca per scusarsi, ma Arya aggiunse: «Nessuna smanceria di perdono, milord. Imparerete a conoscermi e capire che non sono come le altre donzelle che arrossiscono a una vostra dolce parolina. Oh, eccetto mia sorella. Lei la comprendo.»

Victoria era paralizzata. Le sembrava un incubo. Ma quando notò la tranquillità nello sguardo del nobile, si rincuorò quel po' che bastò per non sbraitare contro la sorella.

«Quel che sto cercando di dirvi è che vorrei proteggere sia voi che lei. Il re sa che siete giunto fin qui?» domandò Arya.

Dorian si irrigidì. «No, milady, ma-»

«E accade spesso?»

Sia Victoria che Dorian ricordarono due stalattiti. Lui annuì. E lei notò che il Fae aveva una capacità di controllo fenomenale.

Era lei. Era l'erede l'unica eccezione con cui lui spiccicava più di due parole in fila.
Lei e nessun altro.

«Bene. Allora concorderete con me che la mia presenza può garantirvi la piena libertà delle vostre azioni. Potreste slinguazzare mia sorella e manterrei il segreto a vita.»

«Arya!»

Victoria non riuscì a trattenere quel rimprovero. Era sfinita. A Dorian scappò una risata, chiuse gli occhi per un secondo e scosse la testa.

«Dai, sorellina! Sto solo sciogliendo un po' il ghiaccio! E lo ammetto, sono un po' gelosa.»

«Va bene, potete restare.» informò il Windothynn.

«Se me lo dite con questa voce potrei farvi proposte indecenti, altezza...» ammiccò la minore, e Victoria aprì di poco la bocca e aggrottò le sopracciglia.

Dorian non aveva mai trattenuto così tante risate nella sua vita secolare. Poi, si schiarì la voce e ritornò a guardare l'erede.

«Starò lontano da corte per circa due settimane.»

«Proprio ora che stavo imparando a conoscervi?» intervenne Arya, scherzosa.

Victoria non ebbe la forza di ammonirla di nuovo. Il tono malinconico del principe aveva avuto tutta la sua attenzione.

«Perché?» sospirò a fatica.

Due settimane. Le stava crollando il soffitto addosso.

E Arya non intervenne come a suo solito. Il fiato le venne meno quando notò... come la guardava.

Santo cielo, come guardava sua sorella. Un uomo l'aveva mai divorata in quel modo?
Si rispose da sola. No. Mai.

Dorian si perse negli occhi di Victoria. E deglutì prima di sussurrarle, avvicinandosi di più: «Devo fare alcune ricerche. Ho bisogno di tempo perché la zona che dovrò perlustrare non è accessibile. È una biblioteca proibita. Ma è l'unico posto del Continente in cui posso trovare le risposte che cerco.»

«Quali risposte?» il tono di Victoria era angosciante.

Dorian stette in silenzio. Non ruppe il contatto visivo con lei.
E Arya, la spavalda, schietta e intrepida Arya di Legendragon... si sentì di troppo. No, confermò. Nessun uomo mi ha mai spogliato in quel modo con un semplice sguardo.

«Su quello.»

«Quello cosa

Dorian si avvicinò di più e sussurrò ancor più piano. «Non devi mollare, Victoria. Ricordi?»

Arya sgranò gli occhi. Ma per la prima volta in vita sua, conobbe la sensazione della riservatezza. Avrebbe fatto finta di niente. Avrebbe ignorato sia il tu a sua sorella sia il modo in cui il principe aveva fermato la mano destra giusto in tempo. Avrebbe voluto accarezzare la schiena della Legendragon, ma era rimasta sospesa. Quasi come a percepire lo sguardo invadente di Arya, Dorian la ritrasse.

E Victoria intuì. Il matrimonio.

«Non-»

«Non ditelo, altezza.»

«È una zona proibita. Non so dove si trovi, siete stato chiaro.»

«Non importa.» sussurrò il giovane, come un'amante alla sua donna. «Correrò il rischio.»

«Non per me. Non ve lo permetterò.»

La mascella del principe si indurì. Lui avrebbe voluto dire altro, ma la presenza di Arya...

Con gran stupore di Victoria, Arya indietreggiò. Andò nella direzione del tavolo, iniziò a sistemare le tazzine da tè e finse indifferenza. Ma si promise di udire qualunque cosa fosse uscita dalle labbra dei due.

«Devo farlo. Non privatemene. Ve ne prego.»

E Victoria chiuse gli occhi. Sospirò piano. La vicinanza del nobile le permise di annusare di nuovo quel profumo di neve, pino e menta che la frastornava.

«Prima parto, prima tornerò.»

«Ci lasciamo così, dunque? Oh, e io che pensavo non ci fosse nulla di più avvilente di un bacio sulla soglia di una porta...» ironizzò la principessa, con ironia malinconica.

E arrossì d'un colpo a sentire la mano del principe a premerle la schiena – per azzerare le distanze – e le labbra su un angolo della bocca.

L'angolo. Le stava baciando un angolo.

Dorian stava premendo con una forza che... no, non ragionò più. Il cervello le andò in effervescenza. Non capì più nulla.

La stava baciando quasi sulla bocca.

Quasi sulla bocca.

Quasi.

Sulla bocca.

Aveva perso la cognizione del tempo e dello spazio. Le tremò anche l'anima.

E non seppe quale Dio dell'Olimpo le permise di non compiere l'errore madornale di spostare le labbra e unirle a quelle del principe.

Eppure, era anche avvampata come lava nel percepire la morbidezza delle labbra del Fae in un punto così umido. Umido come le sue gambe in quella notte che lui aveva strofinato le dita sull'intimità di lei.

Quei pensieri le affollarono la mente senza pietà nel sentire la mano sulla schiena che affondava le unghie nella carne. Si dimenticò davvero dove fosse, e il fiato si bloccò in gola. Minacciò di uscire con un ansimare che, in presenza della sorella, non si sarebbe mai perdonata.

La sorella. Buon cielo, la sorella.

Victoria arretrò brusca per vedere la donna ancora girata verso il tavolo. Ma Arya era rossa in volto. La mano di Dorian sulla sua schiena, invece, era così ferrea e potente da non poter allontanarla in alcun modo. E non voleva. Dannazione. Non voleva proprio che allontanasse quelle mani.

E non disse nulla neanche quando l'uomo fece arrotolare un laccio del corsetto intorno al suo anulare.

«Quando tornerò, rimpiangerete di non aver osato.»

L'aveva detto? L'aveva detto sul serio?

Aveva notato che lei stesse evitando di far unire le loro labbra?

L'aveva udito?

O se l'era immaginato?

La donna sussultò. La voce baritonale e sofferta era la sua condanna più grande.

«Ho appena ricordato di avere degli impegni urgenti da portare a termine!» urlò Arya, dopo essersi schiarita la voce e aver pulito le mani sporche di briciole con una certa fretta.

«Non preoccupatevi, stavo per andarmene.» esclamò il principe.

E Victoria notò l'eleganza nella voce e nel portamento. Sapeva fingere. Dorian sapeva fingere davanti a chiunque. Eccetto lei. Un sorriso spontaneo la tradì mentre si massaggiava la guancia calda sfiorata da quella fredda di lui.

Arya ritornò da loro. Dorian si avvicinò e le fece di nuovo il baciamano. «È stato un piacere, milady. Vi auguro una lieta giornata.»

«Anche a voi, milord. Almeno per oggi, cercate di vagare il meno possibile in corti piene di donne. Il vostro bel faccino miete parecchie vittime.»

Victoria era sfinita. E non arrivò a rimproverare di nuovo la sorella solo perché si rese conto che Dorian rideva. E quindi si convinse che ci avrebbe provato anche lei.

«Mi sta simpatica.» disse l'uomo alla maggiore.

«Anche voi avete l'aria di un buon cognato.» ammiccò Arya.

«Errate, milady. Non sarò io l'uomo fortunato che un giorno sposerà vostra sorella.»

Victoria sentì un tonfo al cuore. Un po' perché era vero, e quindi non aveva nulla da rimproverare al principe... e un po' perché, secondo la sua opinione, Dorian stava soffrendo quanto lei nel dirlo.

«Mai dire mai nella vita.» suggerì Arya, per alleggerire la tensione.

E toccò a Victoria nel raggiungerla. Come se non mi avesse già fatto battere il cuore all'impazzata, pensò lei.

Dorian si avvicinò e fu più cauto del bacio nell'angolo. Le baciò una guancia, ma la mano dietro la schiena ritornò.

Fu velocissimo nel sussurrare alla principessa: «Aspettatemi. Tornerò presto. E riprenderemo da dove abbiamo interrotto.»

Due settimane.

Due settimane in cui Victoria non avrebbe chiuso occhio. Si sarebbe girata e rigirata tra le lenzuola del letto immaginando di averlo lì. Accanto a lei.

«Leggete di più. Vi interrogherò.»

Sul momento, Victoria non capì l'allusione. Ma quando il Fae raggiunse la porta, e la guardò un'ultima volta come se stesse per partire in eterno, il peso che sentì nel cuore la annientò.

Chiusa la porta, Victoria sperò davvero che quel soffitto potesse crollarle addosso.

«Vic. Santo cielo.»

Con una mano sul petto e il respiro irregolare, la maggiore si girò di scatto verso la sorella.

«Sei davvero cieca. Ma davvero, davvero, davvero cieca.»

Sciocca.

Victoria si sentì una sciocca.
Sciocca a permettere che la sorella potesse... potesse capire cose.

«E ancor più ingenua se credi che io tradirò le mie stesse parole.»

«Quali parole?»

Arya fece un ghigno. «La battuta sullo slinguazzare la ricordi. Ne sono certa.»

Non l'avrebbe detto a nessuno. Arya le stava giurando la sua fedeltà.

«Ma» Arya camminò di nuovo verso il tavolo, sospirò e incrociò le dita delle mani «fammi un favore.»

Victoria la osservò di risposta. Il respiro era ancora accelerato al pensiero di quei tocchi e di quelle promesse sussurrate qualche istante precedente.

«Quale?» bisbigliò, vedendo che la sorella non aveva proseguito.

E per la prima volta in assoluto, sin dal giorno in cui erano cresciute insieme, Victoria notò un velo di apprensione negli occhi di Arya. La minore stava cercando di concludere. Sospirò.

«Annulla quel dannato matrimonio.»

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