X. Piaceri sfuggenti.

Soundtrack – "Ludovico Einaudi – Experience (1 hour + rain slowed)".

Un rifugio.

Un riparo dalla tempestosità dei suoi pensieri cupi.

La pioggia batteva forte sulle vetrate della biblioteca reale, e una calda candela dorata dalla fiamma ardente era stata posizionata sulla parte centrale della scrivania bruna per illuminare lo scrittoio. Due pigne da decorazione e petali secchi adornavano un piccolo cesto e il contorno della cera, e le scartoffie di colori e qualità diverse non si contavano più. L'odore di pioggia si confondeva con la cannella e il pan di zenzero, che lei amava alla follia. Si era fatta commissionare boccette di quelle due fragranze dalle terre di Firengon. Lo stesso Regno che le mandava meravigliosi vestiti verdi – il suo colore preferito – che indossava nel quotidiano e soprattutto quel dì.

La principessa sollevò lo sguardo dal libro e si guardò intorno; diede una breve occhiata alla finestra e analizzò le gocce di pioggia che sembravano gareggiare in una danza malinconica. Poi, si girò di traverso e si concentrò sul fuoco scoppiettante nel camino.

Il volto pallido e malaticcio si illuminò per un frangente che le sembrò eterno, così come le sensazioni di quei giorni. Costanti, cicliche, tormentose. Erano diventate una certezza di cui avrebbe volentieri fatto a meno. Un crampo addominale le fece stringere gli occhi, e ricordò i consigli delle sue serve. Respiri profondi per non farsi prendere dall'ansia. Riflessioni positive per alleviare il dolore. Positività per andare avanti. Ma lei a stento ci riusciva. Tutte le volte che le papille gustative le ricordavano il sapore del ferro, la lotta cessante con quella "creatura" oscura che non la lasciava in pace iniziava da zero.

E dovette stringere i bordi della scrivania mentre i crampi aumentavano e il temporale si intensificava. Pensò all'allenamento del giorno prima. Alle dita del Fae che le sfioravano proprio il punto che la stava riducendo ad aver paura di morire. Pensò a quando lui l'aveva squadrata, divorata viva. Al tremore del corpo magico provocato dalle sue carezze sulle labbra. Ricordò la sua voce bassa e melodiosa. Il modo in cui la riempiva di complimenti. E a quell'arrivederci sfuggente che la logorava nel profondo.

Victoria contava i giorni. Metà settimana nella corte magica, metà nella sua. Il principe dei Fae era pieno di impegni. Nell'ultimo periodo, si erano triplicati e l'alleanza con re Xander era un pregio e un difetto allo stesso tempo.

Quella mattina, la principessa si era svegliata con un umore contrastante perché il litigio con il fratello era stato intenso, e ancora tormentava le sue riflessioni. Il libro del giorno aveva il compito di distrarla. Riccardo l'aveva informata che Dorian era partito in mattinata. E lei aveva percepito il cuore farsi in mille pezzi all'idea che fosse stata la prima volta che non l'aveva salutata. Ma il peggio era arrivato nel sapere che era stato il padre a vietarlo. Era venuto a conoscenza che il Fae, ogni mattina, passava davanti alle stanze della Legendragon e chiedeva alle serve un minuto del tempo della nobile per salutarla. Un bacio sulla fronte. Un sorriso. Uno scambio di battute che le alleggerivano l'anima. E la promessa di un ritorno che manteneva sempre.

E Victoria si era sentita mancare l'aria all'idea che non sarebbe stato più possibile per... dei capricci? Il padre le stava togliendo l'unico barlume di felicità delle sue giornate monotone per cosa? Paure infondate? Le era già chiaro da anni che non si sarebbe più potuta avvicinare ad alcun uomo per un corteggiamento o delle carinerie. Gli schiaffi e i lividi del padre, di quella notte gelata della Stagione della Luna, li ricordava ancora. La premura del fratello nel curarla, le lacrime di una fanciulla che non capiva il perché di tali gesti. Ma da quel momento, non aveva più dimenticato un sentimento che si era portata dietro per tutta la vita: la paura.

E la paura aveva mille sfumature nell'animo di una donna tormentata come Victoria Adelaide Legendragon. Una principessa senza scelta, in bilico tra la sopravvivenza e il potere. Tutti dipendevano da lei. Lei dipendeva da sé stessa. Ma quella bambina che correva spensierata nei prati, tra fiori e profumi, che più tardi diventata una giovane donna piena di cicatrici e ricordi... non poteva ancora saperlo.

E all'udire della notizia, Victoria aveva perso il lume della ragione. Aveva superato il fratello per raggiungere la porta e andare a inveire contro il padre. La Victoria adolescente dei tempi di Dorian Windothynn sulla Terra non avrebbe mai, mai avuto quel tipo di reazione. Non era da lei alzare la voce o rispondere a tono a un adulto, nemmeno quando era dalla parte della ragione.

Riccardo non aveva presagito nulla di buono, in balia dei ricordi passati. Anche lui soffriva ancora per ciò che era accaduto alla sorella, all'episodio di vita che l'aveva cambiata per sempre... e non voleva una replica. Non in quel periodo di vita in cui vedeva sul volto della sorella una luce diversa. L'aveva trattenuta. Si era dovuto subire le lacrime strazianti, l'impotenza, i "non può farmi questo", "non può togliermi tutto", "ho bisogno di lui" vociferati e con la gola in fiamme. Riccardo aveva dovuto "indossare" una maschera di ferro per dire alla sorella che le stava evitando di realizzare uno dei peggiori errori della sua vita. E Victoria aveva urlato al fratello che lo odiava.

Riccardo si era preparato mentalmente a quella reazione. Se l'era aspettato. Ma sentirlo, seppur falso e dettato dalle emozioni del momento, gli aveva fatto male. Perché, ancora una volta, il padre aveva strappato un pezzo delle ali con cui sua sorella non aveva ancora imparato a volare.

Il dolore al ventre si affievolì. La principessa inspirò ed espirò con difficoltà, ma promise a sé stessa di non piangere. Aveva già versato troppe lacrime nella sera precedente, quando era scaturito il motivo dei suoi dolori. In tarda notte, era scesa nelle cucine di palazzo per mangiare qualcosa. O per meglio dire, riempirsi fino a sfinirsi. Si era sentita fortunata a non essere beccata da nessuno, ma non altrettanto quando aveva vomitato qualche ora dopo. Poi, si era chiusa a chiave nel bagno delle sue stanze private, e aveva approfittato dello scroscio dell'acqua per non farsi udire dall'esterno della camera. Era stata lì, con la testa china, per un'ora. Quando si era rialzata, la testa le era girata e la vista era diventata sfocata. Aveva raggiunto il letto con una mano strisciante sulla parete, e quando aveva visto il suo riflesso nello specchio... era scoppiata a piangere. Magra. Con i capelli sfibrati. Le occhiaie violacee che ogni mattina copriva con gli unguenti della servitù. E il resto della nottata l'aveva trascorsa lì. Fra le lenzuola calde. Abbracciata a quel cuscino dove aveva immaginato il viso dell'unica persona che, in quel periodo della sua vita, le aveva donato un briciolo di speranza. E nelle ore successive, aveva sognato di fuggire. Fuori da quel castello. Lontana da quelle quattro solite pareti. Verso una meta ignota.

Victoria credette di esserselo immaginato. Una volta, una sua serva le aveva raccontato che anche lei in un periodo della sua vita aveva trascorso notti insonni e si era ridotta a... udire rumori strani. Victoria aveva riso. Un po' per divertimento, un po' per malinconia. Quella donna non aveva avuto la minima idea dei demoni con cui conviveva lei, ma la principessa sapeva che non poteva assolutamente fargliene una colpa. Anzi, pregava che nessun altro essere umano al mondo potesse passare ciò che stava vivendo lei.

Arrossì di colpo a leggere le righe sulle pagine ingiallite del manuale. E forse era quella costante paura di farsi scoprire che le stava facendo brutti scherzi al cervello. Si guardò intorno e si sentì una sciocca. A quell'ora della notte, tutta la servitù era a riposarsi. Stessa cosa per suo padre, suo fratello e la cavalleria reale.

Si ricordò del capo delle guardie, Kayos. A come spesso e volentieri l'aveva aiutata nelle mattinate in cui Dorian era venuta a trovarla. In quell'uomo in armatura aveva ritrovato un "secondo padre". Lo conosceva da qualche anno, e lui aveva capito che la principessa non era stata più la stessa dopo le violenze del padre. E vedendo che con il Principe dei Fae i suoi sorrisi erano spontanei e genuini, aveva sacrificato la sicurezza del suo posto a corte per far incontrare i due più spesso. Non era stato lui a fare da spia per il re.

Victoria si preoccupò del suono provocato dalla sedia spostata per il suo sussulto. Era trasalita alla vista di quel... bucaneve bianco.

Non poteva crederci.

Era stato appoggiato sulla scrivania. Con grazia. E una sola persona al mondo poteva avere quell'accortezza elegante e raffinata.

Non ragionò. Si voltò così fulminea che a stento riconobbe la chioma bianca e il vestiario scuro. Nero come i suoi pensieri prima che lui potesse giungere lì. Nel cuore della notte. Solo per portarle... un bucaneve. Il suo fiore preferito.

E lei lo percepì. Santi numi, se percepì quelle braccia e quel petto a ricordarle che era reale, e non mera illusione. Menta, muschio, pino, abeti. Un miscuglio di fragranze che le inondò le narici mentre lo stringeva forte, molto forte. Noncurante della timidezza che la contraddistingueva.

Fra le sue braccia si sentiva piccola, indifesa. Delicata come i petali di quel fiore che avrebbe custodito come un tesoro perduto. 

In un primo momento, Dorian si irrigidì. Accolse quell'abbraccio, ma non riusciva ad abituarsi ad avvertirla così vicina alla sua pelle. Poi, la sentì tremare. E con molta probabilità, singhiozzare. E i sensi di colpa gli annebbiarono il senno. Ma si sorprese ancora di più quando lei si staccò di poco per guardarlo e parlargli. A pochi centimetri di distanza, lui le notò gli occhi lucidi e le guance in fiamme.

«Non dovreste essere qui.»

Lui non rispose. Il corpo tremante lo distraeva. E quel minuscolo girovita che riusciva ad avvolgere con facilità tra le sue braccia lo tormentava. Quando erano insieme e quando erano lontani.

«State bene?»

State bene. Quante sfumature e colori potevano avere quelle due soffici parole sulle labbra del Fae? Victoria se lo domandò. Perché il tono era insolito. E lui sembrava... impensierito.

«Voi?»

Anche lei sorvolò sulla domanda. Erano fatti così. Capaci di dirsi tutto con uno sguardo e nulla con le parole. Li legava quel filo invisibile che frastornava le loro menti e ingigantiva le loro emozioni.

Il principe le esaminò il volto come se potesse essere l'ultima opportunità della sua vita. Poi, portò una ciocca di capelli corvino dietro un suo orecchio, e Victoria socchiuse per un attimo gli occhi a sentire le nocche di lui sulle tempie. Fredde. Così fredde che le sembrò surreale provare tutto quel calore.

«Nelle terre di Faedragon, il Regno da dove proviene la mia dinastia, il bucaneve era associato a un passaggio. La transizione tra l'oscurità e la luce. Un simbolo, dunque, di speranza. Per il futuro. Per l'arrivo del caldo. Di una Stagione più mite, in cui anche i volatili più fragili imparavano a volare. Un simbolo di purezza, come il colore che li contraddistingue. E infine, un simbolo di determinazione. Il coraggio di nascere in terre all'apparenza gelide e invivibili. È un fiore per caratteri temerari. Forti. Ma allo stesso tempo fragili, nostalgici. Veri. I bucaneve sono ciò che appaiono. Non si nascondono. Non celano anime corrotte. Ti ammaliano con la loro bellezza. Unica. Rara. Spettacolare. E chi li guarda, si ritiene fortunato e dannato per l'eternità.»

«E a voi piacciono? Li ritenete davvero così... veri? Forti? Nonostante l'oscurità che lasciano alle spalle?»

Victoria deglutì pesante a constatare come stava continuando a guardarla. Si domandò se stesse pensando la stessa cosa che voleva lei. E lo sguardo spostato sulle labbra lo confermò.

«Solo imparando a convivere con l'oscurità puoi ambire alla luce. E solo innamorandoti del buio puoi apprezzare il sole.»

Delle mille qualità del principe, c'era un aspetto che incantava la principessa tutte le volte che erano in una stessa stanza o posto: l'arte delle sue parole. La difficoltà delle sue metafore. Il suo modo di parlare. L'ignoto e il fascino di esempi mai scelti a caso.

Dorian era sempre consapevole di ciò che diceva. E questa consapevolezza di complicare l'interpretazione dei suoi discorsi lo rendeva così interessante che chiunque, dopo averlo conosciuto, rimuginava sulla sua persona. Intrigante. Misteriosa. Introspettiva e profonda.

E quella sera, Victoria prese coraggio e azzardò l'ipotesi che la spiegazione sui fiori... riguardava lei.

«Come lo sapevate?»

«Che la mia famiglia è ossessionata dai significati dei fiori?» Dorian finse di non capire la domanda per farla sorridere.

Ci riuscì e si sentì appagato, perché non avrebbe dimenticato facilmente l'espressione sofferente di lei quando l'aveva trovata lì.

Victoria negò con il capo. «Che fosse il mio fiore preferito.»

«Osservo. Indago.»

«Dovrò preoccuparmi di nascondere tutti i miei accessori preferiti?»

Toccò a lui sorridere. «Un regalo non sarebbe di vostro gradimento?»

E ancora. Victoria pregò che le sue guance non sfidassero troppo le tonalità del fuoco.

«Come...» la principessa si scrutò intorno. La porta era chiusa. Nessun rumore esterno.

«Sono riuscito a entrare? A evitare ogni sentinella?»

La donna annuì. Lui le appoggiò i palmi sui fianchi, e lei... lei non seppe spiegare cosa le provocò nelle viscere. Forse quelle stelle del firmamento che incontrava nei suoi sogni... non erano poi così lontane dalla realtà.

«Vi dovevo una spiegazione.»

La mattina. Il padre. Riccardo. I ricordi ritornarono più vividi. E d'improvviso, si rese conto che il dolore al ventre si era attenuato. E ne fu sollevata, perché in caso contrario avrebbe dovuto dare delle spiegazioni al Fae. E non avrebbe voluto farlo impensierire con le sue problematiche.

«Non ho mai preso ordini in vita mia, Legendragon. Mai. E questa sarà l'ennesima volta in cui lo dimostrerò.»

Victoria non comprese.

Lui proseguì. «Mi è stato chiesto di starvi lontano. Questa mattina, il dovere della mia corte mi attendeva. Ero di fretta. Non avrei voluto discutere con vostro padre in così poco tempo. Ma domani dovrà udire le mie motivazioni. Dovrà sentirsi dire cos'ho da rimproverargli.»

«Dorian...»

«Non è intoccabile, Victoria. Quella corona non lo rende una divinità. Ha pregi e difetti come tutti noi. Umani ed esseri magici. E se sbaglia, gli va fatto notare. Ha fin troppi presuntuosi che gli stanno alle calcagna e fin troppi adulatori che lo esaltano per qualunque cosa. Il potere è un'arma, Legendragon. E la grandezza di un sovrano dipende dall'uso che ne fa.»

«Non potete...»

«Chiedergli di cambiare idea? Fargli capire che vi ammiro come donna? Che se avessi voluto disonorarlo, ne avrei approfittato per baciarvi nei nostri allenamenti? No, altezza. Non resterò a guardare mentre vi toglie un diritto così importante come la libertà.»

Me l'ha già tolta, avrebbe voluto confessargli. Me l'ha già tolta quando ha deciso di rinchiudermi tra queste mura e chiedermi di uscire solo per andare in guerra. Victoria non si capacitava di come risultasse incoerente: il padre si preoccupava di farla uscire, ma allo stesso tempo la mandava a morire in battaglia. C'era una falla grande quanto il Continente nei suoi ragionamenti, e non ne comprendeva il motivo. L'ambiguità del sovrano, secondo lei, aveva sempre nascosto qualcos'altro.

Ma l'attenzione della giovane finì anche su quel baciarvi di Dorian sospirato con dolcezza. Aveva sentito il tremore nella voce e... non l'avrebbe rimosso facilmente dai suoi pensieri. Soprattutto perché il principe continuava a mantenerla dai fianchi. Come a non farla scappare. Come a dimostrarle che per lei c'era. Non se n'era andato.

Sarebbe dovuto ritornare a corte dopo tre giorni. Eppure, era lì. Nella sua biblioteca. Il suo rifugio dal mondo. Il luogo in cui ogni problema, per qualche ora, svaniva. E la presenza di lui le aveva alleviato ogni dolore.

«La vostra corte?»

«Attenderà.»

«Sono più urgenti le problematiche che-»

«I Wealthagon continuano a premere per un'alleanza. È dunque mio compito dimostrare che voglio mantenere la parola a vostro padre. Ma allo stesso tempo, non sceglierò il silenzio se l'uomo che mi ha donato una seconda casa vieta esperienze a sua figlia. Dovreste scoprire il mondo, Legendragon. Dovreste solcare mari, ammirare nuove terre e intraprendere nuove avventure. E sono alquanto sicuro che un domani non troppo lontano ci riuscirete. E spero di restare abbastanza in vita da affermare "ve l'avevo detto"

Lei ridacchiò e abbassò lo sguardo. Lui inarcò un sopracciglio.

«Quando io sarò madre o anziana, voi potreste essere ancora un giovane Fae che vaga per il Continente.»

Lui sorrise. «Non sapete che gli anni dei Fae funzionano diversi? Vanno triplicati, se non di più, in confronto ai numeri usati per gli umani. È un conteggio complicato che un giorno vi spiegherò meglio. Fino ad allora, posso dirvi che, anche se siamo immortali, invecchiamo anche noi. Sì, è probabile che io possa sembrare un adulto umano quando vi donerete al vostro futuro sposo... ma noi Fae sanguiniamo e ci affatichiamo come voi, principessa. Il tempo passa per chiunque. Solo gli Dei ne sono immuni.»

Victoria allungò una mano. E come il giorno dell'allenamento, si sentì diversa. Voleva avere un contatto con lui. Qualcosa in più. E sfiorarlo o accarezzarlo le ricordava quanto, per una volta, la vita l'aveva graziata avendolo al suo fianco.
Accarezzò le tempie del Fae, poi le ciocche bianche ai lati.

«Quindi resterete per altri tre giorni? Con me?»

Con me. Dorian implorò le sue divinità di non cedere. Non poteva. Non doveva. Sarebbe stato l'inizio della fine. Ma quel suono... quel modo di pronunciarsi... cielo, lo frantumava. Non poteva dormirci la notte all'idea che...

«Potreste pentirvene, Legendragon.»

«Perché?»

«Perché sono un insegnante severo. Inflessibile. Più giorni potrò allenarvi, più pretenderò. Non sfidatemi.» le ironizzò, regalandole un sorriso.

Lei si limitò a studiarlo. Non aveva mai visto un viso così bello. Ormai ne era sicura. E non si sentiva più in colpa ad ammetterlo a sé stessa tutte le volte che lo ammirava. La mascella squadrata, la pelle olivastra e morbida, gli occhi del colore del ghiaccio, i capelli che ricordavano la sua amata neve... e quella cicatrice dietro l'orecchio di cui non aveva mai osato chiederne il motivo. Di lui, ricordava ogni dettaglio. Anche quando era lontano.

«Da me potreste pretendere tutto e oltre, Windothynn.»

Il peso che provò il principe nel cuore... mai in vita sua. Dorian ne era convinto. La Legendragon non era mai stata così sfacciata.

E Dei della misericordia. Le carezze più lente del solito. L'espressione sognante che... sì, quegli occhi li conosceva già. Poteva leggere nella sua anima, perché sapeva e temeva cosa avrebbe trovato ad attenderlo. Un sentimento che, in secoli di vita... lui non aveva mai provato.

E forse era quello. Il motivo per cui si sentiva in difficoltà tutte le volte che lei lo sfiorava. Il motivo per cui cercava di allontanarla pur bramando il contrario. Per un breve frangente, desiderò che quella legge emanata nel suo mondo magico potesse essere una stregoneria e strappargli il cuore senza pietà.

«Cosa state leggendo a quest'ora della notte?»

Accadde tutto troppo in fretta. Dorian allungò un braccio, ma Victoria fu più lesta e preferì far cadere il libro a terra con un tonfo piuttosto che cederlo a lui. E il Fae aggrottò la fronte.

«In realtà, stavo per andarmene. I bibliotecari potrebbero adirarsi con me se-»

Lui mollò i suoi fianchi e provò a chinarsi, ma Victoria si parò davanti. «No.»

«Se proprio dovete andarvene posso aiutarvi a risistemarli al loro posto, non trovate?»

Victoria serrò le labbra. E il modo in cui la vide arrossire e balbettare...

«Quasi quasi vi preferivo nella vostra corte.»

Lui fece una risata che le riscaldò il cuore, perché non lo aveva mai visto in quel modo. E la velocità con cui approfittò di quella distrazione la spiazzò.

Troppo veloce. Victoria aveva provato a bloccarlo per un braccio, ma aveva anche dimenticato un particolare fondamentale: era un Fae.

Un Fae dell'Aria.

Sfidarlo in velocità era come sfidare un Protettore di Draghi con il fuoco.

E quando vide il libro sgualcito tra le mani del nobile... desiderò sprofondare sottoterra.

Allungò una mano per afferrare il manuale, ma Dorian allontanò la sua con la stessa velocità. Indietreggiò di qualche passo, e camminò all'indietro. Il giusto per far capire alla nobile che non avrebbe potuto vincere.

E quando Dorian lesse il titolo... Dei del peccato. Victoria si sentì avvampare fino alle punte dei piedi per il ghigno che vide sul suo viso.

«Siete una donna dalle mille sorprese, Legendragon.»

«Per favore, ridatemelo.»

Lui rise. Di una gioia incontenibile. Perché l'imbarazzo nel tono di voce di lei era evidente.

«Credete che io possa giudicarvi?»

«N-no, n-non mi permetterei.» allungò un braccio tremante. «Vi ho solo chiesto di ridarmelo.»

Dorian la esaminò per un istante, poi aprì il libro. E Victoria desiderò di trasformarsi nella cenere del fuoco nel camino.

«"E il mondo le sembrò più sfocato quando i polpastrelli dell'uomo le sfiorarono quella parte di lei che non aveva mai donato a nessuno." Oh, che cultura interessante...»

La stava provocando. Victoria si sentì un braciere vivente. Aumentò il passo verso di lui.

«"Ed erano così teneri! La nobile li sentì dentro di lei con una morbidezza e un'intensità da offuscarle la ragione, la coscienza e i sensi. Le sue grandi labbra non trovarono pace, il suo respiro diventò irregolare e roteò gli occhi per l'estremo piacere provato. E lui-" »

Dorian non riuscì a concludere la frase cantilenata. Si stava divertendo a recitare il tutto come una poesia, ma si dovette fermare quando si ritrovò schiacciato sulla finestra, con lei che stava tentando di riafferrare il libro.

Ma neanche in punta di piedi riuscì a recuperare i centimetri necessari per sfiorare le pagine del libro che Dorian, senza difficoltà, stava allontanando da lei. Il braccio, lui, la mano... erano irraggiungibili.

Victoria sbuffò e si arrese. Lui non le aveva mai visto le guance così rosse, e il suo divertimento aumentò quando le sussurrò: «Ribadisco: perché ve ne vergognate, milady?»

«N-non è affatto così. Chiedo solo un po' di riservatezza.»

Lui si morse un labbro. La studiò per qualche istante, e appurò l'innocenza del suo essere solo in quel momento. Prima di quell'istante, non si era mai reso conto abbastanza di quanto fosse... inesperta. Si ricordò di quando, una volta, gli aveva raccontato che non era mai stata con un uomo in quel senso. Né aveva provato piaceri precedenti all'atto principale. E d'improvviso, se ne intenerì. La "spavalderia" che aveva accumulato si polverizzò e lasciò il posto a un sorriso innocuo.

«L-le conoscete?»

Dorian credette di non aver udito bene. Osservò le sue mani intrecciate... poi la vide sollevare il mento, ma senza guardarlo negli occhi.

La principessa aveva un volto così rosso da dimenticare il colore naturale. E deglutì a fatica. «Con... conoscete qualcuna delle... cose contenute lì dentro?»

Dei del suono. Glielo stava chiedendo davvero. In secoli di esistenza, Dorian non si era mai sentito così impreparato a una risposta. Ma non perché non volesse dargliela, bensì per come lei avrebbe potuto reagire. L'ultimo dei suoi desideri sarebbe stato quello di farla rabbuiare. Per nessuna ragione al mondo avrebbe voluto toglierle quella luce dal volto.

«Se risponderete alla mia domanda, prometto che farò altrettanto.» le disse.

Victoria sollevò il mento e finalmente incrociò il suo sguardo. C'era malinconia, comprensione e bontà.

«Cosa volete sapere?»

«Se provate imbarazzo nel parlarne.»

Victoria guardò oltre le spalle del Fae. Contemplò il paesaggio. Il temporale violento e duraturo aveva oscurato la visuale, rendendo le foreste del Regno quasi spettrali.

«Giorni fa, ho affrontato una conversazione con mio fratello.» deglutì piano. Non staccò gli occhi dalla pioggia. La aiutava a concentrarsi e a non pensare agli occhi del Fae. Era alquanto sicura che la stessero studiando per capire cosa la dannava a tal punto di parlane con estrema insicurezza.

«È stata la prima volta che...»

Deglutì ancora. Dorian allungò una mano, e con le dita sfiorò quelle della principessa. Lei sentì quel gelo scorrerle nelle vene, prosciugandola della paura di confessare.

«...la prima volta che ho parlato dell'argomento. Non sapevo come esprimermi. E mi sono sentita una sciocca.»

Dorian inspirò ed espirò piano. Si prese qualche istante prima di fiatare.

«Vi garantisco che privarsi del piacere non vi rende meno donna, principessa. Nella vita ci sono tanti interessi differenti che potrebbero allietarvi l'anima. E inoltre, non è necessario che chiudiate la porta a queste esperienze, né dovete avere fretta di sperimentarle. Quando lo riterrete opportuno, sarà il vostro cuore a suggerirvelo. Fino ad allora, non angustiatevene. Guardatevi.»

E lei si girò lenta verso di lui. Dorian sorrise, e dopo qualche istante di ammirazione le mormorò. «Emanate grandezza da ogni poro della vostra pelle, Legendragon. Con o senza l'amore carnale di qualcuno.»

Il principe sperò di donarle un po' di fiducia e consapevolezza, ma la donna abbassò il viso e intrecciò nervosamente le dita delle mani. «Il punto è che...»

Dorian lasciò che si prendesse del tempo per continuare. «...è che, nonostante le insicurezze sul mio corpo, sono sicura di volerlo. Non è una cosa di cui vorrei privarmene nella vita.»

«E lo avrete.»

«Non è così che funziona.»

«Perché dite questo?»

«Mio padre. Non mi sposerò per amore, Dorian. Sono segregata in questo castello sin da quando sono una bambina. Figuriamoci se potrò mai avere l'onore di poter scegliere con chi trascorrere il resto della mia esistenza. Non escludo l'idea che, pur di non cambiare questo stile di vita e farmi restare qui, lui possa donarmi a un lontano parente della nostra dinastia.»

«Non approverei.»

Victoria si sentì raggelare il sangue. L'autorità con cui l'aveva detto le fece voltare di scatto il volto. Ignorò persino il temporale che, tra tuoni e acqua, peggiorava di minuto in minuto.

«Non accadrà. Ve lo prometto.»

«Al fatto che io possa sposarmi?»

«Al fatto che possiate essere infelice. Privandovi di ciò che più amate.»

Il cuore martellante nel petto non le diede tregua. E pregò che il Windothynn non potesse udirlo. E quando lo vide aprire e sfogliare pagine casuali del libro... quello stesso cuore lo sentì in gola.

«Adesso tocca a me. Vi ho fatto una promessa.»

Victoria non capì. Lui continuò. «Dite un numero.»

Lei ci pensò per qualche istante. «Quindici.»

Dorian spalancò il libro a pagina quindici e sedici, e lesse nella mente. Le labbra si curvarono in un timido sorriso.

«Cosa c'è?»

Sorrise a lei. «Se volete...»

Victoria si irrigidì. Non aveva la minima idea di cosa avesse letto su quella pagina. Ma lo sguardo che le aveva donato era di un'innocenza meravigliosa, onde per cui si fidò. Annuì.

Dorian si avvicinò piano. Data l'altezza, Victoria dovette guardarlo sollevando in mento. Con un'unghia, le percorse i lineamenti del viso, concentrandosi sulle tempie, una gota e... le labbra. La prima sensazione insolita, Victoria la provò quando le unghie le sfiorarono il labbro inferiore. Lo guardò negli occhi per tutto il tempo, mentre lui si concentrava sulle zone toccate.

Ed emozioni forti e tumultuose le scossero il ventre quando le unghie sfiorarono l'incavo del collo. La linea immaginaria tracciata continuò lì, e poi... la spalla. Cielo, proprio quella sera aveva dovuto indossare un vestito con le spalle scoperte? Pensò. E la pelle d'oca le attraversò le braccia quando il percorso le raggiunse.

Victoria non poté crederci. Il fiato le si era bloccato in gola. Lui era a suo agio. Lei anche, ma il vortice che sentiva nelle viscere...

«Continuo?» le vociferò.

Lei annuì.

«Non sentitevi obbligata.»

Lo sapeva. Sapeva bene che Dorian non avrebbe fatto alcun gesto inopportuno. Ma il problema principale era che lei voleva. Voleva quelle delicatezze sulla pelle. E si ritrovò a desiderarne di più quando l'unghia dell'indice... si inserì piano nel solco del seno.

Oh, cielo.

La principessa inspirò forte. Dorian ritrasse veloce la mano, ma lei gli bloccò il polso e incastrò i loro sguardi.

Con la mano libera, il principe riprese il libro in mano e spronò la donna a leggere la pagina quindici.

«È tutto qui. Ditemi cosa posso e cosa no.»

Victoria lesse il tutto con una velocità inaudita. Poi, con la bocca tremante, lo guardò dritto negli occhi e sussurrò: «Tutto. Potete tutto.»

«Sicura?»

«Sicura.»

E Dorian attese qualche istante nel caso volesse cambiare idea. Ma la Legendragon fu irremovibile. E su consiglio del principe, si sedette sul davanzale interno della finestra.

La pioggia aumentò, e così il batticuore della principessa quando lui le sollevò i lembi del vestito. Una lentezza lancinante, che le permise di osservare tutto.

Dorian non le staccò gli occhi da dosso. Qualsiasi espressione sarebbe stata una risposta.
No o sì.
Avrebbe obbedito, senza esitazioni.

E lei strinse forte il davanzale con le mani quando vide la gamba destra scoperta. Il Fae le chiese il permesso, e lei annuì ancora. Vide il merletto del gambaletto destro scendere giù. Lento, così lento da estenuarla. Mai, mai avrebbe pensato di sentire le mani di Dorian Windothynn in quella parte del suo corpo.

«Fuori da questa stanza potrete dimenticare tutto, altezza. Ma per una notte, lasciate che io possa allontanare la tristezza celata nei vostri occhi.»

E Victoria capì. Dorian non sopportava l'idea di vederla privata dei suoi desideri. Neanche dei più incauti. E per quanto non volessero ammetterlo a loro stessi, per quanto confessarsi l'un l'altro risultasse un'impresa... lui non avrebbe potuto fare nulla di tutto quello se non ci fosse stato un sentimento reciproco.

Si divoravano con gli occhi. Sfuggivano e soffrivano. E allo stesso tempo, non riuscivano a restare lontani l'uno dall'altro.

Le stava donando la libertà. La libertà di poter dire "l'ho scelto io." Un sentimento a lei sconosciuto per troppi, lunghi anni.

Persa nelle sue riflessioni, quasi dimenticò le dita di Dorian all'altezza del suo ginocchio. E tremò di... eccitazione. Era eccitazione. Santo cielo e tempeste. Quasi si sentì svenire per la moltitudine di emozioni che stava provando... nell'interno coscia. L'interno coscia la stava torturando.

Non poté crederci. Era tutto così surreale.

Lui iniziò a massaggiarle la coscia. Lento. Morbido. Cerchi soffici ma intensi. Intensi perché lei sentiva i palmi – che ora erano caldi – premerle sulla pelle nuda. E sussultò quando le dita sfiorarono l'interno.

«Mi allontano?» le bisbigliò.

«No.»

Categorica.
Boccheggiante, ma decisa.

Anche lui sentiva emozioni viscerali sottopelle. Dopo quella notte, il viso rosso e la voce ansante della Legendragon non li avrebbe dimenticati mai più.

Ma le mani scesero giù, verso i polpacci. Victoria ne sembrò quasi delusa, ma il respiro diventò più affannoso a vedere il gambaletto che scendeva piano... verso il piede. Dorian la guardò per tutto il tempo, e quando il gambaletto fu sfilato e nient'altro che una poltiglia, lo appoggiò a terra.

Il passaggio successivo.

Victoria tremò.

Tremò perché lo aveva letto. Sapeva cosa aspettarsi. E annuì, annuì disperata perché così si sentiva. Avida di quei tocchi. Avida di quelle mani magiche sulla pelle.

Le avrebbe volute ovunque.

Quando metabolizzò quel pensiero malsano, si rimproverò interiormente. Ma se la testa le aveva suggerito di andarci cauta... il cuore aveva già smesso di seguirla.

E dopo un'altra conferma, Dorian iniziò. Iniziò a baciarle il piede. Due schiocchi di labbra. Poi la caviglia. Victoria sussultò. E si scusò.

«Significa che è uno dei tuoi punti sensibili.» la informò. «E non scusarti. Mai.»

Victoria non seppe se il cielo con un dito lo aveva toccato per il tu, la dolcezza con cui l'aveva detto o... l'esperienza. Santi numi. Capì che quell'uomo aveva un'esperienza da imbarazzare la sua evidente innocenza.

I baci raggiunsero la parte bassa delle gambe. E Dorian si allungò dietro, sul polpaccio. La principessa inarcò la schiena, perché le pulsazioni che sentì nel ventre quasi le annebbiarono la vista.

«Altro punto debole.» le ironizzò, dolce. «Poco astuto trovare una pagina in cui stuzzichiamo le gambe, principessa.»

Lei ridacchiò. E con un filo di voce, disse: «Non era l'astuzia che amavate di me?»

Lui la guardò con uno sguardo che le tolse il fiato. «Ci sono tante cose che adoro di voi.»

L'avrebbe fatta impazzire. Quel suo evitare determinate parole o verbi l'avrebbe esasperata. Se lo sentiva. Così come stava impazzendo a quel tumulto di sensazioni nella pancia.

E aumentarono quando i baci raggiunsero l'interno ginocchio. Dorian la sentì irrigidirsi per l'eccitazione, e si bloccò. Passò a baciarle il ginocchio vero e proprio, e nel mentre le accarezzava il polpaccio. Grazie a quei gesti, Victoria avvertì l'umidità lasciata dai baci a stampo.

Capì in quel momento che Dorian Windothynn, l'immenso Principe Ghiaccio, era a pochi centimetri da lei. A contemplarla e donarle piacere.

E le sembrò surreale. Mai, mai Victoria si sarebbe aspettata un risvolto del genere nella sua serata.

Quella volta, il suo non fu un semplice annuire, ma una vera e propria supplica nel tono di voce. Dorian proseguì, e quando i baci si avvicinarono pian piano all'interno coscia... Victoria perse lucidità.

Chiuse gli occhi. Lasciò che le labbra calde e bagnate del Fae potessero sfiorarle la biancheria intima e... trasalì.

«Scusatemi.»

«Non ditelo.»

E con la mano sinistra, Dorian cercò quella destra di lei per stringerla. Intrecciarono le dita mentre lui si occupava di baciarle tutto l'interno coscia, ma senza sfiorarle il punto sensibile coperto dalla mutanda.

E lei ansimò. Conobbe, per la prima volta, la sua voce al quasi limite dell'eccitazione. E quell'accumulo che avvertiva nella parte bassa del ventre... la spaventò. E soffrì di vertigini per il modo in cui si stava sentendo.

Non seppe spiegarselo. Non capì cosa stesse succedendo al suo corpo. Era tutto così nuovo, tutto così... caldo. Sentì un caldo tremendo, e fuori da quella stanza si ibernava.

Dorian avvertì la stretta nell'intreccio di mani, e Victoria capì che lui l'aveva fatto di proposito a cercare quel contatto. Sollevò il viso, si avvicinò a un suo orecchio e le sussurrò: «Volete?»

«Cosa?»

Dorian si inumidì le labbra e rifletté sulle parole giuste da usare. Lei ansimò alla lingua che le sfiorò l'orecchio. «Volete... sentire dentro di voi cosa provano le donne di quei libri?»

Victoria intuì. Le stava chiedendo se fosse stata pronta a un orgasmo.

«Ognuna di voi è diversa. C'è chi lo raggiunge con semplici tocchi, e a chi serve più tempo e altre attenzioni. Quindi mi preme dirvi che potremmo come non potremmo riuscirci. Non ho intenzione di osare troppo. Non vi toccherò in quel punto. Resterò a un'impercettibile distanza. D'accordo?»

Victoria si chiese come diamine lui non si stesse rendendo conto che era sul punto di svenire. Un solo altro bacio, un solo altro tocco di lingua e... eccome se avrebbe fatto parte di coloro a cui bastava poco.

«Preferite le labbra?»

«Prego?»

Dorian rimproverò sé stesso. Non doveva parlarle con "frasi scontate". Neanche la più minima.

Si prese altri secondi preziosi per scegliere le frasi giuste. «Potrei riuscirci con le dita, altezza. Ditemi quale metodo vi imbarazza meno.»

Oh, cielo. E come? Pensò. Avrebbe potuto farle raggiungere il culmine anche in altri modi?

Ma per quanto l'idea la stuzzicasse, prese la sua decisione. «Se l'autrice suggerisce le labbra, labbra siano.»

Dorian sorrise. Dall'orecchio dove aveva sussurrato per tutto quel tempo, si spostò al viso. E le distò di un microscopico centimetro dalle labbra. «L'autrice suggerisce anche di togliere la biancheria e farvi impazzire, principessa. Ma vi rispetto e non oserei mai a tal punto.»

«Ma lo vorreste?» gli sospirò.

E fu incredula. Incredula delle sue stesse parole.

Lui curvò le labbra. E guardò le sue. «In questo momento, ciò che vorrei non conta, altezza.»

E Victoria chiese a sé stessa come stesse resistendo alla voglia di...

Non fece in tempo a concentrarsi su quel pensiero. Dorian chinò di nuovo la schiena e sollevò la parte di stoffa che le copriva l'inguine. «Labbra?»

«Labbra.»

Victoria tremò.

Tremò per tutta la durata della distanza delle labbra di lui. E quando le percepì sulla sua pelle nuda, ritornò quel calore blasfemo. Lussuriosa. Si sentì tremendamente lussuriosa mentre il principe le alzava di poco la biancheria.

Non la sfiorò nel punto sensibile. L'aveva promesso. E constatare che in realtà lei lo volesse... fu la sua rovina. Forse fu quel pensiero e il bagnato delle sue labbra nell'interno della coscia a farla esplodere interiormente.

Dopo qualche istante di baci continui, Victoria percepì anche...

Dei dei peccati più gravi dell'universo.

La lingua. La punta della lingua a percorrerle l'angolo tra la coscia e...
La sfiorò.
La sfiorò proprio .
Brividi di freddo e bramosia.

Ansimò di una sofferenza e un piacere così vivi che l'imbarazzo le mutò la voce. O per meglio dire, quel soffio di voce.
Ne voleva di più.
Ogni microscopica parte di quella danza proibita della lingua doveva divorarla, e farle ricordare perché amava tanto il contenuto di quei libri osceni.

Inarcò così tanto la schiena da toccare il freddo del vetro. E un lampo illuminò il cielo quando ansimò in un modo ancor più indecoroso del precedente. Quasi stridulo. Sofferto. A stento si riconobbe.

Si portò una mano sul petto.
Capì. Capì l'affanno e le condizioni.

Umida. Si sentì umida.

E ansò. Diamine, se ansò... quasi se ne vergognò. Da lì alla fine della giornata, il suo respiro non trovò più pace.

Tutta la gamba era bagnata dalle labbra del Fae che l'avevano percorsa come un sentiero di petali, ma...

l'interno. Santi Dei della passione e del peccato. L'interno coscia le era andato a fuoco.

Era durato pochi istanti. Brevissimi. Ma lei aveva avvertito un incendio nei polmoni, nelle vene, nello stomaco e, se possibile, nel cervello. Le orecchie le si erano ovattate quando si era liberata e...

buon cielo. Non c'era una sola parte asciutta del suo tessuto intimo. E la sensazione appiccicosa che sentiva la spaventava in un modo che... desiderava. Bramava ardente.

Non riuscì a muovere un solo muscolo per alzarsi dal freddo del davanzale. E mentre ansimava senza un freno, aveva anche sgranato gli occhi.

Tremava. Tremava dalla testa ai piedi. E oh, quei piedi. Come le erano formicolati quando il piacere le aveva invaso ogni muscolo contratto...

Fu Dorian ad abbassarle la gonna con delicatezza, mentre non si perdeva una sola espressione eccitata di lei. Attese. Attese che la principessa potesse comprendere cos'era appena accaduto.

Perché non potevano più fingere. Non potevano più tornare indietro. Qualcosa era accaduto. Qualcosa era crollato dal loro muro di certezze.

Era stato un favore. Un modo per provare sensazioni che non avrebbe più sperimentato così facilmente. Victoria si era ripetuta più volte quelle frasi nel cervello. "Per una notte", le aveva detto Dorian prima di iniziare quel tormento del piacere. Sarebbe durato una sola notte. E poi tutto alla normalità.

Ma lei non ci riuscì.

Mentre cercava di recuperare fiato per ciò che il suo corpo le aveva fatto provare, lo guardò. Dorian era immobile. Ma il modo in cui la scrutava... eccolo, pensò lei. Ecco il limite che non avrebbero dovuto superare.

Un uomo burbero, scontroso, introverso e selettivo che, per lei, aveva messo da parte tutto. Ogni sfumatura fredda del suo carattere. Ogni ostacolo. Ogni distanza.

Gli sguardi di due persone che avevano capito di aver commesso un passo troppo, troppo grande per ritornare al punto di partenza. A quando si erano incontrati in quei corridoi. E mai avrebbero immaginato di ridursi a quel punto di perdizione.

Dorian appoggiò i palmi sul davanzale, ai lati della principessa. La inchiodò, e a un sospiro di labbra sussurrò: «Sarei maleducato a non darvi una risposta.»

Victoria stava ancora boccheggiando, ma ricordò. Gli aveva chiesto quanto conoscesse di quel libro.
In breve, voleva sapere quanto e cosa fosse capace di fare con una donna.

«Tutto.»

Tutto.

C'era una risposta più peccaminosa, lussuriosa e inebriante?

Tutto.

Nessun sentiero secondario della ragione. La sincerità di Dorian Windothynn. Travolgente e implacabile.

«È una delle mie autrici preferite.» aggiunse.

Una spiazzante verità che la costrinse a stare in silenzio. Si imbarazzò a sentirsi così bagnata, con lui a pochi centimetri. Ma capì che a Dorian non importava. Non l'avrebbe giudicata. Non l'avrebbe mai fatto. E anzi, iniziò ad accarezzarla per secondi. Forse minuti.

Restarono in silenzio. Con la pioggia incessante sul vetro, i loro occhi incastrati e i loro cuori danzanti.

E in quei paesaggi di cobalto e oscurità celati nei loro occhi, Dorian percepì anche l'immensità delle loro emozioni. Poi le afferrò una guancia e sussurrò: «Sapete perché mi sono affezionato a voi dal primo giorno che vi ho vista? Impacciata, graziosa ed elegante, in quel corridoio oscurato? Sapete perché è stato tutto così immediato, e posso affermarvi con assoluta certezza che non mi è mai successo prima d'ora? Non sono un uomo facile, altezza. La mia fiducia è stata messa a dura prova nel corso dei secoli. Non ho mai donato il mio cuore a una donna, ma non posso dire altrettanto di amici e famiglia. E sapete per cosa non riesco a dormire la notte? Pensando a quanto siate diversa da tutto il marcio che mi ha circondato per secoli? Per la vostra sincerità, Legendragon. Mi sono affezionato a voi per tutte queste ragioni. Il vostro essere così vera e genuina in un mondo di immorali. E ve lo dico qui, e lo ripeterò oltre: preservate le insicurezze. Salvate il vostro cuore puro. Un giorno, conoscerete il valore del ferro. E proprio come esso, non vi piegherete. E sarà possibile perché fino a quel momento sarete stata oro. Oro puro. E io mi sentirò onorato. Onorato di aver conosciuto la persona più vera, audace, intelligente, ironica, romantica e... bella dell'intero universo. Siete dannatamente meravigliosa, Legendragon. E lo so. Diamine, lo so. Fuori da questa stanza probabilmente me ne pentirò, ma per questa notte vadano agli Inferi tutti i demoni che vi tormentano e tutta la mia ostilità per il prossimo. Ho chiuso il mio cuore in una gabbia di ombre e tenebre molti anni fa. E oggi, credo di aver ritrovato la chiave. Promettetemi di non cambiare. Di essere sempre voi stessa. Di alzarvi quando crollerete. E di far sentire la vostra voce quando proveranno a spegnere la vostra fiamma. Siete la speranza, Legendragon. La speranza di un mondo migliore. E la salvezza del mio. Che, per lungi ed estenuanti anni, non ha mai, mai creduto nell'autenticità.»

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