XII. Sapori speciali.

Soundtrack – "Illicit Affairs (Piano version)", Taylor Swift.

Una visione che avrebbe voluto imprimere nei ricordi per l'eternità.
E, in un battito di ciglia, si ritrovò a pensare di volerne fare un'abitudine.

Victoria non ricordava l'ultima volta che si era svegliata così piena di energie, rilassata e... felice.

Si sentì felice.

Nella sua esistenza, era certa di averlo provato altre volte. Ma non ricordava l'ultima in cui era accaduto.

Troppi anni. Troppi ricordi. Il suo carattere era stato forgiato da ciò che era stata e da ciò che era diventata.

E persa in quelle riflessioni, la fanciulla continuò a contemplare ogni curva, linea, fossetta e osso della schiena nuda del Windothynn. Deglutì spontanea a notare le clavicole che, a ogni movimento delle braccia del principe, si contraevano. Poi, seguì con lo sguardo le dita che scivolarono lente, delicate e morbide nei capelli bianchi. Le stesse che qualche ora prima erano sulla sua intimità.

Oh, Dei.

Maledetti pensieri.

Maledettissimi pensieri.

Dovette sospirare in silenzio, perché non avrebbe voluto privarsi di quell'immagine. Analizzò ancora la figura alta, imponente del Fae dell'Aria: al contrario della sera precedente, il principe aveva dei pantaloni... corti. E quell'accertamento le procurò un altro nodo in gola. Le gambe muscolose e marmoree erano state un'ipotesi fino al giorno prima. Immersa nel piacere, verificarlo era stato l'ultima delle sue preoccupazioni.

Ma, a vederlo in piedi, era tutto alla luce del sole. E provando che anche il fondoschiena era scolpito, Victoria ipotizzò quanti anni di allenamento, sudore, battaglie e fatica erano nascosti dietro quelle vene pronunciate e quel risultato meritato. E la mano sul petto, per la mancanza d'aria, fu automatica.

La donna non capì da cosa provenisse quell'odore invitante. Lui stava affettando qualcosa, ed era concentrato. Reputava il silenzio del Fae come un chiudersi in una bolla. Dopotutto, lei era l'eccezione alla regola. Lo spiraglio di dolcezza in una reputazione di ferro e ghiaccio.

E arrossì. Arrossì a pensare a quanto lui le aveva donato in quelle poche settimane che si conoscevano. E a quanto, invece, lei aveva ceduto.

Chiuse gli occhi nell'immediato quando Dorian si spostò e raggiunse la parte opposta del tavolo. Diamine. Per miracolo. Trattenne il fiato e lo liberò poco dopo. Attenta a non farsi scoprire.

«Curiosa. La aggiungerò alla mia intrigante lista di pregi su di voi.»

Una doccia fredda.

Victoria spalancò gli occhi. Giusto in tempo per notargli il sorriso e le fossette negli angoli della bocca.

«Buongiorno, principessa.»

Lei sollevò la schiena dal pavimento. E rendendosi conto del vestiario appiccicato alla pelle, si coprì il seno con la pelliccia. Con la mano libera, si stropicciò gli occhi e si guardò intorno. Nel camino c'era nient'altro che cenere. E solo delle candele dall'alone ambrato illuminavano la stanza con una luce... romantica?

«Avete dormito comoda?»

Il tono della domanda era di una dolcezza disarmante. Era vero, non era stato il più confortante dei riposi, ma... importava? Dopo tutto ciò che era accaduto... non era stato il suo pensiero primario.

«Rilassata.»

Dorian fece un sorriso timido. Scosse la testa. L'allusione era chiara. «Dicono sia una prassi.»

«Sì?»

«Per anni, a Faedragon sono stato amico di un guaritore proveniente dalla corte di Firengon. Mi raccontava che le donne di palazzo avevano una vita stimolante del piacere. E che i benefici si notavano nei loro comportamenti quotidiani. È una delle corti più tranquille, serene e rispettose di sempre, milady. Parliamo di una realtà in cui il loro re non vieta il divertimento, ma non ne prende parte.»

«E voi? Come ne siete a conoscenza?»

Dorian volle convincersi del fatto che in quella domanda ci fosse della malizia.

«Sul mio conto cosa sapete, Legendragon?»

E la conferma arrivò dall'espressione mortificata di lei.

«Non è un male, e non vi giudicherei, precisiamo. Cioè, voglio che... che sia chiaro che-»

«Ho avuto delle amanti, altezza. Tante. Molte.»

Il viso della donna si rabbuiò. O almeno, era l'idea che diede al principe.

«Ma nessuna di loro è diventata la mia compagna. Non ho concesso il mio cuore, né la mia anima. Ciononostante, continuerò a parlare bene delle loro corti e delle loro case. Il rispetto è uno dei valori umani che più apprezzo, principessa.»

«Quindi, deduco che...»

Lui annuì. «Ho bei ricordi anche a Firengon.»

Victoria ne era consapevole. Era troppo sciocco credere che, in più di cento anni di vita, il Fae si fosse privato di quelle sensazioni che lei aveva provato la sera precedente.

E buon cielo, la loro esperienza era effimera in confronto a quanto lui si era spinto oltre con le altre...

Ma pur con quelle certezze, si rattristò comunque. E cercò di distrarsi ponendogli altre domande, mentre lui affettava e sistemava il cibo nei piatti di terracotta. Si chiese da dove fossero spuntati, ma ricordò che il Windothynn le aveva confessato del suo passato con le sorelle.

«Sapete cucinare, dunque?» gli domandò.

«Ci provo.» ridacchiò.

«Piace farlo anche a me.»

«Potremmo scambiarci qualche conoscenza, allora. E insegnarvi i piatti tipici di Faedragon.»

«Quali sono gli ingredienti che usate di più?»

Dorian ci rifletté per qualche attimo. «Neve.»

Victoria inarcò un sopracciglio. «Neve?»

«Risulta strano, me ne rendo conto. Ma con la nostra magia diventa commestibile. Muta forma, consistenza e luccichio. Come sapore, ricorda la cannella o il cioccolato per i dolci; per i salati, invece, si adatta a tutto e si amalgama con gli ingredienti principali.»

«Quindi quella schiuma bianca che vedo...»

«Sì. È neve.»

Victoria osservò il capolavoro con stupore. Perché, quasi vicino alla conclusione, lo era. Lo era davvero. La neve ricordava soffici nuvole bianche, e brillava. Brillava come piccoli cristalli incastonati. La parte appoggiata sul piatto aveva sfumature verdi. E dello stesso colore era il contorno, che...

Un momento. Le si illuminò lo sguardo.

«Sono le foreste di Legendragon?» chiese.

Lui sorrise e sistemò la punta di una montagna. «Nuova aggiunta: intuito

Il cuore fu sul punto di esploderle. Era sicura che il viso fosse rosso. Ancora una volta. Ma a differenza delle scorse, non le importava più.

Non solo le aveva preparato la colazione... ma quello era il suo Regno. Non Faedragon, né il resto del Continente. Ma Legendragon.

«Ma per colpa vostra, non ho potuto costruire il castello.» ironizzò.

«Perché?»

«Vi siete svegliata prima.»

Lei ridacchiò genuina e si stiracchiò le braccia. Poi, si ricordò delle stranezze.

«Come l'avete capito?»

«Che mi stavate osservando?»

Lei arrossì ancora e annuì. Ammetterlo le costò.

E lui non ebbe il coraggio di guardarla negli occhi. Trattenne una risata. «L'odore.»

«Cosa?»

«Il vostro odore. I nostri sensi sono sviluppati il doppio o forse il triplo degli umani.»

«E avevo un... odore differente?»

«Al mattino, sì. Quando si è svegli, sono più intensi. E con voi, c'è un'aggiunta.»

Victoria deglutì pesante. «Cioè?»

Fu allora che il Windothynn sollevò il mento e incrociò il suo sguardo.

«Il mio. Avete ancora il mio odore tra le gambe, principessa.»

La donna non riuscì a mantenere un contatto visivo. E si vergognò all'idea che lui avesse potuto vederla in quello che lei considerava il rossore più imbarazzante della sua vita.

Numi del fato. La leggerezza e la soavità della voce l'avevano scombussolata. Per lei, c'era un qualcosa di tremendamente eccitante nel toro baritonale del quotidiano, e con quegli argomenti...

«Ammiro la libertà con cui ne parlate.»

«Dovreste farlo anche voi. Non rinnegate il vostro volere.»

E Dorian avrebbe anche voluto sussurrarle che il suo corpo meritava tutti gli elogi del mondo e aveva fatto impazzire una creatura secolare come lui, ma si ricordò delle insicurezze della giovane e lo tenne per sé. Se le provocava disagio, non poteva osare, pur con le intenzioni più innocue del mondo.

«Ieri sera... prima di dormire...»

Victoria osservò ancora per un po' il principe. E pregò gli Dei che più aveva a cuore di smettere di osservare il petto nudo del Fae. Le mancarono le emozioni nel contemplargli la schiena, perché non erano nulla a che vedere con cosa le stava accadendo in quegli istanti.

«... mi avete sussurrato qualcosa.»

Dorian si irrigidì. Victoria lo notò nelle braccia. E le vene erano più accentuate.

«Ma non lo ricordo con precisione.»

Dopo qualche sospiro, Dorian vociferò: «Dylajah

«Che significa?»

Dorian modellò la punta di un'altra montagna e sorrise soddisfatto. «La biblioteca è il vostro rifugio, giusto?»

«Sì.»

«Bene, potrete ritornarci per una ricerca.»

Victoria aggrottò la fronte. «Sapete che non è educato o carino parlare in una lingua sconosciuta alla persona che avete davanti?»

«Certamente. Ma durante nostri allenamenti, non vi chiedo mai i significati delle imprecazioni che borbottate nella Lingua dei Draghi.»

«Ottimo, perché potrebbero non piacervi.»

E Dorian ridacchiò con lei.

«La vostra parola, invece? Potrei apprezzarla?»

Victoria notò il luccichio particolare nelle sue iridi color ghiaccio prima di risponderle. «Molto.»

E a quella replica del Fae, si tormentò ancora di più. Doveva scoprirlo. A costo di mettere sottosopra la biblioteca reale e le altre minori sparse nel castello.

«Quando volete, la colazione è pronta.»

E prima di fiondarsi al tavolo dove avrebbero mangiato insieme, la donna si ricordò delle sue condizioni.

«È possibile riaccendere un fuoco?»

Lui annuì. «Perché?»

«Vorrei... un po' di calore per asciugarmi.»

Numi magiche. Dorian si ricordò che quella notte, sebbene l'eccitazione fosse svanita qualche ora dopo la loro esperienza, si erano addormentati l'uno nelle braccia dell'altro. E la mattina era stato difficile staccarsi da lei senza farla svegliare. Quindi, il sudore aveva imperlato i loro corpi e bagnato i loro abiti.

Il Principe Ghiaccio non ci pensò due volte. Mandò una scia di energie verso il camino, e un fuoco intenso apparve dopo qualche fiamma scoppiettante.

«Grazie.» sussurrò lei, con un sorriso che lo scaldò e lui ricambiò.

Poi, il Fae abbassò il capo e si concentrò sull'impiattamento della sua porzione di cibo.

«Quale delle vostre sorelle amava di più questo piatto?»

«Aeghena. È golosa di dolci.»

«Un giorno, spero di poterla conoscere. La vostra dinastia mi ha sempre incuriosito molto. Amerei apprezzarne e scoprirne le differenze.»

Un velo di malinconia coprì gli occhi del principe, già di per sé misteriosi.

«È una donna molto riservata, altezza. Le perdite e il dolore nelle nostre vite l'hanno cambiata parecchio.»

«Prima non era così?»

«Tutt'altro. Ma vi auguro di conoscerla. Sono sicuro che avreste molte cose in comune e diventereste amiche. Certo, ha delle "divergenze caratteriali" anche lei, ma... sa come farsi apprezzare.» la provocò.

Victoria inclinò il capo e sorrise. «State cercando di dirmi che sono capricciosa?»

Dorian ridacchiò. «Dipende.»

«Da?»

«Che interpretazione date alla parola capricciosa

«La vostra qual è?»

E lui scosse la testa, divertito. Quell'ingenuità lo faceva impazzire.

«Siete proprio una donna dalle mille sorprese, Legendragon. Adesso scopro che in realtà sapete cucinare i piatti della nostra dinastia e mi avete mentito per tutto il tempo?»

La principessa si alzò dalla sedia che lui, con la magia, aveva spostato per lei. Non le interessò di essere ancora umida e appiccicosa. Con piccoli saltelli e passi lunghi, raggiunse il principe nella sua postazione e appoggiò le mani sui bordi del tavolo. Si concentrò con tutta sé stessa a guardare il suo lavoro.

«Posso aiutarvi?» gli chiese.

Victoria giurò di vederlo teso, ma le fece segno di avvicinarsi. E quando afferrò il coltello per tagliare una fetta della "nuvola di neve" sul tagliere di legno, lui le cinse il polso con delicatezza. E più che sussultare per il contatto delle dita, lo fece per il petto nudo premuto contro la sua schiena. Lo stesso, muscoloso e caldo, percepito nella loro notte di libidine.

«Solo se vi aiuto anch'io.» le sussurrò a un orecchio.

E Victoria rabbrividì al tocco delle sue labbra in quel punto che... Dei. Ricordava bene il discorso sui punti sensibili affrontato in biblioteca.

«Va tagliato in fette molto sottili» le suggerì «altrimenti non hanno modo di trasformarsi.»

«Trasformarsi?» gli replicò a fatica, facendosi cullare dai suoi movimenti con le braccia.

«Una volta concluso, ve lo mostrerò.»

Insieme, affettarono pezzi uguali. E sul finale, una nuvola di stelle e sfolgorii prese vita. Dalla magia apparve una figura simile alla pasta da zucchero, ma più morbida.

«Posso assaggiarla?»

Dorian notò lo stupore nel tono di voce. Modellò la scia magica per sollevare la montagna di neve creata, e questa raggiunse le labbra della principessa. Lei capì le intenzioni dell'uomo, e aprì la bocca. Dopo il primo piccolo morso, masticò e inghiottì lenta. Lui le esaminò con minuzia e interesse i movimenti della mascella e del collo.

«Cosa vi ricorda?»

«La cannella. Avevate ragione. È così simile...» gli replicò, con un tono bambinesco.

Lui sorrise. «Ognuno di noi avverte il sapore che più ama. Come vi dicevo, i più diffusi sono cioccolato e cannella. Ne esistono altri, ma ricordavo che mi avevate già parlato del vostro amore per la cannella.»

Lei sollevò il mento e lo guardò dritta negli occhi. Per qualche istante stette in silenzio, e Dorian si tormentò sulla lucidità degli occhi. Non riusciva a intuire le emozioni della donna.

«Cos'altro ricordate?»

«Di voi?»

Victoria annuì.

Il principe si morse l'interno della guancia. «Che amate tanto quel dannato libro.»

Lei ridacchiò e abbassò il viso, portandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio.

E lui si meravigliò, perché non seppe da dove trovò il coraggio per afferrarle il mento con due dita e sussurrare: «Scegliete un'altra pagina, principessa.»

La Legendragon deglutì. La fatica nel sostenere il suo sguardo raggiunse il tono di voce.

«Cinquantuno.»

E la sua mente ipotizzò una miriade di situazioni diverse in cui lui avrebbe potuto svolgere il tutto.

E la confusione aumentò nel vedere il principe che allungava un braccio verso il piatto che aveva preparato per lui. Immerse due dita in un composto simile a una crema, poi guardò la principessa con titubanza.

«Ne siete sicura?»

«Non anticipatemi nulla. Per una volta, vorrei fidarmi dell'intuito. Almeno la metà di come mi fido di voi.»

E di nuovo. Accadeva tutte le volte che la principessa faceva un apprezzamento nei suoi riguardi. Non si considerava degno di quell'affetto. Lui, abituato a una vita di sangue, guerre e rovina...

«Avete la mia parola.» le sussurrò.

E lei si sentì divorata dalla sua anima, per quanto fosse una considerazione improbabile. Per come lui la guardò, e per le carezze sulle gote con le dita asciutte.

Victoria chiuse gli occhi. Si godé i polpastrelli puliti sul collo. Ma quelli pieni di crema magica...

Dei.

Dei della misericordia e del perdono.

Non si pentì.

Non si pentì neanche di sussultare, perché il contatto... quel contatto.

«Ditemi se devo fermarmi.»

Victoria deglutì a fatica. E poi trasgredì la sua stessa regola: aprì gli occhi. Voleva viversi ogni secondo di quei momenti. E poiché sapeva quanto lui amasse guardarla mentre ansimava, gli donò di nuovo quella prospettiva.

Le dita seguirono una traiettoria ben precisa. Partirono dal lobo dell'orecchio, scesero delicate lungo l'incavo del collo, premettero piano sulle clavicole e... il solco del seno. L'umidità del posto fece sciogliere un pezzo di crema, e il sudore si mischiò ai sapori.

Poi, la principessa sgranò chi occhi per una frazione di secondi. Boccheggiò con più ardore, e valutò di scusarsi. Ma capì. Capì che al principe non importava come fosse e chi fosse.

Per lui, lei era semplicemente Victoria.

Non la discendente di una casata leggendaria, né il rischio più grande della sua alleanza.

C'erano regole, mutevoli e immorali, che non conoscevano limiti.

Neanche per un'anima immortale.

E loro furono coscienti di rompere un altro mattone del loro muro impenetrabile quando le dita del Fae disegnarono cerchi intorno al capezzolo della principessa.

Lei strinse forte i bordi del tavolo.

«Vi consiglio di sedervi» le bisbigliò «è più comodo per entrambi.»

E lei obbedì. Appoggiò il fondoschiena sul tavolo, e allargò le gambe d'istinto. Arrossì per la vicinanza che venne a crearsi. Lui si posizionò lì in mezzo, e la sua traiettoria proseguì sul ventre.

Victoria respirò irregolare. Irrigidì i muscoli quando i polpastrelli le sfiorarono posti che il Fae, la notte precedente, aveva toccato con passione. Diede un assenso al giovane, ma lui si fermò.

«Voglio andarci cauto, principessa. Vi rispetto troppo.» le sussurrò a un orecchio.

E la fatica nel tono di voce provocò alla futura regina una pelle d'oca senza precedenti. Perché ciò significava che se un giorno Victoria fosse stata disposta a concedergli un po' di più, lui l'avrebbe accontentata. Ma ancor di più, l'avrebbe aspettata.

E quella fu una risposta. La risposta che le servì per credere di più in sé stessa. Afferrò il polso del giovane, e fece in modo che un piccolo pezzo di quella consistenza finisse sulla sua intimità coperta dalla biancheria intima.

«E io rispetto voi.» gli boccheggiò.

Dorian restò senza fiato. Non seppe se dare priorità alle sue emozioni, al coraggio della donna o all'inizio di quella tortura del piacere.

Optò per la terza. Si abbassò sulle ginocchia, e guardò lei negli occhi. «Qualsiasi, principessa. Qualsiasi occasione per dire no.»

Lei annuì. Non era mai stata più convinta di cosa stesse accadendo. E il gesto successivo le fu così veloce e impulsivo da chiedere scusa. Senza pensarci.

«Non importa.» vociferò lui.

Attese che l'affanno della fanciulla si placasse. Aveva provato a leccare la crema che copriva la sua intimità, ma Victoria aveva chiuso subito le gambe. L'espressione di frustrazione confermava quanto anima e corpo non riuscissero ancora a comunicare come lei avrebbe voluto dal principio.

«Va tutto bene, Victoria. Non importa.»

Lei non aveva mai udito la sua voce così.

Mai.

Una premura che le tolse ogni certezza.
Nessuna delusione. Nessuno sconforto. Solo premura. Premura e comprensione.

E Dorian non ci pensò due volte a ricominciare da una parte più alta rispetto alle grandi labbra.

Il ventre della donna conobbe il caldo e l'intensità della lingua di Dorian Windothynn. E la stretta delle mani sul tavolo anticipò un gemito che fece tremare le ginocchia dell'uomo.

Il tessuto del vestiario era superfluo. Inutile, constatò lei. Inutile perché con quella lingua era come percepirla sulla pelle nuda.

Lui appoggiò le mani sul tavolo mentre, lento e sicuro di sé, leccava la zona intorno all'ombelico. E Victoria evitò delle convulsioni per miracolo.

Il nobile si staccò di poco per sussurrare: «Da stesa sarebbe più semplice, principessa. Ma non vi obbligherei a-»

«Nel libro c'è. Fatelo.»

Nel libro c'è. Dorian ridacchiò incredulo a constatare che Victoria aveva scelto quel numero... perché lo sapeva. Sapeva cosa aspettarsi. E quella confessione gli alleggerì il cuore.

Così, afferrò le caviglie della principessa e la aiutò a distendersi sul tavolo.

Avrebbe voluto spegnere il cervello. Si ritrovò a pensare quello nell'avvicinarsi e afferrarle i fianchi per permetterle di avvolgere le gambe intorno al suo bacino.

E anche la Legendragon fece pensieri molto simili all'annullamento delle sue emozioni più impudiche. Perverse. Si ritrovò ad ammettere perverse. E se ne spaventò.

Perché sarebbe bastato poco. Un nonnulla per perdere il controllo. Ma la parte migliore di quel loro rapporto così strano era che... lei non temeva nulla.

Non temeva eventuali azioni pericolose del giovane. Perché Dorian Windothynn non era nulla di pericoloso o dannoso. E pian piano, guidata dalle sue convinzioni morali, se lo stava confermando.

D'improvviso, capì anche che il suggerimento datole dal principe era veritiero. Per lui fu più comodo leccarle via la crema, e lei... lei strinse le gambe intorno al suo girovita tutte le volte che le sfuggì un gemito. I capelli erano sparpagliati sul tavolo, e si assicurò che i loro piatti fossero lontani dai corpi.

Buon cielo.

Una presenza.

Sentì una presenza ingombrante tra lei e il corpo del nobile.

E capì. Capì e confermò che non l'avrebbe voluta lontana per nessuna ragione morale al mondo. Era l'irrazionalità, la follia e la spregiudicatezza che stavano guidando i loro istinti.

«Quando arriverete su...» boccheggiò a fatica, e attese che si fermasse per ascoltarla. «... posso... posso stringervi i capelli?»

«Non dovete neanche chiedermelo, principessa.»

E pochi istanti dopo, il principe riprese la sua scalata. La lingua aveva raggiunto la parte bassa del seno, e lui si bloccò nell'immediato. Il gesto successivo era troppo intimo per poter proseguire senza rifletterci.

I due si guardarono negli occhi con una profondità comparabile solo ai fondali marini del Continente. E l'annuire temerario di lei garantì l'atto successivo.

Victoria decise che era arrivato il momento di non ostacolare le sue emozioni. O meglio, non riusciva più a ostacolare le sue emozioni.

Il modo in cui strinse le gambe, gemette e attirò lui a sé... Dorian non seppe descriverlo. Lasciò che a parlare fosse la sua lingua che danzava intorno al capezzolo destro di lei. E seppur quel maledetto strato trasparente del vestito ricordasse a entrambi chi fossero, Victoria riconfermò che era come essere esposta. Nuda. Completamente nuda sotto gli occhi di un uomo che ammirava e contemplava in taciti silenzi.

«Buon cielo, Legendragon...» ansimò Dorian, all'ennesimo gemito di lei più godurioso del solito.

E osò ciò che era scritto in quelle pagine. Morse la punta del capezzolo con estrema delicatezza, poi succhiò per portare via ogni pezzetto di crema.
Il capezzolo era così duro e la pelle così piena di pelle d'oca... da estasiarlo fino allo sfinimento.
E Victoria si abbandonò completamente. Inarcò la schiena, roteò gli occhi e gli donò un altro tono di voce.

Lui non l'aveva mai udito. Era un misto tra sofferenza, beatitudine e carnalità che incendiò anche un'anima di ghiaccio come lui.

Sensualità. Victoria Legendragon emanava sensualità e lussuria. Un contrasto impossibile, a patto che si trattasse della principessa dal cuore di fuoco.

Dorian non aveva mai incontrato una donna come lei. E si ricordò del motivo per cui era un pericolo. Un eccesso che la sua anima, ostinata come lui, non poteva permettersi. Soprattutto perché gravava il peso di un'alleanza per una pace secolare.

«Restate lì...» biascicò la donna, a occhi chiusi.

Il volere era diventato un tutt'uno con il piacere. E lui ridacchiò proprio perché non c'era parvenza di timidezza nella voce rotta dal godimento.

«Se...»

«Vi prego.» supplicò, allacciando più forte le gambe intorno alla schiena. «Vi prego. Ne ho bisogno. Ho bisogno di riprovarlo.»

Dorian si leccò le labbra. Obbedì, e la sua bocca sentì di nuovo il sapore della Legendragon.

Succhiò i capezzoli turgidi con più veemenza. Le convulsioni di Victoria furono lampanti e cariche di erotismo. Il bassoventre di lui reagì sull'istante e premette su quello di lei. E la principessa restò senza fiato.

Due calamite.

Due calamite di fuoco e ghiaccio.

Una simbiosi di corpi.

Dorian mantenne la promessa: Victoria avvolse le dita nelle ciocche bianche e disordinate quando lui salì e si concentrò sul collo. Leccò con un'intensità che tolse energie a entrambi, perché la maggior parte della crema era concentrata in quel punto. E il sudore dei corpi avvinghiati fece aumentare la carica erotica.

La principessa immaginò quante volte il Windothynn aveva sedotto una donna in quella posizione. Ma ancor di più, penso a come... a come le stesse piacendo. Da perderci il lume della ragione. Allora era così che due anime si univano carnalmente? Era quello il fiato corto e la pelle in fiamme di cui le parlavano le sue dame?

In parole povere... era in quei modi e posizioni che si faceva l'amore?

Era tutto così nuovo. Tutto così vero. E voleva provarci. Ancora e ancora.

E Dorian si beò di ogni respiro di lei. La voce nelle orecchie, così affannosa e distrutta, fu una melodia. Una melodia che per troppo tempo gli era mancata. O forse, non aveva mai udito.

«Victoria...»

«Continua... continua... per favore...»

Le strinse forte i fianchi.

«Se non mi fermo...»

«Non farlo... non fermarti...»

«Devo, principessa...» le rise in un orecchio. «Devo.»

«Lo vogliamo entrambi.» gemette. Forte. «Santi numi. Lo vogliamo entrambi, Dorian.»

Il precipizio.

Il precipizio del loro essere.

I battiti accelerati, i capelli incastrati... e poi, gli odori. Gli inconfondibili odori che, nelle ore precedenti, li avevano riuniti in un unico corpo.

Entrambi non seppero se sconvolgersi per il tu improvviso o per come stavano strusciando le loro intimità l'un l'altro.

Dorian le strinse ancor più forte i fianchi, al punto di lasciarle dei segni con le unghie. E dovette contenersi in un modo che gli parve impossibile per il tipo di gemito di lei che ricevette nell'orecchio. Nulla a che vedere con i precedenti sì lascivi... ma contenuti. L'ultimo, invece, era sfrenato.

E le eccezioni li disintegrarono. Su quella pagina, non c'era nulla di tutto quello che il Windothynn stava facendo accanto al suo collo. Dorian le lasciò una scia di baci umidi nell'incavo, sul lobo dell'orecchio e sulle tempie mentre spingeva l'intimità contro quella della principessa.

E lei ansò ancora più forte a percepire... un morso. Un piccolo morso sotto l'orecchio. Il cuore le batté così forte da non riuscire a udire più alcun suono. Strinse le gambe. Forti. E il gemito smorzato del Fae fu istantaneo.

Eppure, il principe ritrovò quel po' di lucidità per ansimare: «Devo, Legendragon. Devo fermarmi.»

E forse fu l'uso del cognome.

Oppure la tempesta nei loro stomachi.

O, forse, lo straziante coraggio con cui lui l'aveva pronunciato.

Perché la nobile era sicura di non averlo immaginato.

Era dolore.

Era dolore quello che sentiva nel suo tono baritonale.

Era dolore quello che percepiva nel suo cuore frantumato in mille pezzi.

L'idea di un rifiuto che non era un rifiuto.

E quando dovette allontanare le braccia dal collo di Dorian, Victoria capì che il silenzio inquietante della stanza non era nulla in confronto alla consapevolezza di ciò che erano diventati.

E che non avrebbero mai avuto il coraggio di confessare.

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