VIII. Tramonto e alba.

Soundtrack – "Nuvole Biance (Piano Orchestral Version)", Nathan Wu.

E le stelle tremarono come scoppiettii. Ammirarono il germogliare di un amore celato da sussurri deboli, battiti incontenibili, sguardi stregati e soffice neve fra le pieghe degli abiti.

E l'eleganza dei violini accompagnò l'erede, in punta di piedi, che consumò le sue scarpette di cristallo e oro sul marmo latteo della stanza dei sogni.

Ma il loro segreto continuò oltre quelle mura di sfarzo e balli. Sul lato Ovest della sala, c'era una grande balconata con una visuale sul manto bianco dei giardini reali. Victoria aprì la grande finestra con una mano sulla maniglia, trascinò il Principe Ghiaccio con lei e occuparono il posto. Uno scorcio di meraviglia, custodito come un cuore di gelido inverno. I bucaneve tanto amati dalla nobile sprigionarono scintillii e magia, e i lembi blu della gonna si confusero con la brillantezza sulle mattonelle.

Il Fae restò al suo gioco. Rise, rise come un bambino spensierato che non provava quelle sensazioni da troppo tempo. Non ricordava più l'ultimo sapore di un bacio, l'ultima carezza a una donna mentre facevano l'amore, né la felicità di stringere un'amata addormentandosi insieme.

E lei, che era calamita di sole e vento, così diversa dalle nubi e dalle tenebre nel suo cuore... lo attraeva. Lo affascinava. Lo aveva sorpreso sin dal primo giorno con la sua spensieratezza, il non mollare mai, l'intraprendenza e il coraggio di riprovarci. La mattina in cui aveva raggiunto le sue stanze per donargli la colazione, lui era rimasto di sasso, perché mai nessuno aveva tentato di riallacciare un rapporto dopo aver avuto un assaggio del suo carattere burrascoso. Gli aveva dato una seconda possibilità, e lui non sentiva mai di meritarne una.

Victoria Legendragon era senza maschere. E lui la ammirava. Ammirava le risate per qualunque battuta o carineria. Ammirava l'ottimismo, l'altruismo,!la determinazione e... la bellezza. Una bellezza interiore che mostrava a pochi, nonostante il popolo e la servitù la amasse al punto di volersi sacrificare per lei. Ammirava ogni sua piccolezza, e maledisse sé stesso per la risata che le donò quando la fece volteggiare come una ballerina. Con le dita intrecciate in quelle della mano sinistra di Dorian, Victoria compì ampi giri e la sua gonna simulò una campana in movimento.

Il perimetro del balcone esterno era lungo sette vetrate. E su quelle mattonelle, i due nobili danzarono in sincronia e singolarmente, stringendosi oppure guardandosi da qualche metro, con un'alternanza continua. Victoria mostrò al principe passi difficili che lui avrebbe dovuto replicare, e lui si finse offeso sbagliandoli, e suscitando più volte la risata di lei. Per ore e ore, si isolarono dalla sala e fecero di quello spazio lungo e ristretto il loro nascondiglio dal mondo. Un mondo che li soffocava con protocolli rigidi e sofferenti. Lì erano loro stessi. Lì erano, semplicemente, Victoria e Dorian. E non un Fae centenario e una principessa con un peso troppo grande sulle spalle.

Con il passare delle ore, le luci dorate della sala si indebolirono e anche la musica diventò più tenue e leggera. E la distanza dalla Sala da Ballo li fece allontanare ancora di più da quel mondo che sembrava non appartenere più alla loro entità interiore.

Le loro schiene avvertirono ancora una volta il gelo della neve, l'umido dell'erba e la freschezza dell'aria. Le loro chiome dalle tonalità opposte si liberarono sul suolo come filigrane, e il principe incrociò le mani sulla nuca mentre lei indicava un punto specifico nel cielo oscuro.

«Quella è la Costellazione del Drago. Parte dalle cime più alte del reame, attraversa tutto il Continente e appare nei cieli di Legendragon solo nella Stagione della Luna e al calare del Cinquantesimo Giorno dei Riti Bianchi.»

Dorian studiò i puntini sbiaditi e, con una smorfia divertita, aggiunse: «Voi Figli del Fuoco siete sempre così complicati?»

Victoria girò il viso e lo guardò con intensità. A quella vicinanza, lui trattenne il respiro per qualche secondo, lei rispose: «Io direi sognatori. Si addice di più.»

Il Fae sorrise. Ancora. E condannò i suoi pensieri. Di nuovo.

Le guardò per un po' le labbra prima di sospirare: «La vostra paura più grande, Legendragon.»

Il tono. Il tono flebile destabilizzò la lucidità di Victoria.

«Cosa volete sapere?»

«Cosa vi tormenta» sussurrò lui «cosa non vi fa dormire la notte.»

«Date per scontato che io abbia un tormento, milord?»

Le loro voci erano diventate soffi di vento. Lui annuì con il capo.

«Leggetemi.» mormorò lei, deglutendo e non rompendo il contatto visivo. «Voglio... voglio capire cosa ci trovate in me.»

E un impercettibile sorriso la fece quasi capitolare. Il suo stomaco liberò emozioni pericolose.

«La sincerità è un'arma a doppio taglio, principessa.»

«E io vorrei ferirmi.» e sembrarono gli occhi lucidi a parlare per lei.

Dorian la guardò. Studiò con meticolosità ogni lineamento del suo volto e immaginò quel respiro trattenuto in un contesto che avrebbe potuto unire le loro anime e corpi.

Si avvicinò piano, e lei perse più di un battito. Ma lui restò concentrato nel dire: «Vedo forza. Tanta forza.»

Lei notò un cobalto particolare nelle striature delle sue iridi. «La forza è tante cose insieme, milord. Può essere vulnerabile e oscura, limpida e chiara.»

«Siete un ibrido.» affermò il principe. «Su questo non ho alcun dubbio.»

E a ogni risposta dell'uomo, Victoria sentì il suo fiato magico sulla pelle. Furono così vicini da poter sentire i battiti dei loro cuori fragili. E per i Fae che facevano dei sensi sviluppati il loro potere primario... fu un problema. Fu arduo sentire il frastuono della Legendragon nella cassa toracica e fingere indifferenza. E Dorian ringraziò gli Dei della Fortuna che lei non potesse fare lo stesso.

«Cosa significa?» chiese Victoria, con uno sguardo innocente e altrettanto la voce.

Le labbra di lui si curvarono davanti a quell'ingenuità fanciullesca. «Che lottate fra l'oscurità e la luce. Non sapete a chi donarvi.»

E la malinconia riempì i suoi occhi. «E quell'oscurità vi spaventa?»

Dorian crollò. Crollò perché avrebbe voluto darle una risposta negativa al volo, senza esitazioni. Una sola sillaba per farle capire che no, non gli incuteva timore. A parte...

«Mi spaventa che non capiate quanto sia effimera rispetto al bagliore che emanate.»

E lei restò in silenzio. Non ebbe altra visuale che i suoi occhi di diamanti. Si dimenticò del giardino, del ballo, della sala reale, del padre, del fratello e di qualunque altra cosa la tormentasse. E altri pensieri affollarono la sua mente quando lui si avvicinò ancora di più e le portò una ciocca corvino dietro un orecchio. Lei deglutì piano, come a non voler farlo notare.

«A volte ho paura di superare quel limite.» spiegò lei. «Di confondere il buio con il sole. Non riesco a tornare indietro con facilità quando mi abbandono a... dei pensieri.»

Con le nocche delle dita, Dorian le accarezzò un orecchio, poi le tempie... e lo stomaco di Victoria scatenò scintille di sopravvivenza. Perché avrebbe dovuto appellarsi a quello per resistere all'impulsività di azzerare tutto. Decoro, certezze... limiti.

«Quanto spesso vi tormentano?» chiese lui.

«Quasi ogni notte.»

«E come fate a superarlo? Come ritornate a galla?»

«Non lo so.» confessò lei. «Ed è ciò che più mi spaventa.»

Le dita di Dorian scivolarono sulla sua guancia, che diventò più calda a contatto con le dita.

«Volete lottare insieme, Legendragon?»

Lei non capì. Una proposta enigmatica.

«Volete che io possa alleviare il vostro dolore?»

Poi temette. Temette che quel tono di voce rauco e gentile fosse l'inizio di una tempesta interiore che non sarebbe riuscita a sconfiggere. Ma la reazione di lui la sorprese. Victoria avvertì uno stato di beatitudine quando una sensazione ultraterrena le entrò sottopelle... e si diramò nel cuore.

Dorian le aveva donato un po' del suo potere. Sentimenti come calma, saldezza e serenità si erano ramificate nel suo corpo, e lei si era sentita d'improvviso più leggera.

«Calma.» sussurrò lui, mentre la magia scorreva nelle vene di Victoria. «Per tutte le volte che inizierete a rimuginare troppo veloce.»

«Saldezza.» aggiunse, con lei che sussultò di poco. «Per le altre in cui vi spaventerete.»

«E serenità.» concluse, con il potere che arrivò all'estremo. «Per ricordarvi che non siete sola.»

E lei si commosse. Lo aveva guardato tutto il tempo, aveva sentito una luce pulsargli dentro... ma non era riuscita comunque a resistere alla spontaneità delle lacrime che sapevano di gratitudine. Lo avrebbe usato, pensò. Avrebbe usato quel potere tutte le volte che si sarebbe sentita lei contro il mondo. E lui, quel ringraziamento, lo avvertì tutto.

Udì il cuore della principessa diventare più ribelle, e la situazione peggiorò quando decise di... avvicinarsi e lasciarle un bacio sulla fronte.

Le labbra del principe tremarono, e lei si accovacciò al suo petto. Il calore di quel contatto la estraniò da tutto e tutti. Le sembrò quasi un sogno, uno di quei cieli oscuri e stellati che amava dipingere sulle tele.

«Restate con me.» sussurrò lei, con un tremore nella voce.

E Dorian si sentì sviscerare vivo quando comprese che il riferimento non era solo la permanenza a corte. Si staccò di poco, abbassò lo sguardo e si ritrovò il viso di lei oscurato dalla sua figura... ma più vicino del solito. Gli occhi gli sembrarono due pozzi scuri, ancor più cupi di com'erano alla luce del sole.

«Non merito un briciolo della vostra anima, Legendragon.»

Victoria poté sentirlo. Il cuore del Fae smentiva quelle parole con una prepotenza unica. Batteva, batteva all'impazzata, e premeva sul suo seno togliendole il fiato.

Poi, lei guardò il principe con la sua solita aria sognante, e le toccò compiere un passo in più. Allungò una mano e coprì una guancia fredda dell'uomo. Dorian tremò, perché stava rischiando grosso. Così piccola, e accovacciata a lui... c'erano tutte le tentazioni del mondo per compiere un gesto che avrebbe rovinato entrambi. Ma erano abbastanza lucidi da capire che no, non potevano. Lo volevano. Visceralmente. Se ne stavano rendendo conto. Sempre di più.

Lei chiuse gli occhi. Lui appoggiò la fronte sulla sua.

«Ma io vorrei meritarmi voi.» bisbigliò la nobile, e Dorian rischiò di piangere davanti a lei. Il tremore con cui gliel'aveva detto stava riducendo il suo cuore a pezzi di vetro frantumati.

Ma il Fae fu irremovibile. La riempì di carezze su una guancia, e più volte posò le labbra sulla sua fronte. E nelle interiora, Victoria sentì falene di ogni colore e tipologia quando il principe osò e spostò le effusioni sul naso. Lei lottò con la forza di sollevare il mento e coglierlo di sorpresa. Ma le immagini di lui che rifiutava un abbraccio la tormentavano ancora, seppur le motivazioni fossero state spiegate.

E sotto quel cielo stellato, con lo zefiro che si insinuò nei loro vestiti, restarono così per ore. Cuore a cuore. Come se potessero essere loro a dialogare al posto dei padroni, e a evitare quei silenzi che stavano nutrendo le due anime più tormentate del Continente. 

E quando il principe la accompagnò nelle sue stanze, le sensazioni furono le stesse. Per tutta la scalinata, fregandosene delle occhiate della servitù di corte, Dorian l'aveva presa in braccio – un braccio dietro le ginocchia e un altro sulla schiena – e le aveva evitato la fatica di camminare a piedi. Le scarpe della principessa si erano consumate per l'uso, e Victoria aveva riso più di una volta quando lui le aveva fatto delle battute in merito.

Ma prima dell'allontanamento dalla festa, i due avevano dovuto aiutare un Riccardo Legendragon traballante e ubriaco fradicio a raggiungere le sue stanze private. Il principe aveva esagerato con il vino di corte sulle tavolate del banchetto reale, ed erano serviti loro due più altri tre uomini della guardia reale per trascinarlo via. Lungo il corridoio, Riccardo aveva biascicato parole prive di senso, tranne quando aveva provato a corteggiare uno dei due aiutanti della cavalleria. E Dorian e Victoria si erano guardati più volte e avevano trattenuto una risata per evitare l'imbarazzo al giovane in armatura. Poi, vicini alla porta delle stanze di lei, Victoria aveva approfittato della gente interessata a Riccardo per afferrare Dorian dal colletto della camicia, entrare, chiudere la porta a chiave e portarlo via con sé. Affacciati a un altro balcone. Dove sarebbero stati solo loro due, e nessun altro a disturbarli. 

«Vostro fratello è la persona più folle che abbia mai incontrato in tutta la mia vita da immortale.»

La risata di Victoria echeggiò nel perimetro dei giardini reali, e Dorian capì che era anche un modo per allontanare la stanchezza. Erano stati distesi su quel manto di neve, pelle contro pelle, tutta la serata. E su quel balcone furono le cinque del mattino. L'aria della notte aveva lasciato il posto a una pace dei sensi, dipinta di blu, azzurro e ocra sulle cime delle montagne innevate.

Ma nonostante l'ora e l'attutire dei suoni dalla Sala del Ballo, Victoria sembrò non averne abbastanza. Lo voleva con lui. Ogni gesto, parola o emozione del Fae la allontanavano dall'inquietudine della vita reale. E quella era stata la sua prima notte, dopo mesi, che non aveva avuto paura.

La calma, la saldezza, la serenità.
L'aveva promesso.

«Andate d'accordo?» domandò lei.

«A giorni alterni. È un ottimo stratega militare, ma in quanto a relazionarsi con le persone...»

Victoria aggrottò le sopracciglia, mentre fuori aveva iniziato di nuovo a nevicare. Erano appoggiati con i gomiti sul cornicione della balconata, e il freddo era entrato anche nelle pieghe dei loro abiti.

«Mio fratello è particolare. Ha sempre una buona parola per chiunque, scherza, gode dei piaceri di corte...»

«Troppo dei piaceri di corte.» puntualizzò il principe.

Lei scoppiò in una breve risata. «Forse sì. Ma è un brav'uomo. E soprattutto... c'è stato per me sin quando le giornate sono diventate troppo dure. È sempre stato la mia spalla destra, il mio sostegno... la mia metà. Ha cercato di sollevarmi il morale in ogni modo, per situazioni più grandi di noi.»

E Dorian voleva sentirselo dire. Avrebbe voluto conoscere ogni dettaglio e piccolezza del passato della fanciulla. Aveva visto la sofferenza nei suoi occhi dal primo giorno che si erano incontrati. E anche quando lei aveva riso a qualche sua battuta, lui aveva notato un velo di tristizia nel suo sguardo.

«Abbiamo idee troppo contrastanti.» precisò lui. «Ammiro il suo modo di intendere la vita. È socievole, guarda al domani con ottimismo e non si tira mai indietro quando deve dare una mano. Ma davvero, il modo in cui...»

«Potete dirlo, altezza. Non mi offenderò. Sono sua sorella, non la sua balia.» scherzò lei, per alleggerire l'aria.

Dorian fece un profondo respiro prima di dire: «Credo che vostro fratello non abbia ancora colto i veri valori della vita. Un'eccezione la fa con voi, perché credo davvero che vi tratti come una donna del vostro calibro dovrebbe essere trattata. Ma deve imparare a dosare il valore dell'amore. Non c'è niente di più puro dell'amore, Legendragon. E lo si comprende solo quando ne vieni privato. Noi Windothynn ne siamo immuni. Abbiamo fatto un giuramento. E solo nel momento in cui ciò è accaduto ci siamo resi conto di quanto una vita senza esso sia impossibile da gestire. L'amore muove il mondo. L'amore scala le gerarchie sociali. L'amore... l'amore ti fa alzare la mattina con la consapevolezza di avere uno scopo nella vita. Ti cambia. Ti sbatte in faccia il dolore, quello che provi quando ti viene strappata una persona a cui hai donato tutto te stesso. Ti rende vulnerabile, fragile, debole... ma l'amore ti fa anche rinascere. E da quelle ceneri ci si ricompone come fenici. Quindi badate bene al domani che verrà. Nel giorno in cui cercheranno di strapparvi via questo sentimento, ricordatevi di non crollare. Ricordatevi di piangere, sfogarvi, ma non crollate. Avete una corona invisibile sul vostro capo che dovrà ricordarvi chi siete. Ma non chi siete in relazione al nome. Non la nobile di una casata o la futura erede di un reame. Bensì, una donna. E ancor prima, un essere umano. E voi essere umani siete fortunati, milady. Avete il pregio di gestire come meglio credete quel sentimento che vi fa battere forte il cuore. Non sprecatelo per alcuna ragione al mondo. Nella vostra vita amerete più volte, piangerete più volte e vi pentirete più volte delle scelte che prenderete con o senza cognizione di causa. Fatelo. Fatelo sempre. Sbagliate. Sbagliate e traetene il massimo. Ma ricordatevi di farlo sempre con... amore.»

Quelle parole portarono Victoria in uno stato di beatitudine. Per quasi un minuto, non riuscì a proferire parola. Si adagiò sul cornicione e guardò l'orizzonte. Un orizzonte che per troppo tempo e volte si era goduta da sola.

«Credete che sarò mai in grado di amare?»

Dorian deglutì, poi fiatò: «Perché non dovreste?»

«Perché sembra non essere il mio destino. La mia esistenza è appesa al filo di un rasoio, e mio padre manovra le mosse. È lui a dover decidere l'uomo con cui dovrò sposarmi un domani. E temo di non poter far nulla per cambiarlo.»

«Dovreste parlargliene, allora.»

«Ci ho già provato...» sospirò lei «ma è stato inutile.»

Intrecciò ancora più nervosa le dita, poi aggiunse: «Non ho scelte, altezza. Sono chiusa fra queste quattro pareti dalla mattina alla sera. Giorno e notte. Ogni minuto, secondo della mia esistenza è trascorso qui. La servitù, le dame e la mia famiglia non mi fanno mancare nulla, ma... mi sono sempre chiesta cosa ci sia là fuori. Cosa si nasconda oltre quei mondi, oltre il Confine del Continente... e nel Nuovo Mondo. Nei libri di storia si narra di terre leggendarie, reami nascosti, creature sovrannaturali e tesori proibiti. I più grandi re e regine della storia, almeno una volta nella vita, si sono dati una risposta alle loro domande. Io... io non lo saprò mai. Sbaglierò e piangerò come avete detto voi... ma non saprò mai cosa si cela dietro l'intima essenza della vita.»

E con quelle confessioni sussurrate al vento, a Dorian venne spontaneo ribadire un concetto fondamentale.

Con la magia di quella notte magica, avrebbe voluto farle capire una volta per tutte la sua posizione.

«La mia risposta alla vostra domanda è sì, Victoria Legendragon.»

Lei si voltò. «Quale domanda?»

«All'amare.» si avvicinò ancora, e le mise un'altra ciocca dietro un orecchio. Le studiò le labbra. «Lo farete. Un domani amerete così tanto l'altra persona quasi da non ricordarvi più il vostro nome. E il re che starà al vostro fianco saprà di avere una grande e umana regina.»

Victoria trattenne l'ansimare quando lui le accarezzò i lineamenti dal lobo dell'orecchio al mento.

«Vi piacerebbe conoscere la mia corte?»

Victoria si irrigidì di colpo. La proposta calda e mormorata del giovane gli era entrata nelle vene. La sua corte. La sua casa. Il posto in cui Dorian si sentiva sé stesso. E lei cercava di scoprire la sua da una vita, e la risposta non era certo fra le pareti del castello di Legendragon. Intrecciò le dita delle mani, abbassò il mento e le guardò mentre le torturava.

«Altezza, non vorrei...»

Dorian le circondò il mento con le dita, e con un gesto così delicato da farla sentire sulle nuvole. E lei fu costretta a sfidare, ancora una volta, il rigido inverno delle sue iridi.

«Mi piacerebbe.» sussurrò lui, a pochi centimetri dal suo viso. «Potrebbe distrarvi. Tenervi lontana dalla situazione di vostro padre, dalla vita della vostra corte... e dalla notte. Il castello di Eryagon è una dimora immensa e maestosa. Ha una quantità innumerevole di stanze e...»

«Avete altre intenzioni, Windothynn? Perciò me lo state proponendo?»

Sfacciata. Victoria non era mai stata così sfacciata con qualcuno. Ma aveva osato troppo e, nonostante il tono scherzoso, se ne era pentita. E Dorian sembrò notarlo, perché entrambi arrossirono e ridacchiarono allo stesso modo. E l'imbarazzo intenerì il Fae.

Stette al gioco. Le guardò le labbra e sorrise, poi biascicò con un piccolo occhiolino: «Può darsi.»

Ma anche la sua risposta suonò tremante. E nonostante la situazione, ci fu una quiete. La meraviglia di constatare che insieme si sentivano diversi. Lontano dalle problematiche delle loro esistenze, e vicini a una connessione inspiegabile.

Trascorsero un'intera notte a ridere, scherzare e raccontarsi accaduti delle loro vite. Erano anime forgiate dalle esperienze e dal fato, in conflitto con un io interiore diviso in due.

Dovere e piacere. Fra quelle stelle luminose e la frescura dell'ambiente, i due toccarono spesso la linea di confine. Tra lo sfiorarsi e il cercarsi, tra il guardarsi e ignorare le loro sensazioni...

Ma all'ennesima risata di lei su una battuta del Fae, una stella cadente attraversò il cielo. Un evento unico e leggendario che nel Continente succedeva ogni mille anni. Victoria saltellò e sghignazzò come una bambina alla scoperta del mondo, gioì e blaterò frasi gioiose. Lui restò fermo. A guardarla. Sorridere. Sperare di farle capire che era molto più di ciò che lei credeva di essere.

E a suo modo lo fece. In un momento di ilarità, il principe si avvicinò. Lento, così lento da impazzire, afferrò le guance della principessa e la guardò con una profondità da toglierle il respiro.

E lei si bloccò. Fermò ogni risata e approfittò di quella vicinanza per perdersi nei suoi occhi. Se lo domandò. Si chiese cosa quelle labbra e quelle iridi avrebbero potuto fare su di lei. E si bacchettò perché in fondo era sbagliato.

Era sbagliato credere in un futuro con un uomo che conosceva da poco.

Era sbagliato tradire la fiducia e le promesse al padre. Insensate, inumane e senza alcuna logica o spiegazione... ma erano le regole. La sua vita. E doveva restarci dentro come una rosa rossa sotto una teca di vetro.

Ma Dorian si avvicinò ancora di più. Appoggiò la fronte sulla sua, e trattenne il fiato con difficoltà. Chiuse gli occhi e la sentì tremare.

Victoria portò due mani sulle sue e bisbigliò: «Grazie.»

«Per?»

«Tutto.»

E non ci fu bisogno d'altro. Si capirono. Rispettarono i loro silenzi e si protessero dal freddo con cosa si velava nei loro cuori. E lo velarono bene. Così bene che quando Dorian si allontanò per entrare di nuovo nella stanza, lei lo assecondò.

Raggiunsero la porta, lei la aprì e si accertarono che non ci fosse nessuno nei paraggi. Ma quando lui mise una punta del piede fuori... Victoria gli afferrò un polso.

Lui si girò di scatto. Accettò quello sguardo tenebroso con una richiesta che sentiva di conoscere.

E si chinò. Si chinò e gli occhi gli brillarono quando un sospiro fu l'unica cosa che li separò.

E la baciò.

Su una guancia. Lento e dolce. Lungo e bramato.

E Victoria non seppe come descrivere quel contatto.

Avrebbe voluto di più.

Sentiva che il principe aveva cambiato idea sull'obiettivo all'ultimo secondo. Avrebbe voluto ogni poro della sua pelle incendiato dalle sue labbra calde, morbide, delicate... passionali. Si ritrovò a pensare quello. A tutto ciò che avrebbe potuto fare e a tutto ciò da cui sarebbero dovuti stare lontano.

E la sua risposta fu un sorriso. Un sorriso che anticipò gli occhi lucidi. E dovette salutarlo in fretta e in furia, perché quando chiuse la porta, ci appoggiò la schiena sopra e fu da sola nella stanza... comprese.

Comprese che quel sorriso che gli aveva donato avrebbe cambiato molte cose.

Ma solo raggiungendo di nuovo il balcone per prendere un po' d'aria, schiarirsi le idee e diminuire il calore nel corpo... confermò che no, non era così.

Le cose erano già cambiate.

E quella realtà così esposta ai pericoli, così viva, così profonda e così lontana dai tramonti scuri a cui si era abituata per tutta la vita... le donò una nuova alba.

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