XIII. Obblighi e morali.
Soundtrack – "Reign", Ramin Djawadi.
Giorni dopo.
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«È la resa dei conti, altezza. Prendere o lasciare.»
Dorian tamburellò le dita sul tavolo in contemporanea ai polpastrelli di Dario.
Il figlio maggiore della casata Wealthagon era giunto a corte Legendragon nella mattinata, ma gli impegni giornalieri non gli avevano permesso di visitare il castello. La servitù lo aveva accompagnato nelle stanze degli ospiti, e successivamente era stato convocato da re Xander Legendragon per riprogrammare in solitaria gli accordi di pace tra i due Regni.
Ma restavano da risolvere due diatribe: l'alleanza magica e i contrasti terreni. La potenza della dinastia Windothynn e l'invidia del Continente. Secondo il Comandante dell'Esercito Supremo, la casata dei Figli dell'Oro puntava alla supremazia territoriale dell'Ovest. Erano anni che un Sovrano dell'Ovest non aveva un controllo omogeneo su Saildragon e sui confini. Inoltre, la sparizione dei Regni Magici aveva indebolito di parecchio il peso di una delle figure più storiche e longeve di sempre.
«Denoto una certa fretta nella realizzazione del patto, Vostra Altezza. A questo punto, mi chiedo che rilevanza abbia la nostra presenza in questo consiglio.» cantilenò il principe Dario, di risposta al Fae.
«Insinuate stratagemmi che non rientrano nel mio modo di intendere la politica, milord.» replicò Dorian.
«Eppure, eccovi qui.» canzonò il Wealthagon, con un gesto teatrale delle braccia. «Con il vostro scintillante abito blu come la notte. Dev'esservi costato una fortuna, dato il valore dell'oro nel mercato attuale del Continente. Curioso che una dinastia in rovina abbia tutte queste possibilità economiche. E dunque la domanda sorge spontanea: vi siete dato ai lavoretti notturni? O, semplicemente, i miei sospetti di confabulazione con il Re di questo Regno hanno delle fondamenta?»
La sala gelò.
Ma non lui. Il Principe Ghiaccio per eccellenza.
Dorian scosse la testa e accennò il riso. «Tante parole e pochi fatti, Wealthagon. Non siete cambiato di una virgola.»
«Non avete risposto alla mia domanda, però.»
«Avete ragione, ma è perché non mi abbasso a certi livelli. Voi crogiolate nell'offesa e nel rammarico del prossimo. Io mi diverto nel veder fallire i vostri piani oratori. Chissà quante ore avete impiegato per prepararvi quella battutaccia. Mi duole farvi constatare che un Fae di una dinastia in rovina si scrolla la polvere dalle spalle per ogni calunnia e ingiuria che esce dalle vostre labbra, milord. Dunque, a voi la scelta: se siete qui per ribadire la vostra monotonia, fate pure. Ma non credo di essere disposto ad assecondarvi.»
I presenti erano estasiati. L'unico. Il principe di Windothynn era l'unico al mondo in grado di sfidare le provocazioni dell'uomo con la stessa nomea.
Principe Ghiaccio e Principe Ghiaccio Senza Cuore.
Li accomunava un animo lacerato dal passato, ma la diversità era evidente e preponderante. Introverso e misterioso il primo. Sfacciato e sboccato il secondo. Due caratteri opposti, che in consigli di quella portata entravano in collisione.
«Or bene, l'alleanza è un segreto inviolabile? È questo che voi e il vostro re state cercando di dire a me e mio padre?» rispose il Wealthagon, indicando re Edward con un cenno del capo.
«Sono d'accordo con Sua Altezza Reale quando dice che state affrettando i tempi, milord.» intervenne Xander. «Conclusioni di questo tipo non portano da nessuna parte, se non a continue lotte di potere che, in questo momento, non servono. Legendragon sta cercando di raggiungere una pace che abbiamo agognato per troppi anni, e non gradisco che nella mia corte passi il messaggio che calunnie e disonori vadano bene. Soprattutto per un mio ospite, che non sta facendo altro che garantire il desiderio univoco del Continente.»
«Quindi adesso i carnefici siamo noi, giusto? Al ragazzo spetta il ruolo di salvatore mentre noi continueremo a passare per i ricconi senza cuore?» domandò Dario, un velo di disprezzo nel tono.
«Non è pur sempre il vostro soprannome, Maestà? Con ghiaccio e senza cuore ci siete sempre andato a nozze, o sbaglio?» ironizzò il Windothynn.
Un riso di sottofondo catturò l'attenzione dei due ospiti.
Re Edward Wealthagon sibilò un chiudi la bocca al figlio, ma Dario non demorse. Doveva portare quella partita a casa. L'ultima volta che non era riuscito a centrare il suo obiettivo... oh, la pelle del viso pulsava ancora. Ricordava ogni istante di quel frangente abitudinario in cui il padre lo puniva.
«Signori, direi di abbassare i toni e comportarci da persone civili.»
La voce autoritaria di Karidian Wingdragon, Comandante dell'Esercito Supremo, riempì la stanza. Il mormorio generale si azzerò. E l'armatura emise piccoli rumori quando il Wingdragon appoggiò le mani sui bordi della tavolata circolare. «Ognuno di noi è qui per una ricompensa, suppongo. Ma questo non è il miglior modo per concordarle.»
«Concordo con il capitano.» affermò Riccardo, che osservava il Wealthagon con un'espressione contrariata sin dall'inizio del consiglio.
Re Xander si schiarì la voce, e si avvicinò di più alla postazione dei Wealthagon. Aveva notato la stizza su entrambi i volti dei due ospiti, e onde evitare che la situazione potesse degenerare, aveva rimuginato sul da farsi.
«Illustratemi le vostre problematiche, altezze. Sarò lieto di accontentarvi nel miglior modo possibile.»
«Bene, si entra in scena.»
E senza dare il tempo di una replica, Dario cantilenò quella risposta e srotolò una pergamena da una sacca interna del mantello nero. La stese sul tavolo, poi picchiettò le dita sull'inchiostro nero.
«Da dove iniziamo?» ironizzò.
«È una lista della spesa?» lo provocò Riccardo.
«È quello che le vostre scappatelle devono al mio reame, milord, tutte le volte che fate visita alle donzelle del mio reale senza ricompensarle per il disturbo. Voci di corridoio mi dicono che vi calate le brache con la stessa facilità con cui io schiocco le dita e l'universo mi obbedisce.»
I presenti raggelarono, ma la risata sguaiata di Riccardo rasserenò il padre. «Ho una voglia matta di prenderlo dal colletto e scaraventarlo contro una parete. Qualcuno mi dia il permesso.»
E la replica raffreddò gli animi. L'unico che fino ad ora non aveva preso parola era Elian Wingdragon. Il principe esiliato dalla corte omonima con tutta la sua famiglia. E dovette essere il pensiero di Xander quando si rivolse a lui.
«Voi, altezza? Avete da aggiungere qualcosa?»
«Senza alcuna offesa, ma per il momento resto nel mio, Maestà. Ci sono già troppi pavoni, non ve ne servono altri.»
«Dunque», esclamò il Wealthagon, catturando l'attenzione generale.
E Dorian lo confermò a sé stesso: nessuno riempiva un luogo o una stanza come il futuro erede di re Edward. Ammaliava masse e corrompeva imperi. Lo conosceva fin troppo da non poter intuire cosa stesse per architettare.
«Scarsità delle imposte per sostenere le spese pubbliche; rinuncia dei beni confiscati alla corona; patrimonio monetario dimezzato; importazioni interne altrettanto; esportazioni senza ritorno di benefici; per concludere, dosaggio dei cavalli di trasporto annullato e infrastrutture del reame prive di assicurazioni nobiliari. Verrebbe da dire, alla luce del sole, quali sarebbero i pregi scaturiti da questa alleanza secolare che era stata promessa, non meno di un anno fa, al mio reame.»
Riccardo notò il volto pallido del padre, e capì che il Wealthagon aveva colto nel segno.
Xander sospirò prima di una risposta. «Siete qui per un ricatto, milord?»
«Ricatto è un'accusa grave» suggerì re Edward «mio figlio sta solo cercando di dire che le alleanze sono composte da più parti, e che fino ad ora a beneficiarne è stata solo una. C'è un discontento generale nella popolazione, e voi sapete quanto la casata Wealthagon ci tenga a donare un tenore di vita egualitario a tutti i suoi cittadini.»
«Ne sono consapevole e il mio rispetto nei vostri riguardi è sempre stato elevato. Ma come ben saprete, neanche Legendragon sta affrontando un bel periodo. Gli strascichi del reame di re Glorium hanno ripercussioni nel malcontento generale e nella corte nobiliare. Stiamo facendo del nostro meglio per risollevarci.»
«E tra le varie opportunità c'è quella di sfruttare le fortune dei Windothynn?»
«Curioso...» intervenne Dorian «fino a qualche minuto fa non eravamo una dinastia in rovina?»
Dario fece una smorfia. «Sapete bene a quale ricchezza mi riferisco.»
Il castello di ghiaccio. Il rifugio dei superstiti della dinastia magica era un luogo dal valore inestimabile. Si narrava che fosse stato costruito dalle divinità in persona, millenni e millenni antecedenti alla fondazione dei reami del Continente. Allearsi con i Windothynn equivaleva a usufruire di un riparo e di un bene allo stesso tempo. Guerre, armate, rifugiati. I piani bellici sarebbero stati un tutt'uno con quelle mura. E dato che la minaccia dei Saildragon cresceva anno dopo anno – ancor peggio dopo l'ascesa al trono di re Ennius – bisognava ponderare e sfruttare ogni vantaggio a disposizione per non farsi cogliere impreparati ad assalti di vario tipo. Nel suo discorso posteriore alla carica, re Ennius non aveva aggiunto altro se non un prima o poi, troveremo l'occasione per ridurre i Regni di Legendragon e Wingdragon in cenere.
«Quale parte dell'espressione è un'alleanza di pace non vi è chiara, altezza?»
Dorian cercò di ponderare ogni parola, perché il tono altezzoso del Wealthagon era un chiaro stratagemma per innescare la miccia che avrebbe dichiarato guerra.
«Quella in cui si nasconde il vero significato, pretendendo che l'astuzia che contraddistingue la mia dinastia non faccia il suo egregio lavoro.»
«Non vi è balenata in testa l'idea che non tutti abbiano doppi fini come voi, Wealthagon? Dall'esterno è abbastanza chiaro, credetemi. Tocca solo a voi capirlo.» intervenne Elian.
«L'ingenuità è tipica della vostra dinastia, milord. Non mi sorprende una tale risposta.»
«Ci sono anch'io.» aggiunse Karidian, alzando la voce e gli occhi al cielo.
«Noto.»
«E quindi gradirei che sgonfiate il vostro ego e scendiate da quel piedistallo divino che vi siete creato. State creando una discussione basata sul nulla cosmico, al solo fine di infastidire i presenti e prendervi ciò per cui siete giunto fin qui.»
«E per cosa sarei giunto fin qui? Sentiamo, Comandante.»
«Un compromesso.» spiegò il Wingdragon, osservando il re di Legendragon. L'espressione di Xander mutò. «E vi farà credere che sia un bene per ambedue le parti.»
«Vale a dire?» domandò Xander.
«Un matrimonio. O un fidanzamento, se oggi fa la parte del misericordioso.»
Un bisbiglio generale si sollevò alto. La mascella di Dorian si irrigidì, facendo compagnia alle gambe di Riccardo che subirono la stessa sorte.
Il silenzio.
Il silenzio logorò gli animi di Xander, Riccardo e Dorian. Anche Elian aveva intuito.
Ma ciò che saltò all'occhio del Windothynn era l'espressione di re Edward. No, non era per niente consapevole di cosa stesse tramando il figlio. Gli occhi sgranati e le occhiate di traverso furono chiari.
Dario si sistemò gli spallacci del mantello con eleganza. Scrutò i presenti con un fare vanesio, e un sorriso gli contornò il viso. Poi appoggiò i palmi sul tavolo, e prima di guardare il sovrano che lo ospitava... puntò al Windothynn. Dritto a studiare ogni minima espressione del Fae.
Ma Dorian fece di tutto per non svelare alcun sentimento. Guardò un punto fisso del legno sul tavolo, provando la carta dell'indifferenza totale. Ma le nocche bianche sulle mani tradirono la sua calma apparente. E Dario provò un certo compiacimento nelle parole raggruppate nella sua gola.
«Voglio chiedere la mano di vostra figlia Victoria, altezza.»
«Dario, che stai-» il bisbiglio di re Edward fu bloccato da una mano alzata del figlio, che equivaleva a un so quello che faccio.
E nella stanza si scatenò il putiferio.
Voci all'unisono che borbottavano o la sconsideratezza o la genialità del principe.
«Padre.»
Una minaccia. Il ringhio di Riccardo era più di una minaccia. Xander lo lesse negli occhi infuocati.
Il re sospirò. «Il nostro ospite ha diritto a una difesa.»
«Padre.»
«Non alzare la voce, Riccardo.»
«Non è ciò che vorrebbe lei.» lo ignorò e la alzò davvero.
E il sovrano raggelò all'immagine della figlia che gli apparve nella mente. Seduta alla scrivania delle sue stanze, con in mano uno dei suoi libri del cuore. Le serve a spazzolarle i capelli, il vestito morbido a coprirle il corpo gracile. Dolce, concentrata, innocua, con le gote rosse per il fuoco scoppiettante nel camino, ignara della vita e degli uomini che tramavano alle sue spalle. E poi, la notizia. L'eventuale notizia che avrebbe dovuto darle se la richiesta di Dario Wealthagon fosse andata in porto.
«Signori.» cantilenò Kayos, il capo della guardia reale che spesso e volentieri presenziava nei consigli politici del suo re come appoggio primario. Era stato eletto da poco a Primo Cavaliere del Re.
L'uomo sbatté la mano sul tavolo più volte, e il silenzio ritornò agli albori delle battute gelanti di Dario. Erano tutti curiosi di udire il prosieguo, nonostante lo scompiglio.
«Credo che sia la scelta più saggia, mio signore. Vi conviene.» affermò il Wealthagon.
«Per quale motivo?»
«Per saldare i debiti nei nostri riguardi.»
«Sapete bene che la mia corte non può assumersi le colpe di una che l'ha preceduta. Le problematiche accennate nella missiva che mi avete mostrato poco fa riguardano situazioni antecedenti alla mia carica. Non sono in grado di manomettere quanto accaduto in precedenza, né ho la disponibilità a dare anticipi. Sono a comando di questo reame da un tempo davvero ridotto. Abbiate pazienza e faremo quanto di giusto ed equo per entrambe le popolazioni.»
«Alla mia gente servono certezze. Fatti. Prove che dimostrino la vostra condotta e le buone intenzioni. Le bocche non si riempiono con le chiacchiere.»
«Da che pulpito.»
Un mormorio. Era stato poco più che un mormorio, ma Dario aveva avuto il tempo di notare il volto rigido del Windothynn.
«Siete contrario alla pace, milord?» lo provocò Dario, sogghignando.
«Sono contrario agli stratagemmi da vigliacchi.» rispose Dorian.
Dario si portò una mano sul cuore. «Offendete il mio onore, altezza. Le mie intenzioni sono del tutto innocue, ve lo posso garantire qualora... la vostra preoccupazione primaria sia quella.»
«E sentiamo, come e in che modo il vostro fidanzamento con Victoria potrà garantire la tanto decantata pace?»
Victoria. L'aveva chiamata Victoria. Solo un nome sospirato dalle sue labbra.
Si maledisse. Si maledisse per quella sfacciataggine da condanna. Eppure, gli Dei lo graziarono. Nessuno in quella stanza, a parte Karidian, aveva fatto caso a quella confidenza insolita.
«È molto semplice, altezza, ma vi ringrazio per la domanda, così da rendere trasparente la situazione. Ammetto di non aver valutato l'idea di avere menti poco intuitive al mio fianco, ma sostengo che-»
«Parlate.»
Riccardo notò che il tono di Dorian era poco più tagliente del suo precedente "padre". Non aveva mai visto il Principe Ghiaccio con un'espressione così dura.
Dario si gongolò delle facce tese dei presenti, e prese qualche minuto per picchiettare ancora i polpastrelli sul tavolo.
«Il fidanzamento mi consentirebbe un vantaggio a livello monetario, prima di ogni cosa. Le alleanze matrimoniali del Continente sono pressoché simili: sostenersi a vicenda nei mercati e nell'economia. E dato che in queste settimane mi sono giunte voci di importazioni dagli altri reami del Continente – poiché hanno tutti sposato la causa dell'alleanza magica e sperano di ingraziarsi il Windothynn tramite voi» si fermò, il suo sguardo era tutto per Xander «allora potrete sdebitarvi con tali entrate, non trovate? E questo, solo per quanto riguarda il lato economico.»
«Ma le vostre miniere di oro e diamanti?» puntualizzò Elian. «Non sono in grado di riempire i debiti?»
«Il ricavo dell'entroterra è destinato alle ricompense dei lavoratori del reame. Fabbri, mercanti, artigiani, persino musicisti di strada e taverne. Ogni lavoratore di Wealthagon, come vi dicevo in precedenza, deve poter usufruire dello stesso denaro e avere lo stesso tenore di vita.»
«E riescono a coprire tutto? E allora perché chiedete altro?» insisté il Wingdragon.
«Vi siete risposto da solo: non riescono più a coprire tutto.» replicò Dario.
«Nelle ultime due Stagioni della Luna, Wealthagon ha subito un incremento di nascite mai avuto nella storia del reame.» aggiunse re Edward. «E anche la delinquenza dei Quartieri di Ferro ha dato una spinta in più alla regressione. Bisogna sostenere le famiglie, ma allo stesso tempo risarcire coloro che subiscono furti e uccisioni e debellare le minacce e le rivolte.»
«La triplicazione della popolazione mi è stata riferita di recente.» aggiunse Xander. «Re Castrus Wingdragon me ne ha informato durante il mio viaggio di spedizione.»
«Concorderete che, allora, in questa stanza sono l'unico che non ha segreti.» cantilenò Dario, osservando dritto nella direzione del Windothynn.
Ma Dorian non lo degnò di uno sguardo. Immerso nei suoi pensieri, stava formulando qualcosa. Karidian ne era sicuro, poiché lo stava fissando da parecchio.
«Non dubito della vostra sincerità, altezza. Ma comprenderete che la posta in palio è alta.»
«Mi trovate d'accordo. Dalle nostre parti girano voci interessanti sulla bellezza di vostra figlia. Neanche i pittori della mia corte sono stati immuni ai viaggi in trasferta per poterla dipingere di persona. Per me sarebbe un onore poterla accompagnare all'altare, sancire questa alleanza storica e renderla mia moglie. La tratterei come una regina. In ogni contesto e richiesta lei voglia. E può possedere tutte le biblioteche del mondo. So che le piace leggere, giusto? E ha una predilezione per gli odori alla menta, ambra e cannella. Potrei procurarle-»
«State correndo troppo, Wealthagon.» esclamò Dorian.
Forte. Chiaro. Deciso.
«Sottoscrivo quanto detto dal principe Dorian.» precisò Riccardo.
Era difficile constatare chi dei due fosse più alterato dalla situazione. Ma quel piede che si muoveva nervoso sotto al tavolo, e quelle nocche sbiancate sulle mani... Karidian aveva notato tutto. E ne era sicuro. Dorian Windothynn era sul punto di esplodere e realizzare i desideri di Riccardo: prendere il Wealthagon per il colletto e scaraventarlo contro un muro.
«Da quanto?»
«Prego?»
«Da quanto pianificate di rovinare la vita a quella donna?»
Il tono alterato di Dorian Windothynn. Un evento più unico che raro. Da narrare negli annali del Continente. Tutti i consiglieri dovettero pensare quello quando lo videro perdere il controllo.
«Non vi sembra di esagerare?»
«E a voi non sembra di star tirando troppo la corda?»
«E sentiamo, spetta a voi decidere cosa sia giusto o sbagliato?»
«Certo che no. Non sono un presuntuoso, spocchioso, arrogante, saccente, prepotente e doppiogiochista che si presenta in una corte non sua, facendo pretese non richieste, elargendo ordini non suoi e pretendendo un sì senza la presenza del soggetto della conversazione.»
Xander avvertì una miriade di stalattiti sottopelle. Chiese alla sala di far silenzio, ma non riuscì a togliersi dalla testa come il Wealthagon aveva cambiato espressione. Quella risposta non se la sarebbe aspettata nessuno. Con molta probabilità, neanche lo stesso Dorian.
Dario fece un lungo respiro. «Qual è il vostro problema, Windothynn? Avete il fondoschiena assicurato da un'alleanza con quello che si vocifera essere il futuro vincitore della Battaglia delle Serpi Oscure annuali, il Re del popolo, e alloggiate qui alla sua corte come se fosse casa vostra. Cos'avete contro di me?»
«Che respiriate.»
A Karidian andò l'acqua di traverso. Riccardo sgranò gli occhi.
«Che respiriate con il solo scopo di ferire chi vi circonda e chi cade nei vostri tranelli.» si corresse, rendendosi conto che anche Xander stava per perdere la pazienza.
«E siamo punto e a capo.» canzonò Dario. «Perché credete che sia tutto un inganno? Sono preoccupato per la mia gente. E ciò dimostra la vostra spiccata ignoranza sull'argomento. Nel Continente non si parla d'altro che della mia misericordia per la popolazione di Wealthagon. Aprite un po' più libri di storia e meno robacce con scopate per gente repressa.»
«No. Fermatevi.» ordinò Karidian, risoluto, afferrando Dorian per un braccio. Era stato più veloce della luce. Aveva adocchiato le gambe del Fae che si erano mosse prima di ogni altra parte del corpo, e con lo scetticismo generale di sottofondo, aveva evitato un disastro. Dorian Windothynn che desiderava massacrare il principe di Wealthagon.
«E ditemi, anche la principessa ha questa cultura di base? Sarebbe gradito saperlo in anticipo, così da potermi preparare in tempo e farle provare piaceri infernali, a lei inimmaginabili.»
«Ora basta.»
Xander era impallidito. Ed era toccato a lui impartire ordini. Il tono di un padre, ancor prima che re.
«Lo permettete?»
«Principe Dorian. Basta.»
«Lo permettete? Gli permettete di toccarla? Di decidere per lei? Di rovinarle la vita?»
Urlando. Dorian stava urlando. Karidian, Riccardo ed Elian erano pietrificati.
«Non ho ancora deciso.» rispose Xander, ferreo.
«Ma ci state pensando!» sbraitò ancora il Fae. «State valutando di dare vostra figlia nelle mani di un uomo che manipola e stropiccia persone come semplice cartapesta! State pensando di darla a-»
«Un amico.» ringhiò Xander. «Un uomo che, anni fa, ha permesso a re Glorium di evitare la più grande catastrofe economica della storia di Legendragon. Gli devo questo e oltre, Windothynn, e non credete che la vostra posizione di vantaggio a corte e nella nostra alleanza possa permettervi di parlarmi con questo tono. Ci siamo intesi?»
«Padre.»
«Tu stanne fuori, Riccardo.»
«Il principe Dorian sta solo cercando di dirvi che Victoria non merita di essere pugnalata alle spalle. Serve un suo consenso, e-»
«Non ho bisogno del consenso di nessuno, in quanto è una mia scelta. Tantomeno ho bisogno del parere di una donna.»
Tantomeno di una donna.
Schegge magiche di ghiaccio, provenienti dalle sue dita, si conficcarono nel pavimento quando Dorian Windothynn lasciò la stanza.
Furioso.
Per un attimo, Dario aveva immaginato la parete liscia del muro contro la sua schiena, mentre il Fae lo strozzava per bene. Ma non era accaduto. Era sobbalzato inutilmente, perché Dorian aveva tirato dritto, spalancato la porta e abbandonato il consiglio rumoroso e assordante senza neanche degnarlo di un'occhiata.
Dorian Windothynn.
L'inflessibile, obbediente, rispettoso, cauto e laborioso Dorian Windothynn.
In quel momento, nulla delle sue qualità migliori era stata in grado di calmare la furia del suo animo. E la tempesta del suo sguardo.
Soundtrack, "From Night to Dawn", Paolo Buonvino.
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Victoria annusò la fialetta di legno e sughero. Sorrise nel riconoscere l'odore della sua amata menta. La serva che era con lei si complimentò, e la principessa arrossì di gratitudine.
Ci aveva lavorato tutto il pomeriggio. Una miscela che avrebbe potuto usare per profumare i suoi vestiti, i suoi capelli e... gli incontri con Dorian.
La sua mente vagò proprio lì. L'aveva fatto per sé stessa, certo. Amava la menta. Un passatempo per allontanarsi dalla monotonia di quelle giornate tutte uguali. Ma l'idea di avere un profumo in contrasto con il pino dell'uomo, le sembrava un sogno. Tutte le volte che lui l'aveva abbracciata, sfiorata, toccata... lei aveva annusato quell'odore così intenso da farle girare la testa. Pino, abete e menta. Almeno uno, il più fresco e riconoscibile, avrebbe potuto tenerlo con sé. E pensare al principe per tutto il tempo.
«Altezza.»
La preoccupazione nel tono di voce della serva allarmò Victoria, che si girò di scatto verso la porta. Era una delle sue donne più fidate. Una di quelle che assicurava la segretezza dei suoi incontri con il Fae. E quando lesse oltre quegli occhi sgranati per la sorpresa...
Victoria si alzò. La fialetta cadde a terra, e si frantumò in mille pezzi.
Ma non ebbe importanza. Non ebbe la benché minima rilevanza davanti all'immagine del Fae, con il fiatone e i capelli scompigliati, appoggiato alla porta di ingresso.
Non compì ulteriori passi. La serva accanto a lui si dileguò. E quando Victoria fece un cenno alle altre presenti nella stanza, loro fecero altrettanto.
E nel momento in cui restarono soli... Victoria avvertì il cuore in gola e le gambe tremare come ramoscelli. Lui l'aveva raggiunta con ampie falcate, e nell'afferrarle il viso, la principessa aveva spalancato gli occhi.
Ci aveva creduto. Per un attimo aveva creduto che il Windothynn avesse potuto posare le labbra sulle sue.
Ma tutto ciò che riuscì a percepire della sua pelle fu la fronte. La fronte appoggiata sulla sua. E il respiro nel suo seno. Così accelerato da destabilizzarla. Così caldo da farla avvampare, tanto quanto la vicinanza sconsiderata. Anche lei iniziò a respirare con irregolarità. E dentro di sé andò a fuoco.
«Promettetemelo.»
Victoria attese che potesse aggiungere altro. La testa le stava girando a una velocità folle. E aveva paura di sé stessa. Per cosa stesse pensando di fare. Dopotutto, lui le era così vicino, le labbra potevano sfiorarsi e...
«Promettetemi di non mollare. Mai.»
«Su cosa?» vociferò lei. Dorian sentì il cuore più leggero a riconoscere quella melodia.
«In tutto. Nella vita, nelle difficoltà, nelle gioie e nei dolori. In tutto.»
«Non capisco...»
«Promettetemelo.» ansimò a fatica. Circondò il viso di Victoria con le mani calde. «Promettetemi di essere voi stessa in un mondo di troppe maschere.»
«Dorian, non-»
«Vogliono farvi sposare.»
«Cosa?» un verso stridulo. E lei sussultò.
«Vogliono corrompervi. Vogliono farvi credere che sia la scelta più giusta. Vi manipoleranno dicendovi che lo dovete a un vecchio re con i debiti fino al collo, a cui non importa un accidente di tutta questa gentaglia arrivista.»
«Dorian, mi spaventi... non...»
«Non farlo. Non farlo.»
Il panico nella voce. Il tremore tra le mani. Il respiro sofferente. Victoria stava percependo tutto. E le tremavano così forte le gambe da ringraziare la presa salda dell'uomo, perché avrebbe potuto afferrarla in caso di svenimento.
Non ne sapeva niente.
Il padre non le aveva detto nulla di tutto quello.
Ma com'era possibile? Quando? E con chi? Perché?
E solo in quel momento si rese conto del tu reciproco che si erano dati.
Le mani di Dorian lasciarono il viso per spostarsi sui fianchi. Li accarezzarono, con una dolcezza che lei non aveva mai avvertito prima. Ma la fronte del Fae restò premuta contro la sua. E gli occhi chiusi e il respiro caldo sul suo seno erano ancora lì a torturarle i sensi. E a provocarle la pelle d'oca.
«Siate sempre voi stessa, e non ciò che vogliono costringervi a diventare. È questa la donna che ha catturato il mio sguardo dal primo giorno. È questa la donna che mi ha fatto ricredere nella bontà dell'essere umano, dimenticando quanto fatto a me e alla mia gente in anni e anni di stermini. È questa la donna che rispetto, ammiro, contemplo quando la vedo nelle stanze, nei corridoi, nei giardini, su un drago, nelle foreste, nelle catapecchie abbandonate. È questa la donna di cui...»
Si fermò. Il Fae si bloccò, e Victoria percepì tutta la frustrazione nella mancata risposta e nel deglutire forte. Semplici parole, ma così profonde e intense da poter smuovere mari, monti, oceani.
«Non fatelo.» insisté, distrutto. «Vi chiedo questo. Solo questo.»
E quella distruzione nella voce stava disintegrando anche lei.
Perché lui non capiva. Continuava a non capire. Victoria non si capacitava di come i suoi segnali non fossero splendenti come la luce del sole. O di quella che scorgeva nelle sue iridi cristalline. Come lo guardava. Come lo toccava. Come gli parlava. La donna non dormiva la notte all'idea che il principe potesse... potesse non capire quanto per lei fosse importante. Quanto potesse non risolvere i suoi problemi, ma quantomeno distrarla. Distrarla da tutto il male che la circondava.
«Non riuscite proprio a comprenderlo, vero?»
Si parlavano a occhi chiusi. Fronte contro fronte. Le mani di Victoria sul viso di lui. Quelle del Fae sui fianchi minuscoli della principessa. E lei tremava. Tremava a ogni cerchio pigro nato dai polpastrelli del Windothynn.
Ma quando regnò il silenzio, Dorian schiuse le palpebre... e sollevò lo sguardo.
Numi del cielo e delle tempeste. Le aveva sfiorato un labbro.
E sotto le sue mani, aveva avvertito il corpo della principessa irrigidirsi per la sorpresa.
Il coraggio che dovette accumulare per non premere su quelle labbra, che continuavano a sfiorare le sue... solo gli Dei. Solo gli Dei erano artefice e condanna delle sue emozioni.
Victoria restò in silenzio. Dorian davvero non comprendeva, dovette pensare. E dopo un lungo e sofferto sospiro, chiuse di nuovo gli occhi.
«Ho cercato il nome.» sibilò.
«Quale nome?»
«Dylajah. Il nome che avete sussurrato dopo che...»
Non proseguì. Il ricordo di lui, avvinghiato a lei, che le strofinava l'intimità e le provocava un piacere blasfemo e lussurioso era ancora impresso nei suoi ricordi. E non se ne sarebbe andato neanche con la forza.
«... e... e non l'ho trovato.»
«Ne siete sicura?»
«Sicura.»
Dorian sorrise. «Lo immaginavo.»
Victoria si corrucciò. Si staccò da lui e finse un'espressione contrariata che divertì il giovane. Le braccia di Dorian le circondavano la schiena, le dita attorcigliavano ciocche di capelli corvino, e lei si sentiva così piccola... ma al sicuro.
«Provate gusto a farmi perdere tempo?»
«Provo gusto nel vedere che davvero abbiate cercato una parola del gergo popolare dei Fae dell'Aria.»
Introvabile. Le stava suggerendo che fosse impossibile da recuperare.
Ma ciò che le importò in quell'istante fu la voce dell'uomo. Meno tremante. Nonostante il petto che faceva su e giù, Dorian stava ritrovando il controllo del fiato. E lei si era spaventata a vederlo giungere da lei in quelle condizioni.
E avrebbe voluto godersi quel sorriso per l'eternità, ignorando del tutto il motivo per cui lui fosse giunto lì. Ma il viso del Windothynn si rabbuiò di nuovo.
«Vogliono farvi sposare con un Wealthagon. Il principe Dario. Primogenito della sua dinastia ed erede al trono del suo Regno.»
E d'un tratto, Victoria collegò.
«I regali...»
«Prego?»
«I suoi regali. Qualche giorno fa, mi ha donato dei gioielli. Ecco il motivo.»
Pianificato. Tutto pianificato. E Dorian si sentì mancare la terra sotto ai piedi a constatare che ciò che aveva disperatamente supplicato alla donna qualche istante prima era vero. Stavano cercando di manipolarla. Tutti. Per il bene di un Regno che le aveva tolto ogni barlume di libertà.
«Non lo farò.» replicò piano, ma risoluta.
«Ma se vostro padre...»
«Dovrà accettarlo. Non lo farò.»
«Troverà un altro candidato. Magari il fratello.»
«Non lo farò.»
«Oppure Elian. Il principe Elian di Wingdragon. So che hanno da poco saldato un'alleanza storica e-»
«Dorian.»
«Oppure il Comandante...»
«Dorian.»
Victoria alzò di poco la voce. Lui il mento. E quando incatenarono gli sguardi... lui capì.
«Non lo farò.»
Victoria scandì quelle parole con lentezza e decisione, mentre si perdeva nel suo sguardo di ghiaccio. E a Dorian sembrò di ascoltarle per la prima volta.
Così, lui si avvicinò di nuovo. Le portò una ciocca dietro un orecchio, mentre l'altro braccio le circondava la schiena con forza e delicatezza allo stesso tempo. E contemplò ogni dettaglio, ogni lineamento di quel viso pallido quanto etereo. Si beò di quel rossore che stava notando sugli zigomi. Delle ciglia lunghe e folte. Del naso piccolo e grazioso. Delle labbra morbide e carnose.
Le labbra. Dannatissime labbra.
Dorian allungò un dito e le sfiorò. Ci disegnò cerchi pigri. E quello inferiore tremò. Tremò a ogni suo tocco. Impercettibile. Ma abbastanza da fargli desiderare una barriera tra di loro.
Perché se lui avesse osato allungarsi... cosa che stava facendo... se avesse osato azzerare i loro respiri... altra cosa che stava attuando... e se fosse stato così vicino da sentire il battito accelerato di Victoria...
«Altezza.»
Entrambi sussultarono alla velocità della luce. La voce della serva che li aveva lasciati soli in precedenza bastò per non farli morire di crepacuore.
L'estranea si scusò con lo sguardo. E con le mani intrecciate e il vibrato nella voce, annunciò: «Vostra sorella Arya. È tornata dalla corte di Warriangon.»
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