XI. Gelo e fiamme. (Pt. II)

(AVVERTENZE: questo capitolo ha dei contenuti che potrebbero colpire la sensibilità di alcuni lettori).

Soundtrack – "Fire on Fire (Violin version)", Sam Smith.

«Il gomito.» le mormorò a un orecchio, mentre la aiutava a sistemarlo. «Non piegate troppo il braccio, altrimenti non riuscirete a mantenere la corda tesa.»

«D'accordo.» sospirò lei, guardando il suo obiettivo.

Ma la concentrazione era diventata un flebile ricordo. Il cappuccio del mantello era schiacciato dalla prestanza fisica del Windothynn, e il fiato sul collo... preferì non pensare a cosa le provocasse.

L'aria era fresca. Quella mattina, nonostante il cielo oscurato da nubi che presagivano un altro dei soliti acquazzoni del reame, la rigidità delle temperature era diminuita. Inoltre, i due nobili si erano vestiti con indumenti pesanti, segno per cui sapevano cosa li attendesse.

«E la schiena.» le sussurrò, appoggiandole una mano sulla pancia. «Più dritta.»

Quando le premette le dita sul ventre, Victoria non poté fare a meno di ricordare. Come la strinse per farla aderire al suo addome...

Per un'istante, valutò l'idea di staccarsi e chiedergli una pausa. Ma in cuor suo, non ci riusciva. Era avida di quei tocchi, di quei gesti e di quelle parole bisbigliate con soavità.

«Dove avete imparato la prima volta?» gli chiese, per distrarsi. Un ammasso di calore si era formato nel bassoventre.

«Scoccate e ve lo dirò.»

La donna obbedì. Scoccò la freccia, e la punta raggiunse la corteccia dell'albero alla velocità della luce.

Lui lasciò la presa su di lei, e Victoria si ritrovò a maledirsi per la tristezza provata. Il Fae raggiunse l'albero ed estrasse l'oggetto; poi lo appoggiò tra le mani e lo esaminò, centimetro dopo centimetro.

«Cuore di ghiaccio e frassino.» precisò, toccando parti specifiche della freccia. «È una delle piante più diffuse nei Regni Magici. Gli arbusti sono sopravvissuti anche dopo il devasto della guerra. Infatti, se raggiungete quei posti al confine con il Nuovo Mondo, non troverete nient'altro che natura incontaminata.»

«Non mi avete mai raccontato i dettagli della guerra...» ricordò lei, sistemando poi la faretra.

Dorian restò in silenzio per qualche istante, appoggiando un polpastrello sulla punta acuminata. «Non spetta a me, principessa. E comprendo se vostro padre non abbia voluto.»

«Perché?»

Il principe si irrigidì. «Non è una storia adatta ai bambini, vediamola così. Né per gli adulti.»

E nonostante l'ironia nel tono, non riuscì a nascondere il disagio. «State cercando un modo per distrarmi ed evitarvi la lezione, Legendragon?»

Lei sorrise e abbassò il capo. «Non era mia intenzione.»

«Bene. Mostratemi di cos'altro siete capace. Dopotutto, siete una donna dalle mille sorprese

Il palese riferimento alla notte in biblioteca le imporporò il viso. Ma si impose di non pensarci troppo e si schiarì la voce. Acciuffò la freccia lanciata dal principe e la posizionò in attesa.

«Vi mostrerò un'altra cosa. Tirate.»

Lei lo guardò per qualche istante, poi assecondò la richiesta.

La freccia non arrivò mai a destinazione. Si polverizzò, e una luce bianca e accecante lasciò il posto a microscopici fiocchi di neve che danzarono in direzione dell'albero. Quando colpirono la corteccia, uno stormo di uccelli bianchi si levò alto per raggiungere il cielo. E sotto di loro, lasciarono polvere magica del colore delle stelle.

Victoria aveva osservato quella magia con gli occhi dell'incanto. Ed era stato lo stesso per Dorian, ma guardando lei.

«È spettacolare.» le vibrò la voce. «Com'è possibile...»

«Creare creature dal nulla? Non lo è, infatti.»

Victoria inarcò un sopracciglio e sorrise. Ma un'espressione di stupore e meraviglia le contornò il viso a rivedere i volatili che ritornarono da quelle altezze. Diventarono di nuovo polvere, e la magia prese la forma di... un drago. Un drago di luce e neve.

«La magia è insita in ognuno di noi, Legendragon. Bisogna soltanto crederci.»

«Quindi è frutto della mia immaginazione?»

«No, nient'affatto.» ridacchiò genuino, mentre ondeggiava le dita per trasformare il drago in... onde del mare.

«L'anima, principessa. Se la vostra anima ci crede, i vostri occhi lo dimostreranno.»

«Temo di non comprendere, milord.»

«Siete in grado di vedere tutto questo come chiunque. Ma pochi reagiscono con ammirazione e umanità. Nella mia esistenza ho visto tanti volti, Legendragon. Chi incredulo, chi meno. È semplice giudicare il prossimo. L'ignoto e il nuovo fa... paura. Per molti anni, quando l'essere umano doveva ancora abituarsi alla convivenza con gli esseri magici, è stata dura. Le persecuzioni dei miei antenati sono raccontate sui manuali di storia. Com'è possibile? Direte voi. La magia non ha alcuna supremazia? Perché non importa, principessa. Fino a quando esisterà l'oscurità, non importa quanta magia un Fae o una Strega abbiano in corpo. La luce non può nulla davanti alle tenebre insite nei cuori delle persone che hanno dimenticato i veri valori della vita. L'amore. L'uguaglianza. E il rispetto. Tre qualità che dal primo giorno, invece, ho intravisto nei vostri occhi.»

Il lampo che illuminò il cielo diede giustizia all'immensità del discorso. E Victoria sollevò il mento per guardare, dopo un'infinità di secondi a contemplare le magie del Windothynn.

Dorian approfittò della distrazione per trasportare le onde intorno al corpo della principessa. Lei trasalì quando le avvertì intorno al suo corpo, ma il calore e il benessere che le donarono dimostrarono la loro innocenza. Poi osservò il principe. Una tacita richiesta. Lui annuì.

Victoria sfiorò la luce con un polpastrello, e solo quando ne fu sicura, ci immerse gli altri. E rise soddisfatta. Non la temeva. Non le avrebbe fatto alcun male. Si divertì a danzarci dentro, mentre la avvolgeva come una coperta soffice e luminosa. E lei si bloccò quando un pezzo si staccò e si trasformò in una mano magica.

La mano le sfiorò il viso con le nocche, e Victoria sorrise a constatare le labbra curvate di lui. La magia gli stava permettendo di accarezzare la giovane. E il calore interno le ritornò quando la mano si spostò per accarezzarle le clavicole, l'interno del seno, l'ombelico e...

Un improvviso acquazzone bloccò l'atto. Dorian avvertì i capelli più umidi e capì che i giochi di magia erano conclusi.

«Dobbiamo metterci al riparo.»

Il principe si coprì il capo con il cappuccio, e raggiunse la principessa. Avevano galoppato per chilometri con i soli cavalli. Nessuna carrozza o cocchiere ad attenderli. E il castello distava troppo per poter partire in viaggio.

«Cosa consigliate di fare?» gli disse, sistemandosi sotto l'albero per evitare le prime gocce.

Lui si sistemò accanto, appoggiando la schiena sul tronco. «Una follia.»

Lei sollevò il mento e si ritrovò il suo viso a pochi centimetri. «Ovvero?»

Le labbra curvate e le fossette pronunciate non presagivano nulla di buono, pensò la donna.

E i suoi presentimenti si rivelarono esatti quando sgranò gli occhi.

«Seguitemi!»

«Bene, è decisamente una follia!» urlò anche lei, e sentì echeggiare la risata del principe in lontananza.

Cielo, non lo aveva mai visto così estroverso, spensierato... felice.

Non poté fare altro che raggiungerlo, perché perdersi doveva essere l'ultimo dei suoi problemi. E così corse. Corse senza fiato. Con la pioggia a bagnarle i capelli corvino, le mani strette sui lembi dell'abito per alzarlo da terra, le caviglie sporcate dal terreno umidiccio e l'aria nei polmoni a ricordarle cosa stesse accadendo.

I migliori viaggi della vita non avevano una meta. Ma quando si trattava di magia, la concretezza si polverizzava in polvere di intraprendenza e temerarietà.

«Pazzo.» ansimò la giovane.

«Mai negato.»

«Folle.»

«Mmm, credo sia lo stesso.»

La smorfia sul viso del principe la fece ridere di un'ingenuità che scaldò il cuore del Windothynn. Victoria era bagnata fradicia. Dalla testa ai piedi. La schiena era appoggiata sulla parete, le ciocche piene d'acqua le cadevano sul seno rialzato dal maledetto corpetto che aveva scelto quel giorno. In realtà, maledisse l'intero abito. Non avrebbe mai potuto immaginare un temporale simile, onde per cui aveva scelto un vestiario pesante ed elaborato.

L'uomo, invece, le sembrava una divinità. Le ciocche bianche e bagnate gli contornavano il viso accaldato. Gli occhi la stavano contemplando, mentre il boccheggiare non risparmiava neanche lui. La maglietta bianca e sottile era diventata trasparente, e lei deglutì più volte a metabolizzare di avere il suo corpo a un soffio di respiro. Il principe stava mantenendo la porta chiusa con una mano su di essa. E non aveva alcuna intenzione di far uscire la Legendragon dalla sua "trappola". Schiacciata contro il legno, aveva il mento sollevato e gli occhi incastrati in quelli del Windothynn. Per un frangente, quella scena le ricordò quando si erano osservati, con la stessa intensità, dopo che entrambi avevano raggiunto il culmine del piacere.

«Però, se conoscevate questo posto, tanto folle non siete.»

A lui scappò una breve risata. Il fiatone rendeva faticoso il dialogo.

«Tutti noi abbiamo un rifugio, principessa. Il vostro qual è?»

E Victoria sorrise. La pioggia batteva forte sulle finestre aperte della catapecchia, e si rese conto che avrebbero dovuto chiuderle. Le fece notare al principe, ma lui volle restare lì. A pochi centimetri dal petto della donna che gli stava offuscando la ragione.

«Secondo voi?»

«La biblioteca.»

Victoria si meravigliò. Lui non aveva esitato un solo istante nel darle una risposta.

«Mi rende felice. Leggere storie con mondi immaginari, terre che non esplorerò mai...» deglutì per monitorare il fiato «è come se vivessi più vite in contemporanea. Mi piace pensare di essere qualcun altro per quei brevi attimi di quiete e silenzio. La mia mente non pensa a null'altro. E tutti i miei problemi diventano più piccoli.»

«Quando venivo in questo posto» raccontò il principe, unendosi al discorso «sapevo che i miei genitori non avrebbero mai potuto trovarmi. Mia sorella lo amava. Adorava portare i suoi libri e cucinare per me e mia sorella. Era il nostro rifugio dal mondo. Una "piccola grande" casa. Un pezzo di infanzia che non ritornerà mai più. I ricordi sono preziosi, principessa. Anche se fanno male.»

E lei trovò il coraggio. Appoggiò le dita esili e tremanti sul petto di lui, e di colpo lo vide fare su e giù con più fatica. Ne percepì tutta l'umidità e... le forme. Sentì le forme dei suoi pettorali e peccò nel desiderare di toccarli.

E spalancò gli occhi e temette che avesse potuto udire i suoi pensieri. Lo vide sbottonarsi. Lui non le staccò gli occhi di dosso mentre pian piano apriva la camicia e mostrava piccole parti di pelle.

Victoria si concentrò su un'altra parte della stanza, e fu sicura di avere le guance in fiamme. Strinse le braccia intorno al girovita, e capì in quel momento di non avere scampo. Sarebbe dovuto toccare anche a lei, o non avrebbe potuto dare spiegazioni al padre per eventuali malanni.

«Per quando è previsto il ritorno a palazzo?»

Il principe aggrottò la fronte. «Avete fretta di ritornare?»

«Oh no, per niente.» precisò lei, mortificata. «Non insinuate che-»

«Non sto insinuando nulla, altezza. Era una domanda, perché è mio dovere rendervi felice. Se vi sentite a disagio, posso-»

«No.» lo interruppe. «No.»

E dopo qualche secondo, aggiunse: «Non mi sento a disagio. Preferirei restare qui. Ma mio padre...»

«Il re ascolterà la mia versione.»

«E sarebbe?»

Il principe si era allontanato. Aveva raggiunto un tavolo al centro della stanza, e l'oscurità rendeva il posto ancora più misterioso. La visibilità era ridotta e le ombre degli oggetti avevano un alone cupo.

«Perché temete la sua reazione?»

Quella domanda fu come una doccia fredda. Victoria si strinse ancora di più il girovita. E pregò che il Fae non si girasse, in quanto i vestiti bagnati mostravano bene le forme del suo seno.

«Non ho detto questo.»

«Il vostro tono si è indurito.»

Lo odiava per il modo in cui sapeva scavarle dentro. Perché era vero. La voce era sembrata meno decisa.

«Non significa granché.»

«Avete paura.» rispose deciso, mentre sistemava la legna dentro il camino. Se l'era procurata prima di entrare, e da lì avrebbe generato la sua magia per accendere un fuoco.

«Credete di conoscermi a fondo, ma è solo che-»

«Che avete paura, ribadisco. Paura della reazione di vostro padre e forse anche di vostro fratello a sapervi qui, da sola, in compagnia di un uomo.»

«Perché dovrei? Non stiamo facendo nulla di male...» il balbettio la tradì. E si irrigidì quando vide l'uomo voltarsi.

Ma lo rispettò nell'esatto momento in cui capì che la guardò negli occhi. E in nessun altro posto che potesse farla sentire a disagio.

«Questo dovreste ripeterlo a voi stessa, principessa. Perché temete la reazione di vostro padre se non sta accadendo nulla? Ciò può significare soltanto che c'è dell'altro. E mi duole darvi questa consapevolezza, ma conosco fin troppo bene quel tono di voce e quello sguardo. So cosa si prova.»

E lei restò senza parole. Non riuscì a formularne neanche quando lui si rigirò per sistemare la legna e unire i palmi delle mani per formare una nube luminosa. Ci soffiò sopra, e scintille bianche andarono nella direzione del legname. Lo ricoprirono, e nel giro di qualche secondo una fiamma debole apparve al centro.

«Amo il fuoco. Se fossi un Fae, vorrei quel tipo di potere.»

Lui sorrise. «Si intonerebbe al colore delle vostre guance quando siete in imbarazzo.»

E per quanto volesse rimproverarlo, sapeva che aveva ragione.

«Non mi avete risposto, comunque. Ma posso ben comprendere. Come vi ho sempre detto, non vi forzerò a esprimervi o fare qualcosa che possa rendervi inquieta. Il giorno in cui vorrete parlarmi dei vostri demoni, sarò pronto ad ascoltarvi.»

E lui si girò di nuovo. Ma questa volta, camminò per raggiungerla. Il fuoco aveva iniziato a scoppiettare, e anche le pareti della stanza avevano un altro aspetto. Di un avorio-bruno consumato dal tempo, dai ricordi e dai profumi ancora impressi. L'odore di umidità si confondeva con quella delle vecchie candele di cera sul tavolo – che il Fae aveva acceso con uno schiocco di dita del suo potere.

E Victoria si sentì più piccola e fragile a ritrovarselo a pochi passi.

«Mi piace l'odore delle candele.» constatò, per distrarsi dalla vicinanza.

«E morire di freddo?»

«Decisamente no.» ridacchiò.

«Allora accettate che io possa aiutarvi a...»

Victoria capì e sgranò gli occhi. Si portò una mano sul seno per coprirsi.

«Non mi permetterei mai. In nessun mondo o Continente parallelo. Ma» schioccò di nuovo le dita, e il cassetto del tavolo si aprì. Una pelliccia bruna e consumata dal tempo fuoriuscì a fatica. Sembrava in buone condizioni, e della grandezza giusta per coprire un'intera famiglia.

«Posso aiutarvi. Prima devo rispolverarla un po', però. Non vorrei farvi prendere alcuna infezione, altrimenti vostro padre potrebbe davvero appendermi al soffitto per il colletto.»

Lei rise. Ma il velo di malinconia che notò nello sguardo del Fae la incupì.

Lui sospirò piano e, dopo averla aiutata a togliere il mantello, si allontanò di nuovo. Con la magia rimosse gli acari della polvere e la sporcizia dalla pelliccia, poi mugugnò: «La usavamo per dormire. Io e le mie sorelle avvolgevamo questa coperta intorno ai nostri corpi, su quel tappeto

Con un cenno del capo, indicò un punto della stanza in cui ce n'era uno. E sempre con il suo potere, lo rese come nuovo.

«La mia servitù vi pagherebbe in diamanti per avere un briciolo di queste capacità.»

Victoria udì il Fae ridere sguaiato per la prima volta. Si beò del suono della voce, così caldo e musicale, e rise anche lei quando gli vide scuotere la testa.

Poi, Dorian le indicò uno sgabello di legno accanto al fuoco. Victoria si coprì ancora il seno bagnato, e si avvicinò a piccoli passi.

«Potrete asciugarvi qui. Dopodiché, vi attendo.»

Victoria metabolizzò la situazione solo in quegli istanti. Lui aveva ancora la camicia di seta, sebbene fosse sbottonata. Ma... era asciutto. Completamente. Si domandò se in parte fosse dovuto alla magia, e conservò la domanda per conversare un altro po'. Poi capì che...

Nuvole e saette. Avrebbero dovuto dormire insieme. Sul tappeto. Sotto la pelliccia. Ma insieme.

Domandò al principe se potesse essere spostato più vicino al fuoco, in modo da percepirne il calore. E lui usò un altro po' della sua magia per farlo avvicinare. Poi lui andò davvero a distendersi, sotto la pelliccia, e si coprì. La posizione che aveva scelto per il tappeto gli permetteva di osservare la Legendragon accanto al fuoco.

Lei, intenta a portarsi i capelli in avanti per asciugarsi, sentì le emozioni sovrastarla a prese atto delle occhiate dell'uomo. La guardava con ammirazione, mentre la testa era appoggiata sul braccio sinistro piegato.

«Avete problemi a dormire per terra?»

Victoria negò con il capo, poi si districò i nodi con le dita. «Accade spesso.»

Lui si accigliò.

E la donna aggiunse: «Quando... quando ho dolori alla pancia e non riesco a dormire.»

«E il pavimento vi procura sollievo?»

Annuì. E mentì. Pregò che il Windothynn non la leggesse negli occhi come di consueto.

«Sogno il giorno in cui mi svelerete il vostro animo, Legendragon.»

«Credete che io vi stia mentendo?»

«Credo che facciate fatica a fidarvi delle persone. C'è qualcosa che ha rotto la vostra fiducia con il prossimo, e non spetta a me scoprirlo o giudicarvi. Ma, qualora abbiate bisogno di parlarne, sapete dove trovarmi. Lo ribadisco ancora una volta: non vi costringerò a fare qualcosa che possa turbarvi. Mai.»

E le ore successive le trascorsero così. Lei a riscaldarsi davanti al fuoco, sommersa nei suoi pensieri, lui... a osservarla. Tutto il tempo. Ma la Legendragon non si sentì turbata neanche una volta. E anzi, quando dopo qualche ora percepì il suo corpo totalmente asciutto... raggiunse la postazione del Fae.

Dorian era tra veglia e sonno quando avvertì la pelliccia sollevata. Socchiuse piano gli occhi, e sorrise a vedere le spalle della donna. Lei si coricò, e il principe le aggiustò le coperte sulle spalle. Si trattenne dall'impulso di lasciarle un bacio sul collo, e la osservò mentre si sistemava le mani sotto al viso.

Dopo qualche secondo a esaminarla, allungò una mano e, con grazia, le districò i capelli.

«C'è qualcosa che non va?»

Lei si chiese come fosse possibile una tale connessione. Lui riusciva a percepire tutte le volte in cui era di malumore o la opprimeva qualche pensiero di troppo.

«Non potreste capire.» sospirò.

Lui le accarezzò le tempie con le dita. «Lasciate che possa, allora.»

Solo lo scoppiettio del fuoco disturbò il loro silenzio.

Non era pronta.
Non voleva confessargli quel segreto che si sarebbe portata nella tomba.
Tutte le volte che le era capitato di parlare con le dame di corte, sua sorella o le donne più anziane della servitù... nessuno di loro le aveva dato le risposte o il conforto che cercava. E, forse, parte della situazione interiore in cui si ritrovava era dovuta anche a quelle insicurezze.

«Anche voi Fae...»

Deglutì. Non ce la poteva fare. Non lì. Non a pochi centimetri, con la consapevolezza che avrebbe potuto guardarla.

«Non importa.»

«A me importa.» precisò lui.

La mano premuta sul suo braccio parlava chiaro. Il principe voleva che si girasse verso di lui. E lei lo fece. Si ritrovò gli occhi color cristallo del Fae che le studiavano il viso da una vicinanza millimetrica, con le fiamme del camino a illuminare parte del suo volto.

Lasciò che la nobile potesse prendersi il tempo necessario per proseguire.

«Non mi sono mai spogliata davanti a un uomo.»

Dorian avvertì un macigno sollevarsi dal cuore. Per un attimo, aveva creduto al peggio. Gli occhi della Legendragon erano diventati distanti, cupi. Come a voler evitare qualunque contatto visivo e gesto empatico.

«E?»

La donna sospirò ancora e chiuse gli occhi. «Non credo accadrà mai.»

E il Fae ritornò in allerta. Sollevò di poco il capo. «Perché?»

Perché. Come avrebbe mai potuto spiegargli il perché? Victoria iniziò a torturarsi le dita della mano destra, e non sollevò lo sguardo nel rispondergli. «Perché ho vergogna. Non ho fiducia nel mio corpo. Non... non mi sento a mio agio. Ho paura del giudizio. Ho paura di non essere abbastanza. Ho una paura costante che qualcuno possa allontanarsi da me soltanto perché vedermi nuda possa... possa in qualche modo deluderlo. Non sarò mai pronta a... quello.»

E quel macigno che credeva di aver sollevato dal petto, Dorian capì di averlo sostituito con una montagna.

Numi del cielo. Non credeva possibile che una donna come lei... allungò una mano e se ne fregò delle conseguenze. Le afferrò una guancia e avvicinò il viso al suo. E dopo averle lasciato un bacio lento e casto su uno zigomo, Victoria non capì più in che posto si trovasse. La testa le era girata a una velocità irrazionale.

«Voi non avete idea di quanti uomini darebbero la vita per trascorrere istanti con voi.»

E ritornò. Il giramento di testa fu forte e intenso, tanto che... un momento. Cos'era quella sensazione di leggerezza nello stomaco? Il corpo in ebollizione ormai lo conosceva bene... ma quello? Perché si sentiva leggere come una... farfalla?

«Avete mai visto il modo in cui i membri della cavalleria reale vi guardano nei corridoi? Mentre passeggiate? E le occhiate che avete ricevuto dal consiglio di vostro padre quando siete venuta a cercarmi?»

«Dorian-»

«Lo so. Un conto è il giudizio altrui, un conto è il vostro. Le insicurezze sono dei mostri duri da combattere, ma bisogna considerarli degli alleati, Legendragon. È la vostra timidezza a rendervi ciò che siete. Non starò qui a elencarvi le qualità del vostro cuore, del vostro carattere... e tutte quelle cose che vi ribadisco nel quotidiano. Ma ve ne prego. Ve ne prego con tutta l'anima: almeno per una volta, ripetetele nella vostra mente e credeteci. Credeteci anche voi. Anche se per poco, fate in modo che le mie parole non siano vane.»

Victoria si rese conto solo in quel frangente del pizzicore negli occhi. E li abbassò, perché non avrebbe avuto l'audacia di osservarlo mentre scoppiava in lacrime. Era troppo emotiva. Difficilmente sapeva trattenere le sue emozioni davanti a un complimento o un litigio.

«Io vi trovo incantevole, Legendragon. Dentro e fuori. Ma siete voi a doverci credere per prima.»

E lei scelse la strada del silenzio. Si accovacciò nello spazio che li separava, e si lasciò cullare dalle carezze del Fae. Le dita nei suoi capelli le ricordarono quelle del fratello, quando trascorrevano del tempo libero insieme e la rassicurava e confortava per qualunque cosa.

Poi le venne un'idea. Forse fu la vicinanza. Forse il contatto stretto tra i loro corpi. Ma il gusto di quella nuova spavalderia le piacque.

«Mi avevate fatto una promessa.»

Lui abbassò il mento e la guardò stranito.

«In merito... al libro.» dopo qualche attimo, aggiunse: «... qualche ora fa. Davanti al consiglio.»

A Dorian era tutto chiaro, e stava fingendo di non capire solo per non trascorrere una notte che li avrebbe condannati ancor più dei momenti di beatitudine nella biblioteca reale.

«Victoria...»

«Per favore.»

Dorian sospirò malinconico. «Nonostante tutto?»

«Nonostante tutto.»

Victoria aveva colto il riferimento. Era stato un favore. Un modo per provare sensazioni che non avrebbe più sperimentato così facilmente. Si era memorizzata quella frase la notte della biblioteca, e le martellava in testa a ogni ora delle sue giornate.

«Credete che io vi stia solo usando per...?»

«No», la interruppe, mortificato. «No. Assolutamente.»

«Oh. Bene. Non vorrei che possiate dedurre che-»

«Vi ho fatto una promessa, Legendragon. Sognavate di provare alcune di quelle sensazioni lette nei libri perché avete paura di non riuscirci nella vita, sia per il matrimonio combinato che... per quello che ho scoperto oggi.»

Victoria si irrigidì. «Scoperto cosa?»

«Per i complessi che avete sul vostro corpo. In sintesi, avete paura di donarvi a qualcuno per i pensieri che potrebbe avere l'altra persona di voi. Adesso ho collegato. Ne ho capito l'urgenza. Ho capito quanto per voi sia importante proseguire gradino dopo gradino. E io voglio aiutarvi. Voglio...» deglutì anche lui, e a Victoria parve strano. «...voglio che possiate raggiungere quello stato di beatitudine che vi faccia dire ce l'ho fatta. Credo in me stessa. Siete una donna eccezionale, Legendragon. E non dormo la notte all'idea che vi sottovalutiate così tanto.»

Sentirsi dire quelle cose da uno "sconosciuto"... facevano male il doppio. Diamine, se lo facevano. La consapevolezza era l'arma che temeva più di ogni altra.

Se lo domandò. Se lo domandò se, in realtà, entrambi non stessero mentendo a loro stessi. E usassero la scusa del piacere per reprimere parole che non avevano il coraggio di dirsi l'un l'altro.

Ma i dubbi e le ipotesi si incenerirono quando il principe iniziò ad accarezzarle tutto il fianco sinistro.

E ansimò quando le sussurrò a un orecchio: «Scegliete una pagina, principessa.»

Lei si girò di tre quarti per guardarlo negli occhi. «Non ho il libro.»

«Ma io sì.»

«E dove?»

«Nella mente.»

Nella mente. L'innocenza non le permise di intuire.

Lui si avvicinò ancora di più. I respiri affannosi.

E le strinse piano un fianco prima di bisbigliare: «So tutto a memoria. Ogni singola pagina, riga e parola.»

La schiena le si riempì di pelle d'oca. Come lui aveva appoggiato le labbra su un orecchio, la stretta sul fianco, e la vicinanza dei loro petti... nulla, nulla di tutto quello avrebbe voluto allontanare dalla sua vita. Nulla.

«Trentasei.»

Un sospiro sofferto. E si allarmò quando non udì la voce di lui per dei secondi interminabili.

«Siete sicura?»

Siete sicura? Per quale motivo le stava facendo quella domanda? Certo, che era sicura. Si fidava. Si fidava di lui in un modo che non riusciva a spiegarsi. E gli diede una conferma.

«Dopo ciò che mi avete confessato oggi, per una questione di rispetto devo anticiparvi una parte di quello che dovrei fare, altezza.»

«Ditemi pure.»

Il tono sereno di lei lo convinse a sospirare e proseguire. «Potrei... toccarvi.»

Toccarvi. Il suono della richiesta...

«In posti che avete già sfiorato?»

Le accarezzò un braccio. «No, milady.»

La risposta la rese un po' inquieta. «E... dove?»

Lui la guardò. Osservò il punto che avrebbe dovuto torturare con le sue mani e... buon cielo. Lei capì il perché di quella titubanza.

«Ripeto, principessa, se non-»

«Fatelo.»

«Non siete costretta.»

Victoria gli afferrò il viso in una stretta che gli tolse il respiro. E con la bocca tremante, sussurrò: «Fatelo. Mi fido.»

Lui la guardò con un'intensità eterna, che non conosceva leggi temporali. E quando fu sicuro di aver inchiodato i loro sguardi, le bisbigliò sulle labbra: «Datemi le spalle, Legendragon.»

La principessa non se lo fece ripetere due volte. Si voltò, lui le sistemò i capelli per non coprire la visuale... e lei irrigidì tutto il corpo a constatare cosa stesse succedendo. Un'unione che mai, mai avrebbe immaginato in vita sua.

Poi quel bacio nell'incavo del collo. Lento, delicato, una grazia che la fece gemere sull'istante. Non le parve reale. Il corpo, quel corpo di Dorian Windothynn... così vicino al suo fondoschiena.

I vestiti. I soli vestiti, sottili come foglie, a separare le loro pelli.

E lo sentì. Buon cielo, se lo sentì. E si domandò se fosse già nella fase di eccitamento, perché contro le sue gambe le parve...

«Vi prego di fermarmi e afferrare le mie mani tutte le volte che lo riterrete opportuno.»

Lei annuì. Ansimante.

«Per qualsiasi gesto.»

E il fiato le si mozzò in gola.

Lui fece aderire la schiena della donna al suo petto. Non un solo filo d'aria. E le coperte resero il tutto più... asfissiante. Immersivo. Intenso.

Le dita della mano destra del principe le stuzzicarono la coscia con carezze pigre. Lei strozzò un gemito, inarcò di poco la schiena e guardò nel punto di destinazione. I polpastrelli le sfiorarono l'ombelico, e capì cosa stesse per accadere nel momento in cui le pieghe della gonna aumentarono. Dorian stava scoprendo quella parte del corpo per toccarla. E mille fuochi le incendiarono la pelle a riprovare l'esperienza di quelle dita sulle gambe prive di indumenti. I ricordi furono così intensi che si piegò di scatto, e spingendo il fondoschiena contro l'uomo sentì lui ansimarle nell'orecchio.

Dei del cielo. Era la prima volta che udiva la voce di lui così... eccitata.

«Questa volta nessuna calzatura, principessa?»

Una risata nell'orecchio che la fece impazzire.

Un grumo di calore si raggruppò nella parte bassa del ventre. Così acceso che le ovattò l'udito.

«Avevo altri pensieri per la testa.»

«Per come siete piegata su di me, adesso sono io ad averne.»

Dei del fuoco. Victoria si chiese se a tutte quelle donne che avevano avuto l'onore di averlo nelle loro stanze fosse bastato anche solo sentirlo parlare. Perché il modo in cui muoveva le dita era risaputo essere oro, ma la voce... calda nelle normali conversazioni, lava in altre occasioni.

E lei, quelle occasioni, voleva godersele tutte. Istante dopo istante.

I polpastrelli raggiunsero l'interno coscia. «Posso?»

Lei annuì. Bruciò ogni contegno. Il corpo avvinghiato al suo e il braccio sinistro di lui intorno al girovita erano la chiara dimostrazione dell'abbandono totale dei suoi sensi.

E la voce si fece più stridula e la schiena premette più sull'addome del principe quando un dito le spostò la molla della biancheria intima.

«Dorian...» ansimò all'estremo, irrigidendosi.

«Tranquilla» le baciò un orecchio «non vi toccherò in quel punto. Ve l'ho promesso. Mi serve solo spazio per muovere le dita.»

Muovere le dita. Buon cielo. Avrebbe strofinato su quella parte? L'ultima volta, c'era stata la lingua calda e umida a ricordarle come fossero fatti i cancelli dorati del mondo degli Dei. Mentre in quel momento... le dita. Dita che, per lo più, sentiva già umide e appiccicose. Segno che stavano sudando entrambi.

Gli sospirò un "va bene" di consenso, e le convulsioni non tardarono ad arrivare. Trasalì e provò a trattenere un gemito quando l'indice e il medio del Fae si mossero... lenti. Così lenti da farla quasi svenire, ma premuti con una tale forza da annientarla.

«Dei...» boccheggiò. Fu l'unica cosa che riuscì a dire, poi sollevò il mento e appoggiò la nuca sulla spalla di Dorian quando si aggiunse anche il terzo dito.

I movimenti circolari le fecero salire il sangue al cervello. Non riuscì a controllarsi. I fianchi iniziarono a ondeggiare, e i glutei – scoperti dalla gonna rialzata – iniziarono a strusciare contro l'intimità del principe.

«Rallento?»

«No», biascicò, sfinita «assolutamente no.»

«Però devo chiederlo io a voi, principessa...» le ridacchiò e gemette nell'orecchio.

«Perché?»

«Perché potrei perdere il controllo.»

E Victoria intuì. Un peso nella parte centrale del suo fondoschiena.

E non seppe da dove trovò tutto quel coraggio perché... spinse. Spinse e si strusciò per donare anche a lui del piacere. Voleva a ogni costo ricambiare la favola che le stava facendo vivere.

E Dorian le gemette così forte nell'orecchio che Victoria sussultò.

«Scusami.» le biascicò.

Quel tu. Quel tu ad annebbiarle la vista e la ragione.

E le dita di lui nel suo interno coscia premettero con più ardore. La pelle sfiorava la molla della biancheria con una foga estrema, e il sudore della sua coscia mischiato a quello del Fae la mandava in uno stato d'estasi indescrivibile.

«Dorian...»

Libidine. Pura lussuria nella sua voce biascicata fino all'inverosimile. Poi, la principessa decise di afferrare la mano del braccio di lui che le stringeva il girovita. Dorian distese le dita e acconsentì. E Victoria gliela strinse tutte le volte che il piacere la divorò.

Sobbalzò ancora a sentire il membro di lui spinto nel centro delle sue natiche. Ma l'idea che potesse fargli quell'effetto... oh sì, la mandava fuori di testa. Così, ondeggiò di più i fianchi e sorrise a percepire la fatica con cui Dorian cercava di non gemere. Era a lei che voleva donarle piacere, seppure stesse scoppiando.

«Non trattenetevi...» mugugnò lei, girandosi.

E Dorian per poco non perse il controllo delle sue azioni nel ritrovarsi le labbra di lei così vicine. Quello inferiore sfiorò il suo superiore, e una scarica di adrenalina gli attraversò la colonna vertebrale.

Piacere. Doveva limitarsi al piacere. Non poteva baciarla, o sarebbe stata la fine per entrambi.

Ma lei continuò a guardarlo con insistenza, segno per cui voleva qualcosa in più. Lui decise di allungare la traiettoria dove stava sfregando con le dita, perché con l'aumento del piacere sperava di farla voltare di nuovo. Ma nonostante la bocca spalancata e il gemito sofferente, Victoria continuò a restare girata verso di lui. Lo voleva. Voleva quel bacio più di ogni altra cosa.

Ma lui aveva una paura matta a perdere la ragione. Perché un tale gesto significava un disastro. Rompere alleanze, distruggere il Continente... c'era troppo in ballo per poter andare oltre con quella donna che lo stava disintegrando. E sì, era consapevole che potesse esserci qualcosa di tremendamente incoerente nel fatto che stavano simulando dei preliminari... ma si era convinto che lo stesse facendo per lei.

Lui aumentò la velocità. Sfregò con più impeto, e all'ennesimo gemito stridulo di lei sussurrò: «Guardatevi, Legendragon. Osservate tutto.»

Un alibi per farla voltare? Non lo seppe mai. Perché in fondo poteva davvero aumentarle il piacere dimostrandole cosa stesse facendo con il suo interno coscia che era diventato... rosso. Victoria spostò le coperte e boccheggiò con disperazione a vedere il modo in cui quelle dita magiche avevano ridotto la sua pelle. Buon cielo. E i muscoli della zona pelvica pulsarono senza un controllo.

E si rannicchiò, premendo ancor di più il fondoschiena contro il membro dell'uomo, e ringraziò gli Dei del peccato per la presenza delle mutande del principe, perché non sapeva se il suo corpo avrebbe resistito a lungo a quell'erezione che rischiava di entrare nell'unione dei suoi glutei – per quanto era diventata massiccia.

«Concludiamo questa pagina trentasei?»

Lei annuì. Avrebbe voluto dirgli che anche la trentasette sarebbe stata di suo gradimento, ma non aveva la forza neanche per respirare.

Arrivò a pensare che non era sicura che al mondo ci fossero uomini in grado di usare le mani come Dorian Windothynn.

«È arrivato il momento. Siete ancora sicura di volerlo fare?»

«Sì...» vociferò appena. «Sì... vi prego... vi supplico...»

Lui si morse un labbro per il modo in cui lo stava pregando. E santo cielo, si rese conto che era arrivato al limite. Un'altra sola spinta della Legendragon e le sarebbe venuto addosso, sporcandola tutta.

Non fece neanche in tempo a pensarlo che... accadde. Accadde e non poté trattenersi in nessun modo. Il suo dono colò oltre la biancheria intima, e Victoria lo sorprese. Non si spaventò. Lui ebbe paura di procurarle un disagio, ma lei non fece altro che spingere per sentire il bagnato sulle sue natiche.

E quella reazione aumentò la liberazione del giovane. La mutanda si inzuppò, e Victoria inarcò la schiena e ridacchiò a percepire delle gocce su un gluteo. In fondo, la sua biancheria era molto più sottile, e la pelle molto più scoperta.

Lui distrusse un altro piccolo tassello. Iniziò a baciarle l'incavo del collo con dolcezza, poi passò alla lingua. Leccò quella parte con estrema lentezza, per farle sentire le papille che gustavano il suo sudore. E lei strinse la mano del principe con una forza formidabile.

«Dorian...»

Poi, il principe si ricordò dell'atto finale. Bisbigliò con cautela alla donna di lasciarle la mano del braccio intorno al girovita, perché la nuova destinazione... sarebbe stata indimenticabile.

Lei non se lo fece ripetere due volte. Continuò a ondeggiare con i fianchi, una danza blasfema in perfetta coordinazione con le dita di lui e i loro respiri affannosi – che erano al limite. E la mano liberata di lui finì... su un seno.

Quello fu il gemito più forte uscito dalle labbra morbide e caste della Legendragon. Dorian lo appurò perché il tono era stato così libidinoso da farlo bagnare ulteriormente.

«Posso?» biascicò, con una fatica spaventosa.

La donna annuì e si ritrovò a spalancare le gambe con un gesto inaspettato. Non riusciva più a seguire gli ordini che le dava il cervello, ma solo un unico chiamato piacere.

«Dorian... Dorian...»

E con un seno stretto forte nel palmo di Dorian, credette di andare in ebollizione. La testa si curvò tutta all'indietro, liberò il collo per farlo baciare da lui e urlò. Urlò per l'intensità delle dita in mezzo alle cosce che, da quell'istante, si coordinarono con la mano che le massaggiava il seno.

E vide le stelle, le costellazioni, l'intera galassia. Si spaventò della velocità acquisita dal cuore. I battiti erano così accelerati da poterli udire, ma l'eccitazione le raggiunse la punta della lingua a sentire anche quelli del Windothynn.

Un formicolio le percorse i piedi e i polpacci, e si accovacciò ancora di più quando Dorian strinse ancora più forte il seno per farla comprimere a lui.

«Dorian...»

«Vorrei mostrarvi un'aggiunta personale, milady. Ma vi avviso che potreste raggiungere adesso ciò che bramate.»

Lei annuì ancora. Era disperata. Disperata di quei tocchi e di quelle attenzioni. Voleva di più. Quell'erezione smisurata che la separava dalle costole del principe la desiderava dentro il suo fondoschiena. Dentro da sfinirla, pur avendo una paura folle di farsi male. E arrossì in un modo blasfemo nel crearsi quell'immagine nella testa.

Ma quei pensieri svanirono quando vide ciò che stava per accadere.

Dorian Windothynn era un uomo d'onore. Le aveva giurato di non toccarle l'intimità, e così era stato. Ma lei non aveva fatto i conti con la sua immensa esperienza.

«Dorian... Dorian...»

Ansimava. Ansimava senza un contegno. Con una fatica insopportabile da gestire.

E per farle raggiungere l'apice, lui spostò le dita dall'interno coscia a... poco sopra la vulva. Premette e sfregò in quella parte del corpo, e Victoria non si sentì pronta a metabolizzare quell'ondata di eccitazione che arrivò.

Un fiume in piena. O forse un oceano in tempesta. Sentiva i polpastrelli di lui premuti nella zona delle ovaie. E si intensificarono, fecero su e giù senza tregua... fino a quando lei non inarcò la schiena, spinse violenta contro il membro del principe, e si sgolò così forte da ovattarsi l'udito.

«Santo cielo... Dorian... Dorian... Dorian...»

Stridula. La sua voce era stridula. Prima di quegli attimi, non si era mai chiesta come potesse risultare in quei contesti. E comprese che non avrebbe potuto controllarla. Non se il picco del benessere stava prendendo una piega esplosiva.

Le sarebbe esploso tutto. A un certo punto, credette sul serio di perdere l'udito. Le orecchie le si erano ovattate, la gola era secca e la vista sfocata. Inoltre, avvertiva il fiato del Fae sul collo, il sudore e anche le ciocche bianche e bagnate su una gota.

Sudava. Sudava da scivolare. E quando accadde, l'ennesimo gemito sofferto e stremato di lui la portò sull'orlo della perdizione assoluta. Desiderò che potesse durare in eterno.

«Victoria...»

Victoria. Buon Dio, come suonava dalle sue labbra...

Dorian Windothynn che, nel pieno del piacere estremo, ansimava il suo nome.

A quella spontaneità inaspettata, la principessa capì quanto si erano spinti oltre. Quanto ne volessero di più, nonostante lo sfinimento. E quanto quel peccato le stesse nutrendo i sensi, l'anima, la mente e il corpo.

Il cuore. Quei dannati cuori che battevano all'impazzata, tanto da chiedersi se sarebbero usciti dalla gabbia toracica.

E le ultime torture seguirono un ritmo preciso, lento, sfiancante e libidinoso: lui che stringeva forte il seno di lei, ringhiava, gemeva e massaggiava la zona delle ovaie, lei che ondeggiava i fianchi per far godere il Fae e per sentire la sensazione appiccicosa del suo seme sui glutei. E un'altra ondata non le diede tregua quando capì che le unghie del principe erano sotto la molla che copriva l'inizio delle grandi labbra.

«Sto... sto impazzendo... s-sto...»

Victoria gemette. Gemette senza un briciolo di dignità. Non riconobbe più la sua voce.

E perse il controllo. Non sentì più nulla. La vista si sfocò. Raggiunse il picco desiderato e, per quanto le fosse possibile razionalizzare, provò a ricordare quei pochi secondi che l'avevano distrutta nella volta precedente.

Devastante.

Il nuovo orgasmo fu tremendo. Violento. Innaturale.

Era sicura di aver urlato con rabbia, e il fiato di lui sul collo le fece quasi dimenticare di aver sporcato il pavimento. Era stato tutto così intenso e brutale che la biancheria non le era bastata, e il suo dono – così come quello del principe – era andato oltre il vestiario.

Non poteva crederci.
Le era sembrato assurdo poter superare l'orgasmo avuto in biblioteca, ma lì... lì era oltre la concezione astrale. Oltre le leggi del tempo e dello spazio. Lì si sentì nello stesso impero degli Dei, e grazie a quell'eccitazione ultraterrena poteva affermare per un giorno di essere una Dea.

Il fuoco nel camino non fu nulla in confronto a ciò che Victoria provò nel suo corpo. Una scarica di brividi, adrenalina, calore, furia. Una furia carnale che l'aveva rovinata, perché si era ritrovata a fare pensieri più peccaminosi di ciò che i due avevano fatto.

Dorian non era in grado di parlare. Entrambi avrebbero dovuto trascorrere i restanti minuti a recuperare il fiato e ad asciugare i loro corpi sudati. Ma non lo fecero. Si abbandonarono a un abbraccio che sciolse il cuore di Victoria, sebbene non ci fosse nulla di cauto e delicato nel modo in cui entrambi erano bagnati nelle loro intimità. Lui la abbracciò, e le donò il calore che le serviva per la fiducia.

Ma lei, quella fiducia, ce l'aveva da un pezzo. Dal giorno che gli aveva permesso di entrare nella sua vita. Dalla sera che l'aveva toccata. E da quel momento, era consapevole di avergli donato molto, molto di più.

E il cuore le martellò forte nel petto quando dalle labbra di lui, appoggiate su un suo orecchio, uscì un debole: «Buonanotte, dylajah

Dolce. Un suono così dolce ed elegante da dimenticare la lussuria, l'abbandono delle emozioni, l'unione dei loro corpi madidi.

E nel cuore di quella notte gelida, anche i tuoni e i lampi del temporale assecondarono i loro indelebili peccati.

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